Mercato delle armi in crescita La guerra? Un affare d`oro

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Mercato delle armi in crescita La guerra? Un affare d`oro
L’INCHIESTA
Mercato delle armi in crescita
La guerra?
di RENATO SACCO
[email protected]
«C
hi governa il mondo? Il denaro. E come governa? Con
la frusta della paura, della
disuguaglianza, della violenza economica,
sociale, culturale e militare che genera
sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai.
Quanto dolore e quanta paura!». Queste
parole di papa Francesco, pronunciate il
5 novembre scorso a conclusione del
terzo incontro mondiale dei Movimenti
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POPOLI E MISSIONE - DICEMBRE 2016
Un affare d’oro
Popolari, mettono a fuoco molto bene
l’attuale situazione mondiale. E tutti ricordiamo come Francesco da tempo
parli di «una terza guerra mondiale a
pezzi». Abbiamo ben presente la situazione di molti Paesi (forse non tutti,
perché alcuni sono dimenticati) in cui
anche in questi giorni è in atto una
vera e propria guerra: Iraq, Siria, Arabia
Saudita, Yemen, Afghanistan...
E la guerra per “funzionare” ha bisogno
di armi. Non è necessario essere dei
grandi analisti geopolitici o militari per
capirlo. E infatti dalle zone di guerra
continuamente ci arriva l’invito: «Basta,
basta con le armi!».
Invece succede proprio il contrario. Le
armi continuano ad essere prodotte e
vendute là dove sono in atto conflitti e
guerre. D’altronde le armi si producono
per essere vendute, non per essere conservate nei magazzini.
In questo approfondimento sul mercato delle
armi, don Renato Sacco, coordinatore
nazionale di Pax Christi Italia, denuncia le
speculazioni delle industrie belliche sulle
guerre che affliggono e uccidono popolazioni
inermi. Anche l’Italia è tra i Paesi esportatori
di armi e, come denuncia papa Francesco,
come si fa a parlare di pace quando si
alimenta la guerra?
L’ultimo rapporto SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) ci
dice che le spese militari nel mondo
nell’anno 2015 sono cresciute dell’1%
per un totale di circa 1.700 miliardi di
dollari. «L’ammontare complessivo delle
spese militari – scrive Rete Italiana per
il Disarmo - è stimato dai ricercatori
svedesi in 1.676 miliardi di dollari, equivalenti al 2,3% del Prodotto interno
lordo mondiale. Nel complesso, i primi
15 Paesi di questa speciale classifica
spendono per gli eserciti e le armi almeno
1.350 miliardi di dollari, equivalenti
all’81% del totale. In testa alla classifica
come sempre gli Stati Uniti che da soli
investono poco meno di 600 miliardi di
dollari e contribuiscono al 36% della
spesa militare complessiva, seguiti dall’Arabia Saudita, con una crescita del
5,7% (ad oltre 87 miliardi di dollari).
Una crescita dovuta soprattutto agli investimenti diretti per la guerra in Yemen
che coinvolgono anche acquisti di bombe
italiane. Pur superata dal budget saudita,
la Russia ha comunque incrementato la
propria spesa militare del 7,5% (oltre 66
miliardi di dollari totali). «Non va dimenticato – si legge sul sito di Retedisarmo.org – che tali cifre sono relative
ai bilanci statali, da cui sfuggono i valori
relativi alle forniture di armi a titolo
gratuito». Scrive Maurizio Simoncelli,
vicepresidente di Archivio Disarmo: «Riteniamo significativa e preoccupante
anche l’impossibilità esplicitata da parte
dei ricercatori del SIPRI di valutare nel
complesso la spesa militare del Medio
Oriente, data la situazione d’instabilità
diffusa e la difficoltà nel reperire dati
affidabili».
E l’Italia? SIPRI stima la spesa militare
italiana di poco inferiore ai 24 miliardi
di dollari: siamo al 12esimo posto a
livello mondiale. «Nel 2015 l’Italia –
scrive OPAL di Brescia - si conferma il
principale esportatore tra i Paesi dell’Unione europea, di fatto mondiale, di
»
“armi comuni” (cioè, di tipo non
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L’INCHIESTA
OSSERVATORIO
AFRICA
Commercio di armi in un
improvvisato bazar a Erbil, Iraq.
di Enzo Nucci
CLIMA E
INQUINAMENTO
UCCIDONO
n Africa inquinamento e cambiamento climatico sono tanto destabilizzanti da favorire
il rischio di guerre. Emergenze come malnutrizione infantile e carenze igieniche hanno
un impatto minore nell’innescare i conflitti.
Tra il 1990 e il 2013 – sostiene uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) – la media annuale
dei morti per inquinamento esterno (trasporto,
produzione energia, smog industriale) è aumentata del 36% facendo 250mila vittime. E’
cresciuta invece del 18% quella legata alla
produzione energetica inquinante per uso domestico, pari a 450mila decessi all’anno. Impietose le conclusioni: i mezzi di trasporto ed i
sistemi di produzione energetica utilizzati nelle
città africane sono insostenibili.
Mentre una ricerca dell’Università di Berkeley
ha aggiornato un documento redatto nel 2009
in cui si sosteneva che i rischi di guerre nel
continente nero sarebbero cresciuti di circa il
54% (causando almeno 393mila morti) se
entro il 2030 le tendenze climatiche fossero
rimaste invariate. Le conclusioni sono ben più
amare. L’innalzamento delle temperature negli
ultimi dieci anni ha causato la scomparsa di
quattro milioni di ettari di foreste all’anno con
una media doppia rispetto al resto del mondo,
mentre il 50% dei ghiacciai in Uganda si sta ritirando ed in Senegal l’urbanizzazione sta cancellando le aree verdi. E non bisogna dimenticare che i Paesi africani (ancora poco industrializzati) contribuiscono in ridottissima parte
all’aumento dei gas serra attraverso le emissioni
di carbonio. L’incertezza climatica – sottolineano
gli studiosi – è un ostacolo agli investimenti,
complica la pianificazione a lungo termine e
la progettazione di infrastrutture, incide sulla
diffusione di parassiti e malattie. Del resto già
nel 2007 il Programma sull’Ambiente delle
Nazioni Unite (Unep) rivelava come il cambiamento del clima nel Darfur settentrionale
avesse avuto un fortissimo impatto nell’incremento delle ostilità. E pochi giorni dopo il Segretario dell’Onu Ban Ki-Moon definì quella
guerra come la «prima al mondo prodotta dal
cambiamento climatico».
I
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militare) con quasi 307 milioni di euro.
Si tratta di armi prevalentemente per la
difesa personale, per le discipline sportive
e per le attività venatorie: ma tra le
“armi comuni” sono comprese anche
quelle esportate per l’utilizzo da parte
di corpi di polizia e delle forze di sicurezza
pubbliche e private. L’Italia risulta l’unico
Paese dell’Unione europea ad aver fornito
nel biennio 2014-15 sia pistole e revolver
che fucili e carabine alle forze di polizia
e di sicurezza del regime egiziano di Al
Sisi».
In questo vasto orizzonte del commercio
delle armi è interessante segnalare come
la lobby delle armi stia spingendo l’Unione
Europea da includere nel budget della
ricerca anche sussidi per la stessa industria
militare. L’obiettivo è di ottenere un
Programma completamente strutturato
sulla ricerca per la Difesa per un importo
di oltre 3,5 miliardi di euro nel periodo
2021-2027. La Campagna di European
Network Against Arms Trade (ENAAT)
chiede con forza che si dica “no” a
questo progetto.
Per restare in ambito italiano, un nervo
scoperto, che per fortuna sta facendo
discutere e sta interessando anche alcune
Procure, è la vendita di armi italiane all’Arabia Saudita. È documentato con fotografie e atti ufficiali che dall’aeroporto
di Cagliari Elmas sono partiti numerosi
voli-cargo con sistemi d’arma per rifornire
l’aviazione saudita. Si tratta di spedizione
di bombe aeree autorizzata dal governo,
prodotte dalla RWM Italia, azienda tedesca del gruppo Rheinmetall con sede
legale a Ghedi (Brescia) e stabilimento a
Domunovas (Carbonia-Igliesias) in Sar-
Mercato delle armi in crescita
OSSERVATORIO
degna. Nelle scorse settimane alcune di
queste bombe sono state trovate inesplose proprio tra le case di alcune città
nello Yemen, Paese contro cui l’Arabia
Saudita da diverso tempo è in guerra e
contro cui scarica numerose bombe
anche su civili.
Così commenta questa situazione il presidente di Pax Christi, monsignor Giovanni
Ricchiuti, in una dichiarazione dello
scorso 4 novembre: «Come tacere davanti
all’aumento della vendita di armi italiane?
La legge 185/90 vieta di vendere armi a
Paesi in guerra o che violano i diritti
umani e invece è documentato che dall’Italia sono partite armi per l’Arabia
Saudita, che sta bombardando lo Yemen.
Ora c’è anche un’inchiesta della Procura
di Brescia. Speriamo che si faccia piena
luce e che emerga tutta la verità». «Mi
lasciano senza parole – continua il presidente di Pax Christi - le risposte della
ministra Pinotti e del ministro Gentiloni
che sostengono che contro l’Arabia Saudita non c’è nessun embargo dell’Onu e
quindi... sia tutto regolare. Arrivando
anche a sostenere, come scusante, che
ci siano altri Paesi che ne vendono più
di noi. Noi, come Pax Christi, insieme ad
altri, abbiamo voluto con forza la legge
185/90 sul controllo della vendita di
armi, e vogliamo che venga rispettata!».
Un’ultima sottolineatura in questo quadro
mondiale preoccupante. Ed è ancora il
presidente Ricchiuti a suggerirla: «Lo
scorso 27 ottobre 123 nazioni hanno
votato a favore di un Trattato di messa
al bando degli ordigni nucleari per il
2017 e l’Italia invece ha votato contro.
Questo è molto grave».
Dobbiamo chiedere spiegazioni. Non
possiamo accettare che si continuino a
produrre i costosissimi F-35, destinati
al trasporto anche di ordigni nucleari,
non possiamo accettare la follia della
guerra. «La Gaudium et spes al n. 80
afferma: “Ogni atto di guerra, che mira
indiscriminatamente alla distruzione di
intere città o di vaste regioni e dei loro
abitanti, è delitto contro Dio e contro
la stessa umanità e con fermezza e
senza esitazione deve essere condannato”. Abbiamo negli occhi e nel cuore
la tragedia del terremoto nel Centro
Italia – conclude monsignor Ricchiuti e delle tante guerre in corso: chiedo
che questo impegno contro la guerra e
le armi non sia solo di Pax Christi e
delle tante altre persone che lavorano
per la pace, ma diventi un impegno
prioritario di tutta la Chiesa». E le parole
più chiare vengono da papa Francesco:
«Mentre il popolo soffre, incredibili
quantità di denaro vengono spese per
fornire le armi ai combattenti. E alcuni
dei Paesi fornitori di queste armi sono
anche fra quelli che parlano di pace.
Come si può credere a chi con la mano
destra ti accarezza e con la sinistra ti
colpisce?».
GOOD
NEWS
di Chiara Pellicci
IN SUD SUDAN
LIBERATI 145
BAMBINI-SOLDATO
l fenomeno dei bambini-soldato non è
affatto scomparso. Anzi. Secondo l’Unicef,
nel solo Sud Sudan, dal 2013 ad oggi sono
stati reclutati ben 16mila minori. Ma allora
dove sta la buona notizia? Pur nel dramma
di una pratica atroce, qual è quello dell’arruolamento di bambini e ragazzi tra le
fila di organizzazioni militari, c’è da riscontrare la recente liberazione di 145 minori avvenuta ad opera di gruppi armati
del più giovane Paese africano. A darne
notizia è stato l’Unicef, che sottolinea come
questo sia il più grande numero di bambini
liberati dal 2015, quando 1.775 bambini
furono rilasciati nella Greater Pibor Administrative Area.
«Speriamo che a questo rilascio ne seguano
molti altri, così che i 16mila bambini che
sono ancora presenti nelle forze e gruppi
armati possano tornare dalle loro famiglie»
ha dichiarato Mahimbo Mdoe, rappresentante Unicef in Sud Sudan.
La liberazione – continua ancora un comunicato dell’Organizzazione delle Nazioni
Unite - è avvenuta da parte di Cobra
Faction e Spla in Opposition: i bambini
sono stati formalmente disarmati e hanno
ricevuto vestiti da “civili” da indossare.
Durante i prossimi mesi, i minori rilasciati
riceveranno assistenza psicologica e abiteranno in un Centro sanitario temporaneo
fino a quando non saranno state rintracciate
le loro famiglie. Purtroppo, però, non sempre i piccoli liberati dai gruppi militari e
restituiti alla loro infanzia ritrovano genitori
e parenti più stretti: questo «è “normale”
– spiega padre Daniele Moschetti, missionario comboniano in Sud Sudan - in quanto
oltre 20 anni di guerra con due milioni e
mezzo di morti hanno lasciato molti bambini orfani».
Comunque sia, per i 145 minori restituiti
ad una vita a misura di bambino, fatta di
scuola, affetti, gioco, la buona notizia c’è.
Non fosse altro perché proveranno a disintossicarsi da quella violenza che finora
ha saturato le loro vite.
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