la stagione di arthur rimbaud

Transcript

la stagione di arthur rimbaud
 ®
FRONTIERA DI PAGINE
POESIA MODERNA
LA STAGIONE DI
ARTHUR RIMBAUD
I DI ANDREA GALGANO
http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Prato,11 dicembre 2012
N
el 1873 un ragazzo di campagna di nome Arthur Rimbaud, di
Charleville, nelle Ardenne, si reca a Parigi per consegnare la sua
opera Una stagione all’inferno, presso un tipografo belga e pagare le
spese, grazie all’aiuto della madre. Aveva conosciuto, intanto, un poeta importante
come Paul Verlaine, che divenne suo amante e suo mentore.
Era un’opera sconvolgente, all’inizio poco considerata e poi ripubblicata su alcune
riviste, mentre egli ancora era in vita. Smise di scrivere, preferendo viaggiare a piedi e
arrivando persino in Africa. Laggiù visse di espedienti, una paga misera, (una diceria
sostenne che fosse persino mercante di schiavi), la malattia di un tumore alla gamba.
Tentò persino di servirsi di un arto artificiale, come scrisse alla sorella Isabelle che
si prese cura di lui: «La testa e le spalle s'inclinano in avanti e ci s'inarca come gobbi.
Tremate nel vedere le persone e gli oggetti che vi si muovono intorno, per timore che vi
II si rovescino rompendovi così la seconda zampa. Sghignazzano nel vedervi saltellare.
Quando tornate a sedervi, avete le mani snervate, l'ascella segata e l'aria di un idiota».
Morì a Marsiglia alle 10 del mattino del 10 novembre 1891.
Uomo singolare, battello ebbro. Paul Verlaine, lo incluse nell’antologia che dà il
nome ai poeti maledetti (assoluti come il rischio dell’anima, ossia la sua ferita), assieme
a nomi come Corbiére e Marceline Desbordes-Valmore. Così facendo, egli consacrò la
sua fama, già iniziata in vita.
Scrisse Paul Claudel, che si convertì dopo averlo letto, che Rimbaud era “mistico
allo stato selvaggio” e Mario Luzi successivamente: “Siamo nel cuore dell’orfanità”.
Ecco le due coordinate di lettura, più precipue, per afferrare un’opera che sversa tra le
mani, che si fa imprendibile, quasi sottraendosi: «Io dico che bisogna essere veggente,
farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata
sregolatezza di tutti i sensi.» (lettera a Paul Demeny, 15 maggio 1871).
®
© articolo stampato da Polo Psicodinamiche S.r.l. P. IVA 05226740487 Tutti i diritti sono riservati. Editing MusaMuta www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano – La stagione di Arthur Rimbaud – 11 12 2012
In una recente e bellissima edizione de Una stagione all’inferno, Davide Rondoni
scrive: “come azzardò Mario Luzi, il poeta giovane di Charleville è l’unico che si può
accostare all’esiliato di Firenze. Sono de poeti, due viaggi ove l’auctor e il personaggio
coincidono, dove cioè
vale l’esperienza, e dove alla prova dell’esperienza sono
sottoposte tutte le verità presunte”.
Nella tensione umana, nella forza carnale di quell’inferno che «non può toccare i
pagani» avviene il diaframma e la frattura tra le parole e le cose, in quello “scambio
perpetuo fra psicologico e fisico ossia / visibile con gli occhi. Visibile fuori, visibile
dentro”, come annotava Paul Valèry.
La Saison è una vertigine che viene abitata da un bagliore che stride, perché la
contraddizione del vivere è un rifugio freddo e sbandato, un ergastolo senza eredità:
«Genitori, voi avete fatto la mia infelicità e avete fatto la vostra – io sono schiavo del
mio battesimo».
III Si avverte, in modo fulminante, il segno di un’appartenenza a qualcosa di
misterioso, di infinitamente grande che però resta su una soglia sconosciuta, un lampo
invocato e bestemmiato come la vicinanza di un suocero, «nato insieme a
M.Proudhomme» e che autorizza l’uomo alla finzione.
Il segno del battesimo percorre la carne come schiavitù, come un fuoco insanabile e
insopportabile che fa trasalire.
Quando drammaticamente e ironicamente egli dichiara la sua appartenenza alla
Dichiarazione dei diritti dell’uomo, Rimbaud compie il salto di una dolce ed estrema
sperdutezza, racchiusa nell’impossibilità di un viaggio, nella coltre disperata e vitale di
una misteriosa e invocata salvezza: «Sono sofferenze immense, ma bisogna essere forte,
esser nato poeta. E io mi sono riconosciuto poeta, non è affatto colpa mia. È falso dire –
io penso. Si dovrebbe dire – io sono pensato. Io è un altro. Tanto peggio per il pezzo di
legno che si ritrova violino».
®
© articolo stampato da Polo Psicodinamiche S.r.l. P. IVA 05226740487 Tutti i diritti sono riservati. Editing MusaMuta www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano – La stagione di Arthur Rimbaud – 11 12 2012
Il poeta riconosce una ‘dipendenza’, (non essere cioè padrone di sé), che sposta, di
fatto, il problema dell’appartenenza su un livello ontologico e spezza la divisione tra
oggetto e soggetto, tra ciò che io sono e ciò che mi fa. L’alba di un annuncio, la
prossimità di una felicità mancante: «Voglio la libertà nella salvezza. Come
perseguirla?».
L’io che avverte il limite, che si attesta sul riconoscimento di un bisogno estremo,
assoluto, come una veggente profezia e un “segno d’alleanza (Yves Bonnefoy): «Ma
non una mano amica! E dove trovare soccorso?».
Scrive ancora Rondoni: “quanto più è acuta la percezione di un «salut», di una
salvezza promessa alla vita (il festino della giovinezza, tanto più la mancanza di energia
per raggiungerla è vissuta come pulsar o buco nero, come il problema dell’esistenza
(essere «un negro», una razza inferiore, vittima di uno «straziante infortunio»).”
L’inferno, come la bellezza, è quella situazione in cui si sa che la feritoia della
felicità è altrove, ma manca il passaggio per arrivarci, la chiave.
Non solo l’inferno della utopia rivoluzionaria, ma la vera «faiblesse» perturbante e
sovvertitrice che ammala l’essere, indebolisce coscienza e bene, ridotti a fantasmi
spettrali, a evasioni disincarnate.
Anche la Bellezza, toccata e ingiuriata dai suoi occhi, avvicina il suo sguardo al
dèreglement, di segni e significato, la sua inflessione, come scrisse ancora Claudel,
all’amarezza di una fuga e di una dannazione.
Sregolare il linguaggio ebbro, sforzandosi di reinventare l’alchimia che soggiace il
gesto della parola e il suo avvenimento, non è solo il tormento di una forza di segni, è
viaggio e grido da levare e portare innanzi: «Io! Io che mi sono detto mago o angelo,
dispensato da ogni morale, sono qui steso al suolo, con un dovere da cercare, e la realtà
rugosa da stringere! Bifolco!».
®
© articolo stampato da Polo Psicodinamiche S.r.l. P. IVA 05226740487 Tutti i diritti sono riservati. Editing MusaMuta www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano – La stagione di Arthur Rimbaud – 11 12 2012
IV La dismisura ambigua e sfuggente liquida la memoria, artistica e storica, vivendo il
dolore della scienza del patimento di un io, che, sebbene scosso e immerso nell’acqua
chiara dell’infanzia, si abbuia nei suoi contrappassi, oppresso dalla fatica di un’angoscia
fatale, del fango che tocca la vedovanza prospettica di un’ascesa e di una caduta.
Il suo perpetuo naufragio è l’elementare itinerario di un ergastolo inquieto
dell’anima, un’effrazione delle falde che tocca l’abisso del guazzabuglio del cuore,
come il segno di una domanda che incontra l’Alterità e si intesse di fibra profonda di
uno slancio proteso all’invisibile, come segna Mario Matucci: “Rimbaud non ebbe che
una fedeltà: essere voyant, farsi voyant”.
Percorrere l’illimitatezza del suo sguardo estremo e di fiamma, significa stringere
fino allo spasmo l’esperienza, in cui la parola materia di carne e sangue, totale ed eroica.
Illuminations è il vertice di una luce che separa dall’invisibile, la chiusura della
curva dello splendore, ma anche la caduta, la coscienza della sua fine che convoca
l’unità.
Il passaggio di una missione così accesa e straordinaria, la contrazione della
solitudine che diviene lo specchio di una rovina spenta, cedono il posto a un barlume di
silenzio, al desiderio di uno slancio che tenta di riconoscersi nelle linee e nel «bastione»
delle viole.
Quasi che il sospeso delle linee e dei paesaggi siano un vuoto colmo, un modo
cullato ma solo, un movimento che corre ma si sfrangia (Dèserts de l’Amour) nella
polpa degli elementi, nel prodigio dell’arte.
È la posizione violenta e dolce di una sperdutezza indeterminata, in cui la forza
della visione è veggenza pura e decisività d’istante dell’eterno mattino del mondo.
®
© articolo stampato da Polo Psicodinamiche S.r.l. P. IVA 05226740487 Tutti i diritti sono riservati. Editing MusaMuta www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano – La stagione di Arthur Rimbaud – 11 12 2012
V La fame, la sete, le camminate lunghe tra erba e nebbia, appaiono la
rappresentazione dell’odore e del colore di una frattura che appartiene alla modernità,
che invoca salvezza dalla ferita del tempo e dal dramma dell’io in battaglia.
"Un tempo, se ricordo bene, la mia vita era un festino
in cui tutti i cuori si aprivano, in cui tutti i vini scorrevano.
Una sera, ho preso sulle ginocchia la Bellezza.
- E l'ho trovata amara.
- E l'ho ingiuriata.
Sono fuggito.
O streghe, o miseria, o odio, a voi è stato affidato il mio tesoro.
Riuscii a far svanire dal mio spirito ogni umana speranza.
Su ogni gioia, per strozzarla, ho fatto il balzo sordo della bestia feroce.
Ho invocato i carnefici per mordere, morendo, il calcio dei loro fucili.
Ho invocato i flagelli, per soffocarmi con la sabbia, col sangue.
La sventura è stata il mio dio.
VI Mi sono sdraiato nel fango.
Mi sono asciugato al vento del delitto.
E ho giocato qualche brutto tiro alla pazzia.
E la primavera mi ha portato il riso terrificante dell'idiota.
Orbene, essendomi trovato di recente sul punto di fare l'ultimo crac! ho pensato di ricercare la
chiave del festino antico, in cui poteri forse riprendere appetito.
La carità è questa chiave- questa ispirazione che ho sognato!
- Resterai iena, ecc...- ribatte il demonio che mi ha incoronato di così amabili papaveri.
- Giungi alla morte con tutti i tuoi appetiti, e il tuo egoismo e tutti i tuoi peccati mortali.
Ah! ne ho avute fin troppe:
- Ma, Satana caro, ti scongiuro, una pupilla meno irritata! e in attesa delle piccole vigliaccherie
in ritardo, per te che ami nello scrittore l'assenza di facoltà descrittive o istruttive,io strappo
questi pochi e ripugnanti foglietti dal mio taccuino di dannato. ®
© articolo stampato da Polo Psicodinamiche S.r.l. P. IVA 05226740487 Tutti i diritti sono riservati. Editing MusaMuta www.polopsicodinamiche.com http://polopsicodinamiche.forumattivo.com Andrea Galgano – La stagione di Arthur Rimbaud – 11 12 2012