1 Arcidiocesi di Lucca – Convegno Diocesano dei Catechisti

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1 Arcidiocesi di Lucca – Convegno Diocesano dei Catechisti
Arcidiocesi di Lucca – Convegno Diocesano dei Catechisti
Seminario Arcivescovile, 24-25 ottobre 2011
IL DIO TRIN ITÀ: IL RITMO DELL’AS COLTO
A cura di don Marcello Brunini
«Elia, giunto al monte Oreb, entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: “Che cosa fai qui, Elia?”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi
altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita”. Gli
disse: “Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore”. Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un
vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore
non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto,
un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di un silenzio soave. Come l’udì,
Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna» (1 Re 19,9-13).
1. Premessa: Dio, questione ineludibile per l’oggi
Seppure il Dio Trinità sia un’isoletta di parola in un mare di silenzio, la prima questione che oggi i cristiani
e le comunità cristiane sono chiamati ad affrontare è la questione di Dio, del Dio Trinità. Afferma J. Ratzinger: «Di
fronte alla questione di Dio, l’uomo non ha l’agio di restare neutrale. Egli può solo dire sì o dire no, ed inoltre senza mai poter evitare tutte le conseguenze che ne derivano fin nei più piccoli dettagli della vita. Constatiamo così
che la questione di Dio è ineludibile». C’è necessità di rifare la scoperta di Dio; di incontrarlo nella persona di Gesù
che, nello Spirito, ci introduce nell’amore del Padre.
2. Il Dio Trinità: Padre, Figlio, Spirito Santo
2.1.
Dio Trinità è agape
Gesù è il Figlio che, nello Spirito eterno, ci rivela il Padre. Il Dio di Gesù non è «potenza assoluta» ma Dio
Trinità, ossia Agápē senza limiti e senza misura; comunione che realizza il proprio essere nel dialogo amoroso tra il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il Dio Trinità è persona e comunione in maniera perfetta. Solo per il fatto che la
Trinità Santa è comunione di persone, ciascuno dei tre – Padre, Figlio e Spirito Santo – è, per eccellenza, persona e,
come persone, i tre vivono la comunione dell’unica divinità. Padre, Figlio e Spirito Santo non sono nomi propri, ma
nomi che trattengono delle relazioni. Non posso dire Padre senza che vi sia un Figlio, non posso dire Figlio senza
che vi sia un Padre, non posso dire Spirito Santo senza intendere il «vincolo», il «luogo divino» dove il Padre e il
Figlio si uniscono e si ritrovano, nella vicinanza e nell’abbandono.
2.2.
Il ritmo dell’amore nel Dio Trinità
La vita di amore che unisce Padre, Figlio, Spirito nella più profonda comunione è una «ritmica
dell’amore». Un ritmo che realizza la dinamica dell’ascolto, che si concretizza in tre movimenti: koinônía, kénosis,
perichóresis – attrazione, diminuzione e danza.
A. Koinônía. «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo sia
con tutti voi» (2Cor 13,13). Il Dio Trinità è comunione, attrazione di ognuno verso l’altro è koinônía di persone che
vive dell’unica vita divina. Padre, Figlio e Spirito sono tre persone divine che si trovano in totale, reciproca e perenne comunione di amore. La koinônía può essere espressa anche come compiacimento. Nel battesimo di Gesù, la
voce che viene dal cielo parla espressamente del compiacimento del Padre nel Figlio (Mc 1,11); compiacimento reciproco che è lo Spirito Santo. Meister Eckhart – un domenicano tedesco del XIV secolo – dice: «Il Padre sorride al
Figlio e il Figlio sorride al Padre, e il sorriso porta piacere e il piacere porta gioia e la gioia porta amore». Il sorriso
compiaciuto tra il Padre e il Figlio è lo Spirito Santo.
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B. Kénosis. Il Dio Trinità, nella sovrabbondanza di donazione, è al tempo stesso diminuzione di ognuno nei
confronti dell’altro. Il Padre, il Figlio e lo Spirito, attratti l’uno nell’altro, «diminuiscono» perché l’altro sia. Nel
movimento del diminuire scoprono e «si scoprono» l’Altro. Il Padre genera il Figlio diminuendo in lui e, in questo
modo, si esprime come Padre. Il Figlio, accogliendo il suo essere Figlio dal Padre, si fa purissima accoglienza e
obbedienza a lui; obbedienza che, nello Spirito eterno, vive come «abbassamento» fino alla morte di croce a beneficio degli uomini. Lo Spirito Santo, in qualità di «persona-dono-che-si-dona», è amore che si manifesta diminuendo tra le persone del Padre e del Figlio. «Si può dire che nello Spirito Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa
tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio “esiste” a modo di dono. È lo Spirito Santo l’espressione personale di un tale donarsi, di questo essere-amore. (Lo Spirito) è Personaamore. È Persona-dono» (Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem n. 10).
C. Perichóresis estatica. Padre, Figlio e Spirito, attraendosi e diminuendo, danzano l’uno nell’altro. Una
mutua pericoresis che mai li separa l’uno dall’altro e mai li fonde uno nell’altro. Cirillo di Alessandria parla di «irruzione reciproca». Una irruzione che non rimane interna a Dio, ma si fa estatica; una danza che, nel Figlio, proietta il Dio Trinità al di fuori di sé. Afferma il card. Kasper: «Lo Spirito esprime l’essenza più profonda di Dio,
l’amore che si comunica, e ce lo manifesta in modo tale che questa massima interiorità è al contempo la massima
esteriorità, cioè la possibilità e realtà dell’esser-al-di-fuori-di-sé di Dio. Lo Spirito è, per così dire, l’ékstasis di Dio,
è Dio come pura eccedenza, Dio come emanazione di amore e di grazia».
D. Il ritmo dell’ascolto. La ritmica dell’amore che il Dio Trinità vive come koinônía, kénosis, perichóresis
– attrazione, diminuzione e danza, è il fondamento e l’espressione del ritmo dell’ascolto:
L’ascolto del P adre. Prima di far tornare Lazzaro in vita, Gesù prega: «P adre, ti rendo grazie perché mi
hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché c redano che tu mi hai mandato» (Gv 11,41-42; vedi ancora 12,27-28).
L’ascolto del Figlio: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che
non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non
mi ha lasciato solo, perc hé faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8,28-29).
L’ascolto dello S pirito: «Molte cose ho anc ora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il
peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose fut ure. E gli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio
e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio
e ve lo annuncerà (Gv 16,12-15).
3.
3.1.
Trinità e vita del discepolo, della Chiesa e della società
Il discepolo persona-in-comunione
Gesù, il Figlio, rivelandoci il mistero del Dio Trinità, ci svela anche il mistero dell’uomo. In quanto creato
a immagine della Trinità Santa, l’uomo stesso è persona-in-comunione. La persona è comunione, anzitutto, nella
sua dimensione relazionale che si esprime nel rapporto interpersonale io-tu, io-tu-noi. Ma perché una tale dimensione si espliciti si richiede che l’uomo sia relazione già nel proprio sé. Il riflesso trinitario, che l’uomo porta in sé,
si esprime nel fatto che egli è co-essere fin da principio. L’uomo non è un individuo chiuso, una sorta di «sé puntuale», fondato sulla sua soggettività, sul suo ego-centrismo. Egli è persona, in quanto è, contemporaneamente, sé +
Altro/altro. Per colui che si riconosce persona, l’altro è già in lui. In lui c’è una società di persone che hanno bisogno l’una dell’altra, che si dividono l’una dall’altra, che fanno la guerra o vivono la pace l’una con l’altra. Il vangelo di Giovanni ci svela questa profondità dell’essere persona sia a livello antropologico che spirituale. Presenta due
personaggi che mai vengono chiamati con il nome proprio, ma sempre con un nome che qualifica la loro relazione
con il Signore e tra di loro: la madre di Gesù e il discepolo che Gesù amava.
3.2.
Trinità e società
La «persona-in-comunione» ha pure un risvolto sociale e politico. In un dibattito sulla solidarietà verso i
diversi, in particolare verso gli stranieri, svoltasi tra il card. Martini e Massimo Cacciari, quest’ultimo fa una affermazione che dovrebbe far molto pensare noi cristiani che, a volte, rischiamo di farci paladini della solidarietà solo a
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parole: «Io non posso ignorare l’altro perché io sono l’altro, perché io mi sono straniero. Io posso riconoscere lo
straniero in quanto tale, perché io lo conosco in me; non potrei predicarlo fuori di me, riconoscerlo fuori di me.
Questo rapporto di alterità con un altro fuori di me è possibile trascendentalmente, perché l’altro è il mio socio essenziale, colui dal quale non posso distaccarmi – me stesso».
3.3.
La Chiesa immagine della Trinità
«Il supremo modello e il principio del mistero dell’unità della Chiesa è l’unità nella Trinità delle persone di
un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo» (Concilio Vaticano II, Unitatis redintegratio 2). La Chiesa, «dimora
di Dio per mezzo dello Spirito» (Ef 2,22), è il popolo adunato dalla Trinità per la sua gloria, partecipe della sua vita, capace di «riflettere», seppure nell’imperfezione, le relazioni che uniscono le divine Persone nella loro distinzione e nell’insondabile unità del loro amore. «Così, la Chiesa universale si presenta come “un popolo adunato
dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”» (Lumen gentium 4).
A. La Chiesa immagine della Trinità è koinônía, comunione. La Chiesa, riflesso della Trinità, è anch’essa
koinônía. Nella misura in cui la Chiesa si comprende e si realizza come sacramento dello Spirito che unisce il Padre
e il Figlio, essa manifesta la sua «arte» dialogica dell’unione, rendendo possibile l’unità della fede comune e la pluralità degli stili personali di credere. Tra unità e pluralità, tra comunità e personalità non sussiste una relazione di
priorità logica o cronologica dell’uno rispetto all’altro, ma una relazione di «uguale originarietà». Ciascuno ha un
volto proprio, ma questi diversi volti, guardandosi nello Spirito, si riconoscono in una medesima comunione.
L’essere communio della Chiesa deve tradursi in uno stile di comunione. Tutto ciò che è in essa, le sue
strutture e istituzioni, i suoi processi vitali e di scambio, devono portare a raffigurare e realizzare il senso
dell’essere comunione. In questo orizzonte è importante favorire oggi, nelle nostre comunità, il passaggio dalla
semplice collaborazione alla corresponsabilità. Una corresponsabilità che abbracci sia il livello strutturale e organizzativo che la vita quotidiana. Le nostre comunità non devono solo offrire itinerari alla fede, ma cercare di donare
una vita quotidiana intrisa di fede, di speranza, di amore.
B. La Chiesa immagine della Trinità è kénosis, diminuzione. Il Dio Trinità conferisce uno statuto kenotico alla Chiesa, nella quale, quasi si ripropone, nello Spirito eterno, la kénosis del Figlio di Dio nei confronti del Padre e degli uomini (cf. Fil 2,5-11; Eb 13,12-16). La Chiesa è chiamata a riconoscersi come «serva», nella linea del
Cristo, che realizza la figura del «Servo di Jhwh» e nella linea di Maria, la «serva del Signore». È la «comunità del
grembiule», direbbe Tonino Bello. La ragione dell’essere e il compito essenziale dell’ekklesia è la diakonia: offrire
il servizio a Dio, e in tale servizio divino, servire insieme gli uomini.
Per crescere in uno stile kenotico è necessario imparare a diminuire. Diversi sentieri possono essere percorsi. Cercare di abbandonare il proprio protagonismo di comunità per aprirsi completamente alla presenza di Cristo. È
questo del resto la realtà e lo stile eucaristico. La Chiesa è sempre seconda, mai prima; è sacramento di Cristo è trasparenza di lui.
Lo statuto kenotico della Chiesa la fa riconoscere come «Chiesa povera» e «Chiesa dei poveri» (Lumen
Gentium 8). La Chiesa animata dalla kénosis si fa povera e solidale con i sofferenti, con la stessa impotenza con cui
Dio non si impone con potere e violenza sulla libertà debole degli uomini. Lo statuto kenotico della Chiesa è pure
un pressante invito a passare dal «principio di appartenenza» al «principio della compassione». Il discepolo del regno è chiamato a fare come il Dio di Gesù: a non identificarsi più con i suoi simili e con coloro che gli sono affini,
ma ad avere compassione del «diverso», dello straniero, di chi ha una patria, una lingua, una religione diversa. È il
«diverso» il principio della propria identità. Il nostro rapporto con Dio ce lo ricorda continuamente: Dio, il più diverso da noi, è la nostra unica identità.
C. La Chiesa immagine della Trinità è perichóresis, danza. Il Dio Trinità è una «comunione che danza».
La Chiesa è, anch’essa, una comunione e una comunità che danza. Una danza nella direzione dell’origine. La
Chiesa ha il suo fondamento nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo, ossia fuori-di-se-stessa. È la comunità radunata e tenuta in esistenza da Gesù Cristo, mediante la sua parola e l’opera unificante dello Spirito Santo.
La Chiesa è una comunità che danza nella direzione del fine. La Chiesa è chiamata a uscire-fuori-da-sé, è
sospinta ad andare-oltre-sé nell’adorazione del Dio Trinità e nel servizio all’uomo. Lo Spirito Santo è colui che
conduce la Chiesa «al largo»; la educa alla trascendenza del Dio Trinità; la prepara ad accogliere e a sentire, nel
mistero di Dio, la profondità e l’alterità del mistero dell’uomo, della storia, del cosmo intero.
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In un mondo segnato da divisione, inimicizia e autoreferenzialità, la Chiesa è la «comunità di contrasto»,
che fa “sognare”, già nella vita quotidiana, la meta verso cui è diretta l’umanità: la danza con il Dio Trinità – la
danza dell’amore che già si vive nella comunione dei Santi.
4.
L’adorazione del Padre nello Spirito e in Gesù verità
L’eclissi del Dio Trinità comporta la trasformazione della Chiesa in associazione mondana e la conseguente
scomparsa della preghiera. La riscoperta del Dio Trinità significa ritorno alla Chiesa campo del Padre, edificio fondato su Cristo, tempio dello Spirito Santo e la consequenziale rinascita della preghiera come relazione di amicizia con il
Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.
Nell’amicizia con Cristo, che nello Spirito conduce al Padre, il cristiano è strappato dalla sua identità “egoica”, “idolatrica”, “chiusa” e posto nella sua identità comunionale. La preghiera è l’espressione e il nutrimento della
nostra perenne alleanza tra l’umanità e il Dio tre volte santo.
Permettete, allora, che, in chiusura, dica cinque parole sull’adorazione del Padre, del Figlio, dello Spirito. Cinque parole come le dita di una mano. Nella preghiera, difatti, prendo nella mano la totalità della mia vita e,
nello Spirito, la porto dinanzi a Dio, la restituisco a lui che me l’ha donata, la offro a lui con tutte le mie relazioni e
i miei compiti; con i miei entusiasmi e le mie attese; con i miei pensieri e il mio sentire; con le mie paure e le mie
preoccupazioni; con tutto ciò che mi appartiene pur sapendo di non poterne disporre.
Prima parola. L’adorazione è “sguardo”. Adorare è vedere nel Crocifisso-Risorto la trasparenza
dell’amore del Dio Trinità per gli uomini tutti. Adorare il Padre in Spirito e Verità è avvertire di essere visti da lui:
costantemente vegliati, custoditi, portati, nutriti da lui. Con il salmista possiamo pregare: «Come un’aquila che veglia la sua nidiata e che vola sopra i suoi nati, Tu, o Signore, ci sollevi sulle tue ali, ci nutri di vino, di grano, di mosto e di olio, ci fai succhiare miele dalla roccia. Ci hai visti in terra deserta, ci hai presi e ci custodisci come la pupilla del tuo occhio» (cf. Dt 32).
Seconda parola. L’adorazione è “gusto”. Adorare è aprirsi interamente e senza riserve all’ascolto e alla
dolcezza della parola del Signore; è farsi penetrare da essa; è lasciarsi possedere da essa; compiacersi in essa. Adorare è gioire della comprensione affettuosa e piena di rispetto della parola di Dio; è gustare interiormente il cibo
della sua parola; è sentire quanto è beato e saggio colui che non perde nessuna parola che esce dalla bocca di Dio.
Terza parola. L’adorazione è “carezza”. L’adorazione è “carezza”; una carezza particolarissima. «Spiritus tangit cor hominis – Lo Spirito “tocca” il cuore dell’uomo», afferma stupendamente Gregorio Magno. Adorare
è avvertire nel nostro intimo di essere accarezzati dallo Spirito: una carezza lieve, che ti attira senza obbligarti; una
carezza che ti tocca senza possederti; una carezza che avvicina senza dominare; una carezza che trasmette una tenerezza che va oltre le attese; una carezza che dona pienezza senza invadere; una carezza che fonde l’amore in rispetto e venerazione; una carezza che si può raccontare solo con la musica.
Quarta parola. L’adorazione è “bacio”. Adorare è come mandare un bacio a chi amiamo, alla stregua dei
bambini piccoli quando si baciano sulla mano e poi soffiano perché il bacio voli a chi è rivolto. Adorare il Padre, il
Figlio e lo Spirito è inviare loro il nostro bacio; è vivere nel bacio di comunione con loro. Adorare il Dio Trinità è
offrire ad altri quel bacio di pace che il Padre, il Figlio e lo Spirito da sempre si scambiano e da sempre donano
continuamente a tutti. Adorare è sentire che non siamo più soli: Dio ci ha trovati e ci tiene stretti a sé; in lui abbiamo
gustato la salvezza, abbiamo scoperto noi stessi e il nostro posto nel mondo.
Quinta parola. L’adorazione è “grido gemente”. Adorare è avvertire in noi lo Spirito che «grida»: «Abbà – Padre» (Gal 4,6); adorare è sentire in noi il suo gemito e la sua intercessione per tutte le creature.
L’adorazione del Padre, in Spirito e Verità, è semplicemente racchiusa nelle dita della nostra mano: è
sguardo, è gusto, è carezza, è bacio, è grido e gemito.
PER LA PREGHIERA
Dio Trinità: Tu sei per me padre e madre; tu sei per me fratello e amico;
tu sei per me servo e padrone.
Tu sei il tutto e il tutto è in me, tu sei colui che vive, niente esiste all’infuori di te.
Anche voi, fratelli, rifugiatevi in lui: comprenderete che solo in lui anche voi potete vivere.
Noi ti chiediamo quello che ci hai promesso.
Ti lodiamo e ti ringraziamo; anche se siamo deboli uomini e fragili donne,
riconosciamo che tu sei il solo Dio: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo. Amen.
(Preghiera del II secolo)
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