Ciclo economico e Rischio d`insolvenza delle Imprese

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Ciclo economico e Rischio d`insolvenza delle Imprese
DEFAULT RISK AND BUSINESS CYCLE: A MACRO STRESS-TESTING ANALYSIS
FOR ITALIAN CORPORATE SEGMENT
Annalisa Di Clemente
Abstract
Measuring the cyclical dimension of credit risk is fundamentally difficult. However, as the recurrence of banking crises
suggests, it is fundamentally important. The major change implied by Basel II is that capital requirements will be much
more closely tied to risk, as measured by credit ratings. In particular, if (agency or internal) credit ratings are sensitive
to economic conditions, then under Basel II capital requirements may fall in an upturn and rise in recessions. This may,
in turn, increase the sensitivity of the supply of credit to economic conditions creating risks to the stability of financial
and economic systems. For these reasons banks need to determine exactly how the level of credit risk changes with the
evolving state of the macroeconomy, and how the level of required capital should change through time. In fact, the
more sensitivity of capital requirements to economic conditions may change the size of the capital “buffer” banks need
to hold above current regulatory requirements. This “surplus” of capital should be built up in good times to absorb the
losses occurred in bad times without undermining the solvency of the bank and more generally the stability of the
financial system. In particular, Pillar 2 of Basel II requires banks to run stress tests in order to assess the effect of certain
specific conditions on its capital requirements for credit risk and to assess the firm’s ability to meet its capital
requirements for credit risk during all stages of the economic cycle and during an economic recession (such as might be
experienced once in 25 years). In the light of these considerations, this work aims to simulate the impact of some
relevant macroeconomic factors on the credit quality of a homogeneous segment of bank’s obligors: the Italian non
financial firms. Following the Wilson’s econometric approach, which models default probability as non linear functions
of the macro fundamentals, the sensitivities of the average default probability of the Italian non financial firms to
changes in macro fundamentals are estimated. Given this information, the impact of extreme macro scenarios in the
future on the creditworthiness of this homogeneous borrower segment is simulated too. Successively, we assess the
vulnerability of the funding bank, by measuring the changes of expected loss and of capital requirement associated to
this category of loan (corporate asset), to “exceptional but plausible” macroeconomic shocks. Finally, we determine the
size of capital “buffer” bank should build up in good times in order to meet the regulatory capital requirements without
undermining the supply of credit in adverse economic conditions.
Keywords: macroeconomic conditions, credit risk measurement, default risk modelling, financial soundness indicators,
macro stress-testing.
JEL Classification Numbers: C53, G21, G33, E44.

prof. aggregato di Economia dei mercati monetari e finanziari, Università di Roma “La Sapienza”.
RISCHIO D’INSOLVENZA E CICLO ECONOMICO: UN’ANALISI DI MACRO STRESSTESTING PER LE IMPRESE INDUSTRIALI ITALIANE
1. Introduzione
Misurare la sensitività del rischio d’insolvenza alle condizioni macroeconomiche è
obiettivo non facile1. Tuttavia, la ricorrenza delle crisi bancarie nel mondo ed i costi ingenti ad
esse associate sollecitano una maggiore attenzione alla vulnerabilità del sistema finanziario da
una prospettiva macroeconomica e ad adottare adeguate politiche prudenziali 2.
Le nuove norme internazionali concernenti i requisiti prudenziali di capitale delle
imprese finanziarie (Pillar1 di Basilea II) possono inasprire le fasi di rallentamento
dell’economia favorendo le strette creditizie nel settore bancario. In particolare, l’utilizzo dei
sistemi di rating, soprattutto quelli interni, per il calcolo dei requisiti minimi di capitale
bancario, se da un lato ha innalzato la performance delle istituzioni bancarie nella misurazione
e gestione del rischio di credito dei propri impieghi, dall’altro ha reso i requisiti di capitale più
sensibili alle condizioni economiche generali. Conseguentemente, data la sensitività dei sistemi
di rating creditizi ai cicli economici, è probabile che anche i requisiti di capitalizzazione possano
di fatto risultare ciclici, innalzandosi durante le fasi recessive del ciclo ed abbassandosi durante
quelle espansive. Questo fenomeno, a sua volta, può aumentare la sensibilità dell’offerta di
credito alle condizioni economiche producendo un effetto prociclico sull’economia ed instabilità
del sistema finanziario globale3.
Per evitare il rischio che il cuscinetto di capitale detenuto dalle banche, seguendo le
indicazioni regolamentari contenute nel Pillar1 di Basilea II, possa risultare insufficiente
soprattutto da una prospettiva pubblica di controllo prudenziale della stabilità finanziaria, le
autorità di vigilanza internazionali nel Pillar2 del Nuovo Accordo sul Capitale richiedono alle
banche di condurre delle analisi di macro stress-testing, ragionevolmente cautelative, allo
scopo di calcolare di quanto i propri requisiti di capitale a copertura del rischio di credito
potrebbero aumentare al verificarsi di scenari economici eccezionalmente negativi ma
plausibili. In sostanza, Basilea II intende affiancare ai modelli statistici accreditati di rischio di
credito, basati sulla misura internazionalmente accettata del Value-at-Risk, le tecniche di
macro stress-testing al fine di valutare adeguatamente l’impatto di specifici eventi estremi e/o
di uno shock economico sulla solidità finanziaria del sistema bancario. 4
1
Le ragioni di tali difficoltà possono rinvenirsi sostanzialmente in due aspetti: la difformità di opinioni sia sulle forze
che guidano i cicli economici, che sulla possibilità di identificare ex ante e con un certo grado di significatività gli
squilibri finanziari delle imprese debitrici (suscettibili di aumentare la probabilità di peggioramento delle condizioni
economiche generali).
2
Lowe (September 2002).
3
Benford, Nier (December 2007).
4
Committee on the Global Financial System (January 2005).
2
L’obiettivo finale è incoraggiare le banche a costruire nelle fasi cicliche positive un
ammontare di patrimonio superiore al livello minimo necessario da utilizzarsi come “cuscinetto”
protettivo nelle fasi recessive del ciclo. Tale comportamento anticiclico eviterebbe alle banche
di intaccare il capitale e la propria capacità di finanziamento al sistema economico proprio in
una situazione in cui il sostegno all’economia reale da parte del sistema bancario può rivelarsi
strategico.
Fatte queste premesse, questo lavoro si propone di stimare l’ammontare di surplus di
capitale a copertura delle perdite creditizie inattese, associate ad un’esposizione bancaria verso
il segmento delle imprese industriali italiane in condizioni di stress economico. Per calcolare di
quanto potrebbero aumentare i requisiti di capitalizzazione bancaria a fronte di shock
economici, si è prima investigata l’esistenza di una relazione significativa tra condizioni
economiche generali e merito creditizio delle imprese italiane non finanziarie, attraverso lo
studio del legame funzionale tra un gruppo di macro fattori (potenzialmente rilevanti per il
segmento) ed il merito creditizio delle imprese italiane, rappresentato dalla probabilità
d’insolvenza media del segmento corporate. Una volta individuato, dall’ampio insieme di
variabili
economico-finanziarie
analizzate,
il
sottoinsieme
di
variabili
statisticamente
significative per la salute creditizia delle imprese industriali italiane, precisamente il tasso di
crescita del PIL, il tasso di disoccupazione, il tasso attivo sui prestiti ed il tasso di crescita degli
investimenti fissi lordi complessivi, si è simulato l’impatto che valori normali, molto negativi e
pessimi di questi fattori di rischio, rilevanti per la probabilità di sopravvivenza delle nostre
imprese, sono suscettibili di produrre sia sulla probabilità d’insolvenza condizionale media del
segmento
corporate,
che
sulla
perdita
attesa
e
sul
requisito
di
capitalizzazione
di
un’esposizione creditizia bancaria verso il segmento. Questo studio di macro stress-testing è
stato condotto utilizzando l’approccio econometrico CreditPortfolio View di Wilson (1997a) che
modella la probabilità d’insolvenza come una funzione non lineare dei fondamentali
macroeconomici.
Nello specifico, dopo aver stimato, sulla base di dati storici, le sensitività della
probabilità d’insolvenza media del segmento omogeneo delle imprese non finanziarie italiane
alle variazioni delle quattro variabili macroeconomiche rilevanti, si sono utilizzate tali
informazioni
per
estremamente
simulare
negativi
l’impatto
sulla
di
solidità
alcuni
possibili
creditizia
del
scenari
economici
segmento
negativi
corporate
ed
italiano.
Successivamente, inserendo nelle formule regolamentari di calcolo della perdita creditizia
attesa bancaria, del coefficiente di correlazione delle attività e del requisito minimo di capitale
bancario (seguendo l’approccio Internal Rating Based di base), le previsioni d’insolvenza
condizionali (ottenute dal modello econometrico implementato), si stimano i valori della perdita
attesa e del requisito di capitale della banca finanziatrice a fronte dello stesso ventaglio di
scenari economici futuri simulati (normale, molto negativo, pessimo).
3
L’obiettivo finale è verificare di quanto la probabilità d’insolvenza media condizionata
delle imprese italiane ed il requisito minimo di capitale bancario (a copertura delle perdite
creditizie inattese associate ad un’esposizione verso questo segmento omogeneo di debitori)
potrebbero aumentare in condizioni estreme del ciclo economico, rendendo le banche italiane
sottocapitalizzate e, quindi, potenzialmente procicliche. Tale “deficit” di capitale potrebbe
infatti indurre le nostre banche ad inasprire le condizioni ed il costo dell’accesso al credito per
le imprese, peggiorando ulteriormente la solidità finanziaria di queste ultime ed accentuando la
vulnerabilità del sistema produttivo agli shock economici. Stimando, attraverso la tecnica del
macro stress-testing, il valore del requisito di capitalizzazione (per il segmento corporate) in
condizioni economiche estreme, si è quindi determinata l’ampiezza del cuscinetto (o surplus) di
capitale (calcolata come differenza rispetto al requisito patrimoniale condizionato a scenari
economici normali) che la banca potrebbe accantonare nei periodi economici positivi al fine di
assorbire le perdite creditizie associate a fasi di depressione economica.
Quest’indagine empirica e previsionale è stata realizzata utilizzando una serie storica di
15 anni dei tassi di decadimento trimestrali delle imprese non finanziarie italiane, fornita
liberamente da Banca d’Italia, che va dal 1990 al 2004. I tassi di decadimento medi trimestrali
storici dell’insieme delle imprese industriali italiane sono assunti come proxy delle probabilità
d’insolvenza (PD) trimestrali passate del segmento corporate. Per le quattordici macro variabili
indagate: tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo, tasso di crescita dell’indice nazionale dei
prezzi al consumo per l’intera collettività, tasso di crescita del consumo delle famiglie, tasso di
crescita del prezzo spot del petrolio, tasso di disoccupazione, tasso di crescita degli
investimenti fissi lordi complessivi, tasso di crescita degli investimenti fissi lordi in attrezzature
e macchinari, tasso di crescita delle esportazioni, tasso di crescita delle importazioni, tasso di
cambio lira vs. dollaro americano5, tasso di rendimento delle obbligazioni a lungo termine (BTp
decennali), tasso di rendimento delle obbligazioni a medio termine (BTp quinquennali), tasso
d’interesse del mercato monetario (tasso d’interesse a breve termine) e tasso attivo di mercato
sui prestiti, si è utilizzato un data set più profondo che va dal 1988 al 2004 6 per valutare
l’impatto delle macrovariabili sulle PD anche con un ritardo di due anni. Coerentemente con i
dati trimestrali sui tassi di decadimento, anche per le macro variabili si sono utilizzati dati
trimestrali, ottenuti attraverso il calcolo di medie trimestrali di rilevazioni giornaliere o di
rilevazioni mensili (come disponibile).
Schematicamente, il lavoro è così articolato: il paragrafo 2 offre un breve esame della
letteratura sul tema della relazione tra probabilità d’insolvenza e ciclo economico. Nel
paragrafo 3 vengono illustrate le caratteristiche del modello adottato e descritti i data set
5
Poiché la nostra indagine empirica parte dal 1988, prima dell’introduzione dell’euro avvenuta nel 1999, abbiamo
necessariamente utilizzato il tasso di cambio allora esistente lira-dollaro U.S.A. (qui espresso come prezzo in lire di un
dollaro americano). Per i dati dal 1999 al 2004, il prezzo in euro di un dollaro U.S.A. è stato trasformato in prezzo in
lire utilizzando il rapporto di conversione 1 euro = 1.936,27 lire.
6
Fonte: Banca d’Italia, Bloomberg, Datastream, Istat, Ufficio Italiano Cambi.
4
utilizzati. Nel paragrafo 4 si riportano i risultati più significativi delle regressioni univariate del
tasso di decadimento corporate (trasformato in indice dello stato di salute del segmento) sui
quattordici macro fattori, ciascuno in corrispondenza dei tre ritardi annuali analizzati (lag=0,
lag=1, lag=2 anni). Nel paragrafo 5 viene svolta un’analisi di multicollinearità tra le macro
variabili e tra i ritardi temporali analizzati per ciascuna variabile al fine di individuare eventuali
fenomeni di correlazione semplice e multipla. Nel paragrafo 6 si riportano e si commentano i
risultati degli studi di regressione multipla, individuando le macro variabili ed i rispettivi ritardi
significativamente rilevanti per la solidità finanziaria delle imprese industriali italiane. Stimati i
coefficienti di sensitività delle PD al ciclo economico sulla base dei dati storici, nel paragrafo 7
si simula l’impatto di possibili futuri scenari di stress sui tre indicatori di solidità finanziaria
analizzati: il tasso di decadimento delle imprese non finanziarie italiane, la perdita creditizia
attesa, il requisito di capitalizzazione minimo bancario richiesto dalle autorità di vigilanza a fini
di copertura della variabilità della perdita creditizia verso il segmento corporate. Si conclude il
lavoro riportando, nel paragrafo 8, i risultati finali ed alcune riflessioni sul tema.
2. Un breve esame della letteratura
Numerosi studi internazionali, quali Jonsson, Fridson (1996), Chava, Jarrow (2004),
Duffie, Saita, Wang (2005), Amato, Luisi (2006) hanno evidenziato l’impatto delle condizioni
macroeconomiche sulle probabilità d’insolvenza dei prenditori.
In particolare, si ricorda come Fama (1986) e Wilson (1997a, 1997b, 1997c, 1998)
rinvengano PD cicliche soprattutto nel caso d’involuzione delle condizioni economiche, quando
le PD aumentano pesantemente.
Carey (1998) documenta, a sua volta, significative differenze nei tassi d’insolvenza
rilevati negli anni economicamente “buoni” rispetto a quelli registrati negli anni “cattivi”.
Successivamente, Bangia, Diebold, Schuermann (2000) così come Nickell, Perraudin,
Varotto (2000) trovano evidenze empiriche circa l’impatto del ciclo economico sulle migrazioni
dei rating creditizi. Dai loro studi emerge chiaramente come durante le fasi cicliche negative
aumentino sia la probabilità d’insolvenza dei debitori che le probabilità di migrazione dei rating
creditizi nelle categorie peggiori o ad alto rischio.
Anche lo studio di Altman, Brady (2001) conferma il chiaro legame esistente tra
probabilità d’insolvenza e macroeconomia su un data set di undici anni, precisamente dal 1990
al 2000. In particolare, gli Autori trovano come nei due anni di recessione economica (19901991) i tassi d’insolvenza negli U.S.A. abbiano raggiunto un livello annuo medio del 10,21%
circa, mentre nei successivi anni di espansione economica (dal 1993 al 1998) abbiano
registrato un valore medio pari all’1,42% circa. Inoltre osservano come il peggioramento delle
condizioni economiche nell’anno 2000 abbia prodotto un significativo aumento del tasso
5
d’insolvenza (pari al 5,06%) se confrontato con i tassi più bassi (in media pari ad un valore
dell’1,42% annuo) sperimentati durante il boom economico del 1993-1998.
Va aggiunto come Borio, Furbine, Lowe (2001) abbiano sottolineato che la ciclicità
osservata nei tassi d’insolvenza derivi da una sorta di “effetto età” che porterebbe l’insolvenza
a manifestarsi solo tre o quattro anni dopo la sua effettiva insorgenza. Conseguentemente, se
un maggior numero di strumenti di debito vengono emessi durante le fasi economiche positive
rispetto a quelle negative, allora è ragionevole supporre che un relativamente alto numero di
debiti raggiungerà “l’età dell’insolvenza” tre o quattro anni dopo la fine del periodo
d’espansione economica.
Per quanto riguarda l’Italia, anche Marcucci e Quagliariello (2007) riscontrano, negli
ultimi due decenni, un comportamento ciclico dei tassi d’insolvenza dei debitori delle banche
italiane. In particolare, i loro risultati evidenziano un effetto asimmetrico delle condizioni
macroeconomiche sui tassi d’insolvenza dei debitori. Precisamente, l’impatto del ciclo
economico è più pronunciato quando le condizioni economiche sono sfavorevoli e gli iniziali
livelli di rischio creditizio sono più alti. Gli Autori in un loro studio precedente (2005),
utilizzando un modello VAR (Vector Auto-Regression), tentano di valutare non solo quanto gli
shock macroeconomici influenzino il settore bancario italiano, ma pure la potenziale esistenza
di effetti di feedback o di “retroazione” del sistema bancario sul settore reale dell’economia.
Mentre l’impatto di primo tipo, ossia dei cicli economici sul sistema finanziario è verificato
empiricamente sui dati italiani, l’impatto di secondo tipo, ossia del sistema finanziario italiano
sull’economia reale, attraverso il canale del capitale bancario, presenterebbe un’evidenza
empirica molto più debole non confermando, in maniera robusta, l’ipotesi di prociclicità del
settore bancario italiano.
Si conclude questo breve riesame della letteratura ricordando che, essendo quasi
assiomatico che le insolvenze così come le difficoltà creditizie (es. i ritardi nei pagamenti) si
moltiplichino in condizioni economiche di stress, provocando spostamenti lungo la curva della
distribuzione delle perdite creditizie, per cogliere l’effetto della prociclicità (Allen, Saunders,
2003) andrebbero considerati gli spostamenti dell’intera distribuzione delle perdite creditizie.
3. Descrizione del modello adottato e dei data set utilizzati
Per la stima delle PD condizionali del segmento corporate italiano si è utilizzato un
modello accreditato di misurazione del rischio di credito che prende in considerazione l’impatto
dei fattori macroeconomici sulle probabilità d’insolvenza. Si fa riferimento a CreditPortfolio
View, il modello di stima del rischio di credito di portafoglio sviluppato da Wilson (1997a) e
proposto sul mercato finanziario da McKinsey & Co. Tra i modelli proprietari, CreditPortfolio
View è infatti quello più idoneo a prendere in considerazione i fattori ciclici nella misurazione
del rischio d’insolvenza. La peculiarità del modello sta infatti nel convertire le matrici non
6
condizionali di migrazione del credito in matrici condizionate ai fattori macroeconomici. In
particolare, ogni cella della matrice di transizione del credito mostra la probabilità di ciascun
debitore, con un certo rating all’inizio del periodo d’osservazione, di muoversi verso un altro
rating alla fine del periodo. L’approccio Credit Portfolio View sostiene che le probabilità di
peggioramento (miglioramento) dei rating creditizi aumentino nei periodi economici negativi
(positivi). Quindi, la matrice di transizione condizionale rappresenta le probabilità di migrazione
di ciascuna cella, condizionate allo stato dell’economia atteso nell’orizzonte temporale creditizio
prescelto (solitamente 1 anno). E’ interessante ricordare come tale modello arrivi ad affermare
che le recessioni economiche aumentino la probabilità di accadimento di risultati “estremi”, in
termini di livelli di rating, riducendo la probabilità che la qualità del credito rimanga
sostanzialmente invariata7.
Va qui menzionato come il principale elemento di ciclicità nella misurazione del rischio di
credito risieda proprio nella migrazione dei rating. Sia i rating creditizi interni bancari,
determinati soprattutto con metodologie point-in-time, che quelli esterni delle Agenzie di
rating, calcolati con metodologie generalmente più through-the-cycle, migliorano durante le
fasi di espansione dell’economia e deteriorano durante le fasi di contrazione 8.
Un importante studio di Treacy e Carey (1998) rileva come la maggior parte delle
banche statunitensi assegnino i rating ai propri debitori basandosi sulle informazioni relative
alle condizioni economiche correnti, privilegiando quindi un sistema di rating più point-in-time9,
ossia particolarmente ciclico. Tuttavia, anche quando le banche adottano metodologie di rating
più through-the-cycle10, ossia teoricamente meno sensibili alle fluttuazioni cicliche dello stato
generale dell’economia, il comportamento empirico dei loro sistemi di rating sembrerebbe,
anche in questo caso, risultare ciclico nel tempo e soprattutto nelle fasi negative (Amato,
Furfine, 2003).
Date queste caratteristiche dei sistemi di rating, anche i requisiti di capitale a copertura
del rischio di credito dovrebbero quindi ridursi nelle fasi espansive del ciclo ed aumentare nelle
fasi recessive. Ovviamente il grado di reattività dei requisiti di capitale al ciclo economico è
probabile che sia più pronunciato per quei sistemi di rating che si basano maggiormente sulla
metodologia point-in-time, e meno per quelli che si affidano più alle metodologie through-thecycle. D’altro canto, data la natura “ibrida” dei sistemi di rating delle Agenzie internazionali
(quali Standard and Poor’s e Moody’s) che presentano caratteristiche di entrambe le
7
Per una descrizione accurata del modello vedi Crouhy et al. (2000).
Fabi, Laviola, Marullo Reedtz (2005).
9
I sistemi di rating “point-in-time” utilizzano tutta l’informazione correntemente disponibile sia di tipo specifico (ossia
legata alle caratteristiche del debitore) che aggregata (ossia relativa alle variabili macroeconomiche rilevanti per il
debitore stesso). Date tali caratteristiche, la PD calcolata con la metodologia point-in-time tenderà a variare rapidamente
al modificarsi delle condizioni macroeconomiche generali mostrandosi fortemente ciclica.
10
I sistemi di rating “through-the-cycle”, pur utilizzando tutte le informazioni relative alle caratteristiche statiche e
dinamiche del debitore, tendono a focalizzarsi sulla probabile performance del debitore in fase negativa del ciclo
economico. Tale caratteristica, dovrebbe rendere tali sistemi di rating meno sensibili alle variazioni nelle condizioni
macroeconomiche.
8
7
metodologie11, e dato l’utilizzo da parte delle banche anche del giudizio di esperti (per la
determinazione del rating), gli attuali sistemi di rating presentano tutti un certo grado di
ciclicità. Conseguentemente, i requisiti di capitalizzazione per il rischio di credito (sia calcolati
con il metodo standard che con quello IRB) potrebbero risultare troppo bassi (rispetto allo
standard regolamentare di solvibilità di lungo periodo del 99,9%) nelle fasi economiche
positive e troppo alti nelle fasi recessive del ciclo economico, rendendo l’offerta di credito più
instabile12.
Per stimare l’impatto dei fattori macro sulla qualità creditizia di un segmento omogeneo
j di controparti, generalmente rappresentato da un insieme di imprese che reagiscono
uniformemente all’evoluzione del ciclo economico (poiché appartenenti allo stesso settore
produttivo, paese, o area geografica), CreditPortfolio View di McKinsey & Co. modella le
probabilità d’insolvenza del segmento omogeneo di debitori attraverso una funzione logit13.
Analiticamente:
Pr obj,t 
1
Y
1  e j ,t
(1)
Nell’equazione (1) Probj,t è la probabilità d’insolvenza condizionale al tempo t, per il segmento
j. Yj,t è il valore dell’indice, rappresentativo dello “stato di salute” al tempo t del segmento j
basato su fattori macroeconomici, derivato dal modello multifattoriale descritto sotto (vedi
equazione (2)).
L’indice generale del segmento j, Yj, funzione delle variabili macroeconomiche Xi (dove
i=1, …,m) è determinato dal seguente modello multifattoriale:
Y j ,t   j ,0   j ,1 X j ,1,t   j ,2 X j ,2,t  ...   j ,m X j ,m,t  e j ,t
(2)
dove Yj,t è il valore dell’indice al tempo t per il segmento j; j,0, j,1, j,2,…,j,m sono i coefficienti
da stimarsi per il segmento j; Xj,1,t, Xj,2,t,…, Xj,m,t sono i valori degli m fattori sistematici per il
segmento j-esimo al tempo t; ej,t è il termine d’errore assunto indipendente da X j,t ed
identicamente normalmente distribuito con media 0 e deviazione standard  (ej,t  N(0,)).
Le equazioni (1) e (2) possono essere viste come un modello multifattoriale per
calcolare le probabilità d’insolvenza condizionali medie di un segmento specifico j. In
particolare, la probabilità d’insolvenza è una funzione non lineare di un insieme di variabili
macroeconomiche fondamentali rappresentate congiuntamente dal valore dell’indice Y (vedi
equazione (1)). La relazione che lega l’indice Y e la PD è positiva: all’aumentare del valore di Y
anche la PD aumenta e viceversa. Va sottolineato come, dato il segno negativo di Y
nell’equazione (1), la crescita di valore dell’indice Y segnali un peggioramento dello stato di
11
BIS (2005)
Benford, Nier (2007).
13
La forma funzionale logistica è ampiamente utilizzata nel modellare i fallimenti poiché assicura che le stime dei tassi
d’insolvenza cadano nel range [0, 1]. Nel caso in cui PD=1 si verifica l’insolvenza, nel caso PD=0 si ha la
sopravvivenza del prenditore
12
8
salute del segmento con conseguente crescita della probabilità d’insolvenza, rappresentativa
del peggioramento della qualità del credito. Quindi con Probj,t s’intende la PDj,t media
condizionale del segmento j nel tempo t che tende a zero se l’indice globale Y j,t tende a - e
che tende ad 1 se l’indice globale Yj,t tende a +.
Successivamente il modello di Wilson richiede di stimare ciascuna macro variabile X i
utilizzando un modello autoregressivo di ordine p (AR(p)). Nel nostro caso, implementiamo un
modello autoregressivo di ordine 2 (AR2). Analiticamente:
X j ,i ,t   j ,i ,0   j ,i ,1 X j ,i ,t 1   j ,i ,2 X j ,i ,t 2  e j ,i ,t
Xj,i,
t-1
e Xj,i,
t-2
(3)
sono i valori della variabile macro Xj,i,t presi con un ritardo temporale pari ad 1
anno (t-1) e pari a 2 anni (t-2); j,i,0 e j,i,1 sono i coefficienti da stimarsi; ej,i,t è il termine
d’errore che si assume indipendente e identicamente distribuito.
Ricordiamo come, nel nostro caso, il segmento j investigato sia quello delle imprese non
finanziarie italiane e i macro fattori analizzati siano complessivamente quattordici (m=14).
Assunti i valori dei tassi di decadimento trimestrali storici come proxy delle PD
trimestrali condizionali dell’insieme omogeneo delle imprese non finanziarie italiane, abbiamo
calcolato da queste PDt il valore dell’indice economico generale Yt in ciascun trimestre t come
segue:
 1

Yt   ln 
 1
 PDt

(4)
L’equazione (4) è ricavata dalla (1) attraverso alcuni semplici passaggi matematici.
Analiticamente:




PDt 1  eYt  1  1  eYt 
 1

1
1
 eYt 
 1  Yt  ln 
 1
PDt
PDt
 PDt

(5)
Le equazioni da (1) a (3) assieme definiscono un sistema di equazioni che governa
l’evoluzione congiunta dei tassi d’insolvenza dello specifico segmento investigato e dei fattori
macroeconomici associati.
L’obiettivo finale è utilizzare le stime dei coefficienti ( e ) assieme al sistema di
equazioni illustrato sopra per stimare le future evoluzioni dei tassi d’insolvenza in condizioni
economiche non solo “normali” ma soprattutto di “stress” all’interno di un preciso orizzonte
temporale (es. 1 anno). In altri termini, a fini prudenziali, oltre alle PD unstressed dei propri
debitori, le banche dovrebbero poter conoscere i valori anche delle rispettive PD stressate. Il
vantaggio di utilizzare l’approccio macro-econometrico á la Wilson (1997a) per stimare
l’impatto delle condizioni economiche generali sulla qualità del credito di un segmento
omogeneo di debitori sta nella sua “intuitività”14 e nel suo contenuto sforzo computazionale15.
14
Tale approccio permette di modellare direttamente le differenti sensitività delle PD di ciascun segmento ad un set
specifico di variabili macroeconomiche.
9
Prima di svolgere l’analisi multivariata, abbiamo eseguito uno studio di regressione
univariata per verificare in corrispondenza di quale ritardo temporale (i lag temporali analizzati
sono stati: 0 anni (t), 1 anno (t-1), 2 anni (t-2)) ciascun macro fattore presenti maggiore
significatività statistica e coerenza economica nello spiegare il valore di Yj,t (o della PDj,t
trasformata
secondo
l’equazione
(4)).
Successivamente,
abbiamo
svolto
un’analisi
di
multicollinearità al fine di eliminare dall’analisi multivariata le variabili esplicative altamente
correlate tra loro, suscettibili di provocare instabilità nei coefficienti di sensitività stimati.
L’insieme dei dati utilizzato consiste in una serie storica, che va dal 1990 al 2004, dei
tassi di decadimento trimestrali delle imprese italiane non finanziarie elaborati da Banca
d’Italia. Ricordiamo come Banca d’Italia calcoli il tasso di decadimento del segmento corporate
come rapporto tra il numero delle insolvenze del periodo analizzato e numero totale delle
imprese vive ad inizio periodo. In questo lavoro i tassi di decadimento trimestrali del segmento
si assumono come proxy delle PDt trimestrali passate delle imprese italiane non finanziarie
condizionali allo stato dell’economia (il numero complessivo delle rilevazioni trimestrali
utilizzate per i TdD è sessanta, t=1, …,60).
Si sono scelti quattordici macro fattori, potenzialmente rilevanti per Y e quindi per le PD
delle imprese finanziarie italiane, quali: il tasso di crescita del P.I.L. reale (PIL), il tasso di
disoccupazione (DISOCC), il tasso di crescita dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera
collettività (INFL), il tasso di crescita del consumo delle famiglie (CONSF), il tasso di crescita
del prezzo spot del petrolio (PETROLIO), il tasso di crescita degli investimenti fissi lordi
complessivi (INV), il tasso di crescita degli investimenti fissi lordi in macchinari ed attrezzature
(INVMA), il tasso di crescita delle esportazioni reali in beni e servizi (EXP), il tasso di crescita
delle importazioni reali in beni e servizi (IMP), il tasso di cambio lira vs. dollaro americano
(CAMBIO), il tasso d’interesse del mercato monetario (RMM), il tasso di rendimento a lungo
termine del mercato obbligazionario (BTp decennali) (RBTP10Y), il tasso di rendimento a medio
termine del mercato obbligazionario (BTp quinquennali) (RBTP5Y), il tasso di mercato sui
prestiti (RLOAN). Di ciascuna di queste quattordici macro variabili si è utilizzata una serie
storica di dati trimestrali che va dal 1988 al 2004, precisamente sessantotto rilevazioni
trimestrali costruite come medie di osservazioni giornaliere o mensili come fornito da Banca
d’Italia, Bloomberg, Datastream, Istat, e Ufficio Italiano Cambi. Si precisa come l’utilizzo del
tasso di cambio lira/dollaro americano sia giustificato dalla profondità della seria storica che
parte dal 1988, ossia prima dell’introduzione dell’euro (avvenuta nel 1999). Le osservazioni
mensili del tasso di cambio euro/dollaro U.S.A. negli anni 1999-2004 sono state espresse in
prezzo in lire di un dollaro americano utilizzando il rapporto di conversione 1 euro = 1.936,27
lire italiane. Le serie storiche dei macro fattori partono dal 1988 anziché dal 1990 per poter
considerare l’impatto delle variabili esplicative sul tasso di decadimento anche con un ritardo
temporale di uno e due anni.
15
Un’alternativa al modello di Wilson è il modello di rischio micro-strutturale á la Merton (1974).
10
4. Risultati delle analisi di regressione univariata
Seguendo l’approccio analitico descritto sopra, si effettua la regressione di Y j, l’indice
trimestrale di salute economica del segmento corporate, su ciascuna variabile esplicativa
analizzata
(presa
singolarmente)
in
corrispondenza
di
tre
diversi
ritardi
temporali,
precisamente lag=0, lag=1 e lag=2 anni. La tabella 1 riporta, per ciascuna delle 14 variabili
macro, il risultato più significativo statisticamente tra i tre ritardi temporali esaminati.
Tabella 1 - Risultati delle analisi di regressione di Y su ciascuna macro variabile (m=14)
Variabile
Esplicativa
Variabile esplicativa
(denominazione)
Numero
Osservazioni
Ritardo temporale
(lag annuale)
(codice)
Coefficiente di
determinazione
R2
Coefficiente di
correlazione in
valore assoluto
Stima
parametro
Valore
di
significatività
|r|
PIL
INFL
CONSF
PETROLIO
DISOCC
RBTP10Y
RBTP5Y
RMM
RLOAN
INV
INVMA
EXP
IMP
CAMBIO
Tasso di crescita del
prodotto interno lordo
Tasso di crescita dell’indice
dei prezzi al consumo
Tasso di crescita del
consumo delle famiglie
Tasso di crescita del prezzo
del petrolio
Tasso di disoccupazione
60
lag = 1
0,031077
0,176288
-3,60277
0,17786
60
lag = 2
0,642726
0,801702
14,00736
0,00000
60
lag = 0
0,065166
0,255276
1,50487
0,04901
60
lag = 0
0,093959
0,306527
-0,25662
0,01722
60
lag = 0
0,230721
0,480334
10,99522
0,00010
Tasso di rendimento dei
BTp a dieci anni
Tasso di rendimento dei
BTp a cinque anni
Tasso
d’interesse
del
mercato monetario
Tasso di mercato sui prestiti
60
lag = 2
0,732396
0,855802
7,53463
0,00000
60
lag = 2
0,776400
0,881136
8,05670
0,00000
60
lag = 2
0,598636
0,773716
5,78923
0,00000
60
lag = 1
0,736494
0,858192
6,95624
0,00000
Tasso di crescita degli
investimenti fissi lordi
complessivi
Tasso di crescita degli
investimenti fissi lordi in
attrezzature e macchinari
Tasso di crescita delle
esportazioni reali in beni e
servizi
Tasso di crescita delle
importazioni reali in beni e
servizi
Tasso di cambio lira vs.
dollaro americano
60
lag = 2
0,151887
0,389727
-2,31301
0,00208
60
lag = 2
0,073263
0,270671
-1,21117
0,03646
60
lag = 0
0,207184
0,455175
2,25832
0,00026
60
lag = 2
0,009093
0,095356
-0,40229
0,46861
60
lag = 2
0,536125
0,732205
-0,00068
0,00000
Fonte: nostra elaborazione su dati Banca d’Italia, Bloomberg, Datastream, Istat e Ufficio Italiano Cambi.

= significatività all’1%.
 = significatività al 5%.
 = sono riportati i ritardi temporali in corrispondenza dei quali si ha la significatività più elevata.
Come può desumersi dalla tabella 1, nove variabili, contrassegnate con due asterischi,
risultano altamente significative (in corrispondenza del lag indicato nella quarta colonna della
tabella 1), presentando valori di significatività inferiori a 0,01. Di queste nove variabili, otto
presentano una relazione con il tasso di decadimento corporate coerente dal punto di vista
economico. Nello specifico, la variabile tasso d’inflazione (INFL) presenta una relazione positiva
con il TdD e statisticamente significativa soprattutto in corrispondenza di un ritardo temporale
di 2 anni. Infatti in corrispondenza di un lag=2 il valore del coefficiente di determinazione sale
11
al 64,27%. Il tasso d’inflazione sembra quindi influenzare significativamente il TdD delle
imprese finanziarie italiane, poiché un suo incremento, attraverso un aumento dell’indice
generale dei prezzi al consumo, può provocare una crescita generalizzata dei costi della
produzione per le imprese riducendo la loro probabilità di sopravvivenza sul mercato
soprattutto con un certo ritardo temporale (due anni). Inoltre l’inflazione, generando un clima
di incertezza, attraverso le variazioni dei prezzi relativi, rende anche più difficile alle imprese
prendere decisioni sul futuro ed, in particolare, sugli investimenti produttivi frenandone lo
sviluppo e quindi rendendole più esposte alle fasi “difficili” dell’economia. Tale risultato
empirico sembrerebbe confermare l’impatto positivo sulla crescita economia di medio-lungo
periodo delle politiche di contenimento della pressione inflazionistica adottate dalle autorità
monetarie.
Anche la variabile tasso di disoccupazione (DISOCC) presenta un valore del coefficiente
di regressione significativamente diverso da zero ad un livello di probabilità del 99%. In
corrispondenza di un ritardo temporale pari a zero il coefficiente di determinazione assume un
valore del 23%. Il coefficiente di regressione presenta segno positivo segnalando una relazione
diretta tra tasso di disoccupazione e tasso di decadimento delle imprese non finanziarie
italiane: l’aumento della disoccupazione contraendo i consumi produce un impatto negativo
sulle vendite delle imprese deprimendone i risultati in termine di utile aziendale e,
conseguentemente, rendendole più fragili finanziariamente.
Relativamente alla variabile tasso di cambio lira vs. dollaro americano (CAMBIO), si
rinviene una significatività molto elevata del coefficiente di regressione in particolare in
corrispondenza di un ritardo temporale pari a due anni. In tal caso il coefficiente di
determinazione assume un valore pari al 53,61%. Il segno del coefficiente di regressione è
negativo evidenziando una relazione tra tasso di cambio lira/dollaro U.S.A., qui espresso come
prezzo in valuta domestica di una unità di valuta estera (nello specifico il prezzo in lire di un
dollaro americano), e tasso di decadimento delle imprese italiane di tipo inverso. E’ plausibile
per il nostro paese che il deprezzamento della valuta domestica in termini di dollaro
americano, qui espresso attraverso un aumento del prezzo in lire di un dollaro USA, possa
provocare una diminuzione dei tassi di decadimento delle imprese italiane e quindi un
miglioramento della loro capacità di sopravvivenza sul mercato qualora il vantaggio in termini
di accresciuta competitività di prezzo delle esportazioni di beni e/o servizi italiani verso gli
U.S.A. (o i paesi che acquistano in dollari americani) prevalga sullo svantaggio registrato dalle
nostre imprese in termini di maggiore costo delle importazioni denominate nella valuta estera.
Data la vocazione esportatrice delle imprese italiane sembra coerente parlare di una relazione
inversa tra tasso di decadimento e tasso di cambio valuta domestica/valuta estera (come qui
espresso) che diviene più significativa per un ritardo di due anni.
La variabile tasso di crescita degli investimenti fissi lordi (INV) presenta una
significatività molto elevata soprattutto in corrispondenza di un ritardo temporale pari a due
12
anni. Per un lag=2 il coefficiente di determinazione assume un valore pari al 15,19%. Il segno
del coefficiente di regressione è negativo indicando una relazione inversa tra INV e TdD: un
aumento del tasso di crescita degli investimenti complessivi produce un incremento del reddito
complessivo e della ricchezza del paese con effetto positivo sul fatturato aziendale e sui
risultati reddituali rafforzando il merito creditizio delle imprese.
Tutte le macro variabili finanziarie studiate: tasso di mercato dei prestiti (RLOAN), tasso
d’interesse del mercato monetario (RMM), rendimento del mercato obbligazionario a medio
termine (RBTP5Y), rendimento del mercato obbligazionario a lungo termine (RBTP10Y)
presentano
dei
coefficienti
di
regressione
altamente
significativi
e
segni
positivi
economicamente coerenti. RLOAN assume in corrispondenza di un lag=1 il valore più alto del
coefficiente di determinazione pari al 73,65%. RMM in corrispondenza di un lag=2 presenta un
valore del coefficiente di determinazione pari al 59,86%. RBTP5Y presenta un valore del
coefficiente di determinazione pari al 77,64% in corrispondenza di un lag=2. RBTP10Y
presenta un valore del coefficiente di determinazione pari al 73,24% in corrispondenza di un
lag=2. In particolare, il tasso di decadimento sembrerebbe più sensibile al costo del
finanziamento a medio-lungo termine (rispetto a quello a breve). RLOAN, RBTP5Y e RBTP10Y
vanno infatti ad influenzare direttamente i progetti d’investimento reale delle imprese e quindi
le loro prospettive di crescita futura e con esse la probabilità di sopravvivenza delle aziende nel
lungo periodo. Un eventuale peggioramento del costo del finanziamento a breve (RMM) si
traduce invece in un aumento del costo della liquidità, pericoloso per le imprese di recente
costituzione ma più facilmente gestibile per le imprese ormai consolidate.
La variabile tasso di crescita delle esportazioni reali di beni e servizi (EXP) pur
risultando altamente significativa presenta una relazione positiva con il tasso di decadimento
del segmento corporate, non spiegabile dal punto di vista economico.
Tre macro variabili, contrassegnate con un asterisco (vedi Tab.1), CONSF, PETROLIO,
INVMA, presentano dei valori di significatività ancora elevati (poiché inferiori a 0,05) in
corrispondenza di un ritardo temporale rispettivamente pari a zero anni per CONSF, pari a zero
anni per PETROLIO e pari a 2 anni per INVMA. Solo per la variabile tasso di crescita degli
investimenti fissi lordi in macchinari ed attrezzature (INVMA) il segno del coefficiente di
regressione è economicamente coerente, evidenziando una relazione inversa (come atteso) tra
INVMA e TdD corporate. Diversamente, sia il tasso di crescita del consumo delle famiglie
(CONSF) che il tasso di crescita del prezzo del petrolio (PETROLIO) presentano un segno
anomalo del rispettivo coefficiente di regressione: positivo per CONSF e negativo per
PETROLIO16. Va notato come per queste variabili il valore del coefficiente di determinazione sia
particolarmente basso (6,52% per CONSF, 9,40% per PETROLIO e 7,32% per INVMA).
16
Considerando il prezzo del petrolio un costo di produzione per l’impresa, sarebbe razionale attendersi, all’aumentare del costo di
approvvigionamento delle fonti energetiche, un peggioramento della probabilità d’insolvenza delle imprese italiane a causa della
contrazione della produzione non solo nel breve ma soprattutto nel medio-lungo periodo. In altre parole, l’aumento del prezzo del
13
Due macro variabili, precisamente il tasso di crescita del prodotto interno lordo (PIL) ed
tasso di crescita delle importazioni reali di beni e servizi (IMP) non risultano statisticamente
significative in corrispondenza di tutti e tre i ritardi esaminati. Per il PIL si riscontra un segno
negativo del coefficiente di regressione (e quindi coerente in termini economici): all’aumentare
del tasso di crescita del prodotto interno lordo riduce il tasso di decadimento del segmento
corporate segnalando un miglioramento della solidità finanziaria delle imprese industriali. Poco
comprensibile è invece il segno negativo del coefficiente di regressione della variabile IMP che
presenta pure un valore del coefficiente di determinazione molto basso (pari allo 0,9%). I
risultati totalmente insoddisfacenti relativi a IMP inducono ad escludere questa variabile
dall’analisi multivariata successiva.
5. Analisi di multicollinearità
Prima di passare all’analisi multivariata, si è ritenuto opportuno effettuare dei test di
rilevazione della multicollinearità riguardo alle quattordici variabili esaminate. La presenza di
multicollinearità tra le variabili esplicative può infatti avere un impatto significativo sulla qualità
e la stabilità del modello. Il modo più semplice per individuare la multicollinearità è costruire la
matrice di correlazione tra le variabili esplicative (ciascuna presa in corrispondenza del ritardo
temporale più significativo in base all’analisi univariata) al fine di individuare la presenza di
valori elevati del coefficiente di correlazione tra coppie di variabili. La presenza di un valore
elevato del coefficiente di correlazione (uguale e maggiore di 0,80 in valore assoluto) è segnale
di possibili problemi di multicollinearità, suggerendo l’esclusione di uno dei due fattori dalla
successiva analisi di regressione multipla. La matrice di correlazione delle macro variabili è
rappresentata nella tabella 2 (dove in rosso si riportano le correlazione maggiori di 0,8 in
valore assoluto).
Dalla tabella 2 si evince chiaramente la presenza di una forte correlazione (valore
assoluto dei coefficienti di correlazione maggiore di 0,80) tra sei variabili: tasso d’inflazione
(INFL), tasso di cambio (CAMBIO), tasso d’interesse del mercato monetario (RMM), tasso di
rendimento del mercato obbligazionario a medio termine (RBTP5Y), tasso d’interesse sui
prestiti (RLOAN) e tasso di rendimento del mercato obbligazionario a lungo termine
(RBTP10Y). In particolare la correlazione tra RBTP5Y, RBTP10Y, RMM e RLOAN è di segno
positivo e maggiore di 0,90. Queste stesse variabili hanno una correlazione con il tasso
d’inflazione (INFL) positiva e maggiore di 0,80. La correlazione tra tasso di cambio e INFL,
RBTP10Y, RBTP5Y, RMM, RLOAN è negativa e maggiore di 0,80 in valore assoluto: la crescita
dei tassi, o meglio del differenziale tra i tassi nel paese domestico ed estero, comporta un
apprezzamento della valuta del paese che registra la più alta crescita dei tassi d’interesse. Nel
nostro contesto, l’aumento dei tassi d’interesse a breve, medio e lungo termine comporta una
petrolio dovrebbe produrre, attraverso sia una riduzione del livello di produzione che una crescita del livello generale dei prezzi, un
aumento del tasso di decadimento delle imprese soprattutto nel medio-lungo periodo.
14
riduzione del prezzo in lire della valuta estera evidenziando (in questo senso) una relazione
negativa. Dati tali risultati, si è scelto di utilizzare per l’analisi multivariata successiva la sola
variabile RLOAN (lag=1) (visto l’elevato valore del coefficiente di determinazione pari a circa il
73,65%).
Anche le variabili INV e INVMA presentano un valore elevato del coefficiente di
correlazione tra loro, maggiore di 0,8. Data la maggiore significatività della variabile INV
(lag=2) rispetto ad INVMA (lag=2), si conserva INV (lag=2) per l’analisi multivariata
successiva.
Le restanti variabili analizzate (PIL, DISOCC, CONSF, EXP, IMP) non presentano
fenomeni di correlazione semplice con nessuna altra variabile.
Inoltre, per meglio individuare (rispetto alla sola analisi univariata) i ritardi temporali in
corrispondenza dei quali selezionare le variabili da inserire nella regressione multipla, abbiamo
calcolato anche le autocorrelazioni tra i valori di ciascuna delle quattordici variabili esplicative
in corrispondenza dei tre lag temporali considerati. Fenomeni di autocorrelazione elevata tra i
ritardi temporali ci inducono a scegliere il ritardo con significatività più elevata nelle analisi
univariate. In particolare, per le variabili INFL, RMM, RLOAN, RBTP5Y, RBTP10Y e CAMBIO
otteniamo dei valori dei coefficienti di autocorrelazione tra i ritardi tutti maggiori o uguali a 0,8.
Per la variabile DISOCC otteniamo valori dei coefficienti di autocorrelazione tra i lag 0 ed 1 e
tra i lag 1 e 2 maggiori di 0,8 e valori dei coefficienti di autocorrelazione tra i lag 0 e 2 pari a
circa 0,6. Per le rimanenti variabili (INV, INVMA, PIL, PETROLIO, CONSF, EXP, IMP) si
ottengono valori dei coefficienti di autocorrelazione molto bassi tra tutti e tre i ritardi
considerati.
Per cogliere l’eventuale presenta di fenomeni di correlazione multipla tra le variabili
esplicative, si è utilizzato il test del Variance Inflation Factor (VIF) calcolato come 1/TOL i. TOLi
è il livello di tolleranza (Tolerance Level) di ciascuna variabile i a sua volta calcolato come (1R2i), dove R2i è il coefficiente di determinazione della regressione multipla di ciascuna variabile
i sulle altre m-1 rimanenti variabili. Solitamente, valori del VIF i minori di 10 vengono
considerati accettabili, suggerendo di non escludere la variabile i dall’analisi di regressione.
Una volta selezionate le variabili altamente significative nello spiegare i valori di Y, si
calcolano i VIF di ciascuna delle variabili, qui escluse in base ai risultati dell’analisi di
correlazione semplice, regredendo ciascuna di queste (RBTP5Y, RBTP10Y, RMM, INFL, CAMBIO,
INVMA) sulle variabili altamente significative. Nonostante i valori dei VIF siano sostanzialmente
accettabili, poiché inferiori e leggermente superiori a dieci, le analisi di regressione multivariata
ci restituiscono valori dei coefficienti di regressione non significativi per tutte le variabili,
confermando la scelta precedente di escluderle dall’analisi.
15
Tabella 2. – Matrice di correlazione
CORRELAZIONI
Y
PIL (1)
INFL (2)
RBTP5Y (2)
RMM (2)
RLOAN (1)
INV (2)
INVMA (2)
CONSF (0)
EXP (0)
IMP (2)
CAMBIO (2)
Y
1
-0,176
0,802
DISOCC (0) PETROLIO(0) RBTP10Y (2)
0,480
-0,307
0,856
0,755
0,774
0,797
-0,390
-0,271
0,255
0,455
-0,095
-0,732
PIL (1)
-0,176
1
-0,109
0,077
-0,070
-0,160
-0,080
-0,104
-0,062
-0,069
0,090
-0,152
-0,233
0,023
-0,005
INFL (2)
0,802
-0,109
1
0,333
-0,329
0,888
0,855
0,877
0,867
-0,360
-0,255
0,235
0,379
-0,147
-0,867
DISOCC (0)
0,480
0,077
0,333
1
-0,063
0,391
0,193
0,236
0,209
-0,347
-0,117
0,316
0,332
-0,048
-0,270
PETROLIO(0)
-0,307
-0,070
-0,329
-0,063
1
-0,333
-0,280
-0,278
-0,328
0,081
0,167
-0,108
0,187
0,255
0,236
RBTP10Y (2)
0,856
-0,160
0,888
0,391
-0,333
1
0,948
0,907
0,915
-0,244
-0,133
0,322
0,451
0,011
-0,833
RBTP5Y (2)
0,755
-0,080
0,855
0,193
-0,280
0,948
1
0,963
0,956
-0,108
-0,018
0,315
0,375
0,083
-0,880
RMM (2)
0,774
-0,104
0,877
0,236
-0,278
0,907
0,963
1
0,938
-0,140
-0,068
0,361
0,361
0,057
-0,913
RLOAN (1)
0,797
-0,062
0,867
0,209
-0,328
0,915
0,956
0,938
1
-0,083
0,043
0,206
0,323
0,087
-0,888
INV (2)
-0,390
-0,069
-0,360
-0,347
0,081
-0,244
-0,108
-0,140
-0,083
1
0,894
0,088
-0,302
0,628
0,103
INVMA (2)
-0,271
0,090
-0,255
-0,117
0,167
-0,133
-0,018
-0,068
0,043
0,894
1
0,013
-0,274
0,724
0,003
CONSF (0)
0,255
-0,152
0,235
0,316
-0,108
0,322
0,315
0,361
0,206
0,088
0,013
1
0,349
-0,006
-0,368
EXP (0)
0,455
-0,233
0,379
0,332
0,187
0,451
0,375
0,361
0,323
-0,302
-0,274
0,349
1
-0,223
-0,478
IMP (2)
-0,095
0,023
-0,147
-0,048
0,255
0,011
0,083
0,057
0,087
0,628
0,724
-0,006
-0,223
1
-0,104
CAMBIO (2)
-0,732
-0,005
-0,867
-0,270
0,236
-0,833
-0,880
-0,913
-0,888
0,103
0,003
-0,368
-0,478
-0,104
1
Fonte: nostra elaborazione
6. Risultati dell’analisi di regressione multivariata
In questo paragrafo si riportano i risultati dello studio di regressione multipla realizzato
implementando il modello econometrico CreditPortfolio View di McKinsey & Co. (descritto nel
paragrafo 3). Nello specifico, si regredisce il tasso di decadimento trimestrale del segmento
corporate italiano PDt, nel periodo storico che va dal 1990 al 2004, trasformato nell’indice dello
stato di salute economica del segmento Yt (seguendo l’equazione (4)), sulle variabili esplicative
selezionate come descritto dall’equazione (2).
Quindi, alla luce dei risultati delle analisi univariate (vedi paragrafo 4) e degli studi di
multicollinearità (vedi paragrafo 5), si effettua la regressione di Yt su diciotto regressori
rappresentativi di sette diverse macro variabili selezionate in corrispondenza di diversi ritardi
temporali: PILlag=0, PILlag=1, PILlag=2, DISOCClag=0, DISOCClag=2, PETROLIOlag=0, PETROLIOlag=1,
PETROLIOlag=2, RLOANlag=1, INVlag=0, INVlag=1, INVlag=2, CONSFlag=0, CONSFlag=1, CONSFlag=2,
EXPlag=0, EXPlag=1, EXPlag=2. Si ripete la regressione multivariata eliminando di volta in volta il
regressore
meno
significativo
statisticamente
fino
ad
individuare
un
set
di
variabili
simultaneamente statisticamente significative ed economicamente coerenti. Alla fine di questo
processo selettivo, si effettua la regressione dell’indice globale dell’economia Yt sulle sole
variabili rimaste: PILlag=1, DISOCClag=0, RLOANlag=1 e INVlag=2. I risultati della regressione
multipla per m=4 sono sintetizzati nella tabella 3.
Tabella 3 - Risultati dell’analisi di regressione multivariata di Y (m = 4) Coefficienti di
Regressione
Errore standard
Stat t
Valore di significatività
Intercetta
-6,1911
0,142667204
-43,3954221
0,0000
Variabile PIL (lag =1)
-3,4668
1,179519696
-2,939193917
0,0048
Variabile DISOCC (lag = 0)
5,8670
1,429192207
4,105089759
0,0001
Variabile RLOAN (lag = 1)
5,5347
0,456957877
12,1119512
0,0000
Variabile INV (lag = 2)
-1,5048
0,363073355
-4,144590967
0,0001
Coeff. di correlazione
0,9052
Coeff. di determinazione
0,8194
R2 corretto
0,8063
Errore standard
0,1263
Osservazioni
60
16
Fonte: nostra elaborazione
Dalla tabella 3 si evince, oltre all’ottima percentuale della varianza spiegata dal modello di
regressione (coefficiente di determinazione pari all’81,94%), l’alta significatività statistica di
tutte e quattro le variabili così come la coerenza economica dei segni dei rispettivi coefficienti
di regressione.
Al fine di confrontare tra loro i valori (assoluti) dei coefficienti di regressione delle
quattro variabili altamente esplicative (PIL, DISOCC, RLOAN, INV) ed ottenere informazioni
circa il grado di sensitività dell’indice dello stato di salute del segmento (o della probabilità
d’insolvenza delle imprese industriali italiane) alle variazioni di questi macro fattori, si
regredsce Y sulle quattro variabili esplicative standardizzate. I risultati ottenuti, relativamente
ai valori dei coefficienti di regressione, sono: intercetta=-5,1341; variabile PILlag=1=-0,0487;
variabile DISOCClag=0=0,0735; variabile RLOANlag=1=0,2043; variabile INVlag=2=-0,0727.
In conclusione, la variabile RLOAN sembrerebbe influenzare maggiormente la solidità
finanziaria delle nostre imprese industriali, seguita (in ordine d’importanza) dalle variabili
DISOCC ed INV ed infine da PIL. Coerentemente con i risultati qui ottenuti, la probabilità di
sopravvivenza delle nostre imprese risulta più sensibile ad un costo del prestito contenuto e ad
un livello elevato degli investimenti fissi lordi complessivi, che alla crescita della ricchezza
complessiva del paese (espressa in termini di Prodotto Interno Lordo). Anche un basso livello
del tasso di disoccupazione è suscettibile d’influenzare positivamente la solidità finanziaria
delle nostre imprese.
7. Risultati dell’analisi previsionale in condizioni “normali” e di “stress” delle
variabili rilevanti
7.1. Stima del tasso di decadimento medio delle imprese non finanziarie italiane
Dati i risultati della regressione multivariata, qui il modello macro-econometrico è
utilizzato a fini previsionali sia in condizioni economiche “normali” che di “stress”. Calcolati
precedentemente i coefficienti di sensitività delle quattro macro variabili (PIL, DISOCC, RLOAN,
INV) altamente significative nello spiegare lo stato di salute e, quindi, la solidità finanziaria
delle aziende italiane, si stima il valore del tasso di decadimento del segmento corporate nei
trimestri degli anni fuori campione (2005, 2006, 2007, 2008, 2009) utilizzando come dati di
input del modello econometrico i risultati di stima delle quattro variabili esplicative ottenute
tramite processo AR(2). Successivamente, si trasformano le previsioni sui TdD trimestrali,
proxy delle PD trimestrali, in previsioni annuali seguendo tale formula:
T 4
PD j ,anno  1   1  PD j ,t 
t 1
dove con t=1, 2, 3, 4 indichiamo i quattro trimestri in un anno.
17
(6)
I risultati dell’analisi previsionale annua sul tasso di decadimento del segmento
corporate, assumendo condizioni di “normalità” del ciclo economico, sono raccolti nella tabella
4.
Tabella 4. – Risultati previsionali del valore del tasso di decadimento condizionale ad un ciclo economico normale vs.
valori effettivi del tasso di decadimento negli anni fuori campione (2005, 2006, 2007, 2008, 2009).
Anno 2005
Anno 2006
Anno 2007
Anno 2008
Anno 2009
Tasso di decadimento annuo previsto dal modello
Scenario Normale
1,69%
1,57%
1,58%
1,60%
1,62%
Tasso di decadimento medio annuo di lungo periodo
2,42%
2,42%
2,42%
2,42 %
2,42%
Tasso di decadimento annuo effettivo (ex post)
1,67%
1,60%
1,57%
(n.d.)
(n.d.)
Fonte: nostra elaborazione.
Utilizzando la capacità predittiva del modello econometrico in termini di stima del rischio di
credito condizionato a scenari economici “normali”, si ottengono per gli anni 2005, 2006 e
2007, dei valori della probabilità d’insolvenza condizionata molto vicini a quelli effettivi (o ex
post) segnalando la bontà del modello. Per gli anni 2008 e 2009 si prevedono valori della
probabilità d’insolvenza condizionata in leggera salita rispetto ai valori degli anni 2006 e 2007
e pari, rispettivamente, all’1,60% (anno 2008) e all’1,62 (anno 2009). Il tasso di decadimento
medio di lungo periodo, calcolato come media semplice dei tassi di decadimento annuali sul
periodo storico 1990-2004, e assunto come stima della probabilità d’insolvenza del segmento
non condizionata al ciclo, presenta un valore decisamente più alto pari al 2,42%. In assenza di
ipotesi sulle condizioni dei fattori di rischio economici rilevanti, può giungersi a risultati
previsionali fuorvianti: nel nostro caso ad una sovrastima (rispetto ai valori effettivi) delle
probabilità d’insolvenza delle imprese italiane (qui negli anni 2005, 2006 e 2007).
E’ quindi evidente come non prendere in considerazione nella stima della qualità del
credito del debitore l’impatto del ciclo economico (o di alcune macro variabili rilevanti sul tasso
di decadimento dello stesso debitore) possa portare ad una valutazione distorta della solidità
finanziaria del soggetto in deficit. Nel nostro caso, una sovrastima della probabilità
d’insolvenza del debitore può comportare un aggravio delle condizioni di accesso al credito e/o
di costo del credito, a causa dell’impatto negativo dell’errore previsionale sul computo della
perdita attesa ed inattesa associata all’esposizione creditizia verso quel debitore.
Il modello econometrico implementato al data set italiano è prezioso soprattutto se
utilizzato in ipotesi di stress dei valori dei macro fattori rilevanti. Le procedure di stress testing
simulano gli “eventi di crisi” (sia basandosi su dati storici che non) come input per calcolare il
valore che potrà assumere la PD (ed altri indicatori di solidità finanziaria) in scenari economici
estremi poco probabili ma plausibili.
In questo studio di simulazione si sono scelti due scenari di stress: uno “molto
negativo”, rappresentato dal quarto trimestre dell’anno 1993 che registrò il valore peggiore del
TdD trimestrale (pari all’1,005%), ed uno scenario “pessimo” costruito con i valori peggiori
registrati dalle quattro macro variabili significative nell’intero periodo storico esaminato.
18
Per stimare il TdD allo scenario “molto negativo” si sono utilizzati i valori delle quattro
variabili rispetto al quarto trimestre del 1993 ma in corrispondenza di ciascun ritardo
temporale significativo (è stato ottenuto un valore pari del TdD trimestrale condizionale pari
all’1%). Successivamente, si è annualizzato il TdD trimestrale condizionale ottenendo un valore
pari al 3,94%17. Si ottiene un TdD annuo previsto condizionato ad uno scenario economico
“molto negativo”, ma plausibile, maggiore del 62,81% rispetto al TdD medio di lungo periodo
(2,42%) e maggiore di circa il 150,96% rispetto al TdD condizionale dell’anno 2006 (anno con
il TdD condizionale più basso).
Qualora i quattro fattori di rischio significativi assumessero i valori peggiori registrati
nell’intero periodo storico esaminato (ossia un valore del tasso di crescita del PIL pari a quello
del primo trimestre 1993, uguale a –1,823%; un valore del tasso di disoccupazione pari a
quello del secondo trimestre 1998, uguale all’11,60%; un valore del tasso sui prestiti pari a
quello del quarto trimestre 1992, uguale al 17,780%; un valore del tasso di crescita degli
investimenti fissi lordi pari a quello del secondo trimestre 1993, uguale a –12,159%),
configurando uno scenario “worst case”, allora il modello produrrebbe un valore del tasso di
decadimento trimestrale pari all’1,365%. Successivamente si è annualizzato tale TdD
trimestrale condizionale ottenendo un valore pari a circa il 5,35%. Si ottiene quindi un TdD
annuo previsto condizionato ad uno scenario “worst case” maggiore di circa il 121% rispetto al
TdD medio di lungo periodo (2,42%) e di circa il 241% rispetto al TdD condizionato dell’anno
2006 (anno migliore in termini di TdD condizionale).
Sono evidenti dall’analisi di macro stress testing le gravi implicazioni in termini di forte
sottostima del merito creditizio del segmento imprese non finanziarie qualora si configurassero
situazioni di shock economico. Per arrivare ad un’efficiente gestione del rischio di credito,
soprattutto in situazioni economiche estreme, le istituzioni finanziarie devono poter stimare
anche la PD stressata di segmenti omogenei di clientela. Un maggiore utilizzo da parte delle
banche della PD stressata porterebbe ad una politica del credito anticiclica, essendo tale PD
“neutrale” al ciclo economico18.
L’obiettivo finale è accantonare, durante le fasi economiche positive, un livello di
capitale bancario superiore al minimo richiesto in sede regolamentare per costruire un
cuscinetto “protettivo” da utilizzarsi nelle fasi recessive in funzione anticiclica.
7.2. Stima della perdita creditizia attesa ed inattesa
In questo paragrafo si riportano i risultati in termini di surplus di capitale (rispetto ai
requisiti minimi regolamentari) che la banca finanziatrice potrebbe accantonare in condizioni
economiche normali e/o positive per coprire le perdite creditizie ingenti associate ad eventuali
futuri shock economici (secondo quanto previsto nel Pillar2 di Basilea II, giugno 2004).
17
18
0,0394 = 1 - (1- 0,01)4.
BIS (2005), pg.13
19
Tale obiettivo è qui perseguito inserendo nelle formule regolamentari della perdita
creditizia attesa e del requisito di capitale della banca erogatrice (approccio Internal RatingBased) le stime delle PD del segmento corporate non stressate e stressate e confrontando tra
loro i risultati in termini sia di riserve (perdita creditizia attesa) che di capitale bancario.
A tal fine, si assume che la banca eroghi credito al segmento corporate per un
ammontare pari a EAD (esposizione all’insolvenza). Si stabilisce una perdita data l’insolvenza
(LGD) pari al 45% (di EAD), valore fissato da Basilea II per i crediti senior non garantiti
(approccio IRB di base). Date queste ipotesi, si calcola la perdita attesa (EL) associata al
credito su un orizzonte temporale annuo secondo la seguente equazione:
EL = PD  LGD  EAD
(7)
Il requisito di capitalizzazione bancario K (per unità d’esposizione EAD) è stimato seguendo
tale formula regolamentare:
K=[LGDN[(1-R)^-0.5G(PD)+(R/(1-R))^0.5G(0.999)]-PDLGD](1-1.5b)^-1(1+(M-2.5)b)
(8)
dove N(x) è la funzione di ripartizione di una variabile casuale normale standardizzata 19, G(z) è
la funzione inversa di N(x)20, M è la scadenza del credito (che per semplicità qui assumiamo
pari ad un anno), b=(0.11852-0.05478ln(PD))^2 è un coefficiente regolamentare di
aggiustamento per la scadenza ed R=0.12(1-EXP(-50PD))/(1-EXP(-50))+0.24[1-(1-EXP(50PD))/(1-EXP(-50))] è il valore del coefficiente di correlazione, funzione inversa della PD,
calcolato seguendo l’attuale formula regolamentare fissata da Basilea II per il segmento
corporate. In questo esercizio di simulazione si suppone che l’esposizione bancaria verso i
debitori appartenenti al segmento imprese non finanziarie italiane sia di tipo “corporate”,
escludendo quindi i casi in cui i prestiti verso le imprese industriali possano essere trattate
come esposizioni verso “piccole e medie imprese” e “retail”. Per tali impieghi bancari i requisiti
di capitalizzazione associati sono infatti più bassi (data la minore sensitività delle PD delle PMI
e delle esposizioni retail ai fattori macroeconomici a fronte di una maggiore vulnerabilità ai
fattori specifici o micro-aziendali) e, conseguentemente, anche i rispettivi surplus di capitale in
funzione anticiclica21. Volendo effettuare un’analisi “cautelativa”, si è scelto di non considerare
gli sconti di capitale (che passano attraverso valori del coefficiente di correlazione più bassi)
concessi dai regolatori su tali tipologie di prestiti.
Inserendo nelle formule regolamentari (7) ed (8) le previsioni di PD non stressata
ottenute dal modello econometrico, si ottengono stime del valore della perdita attesa bancaria
pari a 0,758% nel 2005, a 0,707% nel 2006, a 0,712% nel 2007, a 0,721% nel 2008 e a
0,728% nel 2009 e stime del capitale minimo bancario regolamentare pari a K=7,211% nel
2005, K=7,028% nel 2006, K=7,048% nel 2007, K=7,080% nel 2008 e K=7,104 nel 2009.
19
Ovvero la probabilità che una variabile casuale normale con media zero e varianza unitaria sia minore o uguale a x.
Ovvero il valore di x per cui N(x)=z.
21
Fabi, Laviola, Marullo Reedtz (2005).
20
20
Volendo effettuare un’analisi di stress-testing, per verificare il valore che possono
assumere la perdita creditizia attesa ed il requisito di capitalizzazione qualora si verificassero
condizioni “estreme” del ciclo economico, si possono utilizzare i valori previsti della PD
condizionali allo “scenario 1993” e/o allo “scenario worst case”. Si ottengono i seguenti
risultati: un valore della perdita attesa e del requisito di capitalizzazione condizionati allo
“scenario 1993” pari rispettivamente all’1,774% ed al 9,659%; un valore della perdita attesa e
del requisito di capitalizzazione condizionati allo scenario “worst case” pari rispettivamente al
2,407% e al 10,834%. I risultati ottenuti dal modello econometrico, ipotizzando scenari
economici sia normali che di stress, sono raccolti nella tabella 5.
Tab. 5 - Valori delle previsioni del tasso di decadimento (TdD), della perdita attesa (EL) e del requisito minimo di capitale
bancario (K) condizionali a scenari economici normali e stressati -
TdD
Scenari
economici
EL
K
(in % della
(in % della
EAD)
EAD)
Normale anno 2005
1,69%
0,758%
7,211%
Normale anno 2006
1,57%
0,707%
7,028%
Normale anno 2007
1,58%
0,712%
7,048%
Normale anno 2008
1,60%
0,721%
7,080%
Normale anno 2009
1,62%
0,728%
7,104%
Molto negativo
3,94%
1,774%
9,659%
Worst case
5,35%
2,407%
10,834%
Fonte: nostra elaborazione
In caso di scenario “worst case” (vedi tab. 5) il requisito minimo di K regolamentare
sale a circa il 10,83% (della EAD) data una PD stressata pari al 5,35%. Confrontando questo
risultato con quello ottenuto per l’anno 2006 (il migliore in termini di condizioni economiche
previste dal modello) si registra un incremento del requisito minimo di capitale pari al 54,15%
(dato un incremento della PD pari al 241% circa). Poiché le autorità regolamentari
suggeriscono di accantonare nei periodi economici migliori un surplus di capitale (rispetto a
quello minimo regolamentare) da utilizzarsi come “cuscinetto” a copertura di eventuali shock
economici futuri, l’esercizio di simulazione sembra suggerire la creazione di un surplus di
capitale pari al massimo ad un 54,15% del requisito minimo. Quindi, dato un livello minimo di
capitalizzazione per l’anno 2006 pari al 7,028%, una banca “particolarmente” cautelativa
potrebbe accantonare un surplus di capitale oltre il minimo pari al 3,806% (di EAD). Tale
cuscinetto di capitale, rendendo il livello di capitalizzazione “neutrale” al ciclo economico,
permetterebbe alla banca d’iniettare liquidità al sistema reale, attraverso una politica attiva di
prestito e di investimento bancario, proprio in situazioni di depressione dell’economia 22.
Qualora la banca volesse adottare una politica meno cautelativa, il “cuscinetto” di
capitale a copertura di eventuali perdite creditizie ingenti, causate da futuri shock economici,
22
Lamy (2006).
21
può essere calcolato utilizzando il livello di patrimonializzazione associato ad uno scenario
meno catastrofico, per esempio quello “molto negativo”. In tal caso si ottiene un surplus di
capitale inferiore al precedente e pari al 37% del requisito dell’anno 2006.
8. Conclusioni
Al fine di attenuare i potenziali effetti prociclici prodotti dai sistemi di rating (soprattutto
quelli interni), dalle nuove regole di determinazione dei requisiti minimi di capitale (più sensibili
al rischio di credito) e dal comportamento dello stesso sistema bancario nella sua globalità, la
misurazione del rischio d’insolvenza deve prendere in maggiore considerazione le condizioni
economiche generali. Ciò può realizzarsi integrando le tecniche di stima del rischio di credito
con un’analisi di scenario nella quale, identificati i fattori macro economici rilevanti, si passa a
stimare la sensitività dell’esposizione creditizia alle variazioni anomale dei fattori di rischio
significativi, senza tenere in particolare considerazione la probabilità di accadimento di tali
variazioni anomale.
Attraverso le tecniche di macro stress-testing la banca può infatti calcolare l’ammontare
di capitale necessario a coprire le perdite estreme inattese del portafoglio crediti sull’intera sua
vita, evitando vendite forzate e le associate perdite in caso d’involuzione del sistema
economico. Va sottolineato come, mostrando ciascun portafoglio crediti differenti livelli di
sensitività ad uno stesso set di scenari economici, una corretta analisi di macro stress testing
debba necessariamente richiedere un’attenta identificazione delle vulnerabilità dello specifico
portafoglio alle potenziali variazioni future dell’intero sistema economico o di alcune sue macro
variabili rilevanti.
In questo lavoro, al fine di stimare la sensitività al ciclo economico di un particolare
segmento di debitori, quello delle imprese non finanziarie italiane e, successivamente, della
perdita creditizia attesa e del requisito di capitalizzazione di un’esposizione bancaria verso lo
stesso segmento, si è utilizzato il modello proprietario di stima del rischio creditizio
CreditPortfolio View che prende in considerazione l’impatto delle condizioni economiche sulla
stima della probabilità d’insolvenza. Una volta identificate le macro variabili più significative,
nell’influenzare la probabilità d’insolvenza del segmento corporate italiano, si è utilizzato il
modello di Wilson per stimare il valore della probabilità d’insolvenza del segmento condizionata
a scenari economici normali ed anomali. Dalle quattordici macro variabili iniziali (selezionate in
maniera discrezionale), gli studi di regressione univariata, di multicollinearità e di regressione
multipla ci restituiscono un sottoinsieme di variabili altamente significative ed economicamente
coerenti nello spiegare lo “stato di salute” del segmento corporate: la variabile PIL con lag=1,
la variabile DISOCC con lag=0, la variabile RLOAN con lag=1, la variabile INV con lag=2.
Questa prima fase dello studio, concernente la relazione tra condizioni economiche e
probabilità d’insolvenza delle imprese italiane non finanziarie, suggerisce come il tasso sui
prestiti sia la variabile in grado di influenzare maggiormente la solidità finanziaria delle nostre
22
imprese industriali seguita dal tasso di crescita degli investimenti fissi lordi complessivi e dal
tasso di disoccupazione ed, infine, dal tasso di crescita del prodotto interno lordo.
Utilizzando la capacità predittiva del modello econometrico in termini di stima del rischio
di credito condizionato a scenari economici “normali”, si ottengono per gli anni 2005, 2006 e
2007, dei valori della probabilità d’insolvenza condizionata molto vicini a quelli effettivi (o ex
post) segnalando la bontà del modello. Per gli anni 2008 e 2009 il modello prevede valori della
probabilità d’insolvenza condizionata in leggera salita rispetto ai valori degli anni 2006 e 2007
e pari, rispettivamente, all’1,60% (anno 2008) e all’1,62% (anno 2009). Il tasso di
decadimento medio annuo di lungo periodo del segmento, assunto come stima della probabilità
d’insolvenza del settore non condizionata al ciclo, assume un valore decisamente più alto pari
al 2,42% portando ad una sottostima della qualità creditizia del segmento corporate negli anni
fuori campione (2005, 2006, 2007, 2008, 2009).
Impiegando il modello predittivo in condizioni economiche di stress, ossia estreme, per
esempio quelle “worst case” e quelle “molto negative”, verificatesi negli anni passati dal 1988
al 2004, otteniamo una probabilità d’insolvenza pari circa al 3,94% nello scenario “molto
negativo” e pari al 5,35% circa nello scenario “worst case”.
Successivamente, si è investigato l’impatto delle quattro macro variabili significative su
perdita attesa e capitale regolamentare di un’esposizione bancaria di tipo corporate verso il
segmento imprese industriali italiano. Inserendo nelle formule regolamentari della perdita
creditizia attesa e del livello minimo di capitalizzazione bancaria, le PD non stressate e
stressate si è stimato l’ammontare di riserve e di capitale a copertura delle perdite relative
all’esposizione bancaria sia in condizioni economiche normali che di stress. Il confronto tra il
requisito di capitalizzazione in condizioni economiche estreme e quello condizionato ad un ciclo
economico normale (e leggermente migliore rispetto agli altri anni fuori campione) ci permette
di stimare il surplus di capitale (rispetto al livello minimo) che potrebbe essere detenuto dalla
banca a copertura di future ed eccezionali perdite creditizie inattese. Dall’analisi di simulazione
si ottiene un surplus di capitale pari a circa il 54,15% del livello minimo di patrimonializzazione
dell’anno 2006 ipotizzando uno scenario “worst case” ed un surplus pari a circa il 37% del
livello di capitale dell’anno 2006 assumendo uno scenario “molto negativo” (anno 1993). In
conclusione, ai fini di una migliore copertura delle perdite creditizie “corporate” associate ad
eventuali shock economici, questo studio sembrerebbe indicare un incremento dell’attuale
livello di capitalizzazione bancaria tra il 37% ed il 54% circa.
Comunque si scelgano gli scenari di stress (eventualmente meno estremi di quelli
ipotizzati in questo studio), l’orientamento delle autorità è quello di sollecitare le banche ad
una maggiore patrimonializzazione per evitare il rischio di incorrere in “deficit” di capitale
durante le recessioni economiche, con eventuali effetti prociclici sull’economia reale.
Una misurazione e gestione più integrata di rischio creditizio ed economico è funzionale
non solo al rafforzamento delle politiche prudenziali pubbliche, ma anche al miglioramento
23
della pianificazione interna del capitale bancario a fronte di un completo ventaglio di possibili
risultati macroeconomi.
Come evidenziato da Bernake and Lown (1991), il fenomeno del credit crunch potrebbe
definirsi capital crunch, poiché è la scarsità di capitale azionario bancario il fattore che
maggiormente influenza la capacità di prestito delle aziende di credito. Durante le recessioni
economiche, le perdite sui prestiti possono infatti sollecitare le banche a contrarre l’offerta di
credito per ripristinare i rapporti minimi di capitale in risposta alle pressioni delle autorità di
vigilanza e dei mercati finanziari. In tali circostanze, se il sistema bancario complessivo ha un
“eccesso” di capitale adeguato ad assorbire gli shock economici negativi, l’effetto della
congiuntura economica avversa sulla capacità del sistema bancario di elargire credito sarà
limitato e, conseguentemente, gli effetti di feedback trascurabili. Diversamente, se le banche
detengono esigui cuscinetti di capitale, a fronte di congiunture economiche negative saranno
più propense a ridurre il credito piuttosto che ad aumentare il proprio capitale, con inevitabili
costi sull’economia reale.
Si ricorda come per il nostro paese, Gambacorta e Mistrulli (2003), studiando l’influenza
del livello di capitalizzazione delle banche italiane sulla risposta del prestito bancario agli shock
monetari e reali, trovino come le banche adeguatamente capitalizzate siano in grado di
difendere meglio la propria offerta di credito dagli shock monetari mitigando la prociclicità delle
proprie politiche di prestito. Inoltre gli Autori riscontrano come le banche con livelli di capitale
superiori ai requisiti minimi regolamentari riescano più efficientemente a gestite le temporanee
difficoltà dei propri debitori, dovute alla congiuntura negativa, conservando la relazione con il
cliente nel lungo termine. Anche un più recente lavoro di Marcucci e Quagliariello (2007)
suggerisce che quando i surplus di capitale sui livelli minimi regolamentari sono bassi, le
banche possono reagire agli shock economici riducendo il prestito con successivi effetti negativi
sui livelli di reddito complessivo.
In conclusione, la stretta relazione tra solidità finanziaria e ciclo economico richiede una
stima sempre più integrata di rischio di credito e rischio economico soprattutto in un’ottica
prospettica. Un approccio di risk management di tal tipo, riducendo la reattività del mercato
creditizio alle crisi economiche, ne rafforzerebbe la solidità finanziaria permettendogli di agire
in funzione anticiclica sul settore reale.
24
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