Galaxia - Mensa Italia
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 galaxia Tradurre la Guida: un’esperienza … galattica! di Corrado Giustozzi C hi non conosce la Guida Galattica per Autostoppisti, capolavoro di fantascienza umoristica del compianto Douglas Adams? Nata in origine come trasmissione radiofonica della BBC1, la Guida è poi diventata una serie di libri (per la precisione una trilogia in cinque volumi…), uno sceneggiato televisivo2, un gioco ed infine un film. Caratterizzata da una trama tanto sconclusionata quanto geniale, da personaggi improbabili e straordinari, da situazioni deliziosamente surreali e da dialoghi densi di irresistibile humour inglese, la Guida è diventata negli anni un oggetto di culto non solo per gli appassionati di fantascienza ma anche per tutti coloro che sanno apprezzare un testo intelligente anche quando serve “solo” a far ridere. Non a caso fra i più accesi fan della Guida si trovano moltissimi scienziati, soprattutto fisici, ai quali Adams strizza furbescamente l’occhio quando si fa gioco delle leggi della fisica inventando teorie quali l’Improbabilità Infinita e la Bistromatica. Il film, uscito nel 2005, corona un sogno al quale lo stesso Adams aveva lavorato per una dozzina d’anni, senza tuttavia riuscire a realizzarlo per via della sua precoce scomparsa avvenuta nel 2001. Benché il soggetto sia stato in buona parte ripreso da quello che l’autore stava realizzando, la sceneggiatura che ne è stata tratta risente evidentemente dell’impostazione “per famiglie” dei classici prodotti Disney/Buena Vista, la quale ha un po’ edulcorato quella visione cinica del mondo che caratterizza tutte le opere di Adams. Il film tuttavia, pur soffrendo un po’ per colpa di un lieto fine assolutamente implausibile, risulta sufficientemente godibile anche per gli appassionati più ortodossi, i quali possono ritrovare dialoghi e situazioni spesso letteralmente citati dai libri se non addirittura dalle mitiche trasmissioni radio della BBC. Essendo io stesso un appassionato della Guida più che talebano, ed essendomi sempre posto in un atteggiamento molto critico nei confronti della traduzione a mio avviso piuttosto scadente con la quale Mondadori l’ha proposta al pubblico italiano sin dalla sua prima pubblicazione nel lontano 19803, ho affrontato con grande entusiasmo ma anche un po’ di reverenziale timore la proposta, giuntami abbastanza a sorpresa da parte di Buena Vista Italia, di lavorare come consulente speciale alla traduzione ed all’adattamento in italiano dei dialoghi del film. In effetti, pur non essendo questo il mio mestiere, di tanto in tanto mi capita di essere chiamato come consulente per l’adattamento dei dialoghi in film caratterizzati da un forte contenuto tecnologico, specie se di ambientazione fantascientifica4. Questa volta tuttavia l’occasione era davvero troppo interessante ed importante: oltre infatti a poter partecipare in prima persona alla realizzazione di un’opera alla quale sono da sempre fortemente legato, potevo finalmente contribuire a recuperare un po’ di quello spirito che purtroppo era andato perso nella traduzione italiana ufficiale dei libri ad opera di Laura Serra. Nel mio ruolo avrei affiancato e supportato uno dei più La locandina del film in versione italiana. grandi professionisti italiani, Carlo Cosolo, il quale vanta un curriculum invidiabile come traduttore, adattatore dei dialoghi e direttore del doppiaggio5; e mi sarei interfacciato direttamente col responsabile Disney per la supervisione artistica Roberto Morville, altro mostro sacro del settore6. C’è da dire che Carlo, oltre ad essere un valentissimo professionista, è a sua volta un grande appassionato di fantascienza e come tale già conosceva ed apprezzava le opere di Douglas Adams. La nostra collaborazione è dunque partita da subito alla grande, in quanto entrambi condividevamo l’obiettivo di riuscire a recuperare con rigore filologico, pur nei limiti concessi dalla necessità di rimanere assolutamente fedeli al copione originale, il mondo della Guida Galattica così come l’aveva descritta il suo autore. Da qui innanzitutto la decisione, presa all’unanimità ed approvata in pieno dalla Disney, di non rifarci necessariamente alla traduzione “classica” di Laura Serra ma di tentare di recuperare il senso originale del testo, almeno là dove fosse possibile. Filosofia, filologia, deontologia… Purtroppo la traduzione classica della Serra, almeno nella mia opinione, non è affatto un ottimo lavoro: essa comprende infatti diversi svarioni, ma soprattutto vi sono moltissimi punti nei quali il sottile e britannicissimo humour originario di Adams è stato completamente rimosso dal testo. Mi dispiace dirlo, perché la Serra è una vera e propria istituzione nella fantascienza italiana, e generalmente è un’ottima traduttrice: ma in quell’occasione evidentemente deve aver lavorato in fretta, come spesso capita nel suo mestiere, e magari anche con leggerezza. D’altronde si parla di venticinque anni fa: all’epoca la Guida non era altro che un "" 11 galaxia romanzetto assolutamente folle scritto da un inglese poco più che sconosciuto, chi avrebbe immaginato che sarebbe diventato in seguito un vero e proprio cult e che la sua prima traduzione sarebbe rimasta scolpita nella storia? Comunque, nel bene e nel male, quella di Laura Serra è effettivamente la traduzione italiana, e di questo abbiamo ovviamente tenuto debito conto nel nostro lavoro di adattamento del film. Pertanto abbiamo ritradotto tutto quanto abbiamo potuto, cercando di recuperare il senso degli scritti di Adams con l’obiettivo di rimanere il più possibile fedeli e rispettosi al testo ed allo spirito originali, ma stando bene attenti a non esagerare; abbiamo così scelto di lasciare invariate la maggior parte delle forme e dei termini ormai consolidati, anche là dove non eravamo d’accordo con la lezione della Serra. Ad esempio abbiamo lasciato immutato il “Gotto esplosivo pangalattico”7, anche se sinceramente come traduzione la riteniamo abbastanza spiacevole... Anche i nomi propri dei vari personaggi sono rimasti tutti in originale, pur se ad un certo punto la Disney aveva proposto di tradurre quello di Slartibartfast per cercare di ricreare in italiano il gioco di parole che lo caratterizza. In questo caso però ci siamo decisamente opposti: a parte che da sempre i personaggi della Guida sono noti qui da noi col loro nome originale, e dunque saremmo andati contro una situazione davvero troppo consolidata, resta il fatto che i tentativi di tradurre un nome caratterizzato da un gioco di parole non sono quasi mai felici e di solito finiscono in un disastro8. Piccolo inciso: sono in pochi a sapere che il nome “Slartibartfast” fa sbellicare di risate gli inglesi quando lo sentono perché ha un suono... estremamente imbarazzante. Adams lo ha infatti costruito (come lui stesso ha avuto modo di spiegare) in modo tale che sembrasse un’orrenda parolaccia, pur tecnicamente non essendolo. In effetti lui voleva usare una vera oscenità, ma ovviamente la BBC non la avrebbe accettata in una trasmissione radio “per tutti”. Per ottenere l’effetto desiderato, dunque, Adams scrisse tre o quattro vere parolacce e ne rimescolò le sillabe assieme, sino ad ottenere un qualcosa che suonasse terribilmente osceno senza però esserlo realmente: in questo modo il nome poté essere trasmesso via radio. Ecco spiegato il motivo per cui Slartibartfast è così reticente nel pronunciare il suo nome, ed Arthur per poco non soffoca dal ridere quando infine lo sente. Per la cronaca questa gag esiste identica sia nelle versioni radio che nei libri, ed è riportata quasi letteralmente anche nel film: ma pochi, al di fuori degli inglesi, Arthur Dent e Ford Prefect. Arthur tiene in mano la Guida Galattica. 12 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 possono apprezzarla per quello che realmente significa. Ecco invece un breve sunto delle piccole o grandi cose che abbiamo scelto di ritradurre perché la lezione originale non ci soddisfaceva. Il “propulsore di improbabilità infinita”9 è diventato “motore ad improbabilità infinita”, chiarendo così definitivamente che è l’improbabilità infinita ad essere usata per la propulsione e non il contrario! La “caratteristica CPV (Carattere da Persona Vera)”10 di cui è dotato Marvin il robot è diventata “caratteristica VPP (Vera Personalità di Persona)”. L’”Ente Centro-galattico Arti Nocive”11 è ritornato correttamente ad essere il “Consiglio Centro-Galattico per la Corruzione delle Arti”, mentre la “Ode a un pezzetto di mastice verde che mi sono trovato sotto un’ascella un mattino di piena estate”12 è diventata “Ode a un piccolo grumo di mollume verde trovatomi nell’ascella un mattino di mezza estate”. Infine la “Grande domanda sulla vita, l’universo e tutto”13 è diventata, con maggiore precisione, la “Domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”. In taluni casi abbiamo optato per una forma ibrida, in modo da correggere un po’ il tiro lasciando tuttavia l’assonanza del termine tradotto nei confronti dell’originale. Così ad esempio la “Vorace Bestia Bugblatta di Traal”14 è diventata la “Vorace Bestia Bugblatter di Traal”: “bugblatta” infatti non significa proprio nulla, ma volendo tradurre esattamente il nome originale lo si sarebbe dovuto modificare radicalmente, introducendo un riferimento esplicito al mondo degli insetti (“bug”) che ci sembrava tuttavia troppo in conflitto con la fama ormai consolidata della Bestia in questione. Altri termini invece li abbiamo lasciati proprio in originale, pensando che la traduzione li avrebbe sviliti. È il caso ad esempio del “Babelfish”, che la Serra ha come “Pesce Babele” e noi invece abbiamo lasciato com’era. In questo caso la nostra scelta è stata anche motivata dalla notorietà dell’omonimo traduttore automatico di pagine Web che si trova su Internet, e che come si può ben immaginare ha preso il suo nome proprio in omaggio al pesce giallo inventato da Douglas Adams (sì, siamo perfettamente consapevoli che "" galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 qualcuno, non conoscendo bene la Guida, avrà comunque equivocato pensando che sia stato il film ad aver copiato da Altavista e non viceversa…). Chi ha visto il film si sarà accorto che “Don’t panic” è diventato “Niente panico”: a parte che è comunque piuttosto carino, in questo caso c’era il problema che la forma estesa tradizionale “non lasciatevi prendere dal panico”, oltre che orrendamente prolissa, è assolutamente impossibile da pronunciare in sincrono col labiale inglese... Ultima chicca, che non so quanti avranno potuto notare guardando il film ma mi piace svelare ad un pubblico in grado di apprezzarla. Come è noto, la “domanda finale” proposta da Arthur ai Topi è uno dei versi di “Blowing in the Wind” di Bob Dylan: “How many roads must a man walk down”. Anziché tradurla letteralmente (“Quante strade deve percorrere un uomo...”), abbiamo reperito ed usato nientemeno che la “autentica” versione italiana di Mogol/Tenco (sì, proprio la cover italiana dell’epoca!), il cui verso “Quante le strade che un uomo farà”, oltre ad essere filologicamente ineccepibile, rispetta correttamente la metrica della frase musicale originale! È una piccolissima cosa, ma dà la misura della cura con la quale ci siamo dedicati al lavoro. The Great Green Arkleseizure Il caso del “Great Green Arkleseizure” è eclatante, e merita di essere spiegato con un certo dettaglio: è infatti l’unica situazione in cui siamo andati contro la traduzione consolidata, anche se relativa ad un termine di uso minore, per correggere un grave errore di interpretazione e ripristinare un significato andato malamente perso. L’errore di traduzione della Serra è infatti piuttosto marchiano, e produce un risultato che non solo è incomprensibile (“Grande Ciaparche Verde”) ma soprattutto non fa ridere, in quanto non rievoca nulla dello humour al quale è improntato il nome originale. Sembrerebbe in effetti che la Serra non abbia capito affatto il gioco di parole insito nel significato del termine inventato da Adams, il quale invece è strettamente ed ironicamente correlato al contesto in cui si trova. Cominciamo dall’inizio. “Seizure” significa “scossa, colpo, convulsione” (in senso biologico), ma si usa anche nel linguaggio poliziesco per indicare una irruzione o una perquisizione improvvisa (quello che noi chiamiamo “blitz”) con sequestro di qualcosa. La Serra ha evidentemente optato per quest’ultimo significato, e lo ha tradotto col termine milanese “ciapa” (da “ciapare”, ossia “acchiappare”, “portare via”); e poi, chissà perché (ma direi per semplice assonanza), ha deciso di rendere “Arkle” con “arca”. Perciò “Arkleseizure” è diventato concettualmente “ciapa - arche” e quindi “ciaparche”. Potrebbe anche andare, se non che… non ha nessun riferimento evidente al contesto e soprattutto non fa ridere. Come stanno dunque le cose? Il fatto è che invece il significato giusto cui attingere è proprio quello strettamente biologico. Ricordiamo infatti che il “Great Green Arkleseizure” è quel mitologico essere primigenio che, secondo i Jatravartidi del pianeta Viltvodle VI, ha generato l’Universo espellendolo dal suo naso con un poderoso starnuto, in una sorta di versione biologica del nostro “big bang”15. Quindi “seizure” in questo caso sta effettivamente per qualcosa tra la convulsione e lo starnuto, mentre “Arkle” non ha un significato preciso se non quello di rendere ironicamente nobile e pomposo l’intero nome, echeggiando qualcosa di “arcaico” o di “archetipico”. Il nome originale, dunque, è allo stesso tempo evocativo ma anche ridicolo, e si riferisce comunque ad un’improvvisa emissione di tipo strettamente biologico. Nella nostra traduzione abbiamo dunque cercato di adattarlo in modo che rimanesse chiaro il significato umoristico: e per potervi riuscire in modo decoroso abbiamo dovuto ragionarci davvero a lungo, perché era assai difficile trovare qualcosa che riuscisse a trasferire il senso della gag in modo valido e non forzato. Siamo partiti da cose come “archibotto” o “arcicolpo”, che però non davano il giusto senso, per approdare infine, dopo davvero tanti e tanti tentativi, su “scaravulso”16: termine che non significa niente ma ricorda sia una “emissione” (un po’ “sputacchiosa”, a dire il vero...) sia una “convulsione”. Quindi il “Great Green Arkleseizure” è ufficialmente diventato il “Grande Scaravulso Verde”. Per la cronaca in tutto il film lo Scaravulso viene nominato una volta sola e per di più di passaggio, e dunque nessuno si accorgerà mai del grande e filologicamente rigoroso lavoro che è stato necessario per adattarne il nome. Rimarrà però la nostra soddisfazione nell’aver reso finalmente giustizia ad Adams! Lo humour inglese Diverse sono, purtroppo, le battute tipicamente inglesi di Adams andate perse nella traduzione italiana dei libri. Molte in effetti non compaiono nel film, ma qualcuna di esse vi è stata inserita dagli sceneggiatori in modo quasi letterale: e almeno di queste ci siamo impegnati a vendicarne l’onore. Forse il caso più clamoroso è quello che si verifica nel primo colloquio tra Arthur e Slartibartfast, dove il genio di Carlo Cosolo ha risolto una situazione davvero spinosa consentendo di restituire elegantemente anche in italiano il senso quasi intraducibile del gioco di parole originario. Ecco la scena. Slartibartfast, che non si è ancora presentato, sta cercando di convincere Arthur a seguirlo nel sottosuolo di Magrathea, e per fare ciò ricorre ad una oscura minaccia, resa goffa dalla sua scarsa dimestichezza con i modi di dire del terrestre. Il colloquio si svolge esattamente così, tanto nel libro quanto nel film: «Come,» called the old man, «come now or you will be late.» «Late?» said Arthur. «What for?» «What is your name, human?» «Dent. Arthur Dent,» said Arthur. «Late, as in the late Dentarthurdent,» said the old man, sternly. «It’s a sort of threat you see.» L’equivoco divertente, oltre che nella storpiatura del nome di Arthur, sta nel fatto che “late” vuol dire “in ritardo” ma viene usato anche per indicare una persona defunta anteponendolo al suo nome, così come noi diciamo “fu”. Quindi Slartibartfast sta dicendo ad Arthur qualcosa come “vieni o sarai morto” (letteralmente: “vieni o sarai fu”), intendendola come una minaccia, mentre Arthur capisce “vieni o sarai in ritardo”. Un gioco talmente sottile che la stessa Serra evidentemente non lo ha compreso affatto, tanto è vero che lo ha tradotto in questo modo assoluta- "" 13 galaxia mente privo di significato (e neppure divertente…): «Venite» disse il vecchio. «Venite adesso, o dopo sarà troppo tardi.» «Tardi?» disse Arthur. «Tardi per cosa?» «Come vi chiamate, umano?» «Dent. Arthur Dent», disse Arthur. «Tardi, come nel tardo Dentarthurdent» disse il vecchio, con severità. «È una specie di minaccia, capite?» Ecco invece come Carlo ha reso il dialogo nel film, riuscendo in maniera mirabile a conservare sostanzialmente intatto il gioco di parole: S: «Tu devi seguirmi, o… mancherai!» A: «Di che cosa?» S: «Come? No, no! Qual è il tuo nome, Terrestre?» A: «Dent. Arthur Dent» S: «Bene. ‘Mancherai’ come in ‘È mancato Dentarthurdent’. Vuol essere una minaccia!» Si tratta di un vero pezzo di bravura da parte di Carlo, purtroppo poco evidente in quanto nel film questo dialogo è molto veloce e il gioco di parole rischia di passare inosservato. Addio, e grazie per tutto il pesce! Dopo tutto questo lavoro (e non vi dico con quanta cura e meticolosità è stato portato a termine il doppiaggio…) è stato quantomeno spiacevole vedere il film purtroppo maltrattato dalla distribuzione italiana e dalle cosiddette “leggi del mercato”. La sua uscita infatti, originariamente prevista anche nel Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 nostro Paese ai primi di maggio del 2005 in concomitanza con il resto del mondo, è stata dapprima rimandata a settembre per evitare conflitti con le grandi pellicole della concorrenza già programmate per la primavera/estate quali Harry Potter, I fantastici quattro, La guerra dei mondi e Sin City; però una volta giunti a luglio la distribuzione italiana, avendo constatato come nel resto d’Europa il film non avesse incassato secondo le aspettative, ha deciso di non rischiare e lo ha mandato nelle sale senza preavviso il 12 agosto, senza alcun lancio pubblicitario ed in sole venti copie per tutta Italia. Il risultato è che lo hanno potuto vedere solo i pochi appassionati che in qualche modo ne conoscevano l’esistenza, o quei fortunati che durante il mese di agosto si sono trovati a passare per una grande città. Ed è stato un peccato perché il film, pur non essendo certamente un capolavoro, è comunque un prodotto gradevole e ben fatto, in grado di piacere sia ai neofiti che ai fan integralisti di Adams. Inoltre, pur con tutti i suoi limiti, si situa comunque piuttosto al di sopra della media quanto a spessore ed intelligenza dei contenuti. Purtroppo così vanno le cose in questo nostro mondo, che antepone gli aspetti spettacolari e superficiali a quelli che stimolano la mente degli spettatori. A chi lo avesse perso nelle sale segnalo comunque che dalla fine di gennaio 2006 il film si è reso disponibile in DVD. Vale decisamente la pena di vederlo, magari anche solo a noleggio: un paio d’ore di onesto divertimento sono senz’altro assicurate. # Note 1 2 3 4 5 6 7 8 Andata in onda per la prima volta nel 1978 in sei puntate trasmesse tra marzo ed aprile. Anch’esso della BBC, trasmesso in sei puntate nel 1981. Nell’oramai introvabile Urania n. 843. Ad esempio “Johnny Mnemonic” e “The Net”. Tanto per dire: King Kong, Sin City, Polar Express, The Chronicles of Riddick, School of Rock, La maledizione della prima luna, 8 Mile, Billy Elliott, eXistenZ, … Ad esempio è stata sua la responsabilità per la realizzazione italiana di tutti i film di animazione Disney/Pixar. In originale: “Pan-galactic Gargle Blaster”. Non tutti comunque la pensano così: ad esempio i francesi hanno gallicizzato i 14 nomi di quasi tutti i personaggi del film… In originale: “Infinite Improbability Drive”. 10 In originale: “GPP - Genuine People Personalities”. 11 In originale: “Mid-Galactic Arts Nobbling Council”. 12 In originale: “Ode To A Small Lump of Green Putty I Found In My Armpit One Midsummer Morning”. 13 In originale: “The Ultimate Question of Life, the Universe and Everything”. 14 In originale: “The Ravenous Bugblatter Beast of Traal”. 15 Non per nulla i Jatravartidi vivono nel timore della venuta del “Grande fazzoletto bianco”! 16 Proposto, per onore di cronaca, da Roberto Morville. 9 Il consiglio dell’amico di Giorgio Lanzieri S arà capitato a molti di noi di essersi imbattuti in un qualche amico o conoscente che, nel darci un qualche consiglio, abbia esordito con le fatidiche parole “al tuo posto, io…”, snocciolando poi l’immediata, lampante soluzione alla nostra problematica; soluzione invero interessante, ma che tuttavia, guarda caso, difficilmente si attaglia alla nostra specifica situazione. Non la troviamo convincente, c’è qualcosa di non centrato in essa. Forse a non convincerci è l’immediatezza con la quale l’amico ha trovato una risposta al nostro assillo: come fa ad essere subito così sicuro, se io ci sto riflettendo da giorni senza trovare soluzione? Siamo infatti tutti bravissimi a sbrogliare le problematiche altrui, ma se guardiamo a come affrontiamo le nostre…! Perché accade ciò? Forse la prospettiva distaccata dell’altro gli consente di vedere più distintamente la soluzione più appropriata per il nostro spinoso problema, ma è anche vero che siamo in genere bravi a risolvere i problemi altrui proprio perché non sono i nostri problemi o, per dirla più chiaramente, non abbiamo tal specifico genere di problema in quanto un tale problema, nei termini in cui è posto, siamo capaci di risolverlo, nel nostro peculiare modo di operare. Sottolineo le parole “nei termini in cui è posto” perché qui individuo una chiave di comprensione: per rendere l’amico partecipe del nostro problema, siamo obbligati ad oggettivarlo depurandolo della sua componente irrazionale, non essendo trasmissibili razionalmente né i sentimenti né il nostro personalissimo modus agendi, e così facendo ne forniamo soltanto una visione prospettica. Ogni problema è oggettivamente risolvibile solo nella misura in cui esso è oggettivabile. Voglio dire: se ho un problema di "" galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 denaro (problema oggettivo) l’amico può davvero individuare la giusta soluzione, ma se la tematica è più complessa, coinvolgendo la mia interiorità, il mio modo di sentire e di reagire al mondo, non posso sperare di riuscire a comunicare fedelmente all’altro la tematica nella complessità dei modi con cui la sperimento. L’amico può, in perfetta buona fede, individuare una soluzione, ma sarà la sua soluzione al problema così come egli l’avrà percepito. Resta comunque il fatto che non la sentiamo nostra, e continuiamo a dimenarci con il problema. Insomma, ognuno è afflitto dalle proprie specifiche problematiche esistenziali, ed invariabilmente sente come impropri, estranei, spesso anche inutili i suggerimenti ricevuti. E’ evidente quindi che la locuzione “al tuo posto, io…”, diffusissimo preambolo introduttivo di fantasiose panacee, è sovente foriera di deludenti aspettative. Il fatto è che la tal persona non è affatto al nostro posto, né potrà mai esserlo: ognuno di noi ha un suo insostituibile posto al mondo, ed un proprio modo naturale di vivere la vita, un modo assolutamente personale, al di là di quelli che possono essere i fattori condizionanti esterni (età, popolo, classe sociale, reddito, salute, ecc…). Ciascuno di noi vive la propria quotidiana esistenza secondo un modo spontaneo che è insito in noi. Spesso non facciamo neppure caso a ciò che guida le nostre azioni ma, se ci soffermiamo a riflettere un po’ più attentamente, scopriamo che ciascuno vive la propria esistenza all’insegna dei valori che sente prioritari dentro di sè, nella propria interiorità, lo sfondo su cui si scrivono le parole della propria vita. Quando agiamo in armonia con i nostri valori ci sentiamo ispirati e determinati, sicuri e gratificati nel vivere. Quanto più percepiamo di essere aderenti ai valori per noi fondamentali, tanto più ci sentiamo pieni e realizzati, quand’anche la nostra azione si risolva in un oggettivo fallimento. Vorrei quindi cercare di capire qualcosa di più su questi “valori” che guidano da lontano ogni nostra azione. Intanto, come dicevo sopra, essi sono presenti in ognuno di noi, e per ciascuno in modo e forma particolare. Sono i riferimenti esistenziali del nostro cammino. Il loro sviluppo, la loro esten- sione e forza, sono determinati unicamente dall’attenzione prestata al nostro io profondo: quanto più sarò centrato sulla mia coscienza, tanto più distintamente avvertirò la presenza dei miei valori e sentirò in forma chiara quale direzione imprimere al mio agire. Viene quindi da pensare che tali valori costituiscano un patrimonio innato dell’uomo però, a ben vedere, essi non si presentano nelle medesime forme per tutti gli uomini, né sono rimasti immutati nelle varie epoche della storia umana. Dunque, pur essendo legati alla natura dell’uomo, essi sono funzione quanto meno della formazione educativa ricevuta e del contesto sociale nel quale viviamo. Gli animali non hanno valori, ma sono guidati dall’istinto. L’uomo, fondamentalmente privo della carica istintuale, deve ricercare altrove la fonte cui attingere per individuare la risposta giusta alle infinite interrogazioni aperte dalla sua interazione con il mondo circostante. L’uomo si distingue dagli animali principalmente per la sua attività di pensiero. Ma il pensiero si riflette anche su di sé e, nella sua inesauribile fame di conoscenza (vedasi Memento n. 3-4/2005, Galaxia, “Le ragioni della scienza”), vuole scoprire le ragioni del suo proprio esistere. Da questo drammatico cortocircuito psichico trae origine il concetto di Dio, bene supremo, creatore dell’uomo e creato dall’uomo, soppressione di ogni ulteriore anelito di conoscenza in nome di una fede da accettare tout court che, se da un lato manleva l’uomo dal peso della responsabilità del proprio essere al mondo, dall’altro lo coarta alla creazione di un sistema di riferimento etico (“ethos anthropoi daimon”, asseriva Eraclito) Memento - Rivista del Mensa Italia che, ispirato a tale concetto, ne garantisca l’azione coerentemente responsabile nel suo essere al mondo. Ecco quindi nascere il bene superiore o “valore”, creazione umana, frutto di un sistema di pensiero che vuole l’uomo creatore “ad immagine e somiglianza di Dio”, traduzione metafisica dell’esigenza squisitamente umana di conferire un senso alla propria esistenza. Grazie alla sussistenza dei valori ai quali viene educato (di qui l’esigenza di un costante adeguamento dei valori al decorso storico e sociale), l’uomo può affrontare la propria esistenza senza porsi l’angosciante motivo della sua reale essenza, dedicando le proprie risorse umane alla conquista ed alla creazione razionale del mondo semplicemente oggettivandolo, chiudendo così un cerchio esistenziale che, incapace comunque di produrre una risposta adeguata, risolve tale problematica con la soppressione della domanda. La “non risposta”, consistente appunto nel rispetto dei propri principi etici, maschera l’incomprensibile dramma dell’essenza umana dietro l’apparenza dell’esistenza, convertendo lo sgomento profondo e disorientante dell’interrogativo fondamentale in un procedimento coerente e razionale di attenzione alla rispondenza a valori superiori. I valori allora altro non sono che la trasposizione in termini oggettivi della supremamente angosciante domanda ultima dell’uomo sulla propria ragion d’essere: oggettivandola, la si vuota del suo contenuto essenziale, assolutamente inconcepibile dalla logica umana, sostituendovi un costrutto che conferisca comunque un senso razionale, oggettivo, comprensibile all’esistenza umana. I valori sono il consiglio dell’amico. # Norme editoriali La riproduzione anche parziale degli articoli che appaiono su Memento senza l’autorizzazione scritta del Mensa Italia è vietata. La loro stampa è in ogni caso consentita su tutte le pubblicazioni del Mensa, citandone la fonte (autore, titolo, testata, numero, anno). Le opinioni espresse sono quelle dell’Autore dell’articolo e non riflettono necessariamente quelle degli altri soci del Mensa e dell’Associazione stessa. Memento viene distribuito anche al di fuori dell’ambito dell’associazione; con l’invio del materiale gli Autori autorizzano la pubblicazione del loro nome su Memento e quindi l’implicita dichiarazione dell’appartenenza al Mensa, se non altrimenti indicato in forma esplicita. Il materiale può essere inviato secondo i più comuni formati informatici (doc, xls, rtf, ecc.); nel caso di diversa esigenza contattare preliminarmente per accordi la redazione. La redazione si riserva l’approvazione della pubblicazione di qualsiasi contributo, con comunicazione all’Autore proponente. Memento è una pubblicazione autorizzata dal Consiglio nazionale del Mensa Italia quale organo ufficiale dell’Associazione. # 15 galaxia Realtà ed apparenza (Verso una nuova filosofia della scienza) di Roberto Pugliese S in dalle scuole superiori sono sempre stato affascinato dal “problema ontologico”, in particolare dalla relazione tra la realtà e il modo in cui noi la percepiamo. Mi sono sempre chiesto che senso avesse affermare che le cose possono essere diverse da come noi le vediamo e mi sono reso conto che la risposta a questa domanda, lungi dall’essere banale, può determinare un mutamento profondo nel nostro modo di concepire la realtà. Secondo la filosofia occidentale, la conoscenza umana deve perseguire una rappresentazione vera ed oggettiva di un mondo già esistente in sé. Per dimostrare questo assunto sarebbe però necessario confrontare ogni conoscenza con quella parte della realtà che essa dovrebbe rappresentare; ma per fare questo confronto, si dovrebbe poter avere accesso alla realtà così com’era prima di passare attraverso le operazioni del soggetto osservatore. In altre parole, una tale prova di veridicità richiederebbe un confronto tra una cosa che si conosce ed un’altra che invece non è conoscibile. Per questa ragione gli scettici, nel IV secolo a.C., giunsero alla conclusione che la vera ed oggettiva natura della realtà non era conoscibile. Gli uomini possono soltanto tracciare una mappa della realtà, vale a dire una rappresentazione parziale e soggettiva che non può essere confusa con la realtà stessa, così come la mappa non può essere confusa con il territorio che si intende rappresentare. La vera natura delle cose, per chi ci crede, è nota solo a Dio e appartiene ad un piano che trascende la ragione umana. Ma è proprio così? Esiste veramente una differenza tra ciò che noi percepiamo e la realtà? Secondo l’approccio “costruttivista” la vita è un “processo cognitivo”: vivere significa conoscere e conoscere significa vivere. 16 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 E’ attraverso il processo cognitivo, che nasce dall’esperienza personale, che ognuno di noi genera il proprio mondo. L’esperienza vissuta è il punto di partenza di ogni conoscenza e in quanto tale è irriducibile; niente precede l’esperienza. Noi compiamo tutte le nostre esperienze attraverso il nostro sistema sensoriale, il nostro corpo, con la sua struttura determinata dalla nostra storia personale e dal processo evolutivo. Persone diverse rispondono in maniera diversa ad uno stesso stimolo e la risposta è determinata dal modo in cui l’osservatore è strutturato. E’ la struttura del sistema osservatore che determina come esso si comporterà e non l’informazione ricevuta. L’informazione non ha esistenza o significato se non quello che le attribuisce il sistema con cui interagisce, perciò l’informazione non può avere un’esistenza oggettiva e poiché il principio di oggettività è intrinseco al significato convenzionale del termine «informazione», possiamo concludere che “non esiste l’informazione”. Tutte quelle proprietà che si credeva facessero parte delle cose, si rivelano così proprietà dell’osservatore. Prima ancora che i fisici delle particelle, all’inizio del XX secolo, comprendessero che non era possibile distinguere tra sistema osservatore e fenomeno indagato, per cui, come scriveva Heisemberg: “ciò che noi osserviamo non è la natura in se ma la natura esposta al nostro metodo di indagine”, nel XVIII secolo Kant affermava che: non è il pensiero a dipendere dai fatti ma sono i fatti a dipendere dal pensiero che li classifica e li ordina, rivestendoli delle sue stesse leggi. La nostra percezione, dunque, non è e non può mai essere oggettiva e tutte le osservazioni hanno uguale validità, finanche quelle che la clinica medica qualifica come allucinazioni. Il mondo con cui ciascuno di noi si misura non è qualcosa “fuori di se” con cui interagire, è il prodotto della nostra interazione con il mondo esterno, è quello che ciascuno di noi ha costruito “dentro di se” attraverso la propria esperienza ovvero “un complesso tessuto di impulsi bioelettrici”. Ciascuno di noi genera in se il proprio mondo che a sua volta lo contiene. La stessa distinzione tra “dentro di se” e “fuori di se”, appare svuotarsi di significato, manifestandosi come una delle tante ingannevoli espressioni del pensiero razionale che divide e classifica. Come scriveva Asvaghosa, filosofo indiano del XII secolo, “ciò che l’animo percepisce come essenza assoluta è l’unicità di tutte le cose, il grande tutto che tutto comprende. Tutti i fenomeni del mondo non sono che manifestazioni illusorie della mente e non hanno realtà in se stessi”. Ekai, filosofo cinese del XII secolo, scriveva: Due monaci stavano bisticciando a proposito di una bandiera. Uno disse: “La bandiera si muove”. L’altro disse: “E’ il vento a muoversi”. Per caso passava di lì il sesto Patriarca. Disse ai due: “Non è il vento e nemmeno la bandiera; è la mente che si muove”. Tra realtà e apparenza non esiste dunque alcuna differenza valutabile. Non potendo ricorrere ad un arbitro imparziale (per alcuni, Dio), in grado di definire la natura ultima delle cose, tutto ciò che appare è reale; non esiste un solo universo ma tanti universi quanti sono gli esseri senzienti. Sul piano epistemologico, ne consegue che la finalità della scienza non può essere la ricerca della “verità”. La teoria scientifica diventa così un’interpretazione, un racconto, una metafora, e la sola domanda che abbia senso porsi non è più se essa rappresenti in maniera oggettiva la realtà, ma se funzioni, ovvero se sia in grado di fornirci delle previsioni accettabili, in relazione alle nostre finalità. Quando impieghiamo una teoria per spiegare un fenomeno, il fenomeno stesso si presenta diversamente in ragione della teoria che abbiamo utilizzato. In altre parole, i fatti dipendono dalle teorie da cui sono spiegati e non viceversa e questo rende impossibile un confronto oggettivo tra assunti teorici ed evidenze sperimentali. Poiché, inoltre, adottare una certa teoria significa determinare i fatti, non è oggettivamente possibile mettere a confronto teorie differenti nella spiegazione di un medesimo fatto. Per questa ragione ogni teoria è sostenibile e occorre considerare la ricerca scientifica come un prodotto della “creatività umana”. "" galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 pillole Intelligenza artificiale di Cinzia Malaguti L ’intelligenza umana si può riprodurre artificialmente? Se per intelligenza intendiamo la capacità di risolvere problemi, a partire da elementi dati o fatti, anche un programma di intelligenza artificiale, a cui siano stati forniti i fatti rilevanti del problema da risolvere, può raggiungere lo stesso risultato. Anzi, una rete d’intelligenza artificiale, potendo gestire quantità di dati molto maggiori degli esseri umani e non essendo sottoposta alle interferenze emotive umane, risulta essere molto più efficiente dell’intelligenza umana. Ciò succede – però - solo qualora l’intelligenza umana introduca nella rete tutti i fatti ed i relativi pesi necessari all’elaborazione. E’ quindi l’intelligenza umana che fornisce gli elementi creativi necessari al funzionamento dell’intelligenza artificiale che li deve solo elaborare e tirare delle conclusioni. Se per intelligenza intendiamo non solo la razionalità umana ma la sinergia che comprende anche creatività, curiosità, intuito, ecc…, beh allora ritengo improbabile che Le teorie vengono accolte o rifiutate dalla comunità scientifica non sulla base di “principi oggettivi”, che non possono esistere, bensì sulla base del “paradigma” culturale dominante, in modo non dissimile a quello in cui si afferma un credo politico, estetico o religioso. Non esiste alcun “criterio oggettivo” che imponga la scelta di un paradigma piuttosto che un altro: le motivazioni che determinano la formazione del consenso nella comunità scientifica, sono essenzialmente di ordine sociale e culturale. Per questa ragione, una particella elementare può essere, al contempo, un’onda, un oggetto puntiforme, una stringa unidimensionale, una monade o “un puffo”, a seconda della nostra utilità, e non perché Dio giochi a scacchi con l’universo (come obiettava polemicamente Einstein), ma perché tutte le osservazioni hanno uguale validità e le teorie scientifiche, a volte, funzionano meglio se mettiamo da parte il senso comune, accettando di cambiare “paradigma”. Del resto, il senso comune altro non è che il prodotto della nostra storia personale e del modo in cui il nostro apparato sensoriale si è determinato nel corso del processo evolutivo. Se ad esempio non avessimo avuto il sen- queste caratteristiche così umane possano essere riprodotte artificialmente. Dico questo perché io credo che la creatività, come la curiosità e come l’intuito, siano influenzate dagli stimoli sensoriali che ci provengono dall’ambiente, difficilmente riproducibili in una macchina. Certo, l’intelligenza artificiale è in grado di evitare gli errori che può commettere l’intelligenza umana, a causa delle sue emozioni. Tuttavia, errori ed emozioni sono alla base dell’evoluzione della nostra intelligenza, imparando dai primi ed aggiustando i secondi, la nostra mente è cresciuta e crescerà ancora. Forse, crescerà ancora anche grazie all’aiuto dell’intelligenza artificiale, più efficiente di quella umana, quando c’è da calcolare le probabilità della validità di una data ipotesi e, quindi, arrivare in fretta alla soluzione di un problema. so tattile o fossimo stati addirittura privi di “identità corporea” (la capacità di percepire il nostro corpo, detta “propriocezione”, può essere persa, ad esempio, a seguito dell’assunzione di enormi quantità di vitamina B6), avremmo comunque elaborato il concetto di materia distintamente da quello di energia? La fisica moderna ci dice che massa ed energia sono equivalenti, ma che cosa significa tutto questo? Che è possibile “trasformare” la massa in energia e viceversa? Massa ed energia non sono “semplicemente trasformabili” l’una nell’altra, sono la stessa cosa; un diverso modo di rappresentare un unico principio di realtà. Le stesse considerazioni valgono per la distinzione cartesiana tra res cogitans e res extensa e cioè tra corpo e mente; definizioni diverse di un unico principio di realtà: “il processo cognitivo”. E’ curioso osservare come nel V secolo a.C. i sofisti (Protagora e Gorgia) avessero colto con sorprendente lucidità che al di là delle apparenze sensibili, non esiste alcuna realtà assoluta ed immutabile; un concetto, quest’ultimo, da sempre presente nella filosofia orientale. Del resto, molto spesso il sapere umano procede in modo circo- $ lare. Si parte da un assunto per allontanarsene e quindi farvi ritorno con rinnovata consapevolezza. Come scrive T.S. Eliot: “E la fine del nostro esplorare / sarà arrivare la dove siamo partiti / e conoscere il luogo per la prima volta”. Secondo la tradizione filosofica occidentale “saggio è colui che sa di non sapere” e questo perché abbiamo sempre pensato che è attraverso il pensiero razionale, che divide e classifica, che l’uomo possa avvicinarsi alla verità. Secondo la tradizione filosofica orientale “saggio e colui che non sa di sapere”, poiché la realtà è unica e indivisibile e come tale può essere compresa soltanto attraverso il pensiero intuitivo, che ci consente una comprensione d’insieme (olistica) delle cose; una comprensione immediata, non filtrata dalla ragione che divide e classifica. Io credo che in una visione che sia in accordo sia col pensiero razionale che col pensiero intuitivo, “saggio è colui che sa di sapere”, perché divenuto oramai consapevole che ciò che gli appare è reale, poiché ciascuno è artefice del proprio mondo che attraverso il processo cognitivo si genera, muta e si evolve in un continuo divenire creativo. # 17 galaxia L’allucinante stato delle ferrovie italiane di Giuseppe Provenza C i si chiede talvolta cosa permetta di misurare il livello di civiltà di un Paese. La risposta più immediata è che siano la quantità e la qualità dei servizi resi dallo Stato e dagli altri enti pubblici ai cittadini, e quindi il senso di sicurezza e di protezione avvertito dalla popolazione. In primo luogo i servizi a cui si fa riferimento sono la sanità, l’istruzione, la giustizia ed i trasporti pubblici (dagli urbani ai nazionali) ai quali va aggiunto il sistema pensionistico. In Italia di tutti questi temi si discute spesso, nella diffusa convinzione che si possa fare ancora molto per migliorare i servizi resi. C’è però un altro parametro che ancor più validamente può fungere da misura del livello di civiltà ed è l’uguaglianza dei cittadini nell’utilizzo dei servizi pubblici in relazione alla condizione sociale ed alla dislocazione geografica. In questo senso l’Italia ha ancora parecchia strada da percorrere. Useremo come paradigma le Ferrovie Italiane, formalmente privatizzate, ma nella sostanza ancora “Ferrovie dello Stato”. Tutti hanno sotto gli occhi come esista una discriminazione di natura economica nei confronti degli utenti: più veloci si vuole viaggiare più si deve pagare. Se non puoi permetterti il supplemento dell’Eurostar puoi limitarti ad un più modesto supplemento rapido e prendere un Intercity, se non puoi, e vuoi pagare il semplice biglietto senza alcun supplemento devi accontentarti o di un espresso o di un diretto … ed arrivare con comodo. Ma esiste una seconda discriminazione ben più grave e di cui non si parla per il semplice motivo che non è facilmente percepibile dalla popolazione ed è la discriminazione territoriale, che è grave innanzitutto sul piano del principio, ma anche dal punto di vista economico. In Italia la rete ferroviaria è fatta a zone, classificabili come campionati di calcio: c’è la serie A, la serie B, la C1 e la C2. La differenza sta nella velocità. 18 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 Come si sa la tratta ferroviaria più veloce, ossia l’unica in cui è stata realizzata l’alta velocità, è la Firenze Roma, dove gli Eurostar tengono una media di circa 200 Kmh percorrendo i 316 Km in 1h36’. Del resto anche molti intercity su quella tratta raggiungono velocità superiori ai 180 Kmh. Ciò non toglie che treni meno privilegiati abbiano tempi di percorrenza molto maggiori pur essendo a lunga percorrenza, come l’intercity “Canova” Udine Roma che impiega 2h58’ o l’espresso “Trinacria” Milano Palermo che impiega 2h25’, due treni che provengono da zone fra le peggiori in termini di velocità e per i quali si può supporre che siano composti da materiale (vagoni e motrici) di vecchia concezione e quindi non in grado di raggiungere alte velocità. Questa tratta Firenze Roma è dunque la serie A. In serie B giocano tre squadre. La Milano Bologna, la Roma Napoli e la Torino Milano, dove rispettivamente il treno più veloce (eurostar) tiene la velocità media di 130 Kmh, 122 Kmh e 115 Kmh. Già così, raffrontandoci con altri paesi, ci si rende conto di trovarci nella più assoluta mediocrità. Ma non abbiamo ancora fatto i conti con i treni a lunga percorrenza, con quei treni, cioè, che una logica elementare porterebbe a privilegiare in termini di velocità. Ma, come già detto la logica cozza con qualcos’altro, come, probabilmente il materiale rotabile utilizzato. Si scopre così che la tratta Milano Bologna, coperta dai treni più veloci in 1h42’, viene percorsa dall’IC “Aspromonte” Milano Reggio Calabria in 2h37’ alla media di 84 Kmh e dall’unico treno (senza cambi) Milano Palermo, l’espresso “Trinacria”, in 2h28’ alla velocità di 89 Kmh. Sulla tratta Roma Napoli è invece l’IC Udine Napoli “Marco Polo” a detenere il poco invidiabile primato dell’intercity più lento, impiegando per i 214 Km 2h45’ corrispondenti alla media di 77,82 Kmh, là dove altri IC impiegano 1h57’ alla media di 110 kmh. Tralasciamo la Bologna Firenze percorsa dall’eurostar in 53 minuti alla media di 110 Kmh perché le particolari caratteristiche della tratta la rendono non paragonabile a tutte le altre, e pas- siamo alle tratte da C1: Napoli Villa S. Giovanni, Milano Venezia, e Bari Bologna, i cui treni più veloci raggiungono rispettivamente i 106, 103 e 110 Kmh di media, dati sconcertanti, nel 2006, se non esistesse la C2. Si, perché esiste la C2, in Sardegna ed in Sicilia. In realtà bisognerebbe dire che nelle due isole maggiori d’Italia non esiste un vero e proprio servizio ferroviario, ma una parvenza. Basti dire che da Cagliari a Sassari esistono soltanto tre “regionali” il più veloce dei quali impiega 3h18’ a percorrere i 260 Km alla media di 79 Kmh, che da Palermo (capitale di regione con 750.000 abitanti) a Catania (450.000 abitanti) esiste un solo treno senza cambi, ed è un diretto che compie i 243 Km in 3h30’ alla velocità di 69 Kmh, quando a compiere i 190 Km di autostrada si impiega comodamente e senza violazioni del codice della strada 1h40’. Il fatto poi che la strada ferrata sia il 28% più lunga dell’autostrada è la dimostrazione di quanto sia obsoleta. Alla stessa categoria appartengono La Palermo Messina e la Catania Messina che, pur collegando la Sicilia al continente non consentono velocità superiori ai 70 Kmh, pena, come qualcuno ricorderà, il deragliamento. Non trascuriamo peraltro una considerazione importante. Tutto ciò non è rilevante soltanto in termini di civiltà, di quella civiltà che vorrebbe dallo stato lo stesso trattamento per tutti i cittadini, ovunque si trovino, e qualunque sia la loro condizione economica, ma è anche determinante nello sviluppo economico, considerata l’importanza che hanno i trasporti nell’economia moderna. Ma ad aggravare tutto ciò in termini di discriminazione è l’aberrante situazione dei servizi sui treni in queste zone da C2. Cagliari, come abbiamo visto, è collegata a Sassari con tre regionali al giorno senza alcun servizio a bordo (come in tutti i regionali) per quanto il viaggio duri circa quattro ore (se si ha sete pazienza). Palermo è collegato a Catania da un solo treno diretto al giorno, anche questo, ovviamente, senza alcun servizio malgrado il viaggio duri 3 ore e 30 minuti. "" galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 l’incompetente Ma la Cina, che ci combina? di Stefano Machera C ari lettori, questa volta l’Incompetente prova a interrogarsi (e interrogarvi!) su un altro dei luoghi comuni della nostra vita economica e politica. Siamo infatti continuamente bersagliati da dichiarazioni di economisti e industriali che ci informano che l’industria italiana ed europea è destinata a soccombere alla concorrenza di cinesi, indiani e via paesesoticando, che negli ultimi anni hanno invaso il nostro continente con i loro prodotti a basso costo, e hanno messo sostanzialmente fuori mercato le nostre imprese. Si dice che i nostri poveri imprenditori sono costretti a “delocalizzare”, ossia a trasferire la produzione in paesi dove il costo del lavoro è più basso, perché i loro margini di profitto sono stati erosi, anzi azzerati, da questa temibile e incontenibile concorrenza. D’altronde, si sa: un operaio italiano costa molto più di uno polacco, e infinitamente di più di uno cinese: quindi, si dice, se i nostri pur benintenzionati industriali vogliono sopravvivere, devono spostare le produzioni all’estero, oppure abbassare i salari, o entrambe le cose. Ormai ce l’hanno spiegato fior di economisti, e l’abbiamo capito, no? Già. Ma io sono un Incompetente, e quindi non potete aspettarvi che capisca di queste cose. Come economista io sono all’età della pietra, e dovete aver pazienza con me se faccio fatica a capire gli argomenti degli esperti. Sì, perché nella mia rozza visione dell’economia il profitto di un industriale è dato dal prezzo a cui vende il suo prodotto meno il costo che ha sostenuto per produrlo. E, se in questi ultimi anni i prezzi al consumo sono scesi, io non me ne sono accorto. È vero che sono distratto, e che l’unico bene di consumo che compro in quantità statisticamente significativa sono i libri, ma che ad esempio i vestiti costassero oggi molto meno di quattro o cinque anni fa mi era sfuggito. O le scarpe. O le pizze margherita, insidiate dagli involtini primavera prodotti da cinesi clandestini pagati una miseria. No, io che sono distratto non mi sono accorto che i prezzi sono calati grazie all’arrivo dei prodotti cinesi, e quindi i nostri industriali ci rimettono. Ma, mi sono detto, sicuramente il fenomeno esiste, e chi si occupa di statistiche avrà rilevato il crollo dei profitti dei nostri imprenditori. Ora, capirete anche voi che per un Incompetente non è facile accedere alle statistiche sull’andamento dei profitti delle Sulla Palermo Messina, con un viaggio che nella migliore delle ipotesi dura tre ore, esistono soltanto due treni con il distributore automatico di bevande, malgrado per molti viaggiatori quella tratta sia l’inizio o la fine di un viaggio di venti ore. In questo l’aspetto più incredibile è che in molti treni provenienti dal nord il vagone ristorante o il vago- imprese italiane. Tuttavia Internet è grande, e Google misericordioso con i peones, così mi sono imbattuto in un fantastico documento chiamato “Quaderno Strutturale dell’Economia Italiana”, emesso nel giugno 2005 dal Ministero dell’Economia. Contiene le serie storiche di qualsiasi indicatore economico che un Incompetente possa desiderare, inclusi costi e profitti delle nostre imprese. E cosa ho trovato in questa cornucopia di ogni bendiddio? Beh, secondo questo inoppugnabile lavoro, il cosiddetto “profitto per unità di prodotto” nel 2004 valeva, in media, 1,70. Questo significa, se ho ben capito, che per ogni 100 Euro di costo del lavoro vengono prodotti 170 Euro di valore, o qualcosa del genere (forse fate meglio a leggere direttamente il Quaderno). Ma 1,70 è poco o tanto? Non lo so, ma possiamo dire che nel 1996 lo stesso indicatore valeva 1,63, nel 1990 1,50 e nel 1980 1,41. Vista così, sembrerebbe che i nostri imprenditori stiano guadagnando oggi più che in passato, no? Ma forse dobbiamo considerare i singoli settori. In effetti, sappiamo che il settore dei servizi ha proProfitto fitti più elevati, e magari è l’industria che se per unità la passa male. Andiamo a vedere l’andadi prodotto mento dello stesso indicatore (fatemelo 1980 1,52 chiamare PUP) per il solo settore dell’indu1990 1,51 stria “in senso stretto”, come lo chiama il 2000 1,53 Quaderno (cfr tabella a destra). 2001 1,54 Insomma, il PUP nell’industria è pratica2002 1,50 2003 1,48 mente costante e oscilla intorno a 1,50, 2004 1,49 mentre effettivamente la crescita del PUP nell’intera economia è dovuta ai servizi. Dunque, verrebbe da dire, se le imprese nel passato sopravvivevano benissimo con un PUP di circa 1,5, perché non dovrebbero riuscirci ora? Cosa è cambiato di così drammatico? Ahimè, io sono solo un Incompetente e non saprei proprio rispondere. Anzi, nella mia rozzezza intellettuale, potrei sospettare che i nostri imprenditori siano avidi e vogliano profitti maggiori, riducendo il costo del lavoro senza abbassare i prezzi alla vendita, ma immagino che questa sia una delle mie solite interpretazioni malevole, e che riceveremo valanghe di commenti di consoci che mi spiegheranno dove si nasconde il busillis. Sarebbe antipatico infatti se tutti i problemi che conosciamo, tutti i licenziamenti, le delocalizzazioni, le chiusure d’azienda, il precariato, fossero solo dovuti al desiderio di guadagnare di più, mentre il mercato consentirebbe tranquillamente di guadagnare tanto quanto prima mantenendo le produzioni in Italia, no? Sì, sarebbe antipatico. ne bar venga staccato a Villa S. Giovanni per evidente indegnità di chi continua il viaggio. Del resto il disegno di voler respingere gli utenti siciliani dall’utilizzo del treno (i sardi non sono stati mai accolti!) è reso evidente da due circostanze: la soppressione negli ultimi due anni di ben 26 treni in Sicilia e la chiusura, nel $ 2005, dei bagni in 25 stazioni. D’altro canto se non bevono perché dovrebbero avere bisogno dei bagni? Siamo logici! Non abbiamo, quindi, ancora fatto l’Italia, altro che gli italiani! Facciamo l’Europa, forse è l’unica speranza di riuscire così a fare l’Italia. # 19 galaxia L’estinzione di massa del Permiano di Francesco Morena Q uando si parla di estinzioni di massa avvenute durante la storia del nostro pianeta, non si può fare a meno di ricordare quella ormai famosa dei Dinosauri. Senza dubbio si tratta della più raccontata e resa spettacolare, sia per la dimensione degli animali estinti, i più grandi mai vissuti sulla Terra, sia per ciò che gli stessi grossi animali hanno rappresentato e continuano a farlo nell’immaginario e nella fantasia che (a volte anche troppo) ha fatto da cornice ad un mondo in cui essi rappresentavano l’espressione naturale più tipica. Il termine “giurassico” per esempio ormai si associa al periodo di vita dei Dinosauri. Ed essi richiamano subito alla memoria la loro mole, il loro tipo di vita e la loro stessa fine: la loro estinzione. Eppure non sono stati gli unici rappresentanti del periodo a scomparire; già un’altra specie famosa (ma sicuramente molto meno) si è estinta insieme: quella delle Ammoniti. Grosse conchiglie (appartenenti ai molluschi cefalopodi) che a volte raggiungevano anche dimensioni di un paio di metri di diametro e che ricordano gli attuali “nautilus”. Il nome deriva dal dio Ammone, per via delle sue corna delle quali le ammoniti ricordano la forma. Tuttavia non si è trattata dell’unica estinzione di massa avvenuta sulla Terra. E’ stata senza dubbio una delle più imponenti ma già qualche centinaio di milioni di anni prima ve ne era stata una di dimensioni ancora maggiori in cui addirittura, come avremo modo di approfondire, sono scomparse il 95% delle specie viventi marine ed il 60-70% di quelle terrestri vertebrate! A dire il vero, solo se prendiamo in considerazione le estinzioni per le quali si è superato il 60% di specie estinte, ne possiamo contare già più di due, come si vede dal grafico a destra; la tabella a fianco invece riporta gli anni e le epoche di riferimento. 20 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 A considerare tutti questi animali estinti però sembrerebbe che si è trattato sempre di un evento disastroso, ma è necessario considerare anche un altro aspetto del fenomeno e prendiamo come esempio proprio l’estinzione di 65 Ma (milioni di anni) fa. Quanto accaduto alla fine del Cretaceo, con i Dinosauri per intenderci, ha interessato, come già detto, una vasta fascia di specie viventi, ma ha anche messo le basi per un’altra circostanza (ed è più per questo che è importante che per la dipartita dei “lucertoloni”): la quasi scomparsa dei Rettili, che costituivano la tipologia preponderante di animali, ha creato i presupposti perché fossero sostituiti al primo posto in classifica dai mammiferi. Bisogna tener presente che le estinzioni, nell’evoluzione della vita esistente sul pianeta, non sono da considerare come qualcosa di negativo, ma fanno parte dello stesso percorso evolutivo degli esseri, e fa parte del contesto più ampio di trasformazione del pianeta. I cambiamenti ambientali, infatti, hanno portato via via ad adattamenti delle specie viventi con una certa continuità ed una certa lentezza, ma quando si è avuto un tracollo di massa si è verificato una successiva ripresa con modifiche e differenziazioni delle specie sopravvissute e quindi con la creazione di nuove tipologie di esseri anche con un salto di qualità se vogliamo. Ne è un esempio appunto il ripopolamento dei mammiferi dopo l’estinzione avvenuta alla fine del Cretaceo. Naturalmente questa fase di “estinzione-sviluppo” allorché si dice che è durata pochissimo è riferita pur sempre ad una scala geologica, quindi non si tratta di un episodio catastrofico, per quello che intendiamo normalmente con questo termine, cioè come ipotizzato con la caduta di un meteorite. L’impatto è stato sì di breve durata, ma per le mutazioni climatico-ambientali sono passati anni, e per gli effetti sulla vita ne sono passati centinaia o migliaia, infine per un evento ed il succedersi di estinzione-rinascita delle specie anche milioni di anni. In pratica pur se la caduta del meteorite, che è una delle cause teorizzate, è stato un fenomeno intenso e violento non è che tutti i Dinosauri sono morti dopo l’impatto, ma si sono estinti per uno degli effetti secondari ed ambientali conseguenti la collisione, che al limite resta solo la causa scatenante. Anche il senso di “breve durata” è relativo perché un milione di anni rispetto alla vita della Terra è come parlare di circa 20 secondi di tempo nell’arco delle 24 ore di una giornata. Ma veniamo alla grande estinzione del Permiano e dopo aver visto come si presentava il mondo di allora andiamo ad approfondire ciò che riguarda l’esistenza, e l’estinzione, di quei particolari animaletti che forse più degli altri sono diventati, se non proprio il simbolo del periodo, almeno i più conosciuti del Paleozoico; forse anche perché non è raro trovarne i fossili nei negozi e sui banchi dei mercatini e delle mostre specializzate: i Trilobiti (o “le trilobiti” come qualche testo riporta). Durante l’era paleozoica dunque, di cui il Permiano rappresenta l’ultimo periodo (nella classificazione geologica i “periodi” sono le suddivisioni delle “ere”), nella fase evolutiva della vita sul "" Era % specie estinte 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 Ma 570 Periodo Cambriano Ordoviciano Siluriano Devoniano Carbonifero Permiano Paleozoico 225 440 370 250 210 150 65 Milioni di anni fa Triassico Giurassico Cretaceo Mesozoico 65 galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 pianeta si è passati dalle forme già pluricellulari di tipo marino alle specie che hanno conquistato le terre emerse. L’inizio del Paleozoico è datato a 570 milioni di anni fa e dura per circa 345 Ma, cioè fino a 225 milioni di anni fa, quando la fine del Permiano e l’estinzione di massa appunto segnano il passaggio all’Era successiva, il Mesozoico. Insomma, per capirci, all’inizio di quest’era troviamo molte specie di invertebrati marini, che per non usare terminologia troppo tecnica e specifica (Radiolari, Spongiari, Anellini, Echinodermi, ecc.) possiamo riassumere in spugne, lombrichi, stelle marine fra i quali i Trilobiti appunto. Tra le varie specie molte utilizzano sostanze calcaree, o per meglio dire del carbonato di calcio; per i loro gusci per esempio, e quindi risalgono a questo periodo anche le prime scogliere fossili che ritroviamo anche oggi. Inoltre aumentano sempre più le specie di tipo vagile, cioè che si spostano, e diminuiscono quelle di tipo sessile cioè che vivono attaccate al fondo. Cominciano a svilupparsi i Molluschi, fra cui i Cefalopodi, i progenitori degli odierni polipi. Ma stiamo in pratica già arrivando a circa 400 Ma fa, quando la vita inizia a comparire anche sulla terraferma dove finora era inesistente, o quasi. Naturalmente la prima forma di vita a manifestarsi è quella vegetale. Ed evidentemente si tratta di piante di tipo primordiale, evolutivamente parlando, cioè delle Crittogame che sono poi quelle senza semi, anche oggi ovviamente esistenti, la cui riproduzione avviene tramite spore. Una volta che sulla terraferma si sono sviluppate vite vegetali è chiaro che si è facilitato l’adattamento degli animali a respirare fuori dall’acqua o, per meglio dire, con la possibilità, in una prima fase, del doppio elemento di respirazione: acqua ed aria. La comparsa degli Anfibi insomma. Infatti, un po’ più avanti, appaiono alcuni pesci ossei che avevano praticamente una doppia apertura per respirare: cioè oltre alla bocca avevano una specie di “naso” nella parte posteriore dello stesso apparato boccale; questa specie di “narici” erano le “coane”, per cui gli animali vengono detti Coanati e rappresentano dei proto-An- fibi che hanno dato poi origine alla classe vera e propria degli Anfibi alla fine di un periodo chiamato Devoniano. Alcuni di essi, infatti (Crossopterigi) hanno trasformato per esempio le loro pinne, che già cominciavano ad essere divise ed a somigliare ad una specie di dita, in zampe. In questo periodo anche l’importanza dei Trilobiti comincia a scemare ed a cedere posto alle Ammoniti che aumenteranno di rilevanza fino alla loro estinzione, come detto, dello stesso periodo dei Dinosauri. Intanto anche le piante si evolvono dando spazio a specie più grosse ed addirittura ad alberi. Arriviamo così al periodo del Carbonifero, a quello, come indica il nome, caratterizzato da grossi giacimenti di carboni, ovviamente fossili. In questa fase sono le conifere a farla da padrone. Adesso siamo in presenza di Fanerogame, cioè di piante con semi, ma ancora un po’ lontani dai prati fioriti odierni perché si tratta di Gimnosperme, di piante quindi senza fiori. Se avessimo potuto guardare una foresta del periodo, avremmo potuto vedere un bosco diverso da come potremmo immaginarlo oggi: conifere immerse fra grosse felci e piante rampicanti, ma senza volo e canto di uccelli come sottofondo, senza fiori e perciò senza farfalle variopinte, magari qualche libellula come la “meganeura” che aveva un’apertura d’ali di oltre 70 cm! In questo periodo gli anfibi –ex-pesci escono ancora dalle acque per addentrarsi sulla terraferma e così un po’ alla volta le fasi evolutive differenziano sempre più le specie e sempre più si creano nuovi gruppi: è il periodo in cui compaiono i primi Rettili. Ecco: in questa rapidissima carrellata siamo arrivati al Permiano di 225 milioni di anni fa. I Trilobiti sono quasi scomparsi. Ma come erano questi animaletti? Lo stesso nome ci può dare un’idea: trilobite sta per “tre lobi” in cui era diviso il suo corpo. La foto riporta un fossile (appartenente alla mia collezione) di circa 5-6 cm. ma potevano essere sia più piccoli di un centimetro sia più grandi di mezzo metro. Come si vede, le dimensioni già raggiungevano valori ragguardevoli! La maggior parte comunque era di dimensioni inferiori ai 10 cm. La divisione in tre parti non è da confondere con la classica degli insetti, ben visibile nelle vespe per esempio, cioè capo, torace e addome; oltre a quella, pur esistente, vi era anche una divisione longitudinale in lobi, lungo il corpo stesso. Questi, essendo costituito da una sostanza dura, ha rappresentato una buona predisposizione alla conservazione come fossile ed infatti rappresenta un cosiddetto fossile-guida, uno di quelli cioè che individuano bene una certa zona stratigrafica (quando se ne trovano), sia dal punto di vista temporale, perché apparsi e vissuti solo in un determinato periodo, come abbiamo visto, sia dal punto di vista geomorfologico perché vivevano in un determinato ambiente di scarpata o di piattaforma. Questo ambiente era quello posto nelle vicinanze delle coste continentali oppure in mari interni poco profondi e i trilobiti, insieme ad altri animali, vivevano nuotando in queste acque basse oppure, ed erano la maggioranza, sul fondo marino. Rappresentavano "" 21 galaxia cioè quella che si definisce fauna neritica, (anche se qualche specie si era portata in ambiente più lontano pelagico - cfr figura a destra). Anzi le specie che prediligevano il fondo erano, come spesso accade, anche con vista ridotta se non ne erano addirittura privi data l’oscurità: stiamo parlando di acque basse nel senso che raggiungevano però anche qualche centinaio di metri. Sempre sul fondo alcune specie trovavano riparo nella sabbia, e qui ci ricordano un po’ le sogliole, oppure talaltre per difendersi si raggomitolavano su se stesse a fare una pallina “corazzata”, come oggi vediamo fare da tanti animali, per esempio il globulis, (porcellino di terra, quell’animaletto di si e no un centimetro che da qualche parte viene chiamato “porcellino di S.Antonio o S.Francesco). Il loro corpo infatti era suddiviso in metameri, parti separate l’una dall’altra, completamente o in modo articolato, in modo da formare quella specie di corazza pieghevole che ne permetteva l’arrotolarsi, tipo appunto globulis o attuale armadillo. Ogni metamero poi era provvisto di appendici che a volte servivano all’animaletto per la deambulazione. E come accade spesso in queste specie, un’altra caratteristica era quella di “mutare” gettando via il vecchio involucro chitinoso per dare posto al nuovo. La classificazione scientifica li pone al Philum degli Arthropoda, la stessa di tanti altri sottotipi, quali artropodi, crostacei, insetti, ma hanno un subphilum tutto loro, appunto dei Trilobita. www.mensa.it Nell’area riservata ai Soci Mensa in regola con l’iscrizione (*): Elenco Soci e Aggiornamento dati personali, Galleria Foto e Area Download, Chat e Forum, Biblioteca e Calendario Eventi, Organigramma e FAQ - Domande Frequenti, Mensa News e Memento, ... (*) Modalità per il rinnovo della quota associativa 2006 a pagina 31. 22 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 ambiente neritico ambiente pelagico livello di alta marea piattaforma continentale livello di bassa marea – 200 mt scarpata continentale Dalle circa 1400 specie, divise in 7 ordini, e dal fatto che i fossili sono rinvenuti in rocce di diverso tipo, come arenarie, scisti, calcari, ecc., si può intuire che essi abbiano avuto una diffusione molto varia; come dicevamo, pur essendo maggiormente di ambiente vicino alla costa, qualche specie si è “allontanata” perfino a diventare plantonica, cioè di mare aperto. E così, pur avendo il massimo di diffusione nel periodo Siluriano, alla fine del Paleozoico queste creaturine sono scomparse; quindi un terreno con considerevole presenza dei suoi fossili possiamo datarlo al di sopra dei 225 Ma. In Italia per esempio vi sono siti in alcune zone della Sardegna e della Sicilia e sulle Alpi Carniche. Ma come mai in questo periodo ci fu una estinzione di massa? Anche per questo evento qualcuno ipotizza la caduta di un meteorite sulla Terra. Altri studiosi invece, considerando che in 500 Ma si sarebbero dovuti verificare almeno 500 impatti meteorici di grosso calibro, si chiedono come mai invece si siano riscontrate solo 67 grosse estinzioni, inoltre un fenomeno di questo tipo dovrebbe interessare di più la superficie terrestre che l’ambiente marino. I primi ribattono che di grosse collisioni se ne verificano una ogni 100 milioni di anni e non una ogni milione. E’ ovvio che la ricerca non verte su questa evenienza meramente statistica ma su altri studi ed indagini, così come è accaduto per l’estinzione dei Dinosauri la cui ipotesi di collisione è iniziata dal ritrovamento di un anomalo accumulo di iridio in alcune rocce coeve. Famoso è diventato quello della nostra zona di Gubbio. Nonostante ciò però si resta ancora nel campo delle ipotesi, perché la stessa anomala concentrazione dell’elemen- to potrebbe essere stata provocata da un incremento di eruzioni vulcaniche che nei periodi lontani erano certamente più abbondanti. Per quanto riguarda l’estinzione del Permiano in particolare ci si rifà ad alcuni ritrovamenti di quarzo notevolmente deformato che dimostrerebbero un evento catastrofico tipico della collisione con un asteroide, che si ipotizza sia caduto in Australia. Altri però, suppongono che anche per questa estinzione ci sia stato un intensificarsi del vulcanismo con eruzioni oggi inimmaginabili. Poi c’è addirittura un’altra ipotesi, considerata magari piuttosto fantasiosa, che presupponeva una stella “gemella” del Sole, che a questo punto quindi sarebbe stata una stelladoppia, che periodicamente avrebbe interagito con la nube di Oort (quella che circonda il nostro Sistema Solare), provocando una pioggia di comete infrantasi sui pianeti e quindi sulla Terra. Al di là di quanto si sta ancora analizzando comunque ciò che conta è che, come si diceva prima, la vita di un pianeta non si estingue quasi completamente con un evento violento come la caduta di un meteorite o una cometa, o anche con una seria di eruzioni vulcaniche, siano esse marine o terrestri; però tutto quello che segue a livello ambientale, riscaldamento dell’atmosfera, incendi, effetto-serra, piogge acide, radioattività, interruzione della fotosintesi, ecc., ha potuto certamente portare al collasso di buona parte delle specie esistenti, lasciando una distesa di terre desolate quasi senza più vita. C’è chi si chiede a questo punto anche quando avverrà la prossima, e da chi o cosa sarà provocata. # galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 “L’equazione di Dio” P arlando nella mailing list della redazione di Memento della pubblicazione dell’articolo di Francesco Morena (in questo numero, pag. 10) Cecilia Deni commentava: ... e magari, in parallelo, si potrebbe citare il bel libro di Robert J. Sawyer L’equazione di Dio, tutto incentrato sull’argomento in questione e pubblicato da Mondadori al n. 1414 della collezione ... Urania. Non scherzo, è davvero bellissimo. P.S. Tanto per darvi un’idea. Da pag 19 del succitato: “... Mi strinsi nelle spalle: era un argomento vastissimo. – Siamo a conoscenza di cinque estinzioni di massa nella storia della terra – risposi – La prima avvenne alla fine del periodo ordoviciano, forse 440 milioni di anni fa. La seconda nel tardo devoniano, circa 365 milioni di anni fa. La terza, di gran lunga la maggiore, al termine del permiano, 225 milioni di anni fa. Hollus mosse i peduncoli in modo tale che per un attimo i globi poculari si toccarono con un debole clic prodotto dal contatto del rivestimento cristallino – Precisa meglio questa terza estinzione. – In quel periodo scomparve forse il 96% delle specie marine e si estinsero i tre quarti delle famiglie di vertebrati terrestri. Abbiamo avuto un’altra estinzione di massa nel tardo triassico, circa 210 milioni di anni fa. In quel caso abbiamo perduto un quarto delle famiglie, comnpresi tutti i labirintodonti; forse fu un evento cruciale per i dinosauri, creature come quella di cui reggi il cranio, che stavano per avere il predominio. 65 milioni di anni fa si verificò la più nota estinzione di massa, al termine del cretaceo – Indicai di nuovo il cranio di Troodonte – Proprio allora scomparvero i dinosauri, pterosauri, mosasauri, ammoniti e altre specie.” # Il dottor Stranamore ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (*) di Federico “JollyRoger” Cantoni D’OH! C ome vediamo quindi gli avanzatissimi sistemi tecnologici di difesa non erano poi così perfetti. A titolo di esempio, nel 1980 si verificavano ogni giorno, secondo i senatori Goldwater e Hart, 140 missioni aeree di controllo per contatti radar fasulli, di cui 35 per falsi “blip” radar ritenuti potenzialmente minacciosi. I falsi allarmi furono frequenti per tutto il periodo della Guerra Fredda, ma la maggior parte di essi non arrivò mai a costituire un vero pericolo, grazie alla prontezza degli operatori. Tuttavia, non possiamo non sottolineare che in diversi casi come quelli riportati (e in altri che ancora sono sotto segreto), è mancato veramente poco a scatenare una guerra: sarebbe bastata una coincidenza, un po’ di sfortuna o una persona con meno scrupoli morali. I pericoli però non derivarono solo da screzi tra nazioni. In 50 anni, dal 1950 al 1999 furono innumerevoli le minacce nucleari dovute al semplice trasporto o alla manutenzione delle testate, i “nuclear incidents”, alcuni molto gravi. Spesso questi incidenti hanno lasciato “eredità” importanti come bombe abbandonate o disperse in mare; alcune ancora oggi non si sa dove siano, e col tempo aumenta il rischio che il guscio della bomba perda resistenza e il materiale fissile trovi una via d’uscita, inquinando gli oceani. Ad oggi siamo in possesso solo di una parte dei dati relativi a questi incidenti, per la maggior parte relativi alle forze della NATO. Sebbene molti di questi incidenti si- Terza e ultima parte - Le prime due parti sono state pubblicate sui precedenti numeri di Memento. (*) ano stati secretati dalla Marina USA, sono documentati tra le sole forze occidentali almeno 570 “eventi” di questo tipo, di cui 380 tra il 1965 e il 1977. Qui riportiamo i maggiori, i più gravi o i più insoliti, quasi tutti appartenenti alle categorie “Broken Arrow” e “Faded Giant”. 13 febbraio 1950 Un bombardiere B-36 “Peacemaker” in volo sul Pacifico è colpito da un’avaria meccanica durante una missione di combattimento simulata. Avendo il pieno complemento di armamenti a bordo per la simulazione, trasporta anche una bomba nucleare. Per evitare il disastro sgancia tutti gli ordigni da 4000 metri, poco prima di schiantarsi in mare aperto. Le bombe tradizionali esplodono, ma non l’atomica che è ancora dispersa in un punto imprecisato dell’oceano. 11 aprile 1950 Un B-29 “Superfortress” precipita su una montagna in Nuovo Messico, vicino alla Kirtland Air Force Base. La bomba viene totalmente distrutta dall’esplosione del detonatore, ma fortunatamente la capsula nucleare a bordo non era stata ancora inserita per l’esercitazione. Sulla superficie desertica rimane un cratere di 13 metri profondo 6. 5 agosto 1950 Un altro B-29 precipita in decollo vicino a un campo di roulotte abitato da 200 famiglie. Fortunatamente le bombe nucleari sono inattivate, ma l’esplosione delle armi convenzionali causa diciotto morti e sessanta feriti. Le capsule nucleari vengono recuperate intatte, mentre le bombe sono distrutte dall’esplosione dei detonatori. 10 marzo 1956 Un B-47 “Stratojet” in volo dalla Florida all’Europa svanisce nel nulla sul Mediterraneo. Il comando se ne accorge solo quando manca il secondo rendez-vous con l’aereo di rifornimento. L’aereo portava due capsule nucleari. Ancora oggi non si sa nulla su che fine abbia fatto quell’aereo. 27 luglio 1956 Un bombardiere statunitense precipita alla base di Lakenheath, UK, su "" 23 galaxia un magazzino contenente tre bombe Mark-6 da 150 Kilotoni. L’incendio danneggia le bombe, ma non fa in tempo a fare esplodere i detonatori. Un generale inglese affermò che se le bombe fossero state innescate, l’intera parte est dell’Inghilterra sarebbe diventata un deserto inabitabile. 28 luglio 1957 Un C-124 “Globemaster” in volo sull’Atlantico è costretto a scaricare le bombe, incluse due nucleari, nell’Atlantico in seguito ad una inspiegabile perdita di potenza su due motori. Nessuna delle due bombe è mai stata trovata, e non se ne sono trovati neppure i rottami. 31 gennaio 1958 Un B-47 esplode in decollo a Sidi Slimane, Marocco, per un guasto ad un carrello che distrugge i serbatoi di carburante. La bomba atomica a bordo non esplode, ma c’è una perdita di radiazioni. Il relitto è fortemente contaminato, mentre nella zona circostante l’irraggiamento è limitato. Febbraio 1958, data sconosciuta A Greenham, Inghilterra, un B-47 è costretto a scaricare due serbatoi esterni da 2500 metri di altezza per problemi al decollo. I serbatoi mancano l’”area sicura” e colpiscono un altro B47 pronto al decollo con due armi nucleari a bordo. L’incendio viene domato in 16 ore, dopo l’esplosione dei detonatori delle due bombe e la dispersione in aria di uranio e plutonio, con conseguente irraggiamento del personale impegnato a impedire all’incendio di raggiungere gli hangar in cui si trovano altri aerei armati. 5 febbraio 1958 Un F-86 “Sabre” e un B-47 “Stratojet” hanno una collisione in volo in una missione simulata in Florida. Poco prima di cadere, il B-47 rilascia la sua testata nucleare, che cade in mare e dopo diverse ricerche viene considerata dispersa. 11 marzo 1958 Un guasto ad un B-47 “Stratojet” fa cadere una bomba atomica su Mars Bluff, South Carolina. Esplode solo il detonatore, che crea un cratere di 25 metri di diametro e 10 di profondità. 4 novembre 1958 L’ennesimo incidente ad un B-47 in 24 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 fase di decollo causa un incendio a bordo. Il detonatore esplode, ma il materiale fissile viene recuperato dalle squadre di soccorso. Un membro dell’equipaggio muore nell’incidente. 26 novembre 1958 Un incendio su un altro B-47 a terra distrugge la bomba atomica a bordo, causando una fuoriuscita di radiazioni nell’area circostante. L’esplosione viene evitata dall’intervento delle quadre di emergenza. 6 luglio 1959 Un incidente identico a quello del 26 novembre 1958 causa contaminazioni a Barksdale, Luisiana. 7 giugno 1960 L’esplosione di una tanica di elio causa la distruzione di un missile alla McGuire Air Force Base, New Jersey. L’area viene contaminata per un raggio di 100 metri quando la testata rimane per 45 minuti in mezzo ai detriti fusi e in fiamme del razzo vettore. 24 gennaio 1961 Un B-52 “Stratofortress” con due ordigni da 24 megatoni si spezza in volo e precipita sul Nord Carolina. In una bomba, cinque protezioni su sei falliscono, e l’esplosione è evitata solo per l’intervento di un interruttore automatico. L’esplosione sarebbe stata 1800 volte più potente di Hiroshima. Nonostante ciò, il nucleo di uranio arricchito della bomba distrutta è introvabile e viene considerato disperso. 4 e 20 giugno 1962 Durante un test un guasto su un razzo Thor per un esperimento in alta atmosfera costringe il controllo missione ad innescare l’autodistruzione. La testata precipita nell’oceano. L’incidente si ripete, identico, il 20 dello stesso mese. 10 aprile 1963 Il Thresher, sottomarino nucleare americano, affonda nell’atlantico uccidendo 129 marinai e disperdendo il reattore. 13 novembre 1963 Durante le operazioni di smantellamento di una testata, una combustione spontanea del detonatore causa l’esplosione di oltre 60 Kg di TNT. 8 dicembre 1964 Un bombardiere B-58 esce dalla pi- sta e si incendia. Delle 5 testate a bordo, almeno una si spezza e causa contaminazione dell’area circostante. 5 dicembre 1965 Un bombardiere A4-E Skyhawk armato con una bomba all’idrogeno B43 cade nell’oceano dal ponte della portaerei USS Ticonderoga e affonda a 5000 metri di profondità e a poche miglia dalle coste del Giappone. Una pressione simile potrebbe far detonare la bomba. Non si sa se questo sia avvenuto o se la bomba sia ancora sul fondale 17 gennaio 1966 Una collisione durante un rifornimento in volo di B-52 costringe a scaricare 4 bombe all’idrogeno su Palomares, in Spagna. L’aereo, colpito pesantemente dal tubo di rifornimento, si spezza e precipita, mentre la cisterna esplode in volo. L’esplosione di due detonatori e il cedimento di almeno un guscio spargono materiale radioattivo sui campi coltivati. 1400 tonnellate di terreno vengono rimosse e mandate negli Stati Uniti come rifiuto radioattivo. Una terza bomba cade in mare, scatenando una caccia serrata nel Mediterraneo, con 33 navi e 3000 uomini impegnati per otto giorni. La quarta viene recuperata intatta. L’incidente è costato 182 milioni di dollari in danni da risarcire al governo spagnolo. 8 gennaio 1968 Un sottomarino sovietico Golf-II con tre testate a bordo affonda a 500 Km dalle Hawaii. In seguito ad una operazione di recupero statunitense, chiamata “Progetto Jennifer”, alcune testate potrebbero essere state recuperate. Ufficialmente, sono ancora sul fondale. 21 maggio 1968 Il sottomarino nucleare Scorpion affonda nell’Atlantico, vicino alle Azzorre. Tutti i 99 uomini dell’equipaggio rimangono uccisi. Portava alcune armi atomiche sperimentali non meglio identificate. 24 maggio 1968 Un incidente al raffreddamento del reattore su un sottomarino sperimentale sovietico, il K-27 (un “Novembre” modificato), uccide cinque uomini. Poiché il guasto era troppo complesso da riparare e l’operazione sarebbe stata "" galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 pericolosa, il sottomarino è stato affondato e abbandonato a 50 metri di profondità nel fiordo di Stepovogo, vicino a Novaya Zemlia, ancora con parte del combustibile nucleare. 14 gennaio 1969 Un errore umano causa lo sgancio di una bomba da un aereo alleato sul ponte della portaerei nucleare USS Enterprise, uccidendo 25 uomini e ferendone 85. 22 febbraio 1970 Una testata di un missile Pershing cade a terra durante le procedure di manutenzione. L’area viene sigillata, ma la testata non esplode. L’incidente è causato alla noncuranza di un operatore, che ha ignorato alcune norme di sicurezza. La testata è risultata danneggiata sul cono frontale, ma il rischio dell’incidente è stato relativamente ridotto. 12 aprile 1970 In seguito ad un doppio incendio il sottomarino russo K-8, classe Novembre, affonda durante il traino in porto, uccidendo 53 marinai. Pochi mesi prima una perdita di liquido refrigerante aveva irradiato pesantemente diversi membri dell’equipaggio durante una missione nel Golfo di Napoli. La missione consisteva nel posizionare venti mine nucleari nel golfo, da usare contro la Sesta Flotta statunitense. 10 novembre 1970 Scoppia un incendio sul sottomarino nucleare USS Canopus, alla fonda in Scozia tra due altri lanciamissili atomici. L’incendio è domato dopo quattro ore, nonostante il serio rischio di esplosione dei siluri e dei missili, in parte nucleari, dei tre mezzi. 22 novembre 1975 In seguito ad una collisione tra la portaerei USS Kennedy e l’incrociatore USS Belknap, il ponte dell’incrociatore viene cosparso di gasolio e prende fuoco. L’incendio coinvolge entrambe le navi, tutte e due armate con numerosi missili nucleari. Una esplosione sulla Belknap era considerata “estremamente probabile”. 8 settembre 1977 Un sottomarino classe Delta sovietico perde per errore una testata nel Pacifico, in Kamchatka. La bomba viene recuperata. 20 settembre 1980 Un tecnico lascia cadere una chiave inglese nel silo di lancio di un missile atomico intercontinentale Titan II. La chiave colpisce uno dei serbatoi e scatena una esplosione che spazza via il portello da 740 tonnellate e lancia il missile con la sua testata da 9 megatoni a 600 metri di altezza, uccidendo un uomo e ferendone 21. La testata non esplode ma viene seriamente danneggiata. Non è confermata ufficialmente l’emissione di radiazioni. Dicembre 1980, data sconosciuta Durante un trasporto di plutonio, il ghiaccio sulla Intestate 25 fa ribaltare il camion militare vicino a Fort Collins, Colorado. Diversi altri incidenti di questo tipo sono noti, seppur scarsamente documentati. 9 aprile 1981 L’ USS George Washington, un sottomarino lanciamissili gemello dello Scorpion precedentemente citato, con a bordo 160 testate ha una collisione con un cargo cinese da 2500 tonnellate. Durante l’emersione colpisce la “Nissho Maru”, poi si riimmerge. La nave si spezza e affonda nel Pacifico, causando un incidente diplomatico tra Cina e USA a causa della mancanza di soccorsi da parte del sottomarino e degli aerei di supporto. 2 novembre 1981 Un missile nucleare Poseidon si sgancia da un cavo dalla gru che lo sta caricando sul sottomarino USS Holland, e cade per 5 metri. Il sistema di sicurezza della gru riesce a rallentare la caduta, fermando il missile a pochi centimetri dallo scafo del sottomarino. 21 marzo 1984 La portaerei Kitty Hawk si scontra con un sottomarino d’attacco sovietico classe Victor armato di due siluri nucleari. Entrambi sono seriamente danneggiati. La portaerei aveva a bordo diverse dozzine di testate atomiche. 3 ottobre 1986 Scoppia un incendio su un sottomarino sovietico classe Yankee nell’Atlantico. Tre giorni dopo, durante il traino in porto, il sottomarino affonda insieme al suo generatore nucleare. 15 maggio 1987 Viene lanciato per la prima volta un razzo vettore spaziale “Energia”, con a bordo un satellite. Il satellite in realtà è una piattaforma bellica di nome “Polyus”, armata con mine nucleari e un cannone difensivo. A causa di un errore di allineamento il satellite sbaglia l’orientamento di 180° e precipita in mare nel sud Pacifico. Le mine sono ufficialmente disperse, anche se esistono diversi progetti per il recupero. 7 aprile 1989 42 uomini muoiono nell’incidente sottomarino nucleare sovietico Komsomolets (classe “Mike”), a 140 Km dalla costa norvegese. Nonostante il Komsomolets fosse un sottomarino avanzatissimo, con doppio scafo in titanio, l’incendio a bordo e l’impatto con il fondale causarono gravi fratture nello scafo e negli impianti, che hanno portato nel tempo ad una perdita di plutonio e ad una grave contaminazione di un’area di mare adibita alla pesca. In 10 anni si sono succeduti diversi interventi per limitare la contaminazione, ma la zona verrà considerata sicura non prima del 2020. 27 settembre 1991 Un guasto ad un missile su un sottomarino nucleare russo classe Tifone (lo stesso del film “Caccia a Ottobre Rosso”) rischia di causare un’esplosione multipla dei siluri e delle testate atomiche a bordo. 20 marzo 1993 Il sommergibile nucleare classe Delta IV Novomoskovsk si scontra con il sommergibile nucleare americano USS Grayling (classe Sturgeon), nel mare di Barents. Entrambi riescono a tornare alle basi, seppur con gravi danni. 19 gennaio 1996 Un bombardiere francese Mirage 2000-N precipita nel sud della Francia dopo lo scontro con uno stormo di uccelli. L’esercito francese ha annunciato che non vi erano missili a bordo al momento della caduta, sebbene l’aereo fosse abilitato a portarne. Altre fonti danno come probabile la presenza di una testata a bordo. Forse non tutti sanno che… Alcune curiosità sulla storia degli armamenti nucleari statunitensi (costi attualizzati al 1998). "" 25 galaxia Costruzione Numero totale di missili costruiti dal 1945 ad oggi: 67.500, di 65 tipi diversi Numero di bombardieri nucleari dal 1945 a oggi: 4.680 Numero massimo di testate e bombe nucleari disponibili in un dato momento: 32.193 (nel 1966) Numero attuale di testate e bombe nucleari disponibili: 10.600 Numero di testate e bombe richieste dall’esercito nel 1956-1957: 151.000 Dimensioni Bomba più piccola mai costruita: W54 (25 Kg, 0,01 Kilotoni) Bomba più grande mai costruita: B17/B24 (21.000 Kg, 15000 Kilotoni) Dimensione totale delle basi militari americane: 40.500 Km quadrati Dimensione del Distretto di Columbia, Massachussetts e New Jersey: 39.700 Km quadrati Esperimenti Numero di test nucleari statunitensi: 1030 Primo test: 16 luglio 1945, “Trinity” Ultimo test: 23 settembre 1992, “Divider” Spesa per i test nucleari dopo il 1992: 1,2 miliardi di dollari Numero di test effettuati: 0 Test più grande: 1 Marzo 1954, 15 megatoni, “Bravo”, in Giappone Numero di atolli totalmente vaporizzati: 1 (Elugelab, nell’Enewetak Atoll, bomba all’idrogeno “Mike”) Test nel Pacifico: 106 Test nel Nevada: 911 Test nelle altre 9 installazioni di test (3 in Alaska, 2 in Colorado, 3 in New Mexico, 1 in Mississippi): 0 Risarcimenti Risarcimento agli abitanti delle isole Marshall per i test del 1956: 760.000.000 $ Risarcimenti per cause di cittadini americani relative all’esposizione a radiazioni: 225.000.000 $ Costi legali per cause intentate dagli operai addetti alla produzione di armi nucleari: 100.000.000 $ Risarcimento al Giappone dopo i test “Bravo” del 1954: 15.300.000 $ Ricerca avanzata Spesa per lo sviluppo di un propulsore nucleare per aerei: 7 miliardi di dollari Aerei nucleari prodotti: 0 Hangar per aerei nucleari prodotti: 1 26 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2006 Energia Numero di generatori militari navali: 129 Numero di generatori elettrici commerciali: 108 Numero di depositi rifiuti altamente radioattivi in Washington, Idaho e South Carolina: 239 Volume dei rifiuti radioattivi: 104 milioni di metri cubi Distrazione Numero di bombe ufficialmente perse e mai ritrovate: 11 Numero di testate ufficialmente perse e mai ritrovate: indefinito (ma oltre 50) Numero di pagine riservate nei dossier del Dipartimento dell’Energia: 280 milioni Costi Costo del Progetto Manhattan (la prima bomba atomica): 20 miliardi di dollari Costo di tutte le altre armi usate dagli USA prodotte e usate nella II guerra mondiale: 160 miliardi di dollari Costo per la costruzione di oltre 1000 missili, con basi e strutture di supporto, 1957-1964: 14 miliardi di dollari Costo del mantenimento dei missili balistici nel 1965: 2,2 miliardi di dollari Costo del mantenimento dei missili balistici nel 1995: 2,6 miliardi di dollari Sapere quanto siamo stati vicini al “Day After”…. Non ha prezzo. # Federico Cantoni 25 anni laureato in Disegno Industriale al Politecnico di Milano. Attualmente vive in Umbria, dove per passare il tempo progetta veicoli ferroviari e segretamente trama la conquista del mondo. Game-designer per hobby e scrittore prolifico quanto incostante, ha trovato uno sfogo per entrambe le attività nel Mensa, e ora non ve ne libererete facilmente. Bibliografia False Alarms on the Nuclear Front by Geoffrey Forden http://www.pbs.org/wgbh/nova/missileers/falsealarms.html History of Nuclear Close-Calls By Ryan Mauro http://www.worldthreats.com/general_information/ Worlds%20Nuclear%20Close%20Calls.htm http://skeptically.org/onwars/id20.html http://nuclearfiles.org http://www.cnn.com/SPECIALS/cold.war/episodes/12/spotlight/ http://mt.sopris.net/mpc/military/false.alerts.html http://www.globalsecurity.org/wmd/systems/mk6.htm http://www.brookings.edu/fp/projects/nucwcost/manhattan.htm www.wikipedia.org Accesso all’area riservata del sito Internet mensa.it Quasi il 95% degli iscritti al Mensa Italia è oggi raggiungibile via posta elettronica. Se non hai ancora comunicato il tuo indirizzo e-mail, scrivi a tesoriere @mensa.it specificando il tuo nome, cognome e numero di tessera (è consigliabile indicare, se disponibili, due indirizzi email con indicazione del principale). 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