I Strana faccenda, i sogni. Perché Mary Lester

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I Strana faccenda, i sogni. Perché Mary Lester
I
Strana faccenda, i sogni.
Perché Mary Lester aveva visto Guitte in sogno? Guitte,
la proprietaria della taverna dei Korrigans 1, quella vecchia
signora dalla personalità cosí accattivante che aveva incontrato all’epoca della sua inchiesta a Concarneau 2.
La cosa più curiosa era che non ricordava affatto la natura del sogno. Non era un incubo, no, piuttosto le era sembrato che Guitte volesse dirle qualcosa. Forse rimproverarla di non essere passata a salutarla, come aveva promesso.
Lasciando Concarneau, a inchiesta finita, Mary aveva
giurato a se stessa di tornare a trovarla. Promessa sempre
rimandata – altre urgenze l’avevano incalzata – e poi piombata nel dimenticatoio.
Si era ai primi di gennaio, e Guitte non apriva la taverna che verso le sei del pomeriggio. Uscendo dal commissariato, Mary salí sulla sua Twingo e prese la direzione di
Concarneau. Con la superstrada ci si arrivava in venti minuti appena.
1 Spiriti maligni della tradizione bretone.
2 Si riferisce al caso risolto da Mary Lester in Marea bianca, Robin
Edizioni, 2005.
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Quando scese al porto, si era fatto buio. Nella piazza,
davanti alla città già tutta chiusa, i lampioni gettavano sulle persone e sulle cose la loro luce rossastra. Di gente ce
n’era ben poca per strada. Le automobili si facevano rare.
Qualche terrazza di bistrot illuminava ancora alcuni tavoli deserti, ma la porta del Korrigans era chiusa, col pannello di legno sbarrato. Tuttavia, sul frontone, si vedeva
una finestrella illuminata.
Mary parcheggiò davanti alla porta protetta dalle ante
massicce e si infilò a piedi nella viuzza che costeggiava la
vecchia casa dalle mura sbilenche. In fondo al vicolo, lo
sapeva, c’era un’altra entrata. Dietro i vetri colorati della
porta si vedeva una luce e quando incollò l’orecchio al battente un vago rumore di mobili spostati giunse fino a lei.
Aggrottò le sopracciglia: che succedeva là dentro?
Con l’indice piegato picchiò sul vetro. Il rumore cessò
immediatamente, e dopo qualche attimo di silenzio una
voce femminile chiese:
– Che c’è?
Mary Lester si sentí autorizzata a scherzare:
– Aprite, polizia!
Ma non appena ebbe pronunciato queste due parole
rimpianse di averlo fatto. Un’atmosfera funesta aleggiava
in quel vicoletto stretto e male illuminato, come se un’aura di sventura avvolgesse improvvisamente la casa, certamente una delle più antiche di Concarneau.
Rabbrividí. Dietro la porta, i passi si avvicinavano. Udí
la chiave girare nella serratura con un cigolio sinistro, poi
il battente si socchiuse. Apparve il volto ansioso di una
donna. Una donna molto graziosa non lontana dal varcare
la soglia dei quarant’anni e che la guardava, inquieta e
interrogativa:
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– Polizia? Ma...
– Mi scusi, – disse Mary a disagio, – era uno scherzo.
– Uno scherzo? – ripeté la donna senza capire.
– Sí e no, – disse Mary, sempre più imbarazzata. – Ho
conosciuto Guitte nel corso di un’inchiesta di polizia, ma
non è in questa veste che sono qui stasera, volevo solo
salutarla, farle i miei auguri...
– I suoi auguri, – disse la donna con voce tetra, – è proprio il momento!
– Non c’è? – chiese Mary vagamente inquieta.
La donna sospinse un poco il battente della porta e si
affacciò sul vicolo, come se volesse accertarsi che Mary
fosse sola. Una lampadina che il vento faceva oscillare
rischiarò il passaggio stretto con la sua luce vacillante. Da
qualche parte su un tetto una banderuola cigolava. La
donna rimase un attimo in ascolto, tesa, poi rassicurata si
fece da parte, liberando il passaggio.
– Entri.
L’architrave di pietra era cosí basso che Mary dovette
curvarsi per non sbatterci la fronte. Scese i due gradini
incavati al centro che portavano alla sala bassa della taverna. La sala era vuota, vi regnava una gelida umidità e
quell’odore deprimente che si sente il giorno dopo una
festa, un tanfo di fumo freddo e di alcol. Soltanto il bar era
illuminato dalle luci crude dei neon dissimulati dietro le
grosse travi del soffitto. I cartelli luminescenti delle uscite di sicurezza, sopra le porte, diffondevano una luce verdastra. Le sedie erano poggiate capovolte sui tavoli verniciati. Nelle nicchie, gli gnomi scolpiti da Henry, il vecchio
artigiano del posto, sghignazzavano orribilmente.
In quella sala, che Mary aveva conosciuto cosí gaia,
cosí animata, regnava una pesante atmosfera di tragedia.
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Fece qualche passo, tornò verso il bar:
– Dov’è Guitte?
– Ma come, non l’ha saputo? – chiese la donna con voce
stanca. – Guitte è morta.
– Morta? – fece Mary sconcertata. – Ma quando? Come?
– L’hanno seppellita ieri, – disse la donna.
– Dio mio! – esclamò Mary stringendosi nel giaccone.
– Sembrava tagliata per vivere cent’anni!
La donna alzò le spalle.
– L’hanno trovata là, ai piedi della scala.
Con un movimento della testa, indicò l’arrivo dei gradini ripidi che portavano al piano.
– Là...
Mary guardò il punto che le veniva indicato. Le piastrelle di maiolica brillavano nell’ombra proprio dove era
stato trovato il corpo di Guitte degli spiriti.
– Si è ammazzata cadendo? – chiese.
– No, secondo il medico è morta prima. Crisi cardiaca.
Il malore è stato la causa della caduta.
Alzò gli occhi su Mary:
– La conosceva bene? Non l’ho mai vista al bar.
– L’ho incontrata durante un’inchiesta che ho fatto a
Concarneau. Forse ve ne ha parlato. Quella storia di droga
tirata su da un peschereccio. Un certo Lucien Le Berre era
stato ucciso, e un marinaio dell’Atlante era stato ferito a
coltellate proprio qui.
– Ah sí, – disse la donna congiungendo le mani come se
dovesse pregare, – Tibère, Petit Pierrot... Ma allora, lei è...
– Mary Lester.
– Mary Lester! – esclamò la donna. – Quanto ci ha parlato di lei! Ah sí, e più d’una volta! Le piaceva moltissimo!
– Anche lei mi piaceva molto, – disse Mary.
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– Tutti volevano bene a Guitte, – asserí la donna con
convinzione.
– E lei, – disse Mary, – chi è?
– Sylvia Guennec, la nuora.
– Non sapevo che Guitte avesse un figlio.
– Yves, mio marito, ma tutti lo chiamano Younn.
– Abitate a Concarneau?
– No, a Lorient. Mio marito è capitano d’armamento a
Keroman.
– Non è il porto di pesca di Lorient?
– Proprio cosí.
– E che ci fa là, un capitano d’armamento?
– Si occupa della gestione d’una flotta di pescherecci
per conto d’un gruppo d’armatori.
Mary fece di nuovo tre passi nel bar. Sylvia Guennec
le propose:
– Vuole bere qualcosa?
– No, grazie. Ma non siete chiusi?
– Questo non m’impedisce di servirla...
– No. È gentile, ma ero venuta per salutare Guitte. Da
mesi mi proponevo di farlo, e poi il tempo è passato... Sa
com’è... Le faccio le condoglianze più sincere. Questa
notizia mi ha letteralmente messa a terra. Me ne voglio per
non essere tornata prima... La lascio, avrà da fare.
Sylvia Guennec ebbe a quel punto un gesto spontaneo
che sorprese Mary. Si parò vivacemente tra lei e la porta:
– Non vuole aspettare un po’?
Mary si fermò:
– Aspettare cosa?
– Mio marito sta per arrivare.
Mary pensò in cuor suo: “Sta per arrivare, e allora?
Cosa potrò fare più di questo? Presentargli le mie condo17
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glianze? E a parte ciò? Questo non la farà certo tornare, la
povera Guitte!”
Sylvia Guennec tornò dietro il banco del bar a passi
lenti, prese un canovaccio e si mise ad asciugare il ripiano di legno con cura esagerata, tanto per darsi un contegno.
– Ecco, – disse lentamente, – Yves ha dei problemi...
– Ah, – disse Mary, tornando verso il bar.
– Guitte gli aveva spesso raccomandato di parlarvene.
Lei si stupí:
– A me? Perché?
– Non lo so. Era rimasta molto impressionata dal modo
con cui aveva messo le mani sui delinquenti che avevano
ammazzato Tibère. Diceva a Moisan, quando veniva a
farsi un bicchiere: “Eh sí, diciamo la verità, caro mio, se
quella ragazza non fosse venuta a darvi una mano, non
sareste mai stato capace di arrestare quei tizi!”
– E Moisan cosa rispondeva?
– Si metteva a ridere e replicava: “Hai ragione Guitte.
Dai, versane un altro a tutt’e due, alla sua salute!”
Mary sorrise. Era proprio da Moisan! Le illusioni e le
ambizioni lui le aveva perse da molto tempo. E poi le
aveva mai avute? La sua vita si era fermata il giorno in cui
sua madre l’aveva fatto entrare nella pubblica amministrazione invece di farne un marinaio di pescherecci, come
suo padre.
– Lo vede ogni tanto, Moisan?
– Viene meno. Da quando è in pensione si è comprato
un battello e quasi tutti i giorni se ne va per mare.
– Insomma, – disse Mary, – perlomeno adesso fa quel
che gli pare.
– Seh, – disse Sylvia Guennec.
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Visibilmente, se ne infischiava assolutamente degli stati d’animo dell’ex ispettore Moisan. Pensava a suo marito.
– E sua suocera, si era fatta l’idea che avrei potuto aiutare suo marito?
– Certamente! La credeva all’altezza di qualsiasi cosa!
– Troppo lusinghiero! Mi dice che ha dei problemi. È
un po’ vago. Che genere di problemi?
– Nel suo lavoro.
– Ah, – disse Mary.
Sospirò pensando: “E chi non ne ha?” Poi aggiunse:
– Non vedo in cosa potrei essergli utile. Vede, io indago sui reati, se non addirittura sugli omicidi, seguendo le
istruzioni precise del mio capo.
Tralasciava di dire che, molto spesso, si prendeva tali libertà con quelle istruzioni da mettersi in urto con i superiori.
– Sono state sporte denunce?
– No.
Di nuovo si sforzò di scherzare:
– È stato ammazzato qualcuno?
Ma non era la giornata adatta. La battuta cadde nel
vuoto. Ci fu un attimo di silenzio, poi la porta cigolò.
Sylvia Gunnec parve sollevata:
– Ecco Younn, – disse.
* * *
Yves Guennec era un cinquantenne di media statura
che fumava sigarette inglesi. Doveva anche fumarne
parecchie di troppo, a giudicare dal colore delle dita,
ingiallite dalla nicotina. Ebbe l’aria sorpresa vedendo
Mary, e quando sua moglie fece le presentazioni, esclamò:
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– Ah, è di lei dunque che mia madre mi parlava cosí
spesso?
La sua stretta di mano era ferma.
– Non so che le abbia detto Guitte, ma ignoravo che
avesse un figlio. Finché non sono entrata in questa casa
ignoravo anche la morte di sua madre. Mi permetta di presentarle le mie sincere condoglianze.
Il viso di Yves Guennec si era rabbuiato. Scosse la testa
per ringraziare Mary.
– È stato un colpo molto duro per me, – disse.
Guardò sua moglie e si corresse:
– Voglio dire per noi. Sylvia era molto affezionata a
Guitte. Era tanto buona!
Lei continuava automaticamente a lucidare un bicchiere che brillava sotto le luci sul retro del bancone.
Yves Guennec riprese:
– Davvero non ce lo aspettavamo. Morire in questo modo, cosí crudele...
Mary fu sul punto di aggiungere un luogo comune del
genere “non si sa mai il giorno e l’ora”, una di quelle frasi
che spuntano fuori all’uscita dei cimiteri, a cui forse l’altro avrebbe risposto qualcosa come “siamo proprio meno
che niente...”, ma aveva sempre trovato quel genere di
considerazioni cosí balorde che se ne astenne.
Yves Guennec rabbrividí:
– Fa un freddo del diavolo, qui. Sylvia, è riscaldato
sopra?
– Certo, ho acceso la stufa.
Lui si girò verso Mary:
– Non vuole salire? Staremo più comodi per parlare.
Mary esitò:
– Non vorrei disturbarvi.
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– Disturbare chi? – esclamò lui. – Su, venga, in memoria di Guitte!
Mary lo seguí su per una scala inclinata come la scaletta d’un mulino e Sylvia le veniva dietro gradino dopo
gradino, dopo essersi assicurata che le porte fossero ben
chiuse.
Arrivati su un pianerottolo buio, Yves Guennec spinse
una porta che dava su una stanza piuttosto grande, che fungeva da cucina e da sala da pranzo. Mary sorrise entrando:
decisamente non si veniva meno alla consuetudine che
voleva che a Concarneau si fosse sempre ricevuti in cucina.
Contro il muro, una stufa rivestita di piastrelle di maiolica diffondeva un gradevole calore. Yves Guennec si avvicinò, tendendo le mani verso le fiamme che danzavano
dietro una finestrella di vetro annerita dalla fuliggine, poi
se le strofinò esclamando:
– Accidenti, quanto si sta bene!
– È qui che se ne stava Guitte, – disse. – Quando chiudeva il bar, faceva venire su le amiche per un ultimo bicchiere. Stappava volentieri una bottiglia di champagne, lo
chiamava il suo sonnifero, e giù con le chiacchiere! Povera Guitte...
Spinse verso di lei una poltrona di bambù rivestita di
cuscini.
– Ma si sieda dunque! Cosa vuole bere?
– Se ha una Perrier...
– Acqua! – esclamò lui. – Da Guitte chiede l’acqua...
Ma lo sa che se faccio una cosa del genere, lei è capace di
tornare per tirarmi le orecchie?
Sorrideva adesso, e certo doveva avere la stessa natura
gioiosa di sua madre, alla quale, a tratti, somigliava in
modo impressionante.
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– Quanto a me prenderò un grog, – disse. – Ho passato tutto il pomeriggio a bordo del Drakkar e mentirei se
dicessi d’aver avuto caldo.
– È uno dei pescherecci dei quali si occupa?
– È il peschereccio che gli dà dei problemi, – intervenne Sylvia Guennec.
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