Fin da Piccoli anno 3 n 1 - Centro per la Salute del Bambino

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Fin da Piccoli anno 3 n 1 - Centro per la Salute del Bambino
FIN DA PICCOLI
Aggiornamenti sulla letteratura in tema di
interventi nei primi anni di vita
gennaio/aprile 2011 - Anno 3 - numero 1 pgg 1– 6
FIN DA PICCOLI si propone di diffondere conoscenze sull’importanza e
l’efficacia di interventi effettuati nei primi anni di vita e finalizzati alla salute ed
allo sviluppo dei bambini. Poiché quanto accade all’inizio della vita ha influenze
molto significative sulla qualità della vita dell’adulto, tutto questo ha rilevanza
anche per il futuro delle nuove generazioni.
FIN DA PICCOLI si propone di contribuire a questo fine attraverso la
diffusione di studi e ricerche riportati dalla letteratura internazionale.
FIN DA PICCOLI è diretto primariamente a operatori che a vario titolo si
occupano di infanzia, ma anche a genitori e ad amministratori.
Sommario
Editoriale
Consultori familiari: scompare la funzione di consulenza
alla famiglia
p. 2
Tipologie familiari e adattamento scolastico nel primo
ciclo elementare
Meccanismi dell’attenzione selettiva e livello educativo
delle madri
Sovrappeso e obesità: determinanti e interventi
p. 3
Segnalazioni/Comunicazioni
p. 6
p. 3
p. 4
Comitato editoriale:
Giancarlo Biasini
Francesco Ciotti
Monica Guerra
Giorgio Tamburlini
Hanno collaborato a
questo numero:
Giancarlo Biasini
Francesco Ciotti
Giorgio Tamburlini
FIN DA PICCOLI esce ogni 4 mesi solo in formato elettronico.
Per riceverlo regolarmente telefonare al n. 040 3220447 o scrivere a [email protected]
indicando di voler ricevere “FIN DA PICCOLI”
Centro per la Salute del Bambino - ONLUS
Formazione e ricerca per le cure alla Maternità,
all’Infanzia e all’Adolescenza
Progetto grafico di Giulia Richter
Consultori familiari: scompare la funzione di consulenza alla famiglia
A partire dagli anni ’60 la trasformazione industriale del paese, l’ingresso della donna nel
mondo del lavoro, la frantumazione della grande famiglia contadina, l’inurbamento dei piccoli
nuclei familiari ha rivoluzionato l’organizzazione della vita familiare ed ha messo in crisi i sistemi educativi e sociali preindustriali rappresentati dalla famiglia da un lato e dalle istituzioni
“totali” dall’altro (chiesa, carcere, colonia, collegio,esercito, manicomio…).
In quegli anni la mediazione tra famiglia e società fu affidata a strutture comunitarie vicine ai
cittadini attraverso una critica dura alle istituzioni totali ed uno sforzo innovativo e democratico che non ha avuto uguali nella storia della Repubblica Italiana. Nacquero gli asili nido, le
scuole materne comunali, il tempo pieno a scuola, le classi sperimentali con l’inserimento dei
disabili, le comunità di salute mentale e da ultimo i Consultori Familiari. Va detto, a onor del
vero, che da questo moto innovativo, come da molti altri, restò fuori gran parte del Sud, sia
per la minore trasformazione industriale e del lavoro, sia per la maggiore arretratezza delle
strutture comunitarie, in parte già infiltrate dalla criminalità organizzata.
I Consultori Familiari furono pensati e costruiti per rispondere alle multiple esigenze della
nuova famiglia: madri e padri che dovevano concepire un figlio all’interno di un percorso lavorativo, stressati dal nuovo ruolo di genitori in casa e produttori fuori casa, alienati dal nuovo
male oscuro della nevrosi; figli adolescenti combattuti tra nuovi piaceri e vecchi doveri con
l’incubo delle nuove dipendenze farmacologiche e alimentari. Per fornire un contenitore a
questo mondo in subbuglio erano nati i Consultori Familiari, ove una équipe formata da ginecologo, ostetrica, pediatra, assistente sociale, con il supporto di psichiatri e psicoterapeuti
cercava di dare una risposta unitaria ai sintomi poliedrici di una stessa condizione e di una
stessa famiglia.
Dagli anni ’90, molto dopo la scomparsa delle lucciole (per usare la metafora pasoliniana),
sembra sia iniziata la scomparsa dei Consultori Familiari, o per lo meno della loro capacità di
supporto, e, appunto di consulenza. Questa scomparsa coincide con un’altra trasformazione
epocale della società italiana. Con la privatizzazione di molti servizi pubblici, con
l’aziendalizzazione dei servizi sanitari,con la crisi coniugale e familiare che porta a configurazioni familiari differenti, e soprattutto con la globalizzazione e la vittoria totale delle leggi del
mercato che annulla ogni mediazione tra individuo e massa che consuma, avverando la profezia pasoliniana.
I servizi sanitari e sociali aziendalizzati si adeguano frantumandosi per dare risposte sintomatiche e quindi insufficienti ai singoli individui: il consultorio ostetrico per le gravide, il centro
disturbi alimentari per l’anoressica, il servizio tossicodipendenti per il tossico, il centro antiAlzheimer per il demente, il servizio disabili adulti e quello bambini, il centro per la dislessia e
così via in un moltiplicarsi di sigle e di sprechi. Succede così che una famiglia multiproblematica e conflittuale a causa dei diversi problemi dei suoi diversi membri ha diversi punti di riferimento nel territorio che non comunicano fra loro e che danno risposte parziali contribuendo
ad aumentare il conflitto.
Il predominio della risposta individuale di salute ha anche decretato il prevalere di certe teorie
e prassi rispetto ad altre. La teoria diadica dell’attaccamento ad es. pare funzionale a questo
sistema. Al di là dei risultati della ricerca recensita in questo numero sulle tipologie familiari,
qualunque psicologo o psicoterapeuta o pediatra che conosce e valuta la salute di un bambino sa bene che questa è l’incrocio finale non solo di una relazione triadica ma l’eredità di almeno due generazioni. Negli anni ’80 frequentai un corso di introduzione alla teoria familiare
e sistemica organizzato al “Burlo Garofolo” di Trieste. Allora la terapia familiare nei servizi
pubblici era l’intervento più praticato, da Milano a Roma. Oggi pare scomparsa, assieme alla
consulenza familiare che si dovrebbe fare nei Consultori Familiari, come peraltro è scomparsa la psicoterapia individuale che è consentita solo nel privato a chi se la paga.
Certo il contesto socioculturale è avverso, ma i professionisti dell’infanzia non possono non
gridare a voce alta, anche con l’ausilio di nuove e più sofisticate prove scientifiche, che é inutile parlare di famiglia se i servizi sanitari e sociali non sono organizzati sulla misura della
famiglia.
FC
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TIPOLOGIE FAMILIARI E ADATTAMENTO SCOLASTICO NEL PRIMO CICLO ELEMENTARE
L’indagine (Sturge-Apple M.L., Davies P.T., Cummings E.M. Typologies of family functioning
and children’s adjustement during the early school years 81,4,1320-1335, 2010) condotta
nello stato di New York (USA) su una popolazione di 231 triadi madre-padre-bambino ha studiato mediante videoregistrazione e analisi delle relazioni diadiche e triadiche il tipo di funzionamento familiare al tempo 1 (bambino all’età di 6 anni) e mediante questionari agli insegnanti l’adattamento scolastico del bambino al tempo 1 (fine scuola materna), al tempo 2
(fine prima elementare) e al tempo 3 (fine seconda elementare).
Le famiglie hanno mostrato tipologie sperimentali di relazioni familiari compatibili con quelle
descritte dalla teoria familiare sistemica. Famiglie coese (59%) con confini relazionali flessibili: bassa ostilità e basso evitamento tra i coniugi, alta disponibilità emotiva dei genitori verso il
bambino e alto grado di ingaggio relazionale del bambino verso i genitori,nella triade alto grado di coesione e cooperazione e basso grado di competizione conflittuale. Famiglie invischiate (22%) con confini relazionali inesistenti: alta ostilità e basso evitamento interparentale,alta
disponibilità emotiva ed alta intrusività parentale,basso ingaggio relazionale del bambino verso i genitori,nella triade bassi livelli di coesione e cooperazione e alti di competizione. Famiglie disinvestite (19%) con confini relazionali rigidi: bassa ostilità ed alto evitamento interparentale,bassa disponibilità emotiva ed alta intrusività parentale, basso ingaggio relazionale
dei bambino coi genitori,nella triade bassi livelli di coesione,cooperazione e competizione.
L’adattamento scolastico migliore è stato registrato nei bambini delle famiglie coese con bassi punteggi alla scala CBCL di sintomi internalizzati (ansia/depressione/sintomi psicosomatici) e di sintomi esternalizzati (comportamenti oppositivi e aggressivi), con buona partecipazione alle attività di classe e buoni indici di adattamento emotivo a scuola. L’adattamento
scolastico peggiore si è registrato nei bambini delle famiglie disinvestite con alti punteggi per
i sintomi esternalizzati ed internalizzati e indici negativi per la partecipazione alle attività di
classe e l’adattamento emotivo a scuola. Intermedi i risultati per i bambini delle famiglie invischiate che registrano punteggi elevati per i sintomi internalizzati e indici negativi per
l’adattamento emotivo in classe.
Conclusioni
I pattern disfunzionali di relazioni familiari possono costituire un importante fattore di rischio
per l’adattamento scolastico nei primi anni di scuola elementare sia quanto al grado di partecipazione alle attività della classe e al benessere emotivo nel contesto scuola sia quanto alla
comparsa di sintomi comportamentali ed emotivi nel bambino stesso. Poiché le relazioni familiari influenzano significativamente l’adattamento del bambino nei contesti extrafamiliari e
in particolare all’ingresso della scuola primaria,il disagio scolastico precoce va colto e affrontato anche occupandosi del funzionamento e delle relazioni familiari del bambino.
Per chi è il messaggio
Per insegnanti, pediatri, psichiatri, psicologi dell’età evolutiva,assistenti sociali. Intercettare e
prevenire il disagio scolastico precoce nel primo ciclo elementare è fondamentale per promuovere una buona scolarità e un buon adattamento sociale del bambino. Quando questo si
manifesta è fondamentale occuparsi delle relazioni familiari del bambino e i professionisti che
se ne occupano devono possedere gli strumenti di indagine e di intervento sistemico familiare illustrati dagli autori nello studio recensito. Purtroppo negli ultimi anni la separazione dei
servizi sociali e dei servizi sanitari e all’interno dei servizi sanitari la scomparsa dei consultori
familiari sostituiti da servizi specialistici centrati sul sintomo ha condannato all’estinzione teorie e prassi centrate sulla famiglia molto diffuse nei servizi pubblici fino agli anni ’90.
Per i pediatri di famiglia che possono rendersi conto nei contatti con le famiglie di condizioni
di disagio che inevitabilmente influiscono sul successo scolastico.
FC
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/Clicca_qui_1_Sturge-Apple_ML_et_al.pdf
MECCANISMI DELL’ATTENZIONE SELETTIVA E LIVELLO EDUCATIVO DELLA MADRI
Già a partire dalla scuola materna il futuro successo scolastico di un bambino può essere
previsto in base alle caratteristiche dei genitori: vi sono infatti maggior probabilità di cattivi
risultati scolastici per i bambini i cui genitori appartengono ad un basso livello socioeconomico. Molti studi hanno esaminato il rapporto tra lo stato socio-economico dei genitori,
il successo accademico in toto o le performance a specifici test, mettendo tra l’altro in luce
come uno dei fattore predittivi più robusti sia il livello educativo della madre.
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Più recentemente, la ricerca ha cercato di individuare quali siano i meccanismi neurocognitivi
specifici alla base di questi peggiori esiti scolastici per i figli di genitori di basso livello educativo. Gli autori dello studio in questione (Stevens C., Lauinger B., Neville H.. Differences in
the neural mechanisms of selective attention in children from different socioeconomic backgrounds: an event-related brain potential study. Developmental Studies, 12:4 (2009), pp 634–
646) svolto in collaborazione da dipartimenti universitari di psicologia della west coast americana, partendo dai risultati di una serie di studi che avevano indicato nel deficit di attenzione
uno dei fattori neurocognitivi che contribuiscono ad un peggior risultato scolastico, hanno
realizzato uno studio per misurare e a precisare le caratteristiche di questo difetto di attenzione. E' stata a questo fine utilizzata una tecnica strumentale (event-related brain potentials)
per misurare l’ attenzione, e quindi la reattività a stimoli specifici, prestata da bambini di età
compresa dai 3 agli 8 anni durante l’ascolto di una di due differenti storie narrate contemporaneamente, di cui una delle due era da privilegiare e l'altra da trascurare. Dimostrando infine
che esiste una differenza significativa tra bambini figli di madri di diverso (ma non diversissimo, le madri di più basso livello avevano pur sempre completato la high school) livello educativo sia nella capacità di reagire ad uno stimolo sia, e soprattutto, nella capacità di non
prestare attenzione ad altri “rumori di fondo”.
Conclusioni
Gli autori concludono che lo studio conferma i risultati di altre ricerche che evidenziano una
minore capacità di attenzione selettiva, in particolare nella capacità di filtraggio di una informazione tra altri stimoli di “distrazione”, tra bambini di gruppi socio-economici svantaggiati.
Sottolineano che questo svantaggio nei processi neurocognitivi appare particolarmente importante agli effetti dell’apprendimento della lettura e di altre abilità particolarmente importanti
ai fini del risultato scolastico. Si tratta di uno studio dalle caratteristiche eminentemente precliniche e “di laboratorio” che non solo conferma quanto già si sapeva, per esempio per
quanto riguarda lo sviluppo del linguaggio, e cioè che lo svantaggio dei bambini appartenenti
a famiglie di basso livello socio-economico si instaura precocemente, ma che indica uno dei
possibili meccanismi nella capacità di prestare attenzione. L’aspetto interessante, dal punto
di vista pratico, è che questa specifica capacità può essere migliorata a sua volta da interventi precoci. Ad esempio negli Stati Uniti il curriculum “Tools of the Mind” (strumenti della
mente) è stato usato con successo in molti dei programmi federali Head Start per lo sviluppo
dei bambini provenienti dagli strati socio-economici più bassi.
Per chi è il messaggio
Una dimestichezza precoce con la lettura costituisce, tra l’altro, un esercizio di stimolo della
capacità di prestare attenzione, ed i vantaggi, ben dimostrati, di questa pratica precoce possono essere dovuti almeno in parte a questo specifico effetto. Questo messaggio generale,
che si evince dallo studio in oggetto, è evidentemente di interesse per molti (pediatri, psicologi, educatori e genitori) e va a costituire un altro tassello delle nostre conoscenze riguardo
agli effetti della lettura precoce, ed alla possibilità di intervenire precocemente per ridurre lo
svantaggio socio-culturale.
GT
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/Clicca_qui_2_Stevens_C_et_al.pdf
SOVRAPPESO E OBESITA’: LE CAUSE E GLI INTERVENTI SUGGERITI
Cresce la preoccupazione per l’aumento inesorabile del sovrappeso-obesità nei bambini e
adolescenti. In UE si stima il sovrappeso al 20% nella popolazione in età pediatrica; un terzo di questi è obeso. Nei bambini l’obesità comporta seri problemi fisici e psicologici e conseguenze sulla salute nelle epoche successive. La preoccupazione riguarda anche l’aumento
delle risorse per l’assistenza ai cittadini per le patologie correlate.
Partendo da queste considerazioni gli AA dei due articoli che recensiamo si sono proposti di
analizzare e discutere:
- nel primo articolo le evidenze disponibili in letteratura sulle cause (determinanti) che portano alla obesità dalla concezione fino a 5 anni (L. Monasta, G. D. Batty, A. Cattaneo et al.
Early-life determinants of overweight and obesity: a review of systematic reviews. Obesity
reviews 2010; 11: 695–708);
- nel secondo articolo gli interventi giudicati efficaci nella prevenzione del sovrappeso e
obesità nell’infanzia sotto i 5 anni ((L. Monasta, G. D. Batty, A. Macaluso et al. Interventions
for the prevention of overweight and obesity in preschool children: a systematic review of
randomized controlled trials. Obesity reviews doi: 10.1111/j.1467-789X.2010.00774.x).
Il primo articolo esamina le revisioni sistematiche, cioè quegli articoli che hanno a loro volta
esaminato e sintetizzato le ricerche disponibili sull’argomento.
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Il secondo articolo, invece, è la prima revisione sistematica delle ricerche controllate e randomizzate (RCT) disponibili in letteratura che hanno esaminato gruppi di bambini di età da 0 a
5 anni sottoposti a un intervento confrontati con bambini controllo.
Secondo il primo articolo che ha esaminato 22 revisioni sistematiche, i determinanti riscontrati in letteratura possono essere genetici (obesità nella famiglia), materni (diabete pregestazionale e gestazionale, fumo), fetali (alto peso, ma anche basso peso alla nascita per restrizione della crescita in utero), alimentari (effetto protettivo negli allattati rispetto ai non allattati
al seno, uso di bevande ipercaloriche), durata del sonno inferiore al normale, attività fisica
scarsa (meno di 30 minuti al giorno), spesso associata a sedentarietà (oltre 2 ore al giorno
davanti a TV o videogiochi).
Il secondo articolo ha trovato solo 7 ricerche controllate e randomizzate, tutte di qualità piuttosto bassa, che hanno studiato interventi educazionali isolati o con counselling e attività fisica. Il più numeroso studiava la promozione dell’allattamento al seno in 13 889 bambini seguiti fino a 6.5 anni di età. Nessun intervento fra quelli studiati ha avuto effetto sul peso. Gli AA
fanno rilevare la bassa qualità degli studi, campioni studiati troppo piccoli, durata relativamente breve del follow-up. Sono stati studiati solo interventi su pochi determinanti fra i tanti
possibili. Lo stesso effetto dell’allattamento al seno è stato studiato su un campione sufficientemente vasto, ma in maniera qualitativamente discutibile.
Conclusioni
La letteratura scientifica permette di identificare, in studi di popolazione, i principali determinanti dell’obesità infantile, pur con grossi limiti per quanto riguarda la forza dell’associazione
tra ciascuno di questi e l’obesità, e soprattutto l’interazione tra loro. E’ invece molto indietro
nel provare che, abolendo o limitando la presenza dei determinanti, si possa combattere
l’epidemia del secolo. Ci sono serie difficoltà in questa ricerca. I singoli determinanti sono
difficilmente separabili fra di loro: isolare l’effetto dell’allattamento al seno da quelli socioculturali o dalle abitudini familiari (sonno, dieta dopo la fine dell’allattamento, attività fisica, uso
della TV) sembra praticamente impossibile. Per ora occorre quindi tenere conto delle sufficienti prove per la esistenza dei determinanti in attesa di prove di efficacia della loro abolizione sperimentale. Che anche se tardassero ad arrivare non comprometterebbero le azioni
basate sulla correzione dei determinanti che con ogni probabilità agiscono insieme e ogni
tentativo di separarli è destinato all’insuccesso.
Per chi è il messaggio
Forse dovremmo dire per tutti, ma in particolare per le famiglie che dovrebbero tenere conto
di alcuni determinanti: l’allattamento, l’uso di alimenti non iperenergetici, l’attività fisica, il
controllo dell’uso della TV; per i pediatri che dovrebbero attuare il controllo accurato e frequente della curva ponderale per metterne in evidenza gli scatti e
l’adozione
dell’alimentazione complementare a richiesta; per i servizi sanitari regionali che dovrebbero
mettere questo problema fra i primi nella formazione obbligatoria scegliendo formatori senza
conflitti di interessi con l’industria alimentare e dovrebbero istaurare sistemi di comunicazione con i cittadini e i mass media su questi temi; per la scuola che, a parte l’informazione sui
determinanti, dovrebbe attuare l’offerta di alimenti non ipercalorici nei distributori dedicati ai
ragazzi; per chi fa ricerca: perché costruisca modalità sperimentali adeguate alle difficoltà del
caso; ultimo ma non da ultimo, per chi è responsabile delle politiche non solo di salute, ma
anche di quelle agricole, della produzione, del commercio, del marketing, del traffico, della
pianificazione urbana, etc; solo politiche intersettoriali coerenti possono contribuire a rendere
meno obesogenico l’ambiente in cui nascono e crescono i nostri figli.
GB
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/Clicca_qui_3_Monasta_L_et_al_doppio_art.pdf
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Premio nazionale Nati per Leggere
I vincitori della prima edizione
Una scrittrice australiana, un’illustratrice inglese e un autore francese tra i vincitori della prima edizione del Premio nazionale Nati per Leggere, il riconoscimento che sostiene i migliori
libri, progetti editoriali e progetti di promozione alla lettura in Italia per bambini da zero a sei
anni.
Per la sezione Nascere con i libri (miglior libro per bambini tra 0 e 36 mesi: la scrittrice australiana Mem Fox e l’illustratrice inglese Helen Oxenbury per il libro Dieci dita alle mani,
dieci dita ai piedini (Il Castoro), una divertente e tenera filastrocca, corredata da illustrazioni ad acquerello, che aiuta il genitore a guidare il bambino verso la scoperta del suo corpo e
ad avvicinarsi ai temi della diversità e uguaglianza.
Per la sezione Crescere con i libri (miglior libro per bambini tra 3 e 6 anni sul tema Il bambino e la città, segnalato da librerie, biblioteche, centri di lettura ed esperti, dopo essere stato
sottoposto al giudizio di bambini della scuola dell'infanzia e famiuglie nelle città di Torino e
Roma: Beatrice Alemagna per il il libro Un leone a Parigi (Donzelli), una storia commovente e poetica, affidata alla forza evocativa di grandi immagini colorate a pastello e tempera e
di collage di foto e disegni, dove il leone protagonista lascia la savana e raggiunge Parigi in
cerca di sogni e amicizie.
Per la sezione Libri in cantiere (miglior progetto editoriale inedito per bambini tra o e 36
mesi): Eric Battut per il libro Lindo Porcello (Bohem Press Italia - in uscita per il mese di
settembre 2010 nella collana i bohemini), una storia in rima che può essere letta a due voci,
fresca e divertente, capace di stuzzicare la fantasia e stimolare nel bambino il desiderio di
comunicare, diventando attore del racconto.
Per la sezione Reti di libri (miglior progetto di promozione della lettura rivolto ai bambini tra
0 e 5 anni, capace di coinvolgere il più ampio numero di soggetti, dai genitori ai bibliotecari,
dai pediatri agli insegnanti, educatori, volontari): ULSS 9 di Treviso, per avere coinvolto il
personale sanitario, le biblioteche e gli assessorati alla cultura di 37 comuni del territorio in
iniziative efficaci tese ad entrare in contatto con il maggior numero di famiglie di bambini in
età prescolare.
Per la sezione Pasquale Causa (miglior pediatra che, aderendo al progetto Nati per Leggere, promuova presso genitori e famiglie la pratica della lettura ad alta voce nel modo più efficace): la pediatra Lina Di Maio dell'Associazione Culturale Pediatri della Campania, per la
professionalità e la passione profuse in undici anni di impegno nella promozione della lettura
ai più piccoli e in oltre vent'anni di attivgità svolta con i bambini di famiglie problematiche e a
rischio sociale.
Una menzione speciale al Coordinamento Per l'Abruzzo (Biblioteche e ludoteche per bambini e ragazzi), per avere saputo operare in condizioni di emergenza e avere mobilitato un
gran numero di operatori e volontari provenienti da tutta Italia. L'Abruzzo si è inoltre particolarmente distinto, avendo presentato altre due candidature che ne confermano impegno e
capacità di lavoro in rete: il progetto Nati per Leggere della Biblioteca di Ortona e il progetto
Leggimì Leggimè dell'Associazione Leggiamo una Storia di Pescara.
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