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SENTENZE IN SANITÀ – CORTE DI CASSAZIONE
CASSAZIONE PENALE - sezione IV – sentenza n. 45126 del 4 dicembre 2008
Al medico non è possibile riconoscere un diritto generale a curare. È quanto afferma la Corte di Cassazione spiegando che se si prescindesse da questa considerazione "non avrebbe alcun rilievo la volontà
dell'ammalato, che si troverebbe in una posizione di soggezione su cui il medico potrebbe ad libitum intervenire, con il solo limite della propria coscienza". Al medico va solo riconosciuta "la facoltà o la potestà di curare, situazioni soggettive, queste, derivanti dall'abilitazione all'esercizio della professione sanitaria, le quali, tuttavia, per potersi estrinsecare abbisognano, di regola, del consenso della persona che
al trattamento sanitario deve sottoporsi".
Svolgimento del processo
La Corte d'Appello di Torino in data 3.04.2008 ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di
Novara in data 13.03.2007 con cui G.F.N. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art.
590 c.p., commi 1 e 2, in relazione all'art. 583 c.p., comma 2, n. 3 ai danni di P.S., accertato il
15.01.2001, con condanna alla pena di Euro 200,00 di multa.
In sintesi i fatti di causa.
P.S. veniva ricoverato, in data (OMISSIS), presso la Casa di cura (OMISSIS) per la comparsa di
una lombalgia con irradiazione dolorosa all'arto inferiore destro.
Un'indagine TAC lombare aveva evidenziato la presenza di un'ernia discale a livello L3 - L4 a
destra, su un quadro di stenosi del canale lombare.
In data (OMISSIS), il P. veniva sottoposto a intervento chirurgico, ad opera del prof. G.; l'operazione consisteva in "emilaminectomia" destra fra L3 e L4, asportazione di ernia dura, svuotamento del disco e liberazione della radice L4. Al risveglio si manifestavano le prime complicazioni: veniva, infatti, rilevata "grave ipostenia di tutto l'arto inferiore con anestesia a sella".
Il P., pertanto, veniva sottoposto a una nuova indagine TAC lombare che portava alla seguente
diagnosi: "esiti di intervento di emilaminectomia L3 - L4, discreta quantità di aria all'interno del
canale, netta profusione L3 - L4 destra in sede sotto ligamentosa, aumento di volume della radice nervosa per notevole edema, non versamenti liquidi o emorragici".
Alle ore 20:30 dello stesso giorno, il paziente era sottoposto a revisione chirurgica in urgenza,
con decompressione delle radici nervose.
Nei giorni successivi si documentava lieve recupero della funzionalità all'arto inferiore destro
con permanenza del deficit della flessione dorsale del piede.
In data (OMISSIS), il P. veniva dimesso con la seguente diagnosi: ernia discale L3 - L4, in paziente con grave stenosi del canale lombare; si prescriveva fisiocinesiterapia, carico graduale
con busto ortopedico e molla di Codivilla a destra.
E' stata acquisita in atti una dichiarazione di consenso informato (non contenuta inizialmente
nella cartella clinica ma prodotta in seguito dall'imputato), recante la data del (OMISSIS) e firmata dal P.: in essa viene indicato l'intervento chirurgico ma non vi è traccia dell'indicazione
della stenosi del canale lombare né di eventuali rischi operatori nascenti da tale condizione.
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CASSAZIONE PENALE – SENTENZA N. 45126/2008
In seguito a querela, ritualmente sporta dalla persona offesa, la Procura della Repubblica di Novara affidava l'incarico di redigere la consulenza tecnica al dott. F., che all'esito non scorgeva
alcun profilo di colpa professionale nell'operato del G..
Si rilevava da parte del consulente che la sindrome della cauda equina, causa dei rilevanti deficit
di cui è rimasto colpito il paziente, rientra nelle possibili complicanze operatorie degli interventi
di ernia discale. Il quadro clinico rendeva inevitabile l'intervento, che ineluttabilmente diventava
più rischioso rispetto alla norma per la contemporanea presenza di una stenosi del canale spinale
a livello dell'ernia discale di cui era proprio affetto il paziente.
Alla luce del parere del Consulente Tecnico, il Pubblico Ministero titolare dell'indagine presentava al GIP richiesta di archiviazione, ma tale istanza veniva respinta. La seconda consulenza
tecnica, disposta dalla Procura della Repubblica al fine di colmare eventuali lacune della relazione del dott. F., veniva affidata al prof. V., le cui conclusioni furono sfavorevoli per l'imputato, per cui il Pubblico Ministero esercitò l'azione penale nei confronti del professionista, in particolare il nuovo consulente, riguardo alla colpa, affermava che è pacifico che la presenza di
stenosi determina maggior rischio di complicanze operatorie.
All'esito del dibattimento i Tribunale ha individuato nel non riconoscimento di un tale fattore di
rischio specifico la colpa di imperizia addebitabile all'imputato ed inoltre rileva che la riprova è
data da fatto che nella dichiarazione di consenso informato non vi è alcun riferimento alla condizione di stenosi e di suo rischio.
La Corte Territoriale ha fatto proprio l'impianto motivazionale della sentenza di primo grado respingendo la richiesta dell'imputato di disporre una perizia collegiale in sede di rinnovazione
dibattimentale.
Propone ricorso per Cassazione il G. con il Ministero del suo difensore, denuncia:
1. Mancanza di motivazione in relazione alle argomentazioni del C.T. indicato dalla difesa
dell'imputato. La Corte territoriale si limita a ribadire quanto già il Tribunale aveva affermato;
la tecnica suggerita dal C.T. del P.M. è la più adeguata ad affrontare il caso concreto, caratterizzato da una patologia di stenosi del canale lombare. Ma tale succinta affermazione non appare
sufficiente a chiarire il motivo per il quale l'approccio del G. viene considerato errato, anche e
soprattutto, per la presenza in atti di una consulenza di parte di segno diametralmente opposto. Il
prof. D., consulente di parte, critica aspramente la scelta suggerita dal prof. V. di eliminare l'ernia del disco mediante l'intervento di artectomia, ritenendo che l'emilaminectomia, cui ha fatto
ricorso l'imputato, è la migliore in quanto l'ernia può essere facilmente asportata non essendoci
più ostacoli (1,5 lamina appunto) che si frappongono tra il chirurgo ed il disco alletto da ernia.
Mentre la artectomia che consiste nella rimozione delle articolazioni dei segmenti di colonna, al
fine di raggiungere il punto in cui si sviluppa l'ernia da rimuovere, destabilizza li segmento di
colonna interessato dall'intervento, dato che viene a mancare un appoggio della zona vertebrale,
con danni peggiori di quelli dell'ernia precedente.
2. Mancanza di motivazione rilevante in ordine alla possibilità di ricondurre l'insorgere della
"sindrome della cauda equina" alla tipologia di intervento eseguita dal G..
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L'imputato si è sempre difeso sostenendo come tale patologia non potesse essere conseguenza
diretta dell'intervento effettuato dall'imputato. Sostanzialmente si adduce che la compressione
del midollo, causa della sindrome della cauda equina, non può essere stata provocata dal chirurgo che ha operato in corrispondenza delle vertebre L4 ed L5, in una zona molto più a valle rispetto al punto in cui termina il midollo. La consulenza del V. sul punto è viziata da un grave
errore scientifico in quanto trascura tale ultimo particolare.
3. Errata applicazione della legge penale in relazione agli artt. 43 e 590 cod. pen..
Il giudice di secondo grado ammette, implicitamente, che l'esecuzione di un diverso metodo operatorio (quello suggerito dal V.) non avrebbe, in ogni caso, avuto come conseguenza la completa guarigione del P. il quale avrebbe comunque postumi di natura fisica.
Nel caso concreto il G. si è trovato ad operare una scelta in una situazione assai delicata nella
quale l'utilizzo dell'una o dell'altra tecnica operatoria non sarebbe stata comunque esente da
conseguenze, anche di una certa gravità. Ove il medico ha la possibilità di scelta, per mezzo della propria discrezionalità e facendo riferimento alla propria sensibilità di professionista, di diverse soluzioni tecniche, nessuna delle quali è esente da rischio per il paziente non può essere
censurato per l'una o l'altra scelta in quanto egli ha optato per la tecnica ritenuta più collaudata e
maggiormente sicura e che non avrebbe provocato con ogni probabilità pericolose ricadute al
paziente. Il parametro di riferimento secondo la giurisprudenza di questa Corte, in casi in cui sia
richiesta la soluzione di problemi di elevata difficoltà tecnica è rappresentato dalla "cd. colpa
grave" caratterizzata dalla presenza di errori di valutazione di elevata portata, connotanti un
ragguardevole grado di imperizia. Quando si tratta di affrontare quadri cimici complessi al singolo professionista è riconosciuta ampia discrezionalità nella scelta della cura o della tecnica
operatoria, ritenuta maggiormente appropriata al caso concreto. L'aver scelto una tecnica operatoria, in presenza di orientamenti non uniformi nella stessa letteratura medica, non può rappresentare un profilo di responsabilità e, pertanto, non giustifica una condanna.
4. Erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 40 e 590 c.p.. La Corte d'Appello afferma che la colpa dell'imputato consiste, in ogni caso, nel non aver offerto al paziente P.
S., prima dell'intervento, quella corretta informazione sulle sue condizioni patologiche che gli
avrebbe permesso la scelta più adeguata e consapevole circa la tecnica chirurgica da adottare,
eventualmente ricorrendo ad altro specialista neurochirurgo o ortopedico.
Tale argomentazione appare del tutto contrastante con i principi che, nel nostro ordinamento
giuridico, regolano il "nesso di causalità".
Al riguardo, è sufficiente notare che l'art. 40 c.p. stabilisce che nessuno può essere punito per un
fallo preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso (..) non è conseguenza della sua azione o omissione.
Nel caso in esame, le conclusioni alle quali è addivenuta la Corte d'Appello di Torino sono nettamente contrarie all'orientamento dottrinale e giurisprudenziale sopra riferito.
L'affermazione secondo la quale le lesioni non si sarebbero verificate se il paziente fosse stato
informato sulla patologia di stenosi del canale vertebrale della quale soffriva, non tiene in debita
considerazione un aspetto fondamentale.
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I giudici di secondo grado, infatti, danno per scontato che il P. avrebbe scelto di rivolgersi ad un
altro specialista, optando per un diverso metodo operatorio.
Tale circostanza può essere smentita facilmente, prendendo in considerazione il fatto per cui,
l'intervento alternativo suggerito dal Consulente del Pubblico Ministero, e che, secondo l'imputazione, doveva essere eseguito dal G., non era scevro di conseguenze fisiche, anche gravi per il
paziente.
Motivi della decisione
I motivi addotti sono infondati sicché il ricorso deve essere rigettato.
Benché i motivi posti a base del ricorso siano stati diversificati (i primi due riguardano un vizio
motivazionale ed il terzo ed il quarto errori di applicazione della legge penale) sostanzialmente
essi vengono modulali partendo da un unico dato della contestazione:
quello di aver ritenuti) l'imputato responsabile del reato ascritto per aver optato per una tecnica
operatoria non ritenuta, dal consulente V., la più adeguata ad affrontare il caso concreto. Si censura, quindi, la sentenza impugnata per avere la Corte d'Appello avallato, con motivazione insufficiente e contraddittoria, la soluzione indicata dall'ausiliario, nonostante fossero di diverso
avviso sia il primo C.T. del P.M. sia il C.T., di parte con argomentazioni scientifiche altrettanto
valide.
L'osservazione non è aderente ad una lettura attenta dell'impugnato provvedimento, atteso che la
Corte Territoriale si sofferma sulle ipotesi alternative avanzate dal consulente della difesa con
particolare riferimento alla valutazione del rischio pre-operatorio ed al comportamento tenuto
dal sanitario in riferimento ad esso e alle accortezze ed ai presidi medici adottati.
A tal riguardo, la giurisprudenza costante di questa Corte ammette, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle
prove, la possibilità del giudice di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi
soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni
contrarie delle parti, sicché, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in
sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poiché si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Cass. sez. 4^ 20 maggio 1989 n. 7591 rv.
181382).
Pertanto, non coglie nel segno la censura del ricorrente circa il recepimento acritico delle risultanze peritali e gli assunti assiomatici della sentenza.
Ciò posto, partendo da dato pacifico che la colpa attribuita al ricorrente non consiste in una condotta omissiva, bensì commissiva, va considerato che, in tema di responsabilità per delitto colposo posto in essere nell'esercizio della professione medica, questa Corte ha già affermato che
la scelta compiuta dal sanitario il quale, tra due possibili decisioni, abbia adottato quella ritenuta
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la più rischiosa, integra una ipotesi di condotta imprudente (Cass. 9.7.2001 n. 36590; conforme
Cass. 2.10.1990 n. 14446).
Ne consegue che il principio ritenuto dalla Corte di Appello di Torino è in linea con i principi
espressi dalla Corte di Cassazione, allorché il medico, nell'esercizio della sua attività professionale, dinanzi ad una scelta di una terapia, ovvero, di optare tra differenti modalità di esecuzione
di in intervento chirurgico, come nel caso di specie, decida, contrariamente ai canoni noti della
scienza medica, di compiere l'operazione più rischiosa, in riferimento ai postumi derivanti, ancorché più semplice nella esecuzione, per la persona da lui curata.
Nel caso di specie il profilo della condotta colposa è costituito nell'aver adottando una tecnica
chirurgica per rimuovere l'ernia discale, di cui era affetto il paziente, inadeguata per la presenza
della stenosi lombare (chiaramente diagnosticata all'esito della TAC effettuata il (OMISSIS)) e
di non avere quindi, valutato il maggior rischio operatorio. Evidenzia il consulente V. che il G.
operò con un approccio classico cioè obsoleto, mentre in presenza di stenosi sarebbe stato più
indicato un approccio diverso e cioè più laterale: si sarebbero cioè dovuti praticare una parziale
artectomia, ampie flavectomia ed emilaminectomia per ridurre al minimo lo spatolamento della
radice e del sacco durale per raggiungere il disco.
I giudici di appello riportano in sentenza ulteriori valutazioni di carattere scientifico del consulente esposte in dibattimento in riferimento al caso concreto, ritenendole del tutto esaustive e
convincenti anche alla luce delle considerazioni contrarie del consulente della Difesa prof. D..
In ragione di tutti questi dati nella sentenza impugnata si esclude qualsiasi dubbio sul fatto che
la tecnica indicata dal V. sia la più adeguata perché evita quel fenomeno di maggior compressione sul e radici dello spatolamento in cui, per stretta contiguità temporale e per la specificità
delle terminazioni nervose lese, va riconosciuta la concausa della lesione prodotta.
Di conseguenza, stante la congrua motivazione sul punto, si ribadisce che è inibito al giudice di
legittimità di procedere ad una differente valutazione, poiché si è in presenza di un accertamento
in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione.
In riferimento alle osservazione dei consulente della difesa e, con particolare riguardo all'elemento del nesso causale tra la condotta, scelta operatoria, e l'evento, grave lesione (sindrome
della cauda equina che si determina per compressione dei segmenti inferiori di midollo), la Corte Territoriale rileva che il prof. D. ha affermato che la lesione è stata causata da un danno di natura vascolare, cioè da una sorta di ischemia che, portando sangue al midollo, lo ha compresso.
Contesta, quindi che la compressione sia avvenuta a livello L3 - L4 (zona oggetto del primo intervento), e la riporta ad una diversa altezza (L1 interessante il midollo) e poiché in quella zona
non si operò, ne deduce che la compressione sarebbe avvenuta per emorragia.
E' indubbio, che se fosse condividibile tale valutazione scientifica non si potrebbe collegare il
verificarsi della grave lesione alla condotta operatoria dell'imputato.
Ma la Corte ne rileva la infondatezza oltre che la tardività.
Quanto alla prima, osserva che la ricostruzione operata dal prof. D. è stata "sconfessata non solo
da tutti i dati clinici che si sono riportati, ma dalle stesse osservazioni tecniche svolte personalmente dall'imputato".
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Diversamente da quanto sostenuto dal consulente del ricorrente, la TAC e la RNM lombo sacrale d'urgenza effettuate subito dopo il risveglio dalla prima operazione evidenziarono una grave
compressione ed un grosso edema proprio a livello L3 - L4, zona oggetto dell'operazione. Lo
stesso G. né la sua memoria difensiva, non fece alcun riferimento ad una possibile emorragia
come causa della compressione midollare, ma invece individuò precisamente nella stenosi del
canale vertebrale la principale causa della grave lesione.
Quanto alla tardività della tesi difensiva, quest'ultima ribadita con i motivi posti a sostegno del
ricorso di cui trattasi, la Corte territoriali osserva che il G. non mise mai in dubbio che la grave
lesione tosse stata la sommatoria di stenosi preesistente e compressione in sede chirurgica, perché tale compressione era ritenuta inevitabile. E solo dopo, con la relazione tecnica del prof. D.,
che si mette in discussione la ricostruzione della vicenda tale da esonerare l'imputato di ogni responsabilità prima professionale e poi penale. Risulta evidente che era necessario demolire la
tesi accusatoria circa la errata scelta operatoria.
Per altro, e l'aspetto acquista una valenza assorbente in ordine alle censure mosse dal ricorrente,
non è fuor di luogo osservare che, come rileva il giudice di appello, lo stesso G. finisce per accreditare la scelta proposta dal V. come la migliore, dal punto di vista neurologico, tant'è che
con questa tecnica il paziente viene, sotto la sua supervisione, operato la seconda volta, por alleviare l'edema e svuotare la cavità.
E, non c'è chi non veda come i motivi addotti dal ricorrente ineriscono, quindi, anche se diversamente modulati, alla ricostruzione dell'intervento chirurgico sulla base della consulenza tecnica D..
È indubbio lo sforzo argomentativo profuso per far rientrare nella previsione normativa dell'art.
606 c.p.p., lett. e) quella che è una mera valutazione del fatto.
Sul punto, la Corte di Cassazione ha formulato un orientamento costante ed irreversibile, secondo il quale "l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui
vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e,
in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la
mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali".
In particolare, poi, l'illogicità dello motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente,
cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, emergendo direttamente dal testo impugnato.
Nulla di tutto ciò si ravvisa nella specie, essendo la motivazione della sentenza di appello congrua e logica.
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Passando all'esame del terzo motivo l'errata valutazione circa la scelta della tecnica operatoria
ha legittimamente fatto ritenere alla Corte territoriale l'esistenza di una colpa grave, in quanto
trattasi di canoni fondamentali della scienza medica neurologica e di situazioni non rare, allorché sia presente la stenosi del canale lombare, chiaramente evidenziata in precedenza.
Ritiene, peraltro, questo Collegio che la colpa grave si individua anche nella circostanza che
trattasi di un medico specialista le cui cognizioni in materia neurologica non possono essere parificate a quelle di un medico generico (Cass. 2.10.1990, Fonda; Cass. 18.2.1983, Rovacchi).
Pertanto, non ravvisandosi questo collegio, diversamente da come opina la Corte territoriale, nel
caso concreto la colpa professionale del medico per imperizia (atteso che inevitabilmente la tecnica operatoria scelta, sebbene eseguita in maniera corretta, avrebbe comportato gli esiti lesivi
di cui trattasi), che richiede la colpa grave per configurare il delitto di lesioni colpose (art. 590
c.p.), è la mera imprudenza quella che si contesta all'imputato (Cass. 23.8.1994 n. 11695); la valutazione del giudice di merito è proprio conseguenza del ritenuto grave approccio all'intervento
chirurgico da parte del ricorrente nella pur sua consapevolezza di una situazione patologica pregressa (stenosi del canale lombare) che avrebbe richiesto di intervenire in maniera diversa, per
cui ben si configura il particolare tipo di colpa previsto dall'art. 43 c.p..
Va, pertanto, ribadito che "la colpa del medico, che è una delle cosiddette colpe speciali o professionali, proprie delle attività giuridicamente autorizzate perché socialmente utili anche se rischiose per loro natura, ha come caratteristica l'inosservanza di regole di condotta, le leges artis,
che hanno per fine la prevenzione del rischio non consentito, vale a dire l'aumento del rischio.
La prevedibilità consiste nella possibilità di prevedere l'evento che conseguirebbe al rischio non
consentito e deve essere commisurata al parametro del modello di agente, dell'homo eiusdem
professionis et condicionis, arricchito dalle eventuali maggiori conoscenze dell'agente concreto"
(Cass. 28.4.1994, Archilei; conforme Cass. 21.11.1996, Spina).
Con il terzo motivo si censura di illogicità la motivazione della sentenza impugnata anche in riferimento al fatto che l'utilizzo dell'una o dell'altra tecnica operatoria non sarebbe, comunque,
stata esente da conseguenze di una certa gravità. Anzi, si è addotto che la scelta della tecnica
operatoria optata dall'imputato comporta un rischio del solo 2,9%, mentre quella indicata dal V.
avrebbe comportato un rischio di lesioni pari al 9%.
La considerazione, sebbene suggestiva, è mal posta.
Sul punto la Corte di appello rileva che il CT V. ha ben spiegato che la più alta incidenza di postumi della tecnica dell'artectomia (quella da lui suggerita), riportata in letteratura, è dovuta alla
maggiore problematicità delle patologie che vengono affrontate con quella tecnica rispetto a
quelle molto meno preoccupanti di mera ernia del disco. Vale a dire che, se non ci fosse stata la
pregressa patologia della stenosi lombare, l'indicazione chirurgica per intervenire sull'ernia del
disco era quella della emilaminectomia (quella utilizzata dal G.) e non certamente quella dell'artectomia. Dunque, è pienamente da condividere il rilievo dei giudici di merito, secondo cui "non
è possibile effettuare una mera comparazione fra le due percentuali di complicanze per dedurre
la preferenza per la tecnica adottata dall'imputato perché le condizioni di fatto specifiche in cui
versava il P. erano invece indicative del secondo - seppur maggiormente invasivo -intervento".
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E per altro, su specifico rilievo del V., i rischi di postumi riferiti dal D. nascenti dalla tecnica
suggerita dal primo, non avrebbero avuto conseguenze di tipo irreversibile come quelle neurologiche, ma solo conseguenze ortopediche, come tali affrontabili ed recuperabili.
Da ultimo, quanto al quarto motivo, e rimasto fatto incontestabile che il contenuto del consenso
informato firmato dal P., acquisito in atti, è carente; sul punto oltre al consulente V., lo stesso
consulente dell'imputato, hanno riconosciuto che non conteneva affatto il fattore di rischio di cui
si è parlato e direttamente incidente sulle scelte terapeutiche.
Ciò che, infatti, contesta il ricorrente non è tanto l'incompletezza del consenso, quanto il fatto
che il P., se debitamente e completamente informato, avrebbe scelto di rivolgersi ad un altro
specialista, optando per un diverso metodo operatorio.
Orbene, riportandoci alla giurisprudenza di questa Corte in tema di "consenso informato", richiamata nella impugnata sentenza (Cass. Sez. 4^, sentenza del 16.01.12008 n. 113335, Huscher, che, a sua volta richiama quella della stessa sezione dell'11 luglio 2001, Firenzani, ed anche Sezione 6A 14 febbraio 2006, Caneschi), la legittimità di per sé dell'attività medica richiede
per la sua validità e concreta liceità, in principio, la manifestazione del consenso del paziente, il
quale costituisce un presupposto di liceità del trattamento medico chirurgico.
Il consenso afferisce alla libertà morale del soggetto ed alla sua autodeterminazione, nonché alla
sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto della propria integrità corporea, le quali sono tutte profili della libertà personale proclamata inviolabile dall'art. 13 Cost..
Ne discende che non è attribuibile al medico un generale diritto di curare, a fronte del quale non
avrebbe alcun rilievo la volontà dell'ammalato, che si, troverebbe in una posizione di soggezione su cui il medico potrebbe ad libitum intervenire, con il solo limite della propria coscienza;
appare, invece, aderente ai principi dell'ordinamento riconoscere al medico la facoltà o la potestà di curare, situazioni soggettive, queste, derivanti dall'abilitazione all'esercizio della professione sanitaria, le quali, tuttavia, per potersi estrinsecare abbisognano, di regola, del consenso
della persona che al trattamento sanitario deve sottoporsi.
Il consenso informato ha, come contenuto concreto, la facoltà non solo di scegliere tra le diverse
possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere
consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale (v. Cass.
civile Sezione 3A, 4 ottobre 2007, n. 21748).
Alla luce di tali considerazioni appaiono infondate le argomentazioni del ricorrente.
La mancanza del consenso del paziente o l'invalidità del consenso determinano l'arbitrarietà del
trattamento medico chirurgico e, quindi, la sua rilevanza penale, in quanto compiuto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo.
Ciò posto, è del tutto fuor di luogo ipotizzare quale potrebbe essere stato il comportamento consequenziale del paziente se fosse stato avvertito dei rischi cui andava incorso palesandogli la reale situazione clinica, atteso che gli si è negata la possibilità di optare per una scelta diversa ed,
in concreto, quella adottata dal medico, in assenza di un consenso informato valido, gli ha procurato i postumi invalidanti di cui trattasi.
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Va anche ricordato che questa Corte con sentenza della 6^ sezione n. 11640 del 14.02.2006, rv.
23851, ha affermato che in tema di lesioni colpose, il consenso del paziente ad un trattamento
medico - che non si identifica con quello di cui all'art. 50 cod. pen., ma che costituisce un presupposto per la validità e liceità dell'attività medica - perde di efficacia, ancorché consapevolmente prestato in ordine alle conseguenze lesive all'integrità personale, se queste si risolvano in
una menomazione permanente che incide negativamente sul valore sociale della persona umana.
(Nella specie, è stato ravvisato il reato di lesioni personali colpose in relazione ad un intervento
odontoiatrico che aveva determinato nel paziente l'indebolimento permanente della funzione
masticatoria).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida nella complessiva soma di Euro
2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella udienza, il 6 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2008
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