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Tormento
di Daniela Pezzera
Prima viene il buio. Accecante e profondo.
Poi il silenzio. Tanto concreto da percepirne la consistenza fisica.
Poi la caduta. Improvvisa e inarrestabile.
Urlo dalla paura ma la voce va perdendosi nel nulla come la scia di una cometa. Continuo a gridare per
un tempo indefinito, fino a lacerarmi la gola, seguitando a precipitare nel cono nero.
Sprofondo nel buio con l’eco del mio grido che si spegne come brace morente. Chiudo gli occhi
sperando che tutto finisca e lascio che il silenzio mi inghiotta.
Mi sveglio sdraiato nel nulla. La guancia a contatto con il terreno che non posso vedere. Percepisco
caldo intorno a me. Apro gli occhi tentando di abituarli ad un’oscurità così densa da poterla respirare.
Mi alzo senza capire dove mi trovo e senza ricordare perché sono qui. Comincio ad avanzare nel buio.
Provo a gridare ma la gola mi fa male, raschiando come ruggine contro pelle ruvida. L’assenza di suoni
e di colori mi circonda, incombente e minacciosa come un’ombra aliena. Ne avverto il peso simile alla
pressione di una mano contro il petto. Fatico a respirare.
Poi arriva il caldo. Cresce, si fa largo dentro di me come un tumore maligno. Consistente e denso di
zolfo, mi avvolge sempre di più. Ansimo, sudo, il cuore inizia a correre. Le mie mani artigliano il buio
quasi a volerlo squarciare. Vorrei piangere ma le lacrime evaporano ancor prima di iniziare a scivolare
sulla pelle.
Dove sono? Perché sono qui? Perché non ricordo?
Poi viene la sete. La sento montare come una marea. Un improvviso bisogno di bere, violento e
disperato come la solitudine che avverto dentro ed intorno a me. Sento che tutto si fa più arido, soffocato
da un alito rovente. Un’aridità primitiva che filtra dal sudario di buio e silenzio che mi cinge.
Poi un bagliore. La coltre nera rotta per un attimo da un tenue baluginare rossiccio. In lontananza riflessi
vitrei richiamano il mio sguardo. Corro aggrappato a una speranza a cui non so dare un nome. Mi fermo
davanti a un calice colmo di vino. A malapena posso distinguerlo dal nero che lo avvolge. Il profumo è
intenso e carico di promesse a venire. Sento la bocca inumidirsi, il cuore accelerare e le narici dilatarsi
per coglierne ogni nota. Mi chino a raccoglierlo, portandolo alle labbra come un dono del cielo. Lo
sguardo si fissa sul liquido rosso inferno che ondeggia leggermente al ritmo del mio respiro.
Improvvisamente il placido dondolio del vino viene spezzato da un vortice di immagini che prende
corpo nel calice.
Solo nel mio appartamento. I suoi quadri, i suoi vestiti, le foto che la ritraggono più bella di come la
ricordassi, frammenti di una vita ormai lontana, fuggita senza un perché. Un’immagine allo specchio: un
volto stravolto che fatico a riconoscere come mio. Un bicchiere di vino rosso, il suo preferito, nella
mano destra. Una manciata di pillole colorate nella sinistra. Un lungo sorso le annega nella mia gola,
trascinandole a fondo con il loro carosello colorato. Poi il buio.
Le immagini si dissolvono. Il vino riacquista consistenza. Provo a bere ma il bicchiere si dissolve tra le
dita come un sogno al risveglio. La sete diviene insopportabile. Ricomincio a camminare.
Un bagliore lontano. Mi sembra di scorgere un calice di vino rosso.
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