Monastero Invisibile Estate 2007

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Monastero Invisibile Estate 2007
un Monastero invisibile
una “rete” nel segreto del mondo
numero speciale per l’estate
LUGLIO – AGOSTO – SETTEMBRE 2007
Carissimi amici del Monastero invisibile… questa estate si preannuncia davvero bollente! Cosa di meglio, allora che trovare un posto un po' fresco e
regalare la nostra compagnia al Signore?
Qui vi inviamo , come tutti gli anni, questo numero speciale: ci sono tutti e tre i prossimi mesi.
Rimaniamo uniti nella preghiera! E' la nostra forza.
Preghiamo per le nostre famiglie, per chi è lontano da Dio, per chi sta vivendo un periodo di buio interiore o di sofferenza.
Preghiamo insistentemente e sentiamoci uniti! E’ questo il segreto della preghiera per essere esaudita.
E, come è lo scopo primario della nostra iniziativa, ricordiamo sempre al Signore la necessità che abbiamo di buone vocazioni
matrimoniali e alla vita sacerdotale e consacrata:
«Signore della gioia e della fedeltà, che conosci ciascuno fin dal seno materno
e che doni a ognuno un progetto speciale,
mostra il tuo volto ai giovani che ti cercano
e a quelli che non sanno come trovarti.
«Rivela la tua bellezza ai loro occhi perché risplenda nei loro sguardi;
raggiungili col tuo amorevole invito, perché riecheggi nella loro libertà.
«Tocca le corde delle loro migliori qualità perché il mondo si allieti
alla sinfonia di una vita generosa, entusiasta, luminosa e serena.
«Suscita la loro risposta e sostieni il loro cammino;
rinnova nel loro cuore la certezza che li ami per primo
e che la tua tenerezza li accompagna sempre con infinita misericordia.
«Aiutali a superare la paura del dono più grande
e ad accogliere con riconoscenza la tua proposta
di amare ed essere amati senza misura. Amen»
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un Monastero invisibile
una rete di preghiera nel segreto del mondo
Sussidio di preghiera della Famiglia del Murialdo: Giovani, Amici, Collaboratori, Ex-Allievi, AMA., CLdM, Ist.
Secolare “S.L. Murialdo”, Murialdine, Giuseppini.
estate 2007, n.123 — LUGLIO
IMPARIAMO A PREGARE
(T. Ricci, Preghiera: problemi e risposte, Porziuncola)
Abitudine e preghiera (2)
Si dà anche il caso opposto, di chi non ha problemi a continuare a pregare da immaturo, cioè in modo puramente ripetitivo, senza cambiamenti
di tono, di senso, di sentimento, come accade a persone contente di avere assolto un impegno senza prefiggersi altro. A questo proposito è
possibile trovare soggetti anziani ancora legati a cadenze infantili di recitazione o addirittura a sbocconcellamento di frasi, come si fa quando
siamo costretti a dare tante volte il Buon giorno e l'espressione è ridotta ad una finale di frase.
Nessuno si lascerebbe andare a questa faciloneria in circostanze di rilievo, quando per esempio deve parlare ad una vasta udienza, o in un colloquio importante dal quale dipende il successo o il fallimento di un'impresa. Costatiamo infatti che quando, per le circostanze più diverse, una
persona acquisisce un posto di rilievo nella società, avverte subito il bisogno di migliorare il proprio linguaggio, di controllare gesti e modo di
vestire ai quali prima non dava importanza. In queste situazioni ci rendiamo subito conto che certe abitudini consolidate nel tempo, per esempio anche il semplice stare a tavola, devono essere cambiate per non contraddire il nuovo ruolo e immagine di prestigio acquisite in società..
È così individuato il meccanismo psicologico che riesce a far passare l'individuo da una fase di stallo, qual è l'andare avanti a forza di abitudine o, viceversa, entrare in un ciclo di rinnovamento che le circostanze richiedono. Per stretta analogia, questo dovrebbe avvenire anche nella
vita di preghiera, cosa che in molti casi non accade. Basti il raffronto tra educazione civile che diamo al ragazzo che cresce ed educazione religiosa che, al contrario, molti mancano di dare, per non averla a loro volta ricevuta. Al bambino cominciamo infatti a insegnare frasi di saluto e
il dire Grazie!; poi controlliamo che lo faccia di sua iniziativa al momento opportuno, e crescendo in età gli insegniamo modi di comportamento suggerendogli anche parole da dire quando si presentino particolari circostanze, lo guidiamo cioè passo dopo passo avviandolo a
sempre maggiore responsabilità e capacità a farcela convenientemente anche da solo.
Non si può dire che lo stesso avvenga nel guidare il ragazzo nel suo rapporto coll'interlocutore della nostra preghiera, anche perché è difficile
seguire e controllare un modo di comunicare di sua natura soprattutto interiore. Una volta insegnato il segno di croce, come espressione cristiana di fede e di preghiera, lasciamo che il nostro pupillo se la veda da solo per tutto il resto della sua esistenza. Eppure il segno di croce è
gesto e simbolo carico di significati profondi e sommario di una teologia fondamentale, che rimane così celata e cristallizzata invece di evolversi in continuazione e pienezza.
È il prezzo da pagare all'abitudine, abitudine che prendiamo purtroppo ancor prima che ciò che ci viene insegnato sia atto ragionato e cosciente, privando così la preghiera il valore d'intenso dramma che dovrebbe di per sé avere l'incontro tra l'uomo e Colui che dà e sorregge esistenza
e vita.
ENTRA NELLA PREGHIERA
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia! Perché saranno saziati!» . (Mt 5,6)
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia
Il senso della giustizia è iscritto nel cuore stesso dell’uomo: è desiderio irresistibile di vedere stabilito un
nuovo ordine mondiale, in cui ciascuno
riceve ciò che gli è dovuto. Siamo tutti
ultrasensibili all’ingiustizia intorno a noi.
Come potrebbe essere diversamente, dal
momento che siamo ogni giorno i testimoni vicini e lontani di abusi di potere, di
decisioni arbitrarie, si situazioni
d’oppressione, di violazioni dei diritti elementari. L’ingiustizia copre la terra intera,
“come le acque ricoprono il fondo dei mari” (Isaia 11,9).
Conosciamo bene tutte le regioni del
mondo in cui la situazione d’ingiustizia è
dura: il Libano, l'Irak, l’Afghanistan, la
Cambogia,…La lista sarebbe lunga. Senza dubbio mai l’opinione
pubblica è stata così sensibilizzata a queste situazioni drammatiche. Mai si è assistito a un desiderio così potente, così unanime
di giustizia. Mai si è fatto così tanto, nei nostri paesi, per venire in
aiuto delle vittime. Da vari decenni alcune note organizzazioni caritative finanziano un gran numero di progetti nel Terzo Mondo.
Per non parlare delle istituzioni che si occupano del Quarto Mondo, i poveri di casa nostra. Ancora oggi risuona il grido del profeta
Isaia;” Il digiuno che io preferisco consiste
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri i senza tetto,
nel vestire chi è nudo, senza distogliere gli
occhi dalla tua gente” (Isaia 58,7). Tutto ciò
del resto non vale solo per i rapporti a corto
raggio: la voce del profeta concerne anche le
strutture ingiuste su scala planetaria.
Gesù, salvatore dei poveri
Questa preoccupazione per la giustizia, Gesù
la porta in sé più di ogni altra. Gli proviene
dal suo Padre, che si fa garante per i poveri e
gli oppressi di tutti i tempi; gli proviene pure dallo Spirito Santo,
l’avvocato dei poveri. E tuttavia Gesù si spinge oltre. Se esiste una
giustizia che concerne le relazioni tra gli uomini, ne esiste un’altra
fra gli uomini e il loro Dio. Infatti Dio ha dei diritti, anche lui. La
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relazione che Dio vuole instaurare con noi non è però fatta di un
equilibrio tra ciò che si è dato e ciò che si è ricevuto. La giustizia
di Dio è senza misura; o piuttosto, è a misura dell’amore del Padre, di un amore preveniente, sempre primo: “Dio ci ha amati per
primo” (Prima lettera di Giovanni 4,19).
Egli ci ama senza calcolo e senza limite. Il nostro amore non sarà
mai che una debole eco del suo. Non sarà mai altro che una risposta. Questa giustizia fra Dio e noi appartiene a Dio solo; per
parte nostra noi non potremo pretendere di possederla: Dio ci riveste della sua. La relazione che Dio vuole instaurare con noi è
fatta di armonia, d’integrità, di onestà, di pienezza di vita, ma è
anche misericordia e perdono. “Giustizia” è la parola chiave che
esprime tutti gli aspetti della corrente di vita che ci viene da Dio.
Questo amore infinito che Dio ci porta, ce lo dona attraverso il suo
Figlio. Gesù “è” giustizia di Dio. Lo è per tutti gli uomini. Non ha
voluto essere né un eroe, e neppure un grande riformatore della
società malata delle proprie relazioni falsate. Certo, la sua vita è
stata tutta intera un appello radicale alla giustizia fra tutti gli uomini. Egli è il messia dei poveri. Eppure non sono i ricchi che egli
prende per bersaglio delle sue accuse: sono piuttosto gli uomini
ipocriti e formalisti, quelli che pervertono la religione fin nel loro
cuore. Quindi, nei discorsi di Gesù, la denuncia della religione
praticata dagli Scribi e dai Farisei sembra prendere press’a poco il
posto degli attacchi dei grandi profeti contro gli sfruttatori e gli
usurai. E' nel pervertimento della relazione a Dio che germoglia il
male più radicale; è questo che avvelena a sua volta le relazioni
“orizzontali” degli uomini tra loro. La lotta per la giustizia e i diritti
dei poveri sarebbe dunque accessoria o facoltativa? Certo che no.
La lotta per una maggiore giustizia fa parte integrante della nostra
fede; deriva necessariamente dalla nostra fede, e dalla missione
apostolica. Questo dovere appartiene in comune ai cristiani e a
tutti gli uomini di buona volontà. In questa lotta i cristiani non si
distinguono da altri uomini che per la loro coscienza dell’amore e
della giustizia divine, come sorgenti del loro sforzo, e come inviti
a imitare Dio nella sua sovrabbondanza.
La beatitudine della fame e della sete è legata al dono della “fortezza”
La fortezza ha per oggetto cose ardue, difficili: il desiderio della
santità, che è poi il desiderio di Dio, sono veramente realtà ardue... È difficile rendersi disponibili a questa fame e a questa sete
che divengono sempre più profonde ed esigenti: è disponibilità
all’accoglienza del dono di Dio. Pensiamo alle parole di Gesù alla
Samaritana, proprio dopo aver parlato di un’acqua che avrebbe
tolto ogni sete: “Se conoscessi il dono di Dio...” (Gv 4,10).
In qualche modo, la sete e la fame di giustizia sono già un dono,
sono già partecipare della gioia di Dio, della sua passione per
l’uomo. Segni di questa beatitudine e di questa partecipazione
sono la pazienza e la longanimità: i tempi della realizzazione della
giustizia, del bene che si espande nel creato, nelle creature e fra le
creature, richiedono la pazienza dell’attesa e la capacità di sostenere la fatica dei grandi progetti.
Più volte Gesù si è occupato della fame e della sete degli uomini,
e in modo tanto concreto che per saziarle ha compiuto prodigi: la
moltiplicazione dei pani, la trasformazione dell'acqua in vino. Ma
la fame e la sete di cui parla nelle beatitudini non sono quelle del
corpo, bensì quelle dello spirito. « Beati quelli che hanno fame e
sete di giustizia, perché saranno saziati » (Mt 5, 6), dice Gesù, e
intende parlare degli affamati e assetati non di cibo o di bevanda
materiali; ma di giustizia, ossia di perfezione, di santità.
Dio giustifica l'Uomo con la sua grazia: è la base indispensabile, il
punto di partenza della perfezione cristiana, la quale peraltro non
ha quaggiù termine di arrivo perchè il cristiano è chiamato ad essere perfetto « come è perfetto il Padre celeste » (Mt 5,48 ). Chi
ha coscienza dell'ideale e delle esigenze della perfezione evangelica non si sente mai soddisfatto della sua giustizia, delle sue virtù, delle sue opere buone. Anzi, a misura che procede nel cammino e si avvicina a Dio, avverte sempre più la distanza che lo separa
dall'ideale e perciò diventa sempre più affamato e assetato. La sua
prima fame è quella della volontà di Dio, cibo sostanzioso che
deve nutrire il cristiano come ha nutrito Gesù: « Mio cibo è fare la
volontà di Colui che mi ha mandato » (Gv 4,34); fuori della volontà di Dio non ci può essere né vera vita cristiana, né santità. La sua
prima sete è quella « dell'acqua viva » della grazia, la quale, in chi
la beve, « diventerà fontana d'acqua zampillante nella vita eterna »
(ivi 14). Solo la grazia rende l'uomo figlio di Dio, fratello di Cristo,
capace di emulare la santità del Padre celeste. Crescere nella grazia è crescere nell'amore, è entrare in più intima comunione « col
Padre e col Figlio suo Gesù Cristo » ( 1 Gv 1, 3) e in questa comunione abbracciare i fratelli. Dio solo può dare il cibo della volontà divina e l'acqua della grazia, perciò chi ne è affamato e assetato non cessa di invocarli tendendo la mano come un mendico
verso chi può soccorrerlo. E Dio lo sazierà in proporzione della
sua fame e della sua sete.
In genere si tende a credere che le beatitudini
evangeliche siano riservate a poche creature elette,
totalmente votate a Dio,
Gesù invece le ha predicate alle folle e non ha
fatto alcuna distinzione,
come non ne ha fatte
quando ha detto: « Siate
perfetti come è perfetto il
vostro Padre celeste » (Mt
5,48). Se le persone consacrate a Dio vi sono tenute in modo particolare, i semplici fedeli non ne sono dispensati perché, come
afferma il Vaticano II, «il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini » (LG 31). Senza autentico spirito di povertà, senza amore alla croce, senza mitezza;
come senza fame e sete di giustizia, nessun cristiano può vivere
con pienezza le istanze del suo battesimo e diffondere intorno a se
lo spirito evangelico. Eppure non sono molti i cristiani così affamati e assetati delle cose divine per cui nella loro vita la ricerca
del regno di Dio e della sua giustizia è sempre in prima linea (Mt
6,33). Spesso anche nel credente sono ancor troppo vive la fame
e la sete delle cose terrene, la cui intensità fa deviare il cuore in
cerca di soddisfazioni umane chiudendolo alla fame di quelle celesti. Bisogna pregare e lavorare per conseguire la grazia di una
vera povertà di spirito che libera il cuore dall'impaccio di tanti legami terreni e lo dispone ad un'unica fame, ad un'unica sete, quelle lodate dal Signore.
Allora il cristiano abbandona ogni desiderio di essere satollato dai
beni terreni e diventa sempre più affamato e assetato di Dio, di
comunione con lui, di dedizione, di amore. Totalmente preso da
questa fame e da questa sete, egli non può più concedersi riposo;
per quanto faccia per Dio gli pare sempre di fare troppo poco, e
mentre non tollera in se la minima infedeltà alla grazia, s'impegna
con tutte le forze per accendere in altri cuori la fame e la sete di
cui soffre. « L'amore di Cristo ci spinge » (2 Corinti 5,14), diceva
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S. Paolo, e ardeva dal desiderio di prodigarsi per la gloria di Dio e
per il bene delle anime (2 Corinti 12, 15). Solo Dio sazia questa
fame, inizialmente qui in terra e compiutamente nella vita eterna
quando la sua presenza ne placherà ogni ansia
PREGHIAMO IN UNITÀ
— Signore non è facile rispondere alla tua chiamata, quando ci inviti a portare ogni giorno la nostra croce. Prometti molto a chi segue questa
strada, ma da soli sentiamo di non potercela fare. Aiuta i malati, gli anziani, aiuta tutti coloro che sono nella sofferenza, per questo preghiamo.
— Dona a noi tutti, o Padre, il dono della umiltà, della semplicità perchè sappiamo accogliere la Tua Parola e camminare nelle Tue vie fiduciosi e docili alla Tua volontà. Preghiamo.
— Signore, che susciti nei cuori i desideri, gli sforzi, le opere di pace per sostituire l'odio con l'amore, facci uomini e donne di pace, noi ti
preghiamo.
— Per la Chiesa, che tu ami come sposa, perché continui a comunicare al mondo il Vangelo, seme di speranza che hai deposto nel suo
grembo per la vita di ogni uomo, preghiamo Signore.
— Per tutti i ragazzi, gli educatori e i giuseppini che in questo mese e in questa estate trascorrono insieme giornate di valore educativo nei campi e nelle varie attività. Aiutali tutti, Signore, a cercare il tuo volto e a farsi servitori gli uni degli altri.
Fame e sete
J. B. BOSSUET, Meditazioni sul Vangelo
Fa', o Signore, che desideri la giustizia con la stessa brama con cui si desidera il cibo e la bevanda quando si è tormentati
dallo stimolo della fame e della sete, perchè allora sarò saziato. Di che sarò saziato se non di giustizia? Sarò saziato in questa
vita, perché il giusto si farà più giusto e il santo più santo... Ma la sazietà perfetta l'avrò nel cielo, dove la giustizia eterna ci sarà data con la pienezza del tuo amore. « Sarò satollo... quando si presenterà alla mia vista la tua gloria ».
[Ma in questa vita] avrò sempre sete perché non cesserò di desiderarti, o mio Bene supremo, e vorrò possederti sempre
più... Avrò sempre sete, ma sempre mi disseterò perchè avrò in me la fonte zampillante per la vita eterna... Sarò sempre assetato di giustizia, ma tenendo le labbra sempre attaccate alla fonte che avrò in me stesso, la sete non mi sarà penosa, né mai mi
accascerà... La fonte è superiore alla mia sete, la sua ricchezza più grande del mio bisogno.
Attenzione, l’indirizzo a cui trovare tutti i numeri del “Monastero invisibile” è:
http://www.murialdo.org/MonasteroInvisibile/sussidi_doc.htm
Dopo aver ricevuto questi tre numeri estivi, il prossimo appuntamento è
a OTTOBRE 2007.
Arrivederci
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un Monastero invisibile
una rete di preghiera nel segreto del mondo
Sussidio di preghiera della Famiglia del Murialdo: Giovani, Amici, Collaboratori, Ex-Allievi, AMA., CLdM, Ist.
Secolare “S.L. Murialdo”, Murialdine, Giuseppini.
estate 2007, n.123 — AGOSTO
IMPARIAMO A PREGARE
(T. Ricci, Preghiera: problemi e risposte, Porziuncola)
La tradizione (1)
Chi prega lo fa sempre con un aggancio alla tradizione, anche quando dice di fare tutto da solo, perché la stessa positura che prende in quel
momento è frutto di costume d'ambiente, prima che di scelta personale. Pensiamo come un ateo, che sente per la prima volta l'impulso a pregare, si comporti differentemente se di cultura occidentale o asiatica.
Tra le implicazioni che l'atto di pregare comporta c'è quindi anche il peso della tradizione che, come l'abitudine, è di per sé un aiuto a operare
ma può anche, se di tradizione stanca si tratta, impoverire il vero senso e animo della preghiera. Basti il riferimento di quanto a me è accaduto
in una chiesa d'Inghilterra. Il parroco mi chiese d'intendermi con un visitatore spagnolo che voleva dirgli qualcosa ch'egli non riusciva a comprendere. Il discorso del visitatore era di essere rimasto ammirato di un'assemblea liturgica dove tutti cantavano e si movevamo in perfetta uniformità. Evidentemente un'esperienza di preghiera alla quale non era abituato, provenendo da una tradizione diversa e, sotto questo aspetto,
meno ricca e privilegiata di quella incontrata in quel luogo.
La tradizione è come un fiume che prende acqua da un'unica sorgente ma con aggiunte e variazioni d'ogni genere lungo il suo corso, o ancora
meglio paragonabile alla lingua parlata che assume inflessioni diverse da una regione all'altra, e sopratutto acquisizioni e perdite di vocaboli e
di frasario col cambiare dei tempi. Tradizione è infatti memoria di come un costume, una scuola, un esercizio sono nati e come in successione
di tempo si adattano alle variazioni occorrenti.
Legge che si riflette ovviamente anche nel modo di pregare nel quale sempre qualcosa si abbandona, qualcosa si trova, qualcosa è recepito
per il meglio o in perdita, nel colloquio che l'uomo cerca di avere con l'autore della propria esistenza.
Per fare qualche esempio, consideriamo quali differenze ha portato nella preghiera il cambiamento liturgico iniziato quaranta anni fa. Prima di
allora c'era uno stacco profondo tra il canto sacro e il canto profano, per cui quando si sono cominciate ad accorciare le distanze si sono avute
reazioni di disagio, e per molti di scandalo da chiamare, come si fece a quel tempo, Messa beat la musica di attualità introdotta nel rito sacro.
Il vantaggio di questo trapasso è l'universalità di linguaggio, che permette di esprimersi con le stesse risorse di parole e di suoni sia nella comunicazione umana sia nel rapporto con Dio. Ma allo stesso tempo si è perso, con l'abbandono del latino, il privilegio di parlare a Dio nella
lingua a lui riservata, che accresceva in chi prega il senso di sacralità e di mistero. Né si può negare che il canto gregoriano col suo incedere
solenne e misurato apriva alla contemplazione, mentre gran parte del repertorio musicale oggi in uso offre stimoli forti e improvvisi senza innalzare l'animo alla adorazione.
ENTRA NELLA PREGHIERA
«Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo
stava così, gli disse: "Vuoi guarire?"».
Lasciatevi riconciliare con Dio (2Cor 5,20)
Lasciatevi riconciliare con Dio. Dio è sempre disponibile, ci allunga la mano. Siamo noi che non siamo mai disponibili alla conversione, al rinnovamento interiore, condizione fondamentale per
la nostra riconciliazione con Dio e con i fratelli.
Qui vogliamo prendere in esame i nuovi peccati della società tecnologica, che sono poi i peccati di
sempre, perché hanno un'unica matrice, vecchia come l’ uomo. Un tempo
con parole più semplici, ma non meno
significative, si diceva: vizi capitali, le
emanazioni più appariscenti e quotidiane di quel «male», profondo che è dentro di noi e che si manifesta attraverso
la superbia, l'avarizia, la lussuria, l'invidia, la gola, l'ira, l'accidia. Chi dice di
non aver questi vizi, mentisce! Lasciarsi
riconciliare significa dunque rinnovarsi
in Cristo, deporre, come ci dice ancora S. Paolo il «vecchio uomo», quello, della presunzione (superbia), dell'individualismo (avarizia), dell'edonismo (lussuria), dell'arrivismo (invidia), del consumismo (gola), della violenza (ira), dell'alienazione (accidia) e
indossare Cristo, nella giustizia e nella santità. «Non illudetevi: né
fornicatori, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né
ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né
rapitori saranno eredi del regno di Dio» (1 Cor
6,9-10)
Non entreranno nel regno di Dio:
I SUPERBI: maestri di se stessi GLI AVARI: adoratori di se stessi I LUSSURIOSI: profanatori di
se stessi GLI INVIDIOSI: esaltatori di se stessi I
GOLOSI: insoddisfatti di se stessi I VIOLENTI:
insofferenti di se stessi GLI OZIOSI: alienisti da
se stessi
Il male, il peccato è sempre esistito. L'uomo
ne è sempre stato travolto. Oggi, però, nell'o-5-
dierno contesto «alienante» l'uomo è spinto, senza avvedersene,
sulla china della dissoluzione di ogni valore umano e religioso. Il
mito della scienza, della tecnica, dell'industrializzazione ha reso
l'uomo più sicuro di sé, facendogli perdere di vista Dio. Ad Adamo
ed Eva, dopo aver assaggiato il «frutto proibito», «s'apersero gli
occhi» e «s'accorsero di essere nudi»... Cedendo alla suggestione
degli attuali «miti alienanti», quali il consumismo, la violenza,
l'individualismo, l'edonismo..., l'uomo s'accorge drammaticamente
«d'essere nudo», di trovarsi cioè spogliato della sua dignità...
La crisi attuale, che non è solo economica, ma soprattutto di valori: Dio (ateismo pratico, indifferentismo); la vita (divorzio, aborto,
violenze); il prossimo (individualismo, arrivismo, violenza, sopraffazione); se stessi (presunzione, avidità, alienazione, edonismo),
ci sta rendendo più umili e meno sicuri di noi stessi.
I nuovi peccati della società tecnologica:
PRESUNZIONE: maestri di se stessi (superbia) Ma io vi dico: «Uno solo è il vostro
maestro».
INDIVIDUALISMO: adoratori di se stessi
(avarizia) Ma io vi dico: «Chi salva la propria vita la perde».
EDONISMO: profanatori di se stessi (lussuria) Ma io vi dico: «Se il tuo occhio destro
ti scandalizza, cavalo».
ARRIVISMO: esaltatori di se stessi (invidia)
Ma io vi dico: «I primi saranno gli ultimi».
CONSUMISMO: insoddisfatti di se stessi
(gola) Ma io vi dico:«Non di solo pane vive
l'uomo» .
VIOLENZA: insofferenti di se stessi (ira) Ma io vi dico: «I miti
possederanno la terra».
OZIO: alienati da se stessi (accidia) Ma io vi dico: «A chi ha sarà
dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha».
I superbi: maestri di se stessi «Non fatevi chiamare maestri. Uno
solo è il vostro maestro» (Mt 23,8).
Stupidità e superbia sono consanguinee: crescono su uno stesso
ceppo. Chi presume d'essere il portavoce esclusivo della verità
«inganna se stesso ed è nell'errore» (1 Gv 1,8) La presunzione
dello spirito sfocia sempre nell'esaltazione delle proprie utopie...
Possederai la verità quando non la filtrerai attraverso la tua «sicurezza»; quando avrai un cuore trasparente di fanciullo;
quando la tua interiore ricerca non sarà viziata dall'arbitrarietà, dal
settarismo, dai pregiudizi; quando pescherai le tue «verità» nel
mare della VERITÀ... La verità infatti «è da Dio», mentre la menzogna ha per padre il diavolo» (cf. Gv 8,44).
CRISTO È LUCE VERA CHE ILLUMINA OGNI UOMO...
Egli è «pieno di grazia e di verità, e a quanti l'accolgono dà il potere di diventare figli di Dio» (Cf. Gv 12-14). Facendosi in umiltà il
portavoce del Padre, egli ha operato la liberazione dell'uomo dall'errore: «In verità, in verità io vi dico...». Gli avari: adoratori di se
stessi «Chi salva la propria vita la perde» (Mc 8,35). Sulla scia
del ricco Epulone, gli «adoratori di se stessi» «pensano solo ai
beni della terra» (cf. Col 3,2), sono insensibili alla voce del povero. Chi bussa alla loro porta deve accontentarsi delle briciole cadute dalla mensa... L'adorazione di sé e dei propri beni porta all'indurimento del cuore: l'avaro è insensibile ai problemi «non
suoi», incapace di capire la realtà dello spirito: «La sete del denaro è la causa di tutti i mali: molti che ne sono stati adescati si sono allontanati dalla fede». Non invidiare chi vive nel l'abbondanza:
la speranza e la gioia appartengono ai poveri. Il «saturo», quando
se ne va, «non porta nulla con sé, né il suo lusso lo seguirà»
Cristo ha bollato a fuoco gli «adoratori di se stessi»:«Guai a voi, o
ricchi, perchè avete già ricevuto la vostra ricompensa. Guai a voi
che ora siete sazi, perché avrete fame.Guai a voi che ora ridete,
perché piangerete» (Lc 6,24,ss). Cristo s'incarna in ogni uomo
che sulla strada ti stenda la mano... I lussuriosi: profanatori di se
stessi«Siete tempio dello Spirito Santo» (1Cor 6,19). Il faticoso
cammino dell'uomo verso le cose dello spirito è oggi reso ancor
più difficile dalla sfacciata liberalizzazione del «sesso»,concepito
non come luogo e veicolo dell'amore, ma istinto fine a se stesso,
merce da vendere al miglior offerente. «È assai mortificante subire
la volontà di questo occulto nemico che si nasconde nella nostra
macchina corporea, mentre siamo fatti per dominarlo» (Claudel).
L'amore vero non è monologo (ricerca di sé), ma dialogo (dono a
un altro); non è sovrapposizione, ma fusione di persone; non è
contingente (limitato nel tempo), ma senza tramonto: «Dire a
qualcuno - io t'amo - significa - tu non morrai -» (G. Marcel).
L'uomo «è corpo nell'anima e anima nel corpo» (S. Agostino).
Chi fa dell'amore una «cosa» o una merce in realtà lo dissacra,
essendo il nostro corpo «tempio dello Spirito santo».
Cristo ha riscattato con l'amore le deviazioni dell'amore. Nell'adultera, nella Maddalena, nella samaritana la profanazione di se stesse fu recuperata con la moneta della conversione: «dove abbondò
la colpa, sovrabbondò l'amore». Nell'amore è il segreto di ogni
redenzione. Gli invidiosi: esaltatori di se stessi «I primi saranno
gli ultimi» (Mt 19,30) Scavalcare gli altri denota spesso ambizione, grettezza d'animo, «arrivismo»... Pochi sanno stare dietro le
quinte, accettare di mettersi in coda, aspettare il proprio turno... È
dell'invidioso non «saper perdere», voler prevalere a tutti i costi,
misconoscere gli altrui meriti. Molte sopraffazioni hanno per matrice l'invidia; l'uomo invidioso è capace delle più assurde efferatezze. La meschinità di un uomo si misura sulla grandezza della
sua invidia. L'uomo che non è invidioso «vede le rose più rosse
degli altri e l'erba più verde e il sole più abbagliante: colui che
non s'aspetta niente è felice perché possiede la città e le montagne (Chesterton)
CRISTO HA DENUNCIATO GLI ACCAPARRATORI DEI PRIMI POSTI:
«...quando sei invitato a pranzo mettiti all'ultimo posto... Chi si
esalta sarà umiliato, chi si umilia sarà esaltato... I primi saranno
gli ultimi...» (Mt 19,30). La «precedenza» data agli altri quaggiù
garantisce quella nel regno dei cieli. I golosi: insoddisfatti di se
stessi «Cercate i beni di lassù...» (Col 3,2). Non di solo pane vive
l'uomo: egli è assetato di eterno, di assoluto, di trascendenza...
«Il mondo - per aver tarpato questo anelito - muore di noia; si
riempie il vuoto con l'inutile: è l'epoca del conforto-sconforto
dell'angoscia» (Montale). L'utopia della felicità consumistica confida solamente su la «produttività», il «reddito», «l'investimento»:
non si può tuttavia innamorarsi del tasso d'interesse. Le aspirazioni dell'uomo valicano gli orizzonti del contingente: egli sogna inconsciamente «beni che né la ruggine né la tignola possono intaccare» (Mt 6,19). Paradossalmente «si può essere felici, con
Dio, nel reclusorio di un ergastolo; o ai piedi di una ghigliottina»
(S. Michele Garicoits); nella ricerca del «regno di Dio» si cela la
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chiave di ogni vera felicità.«Se gli uomini più che a stare bene
pensassero a fare bene, si finirebbe tutti con lo stare meglio (Manzoni).
CRISTO NEL DESERTO RESPINSE LA TENTAZIONE «CONSUMISTICA» proponendo l'alternativa di un altro «pane»...Il termine di
confronto della felicità è lui:«Venite a me voi tutti... io vi ristorerò»(Mt 11,28); egli è il pane di vita: «Chi mangia di me non avrà
più fame» (cf Gv 6,35). I violenti: insofferenti di se stessi «Porgi
l'altra guancia...» (Mt 9,39). La violenza da quella armata a quella
della guerra fredda ha mietuto un numero incalcolabile di vittime.
La cronaca quotidiana gronda sangue, odio, vendetta; registra omicidi, rapine, rapimenti, sopraffazioni... La società si trasforma in
una giungla dove detta legge la ragione del «più forte...». La violenza non può essere debellata con la forza: «la violenza, infatti,
genera violenza» (Eschilo); ma con il paradosso evangelico del
perdono, dell'attesa, del silenzio...il «porgere l'altra guancia a chi
percuote»costituisce l'arma che, a lungo andare, spunta ogni contesa. La legge del taglione, «occhio per occhio, dente per dente»,
ha diviso gli uomini invece di unirli, ha esasperato le tensioni in-
vece di allentarle, ha acceso fuochi invece di spegnerli, ha innalzato muri invece di favorire la «comunione...».
CRISTO HA VINTO LA VIOLENZA CON LA VIOLENZA DELL'AMORE
Ha riscattato il tradimento di Pietro, assolvendolo; ha contraccambiato il bacio sacrilego di Giuda con l'atteggiamento benevolo dell'amicizia; ha amnistiato i suoi crocefissori pregando: «Padre,
perdona loro...». Gli oziosi: alienati da se stessi «A chi ha sarà
dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Mt 3,12). Senza un ideale l'uomo, come una macina, gira consumando se stesso.. L'inattività, l'ozio sono l'anticamera d'ogni deviazione morale:
«C'è una naturale inclinazione delle cose a discendere al peggio,
quando un nobile sforzo non mantenga il loro centro di gravità al
disopra di esse» (M. Proust). La vita«è per tutti un impiego, del
quale ognuno renderà conto» (Manzoni); i mali sociali sono generati da una fondamentale pigrizia, che ci impedisce ogni sforzo
costruttivo e liberante. I «disimpegnati» saranno sempre dei cinici
spettatori, degli improduttivi, degli emarginati: solo «una vita spesa bene lunga è!» (L. da Vinci)...
PREGHIAMO IN UNITÀ
— Per questo tempo di ferie, perché il giusto riposo dalle occupazioni lavorative sia l’occasione per cogliere con serenità la dolcezza della
compagnia di Dio e per lasciar brillare nella fragilità e nell’inquietudine dei giorni i segni dell’eterno, preghiamo.
— 15 agosto, Festa di Maria assunta in cielo. Signore, grazie per il dono grande di Maria, donna fatta grande per la sua semplicità e disponibilità alla tua volontà. Aiutaci ad imitarla: per questo preghiamo.
— Per le meraviglie nascoste che tu o Signore compi nell'intimità dei cuori, che nessun altro può conoscere, che nessuno al mondo può
comprendere e che trasfigurano la nostra povera vita in un mistero d'amore da te solo conosciuto, noi ti preghiamo.
Guariscici o Signore!
Signore Iddio, Padre e amico degli uomini, che hai voluto riconciliare a te l'umanità intera nel Figlio tuo Gesù Cristo, morto e risorto,
riconciliando, così, anche tutti gli uomini tra loro: ascolta la preghiera del tuo popolo in questo tempo di grazia e di salvezza.
Che il tuo Spirito di vita e di santità ci rinnovi nel profondo del cuore unendoci, per tutta la vita, al Cristo risuscitato, nostro
salvatore e fratello. In cammino con tutti i cristiani sulle vie del vangelo, ci sia dato, fedeli all'insegnamento della chiesa e solleciti alle necessità dei fratelli di essere artefici di riconciliazioni, di unità e di pace. Feconda gli sforzi di coloro che lavorano
al servizio degli uomini.
Sii tu la speranza e la luce di chi ti cerca anche senza conoscerti e di chi, conoscendoti, ti cerca sempre di più. Perdona i nostri peccati, conferma la nostra fede, stimola la speranza, accresci la carità; fa che viviamo, seguendo Gesù, come tuoi figli amatissimi. Che la tua Chiesa, con l'aiuto materno di Maria, sia segno e sacramento di salvezza per tutti gli uomini, perché il
mondo creda al tuo amore e alla tua verità. Esaudisci, Padre infinitamente buono, la preghiera che il tuo Spirito c'ispira a tua
gloria e per la nostra salvezza: per Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore, via verità e vita per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Chi volesse contattare la redazione de “Un Monastero Invisibile”, scriva a:
Redazione “Un Monastero Invisibile”
c/o Capelli Giorgio e Stefania
via Ossanesga 46
24030 Paladina (BG)
oppure all’e-mail: [email protected]
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un Monastero invisibile
una rete di preghiera nel segreto del mondo
Sussidio di preghiera della Famiglia del Murialdo: Giovani, Amici, Collaboratori, Ex-Allievi, AMA., CLdM, Ist.
Secolare “S.L. Murialdo”, Murialdine, Giuseppini.
estate 2007, n.123 — SETTEMBRE
IMPARIAMO A PREGARE
(T. Ricci, Preghiera: problemi e risposte, Porziuncola)
La tradizione (2)
Quello che di positivo possiamo ricavare da questo discorso è che la tradizione, che Paolo chiama deposito sacro al credente, è ricchezza alla
quale possiamo sempre attingere come da inesauribile fonte. Cosa che sopratutto deve distinguere chi ha mansioni di insegnamento e di guida
nella comunità dei credenti, secondo quanto dice Gesù: ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile ad un padrone di casa che
estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche. Con la differenza che le cose nuove ci sono con facilità offerte dal tempo e dall'ambiente nel
quale viviamo, le cose antiche richiedono pazienza e volontà di ricerca e discernimento nel saperle riprendere ed utilizzare.
Se a questo riguardo vogliamo un esempio eloquente, lo troviamo in Francesco di Assisi, mirabile connubio nel recepire le istanze del nuovo e
insieme riappropriarsi l'autenticità della prima sorgente. Pressato da autorità ecclesiastiche a entrare nelle forme già esistenti di vita monastica:
ricusava con quanta più umiltà poteva quegli argomenti, non perché li disprezzasse, ma perché sentiva trasportato a più alto desiderio, seguendo con amore un altro ideale. Questa la novità che egli perseguiva in consonanza coi profondi cambiamenti di vita del suo tempo, così da
sventare la congiura di chi gli parlava di adottare le Regole classiche degli Ordini religiosi antichi. Dall'altro lato tanto fermo nella sottomissione alla Chiesa, come istituzione, da non sentirsi sicuro del suo cammino senza l'approvazione esplicita da parte di essa.
Può in definitiva accadere che il tradizionalista ostinato si trovi ad avere una vita di preghiera a cui manca la libertà di espressione quando le
circostanze la richiederebbero, e chi pretende rinnovarsi senza continuità e senza il culto di tesori esistenti, passi da un'esperienza all'altra arenandosi all'ultimo nelle secche della insensibilità religiosa.
Come esattamente accade in qualsiasi altro settore di vita. Lo sposo che, nell'anniversario di matrimonio fa recapitare alla moglie sempre il
solito mazzo di fiori senza novità di modi, finisce di togliere ogni significato che il gesto aveva all'inizio. Se viceversa è un bambino che cerca
di raffigurarti in un foglio e te lo dona orgoglioso di offrirti l'opera sua, l'effetto su di te è di strepitosa accoglienza. Non crediamo che Dio accolga in modo diverso la nostra preghiera, sia che assomigli sfortunatamente al primo caso, oppure felicemente al secondo. Lo insegna Gesù
quando squalifica la preghiera stereotipa, fatta senza ricerca del vero interlocutore, mentre esalta ciò che sembra insignificante all'occhio umano, ma è atto di culto fatto con pienezza di partecipazione, come nell'episodio dell'obolo della vedova che troviamo nel vangelo di Marco.
ENTRA NELLA PREGHIERA
Voglia di silenzio
«Mi presento, sono il silenzio»
le vostre chiacchiere. Prima di lasciarci, però, permettete che
riassuma tutto in sole quattro parole: custoditemi, e sarete custoPer favore, lasciatemi, una volta tanto, prendere la parola. Lo so è
diti! Proteggetemi e sarete protetti!
paradossale che il silenzio parl. E’ contrario al mio carattere schiDal vostro primo alleato. Il silenzio
vo e riservato. Però sento il dovere di parlare: voi uomini non mi
L’arte del silenzio
conoscete abbastanza! Ecco qualcosa di me. Intanto le mie origini
sono assolutamente nobili. Prima che il mondo fosse, tutto era
Fare silenzio non è la cosa più facile del mondo. Ha ragione il
silenzio. Non un silenzio vuoti, no, ma traboccante. Così trabocgrande scrittore ebreo Elie Wiesel a dire che “ il silenzio è cosa
cante che una parola detta dentro di me ha fatto tutto! Poi, però,
delicata”. Può arricchirci, regalandoci le realtà più preziose come
ho dovuto fare i conti con una lama invisibile che mi taglia dentro:
il rumore! Ebbene lasciate che ve lo dica subito: non immaginate
cosa perdete ferendomi! Il baccano non vi dà una mano! Io, invece
sì. Io sono l’officina nella quale si fabbricano le idee più profonde,
dove si costruiscono le parole che fanno succedere qualcosa. Io
sono come l’uovo del cardellino: la custodia del cantare e del volare. Simpatico no? Io segno i momenti più belli della vita: quello
dei nove mesi, quelli delle coccole, quello dello sguardo degli
innamorati… Segno anche i momenti più seri: i momenti dela
dolore, delle sofferenza, della morte. No, non mi sto elogiando,
ma dicendo la pura verità. Io mi inerpico sulle vette ove nidificano
le aquile. Io scendo negli abissi degli oceani. Io vado a contare le
quelle viste, ma può anche intrappolarci. Tutto dipende dalla scelstelle… Io vi regalo momenti di pace, di stupore, di meraviglia. Io
ta tra il tacere buono e il tacere falso. Chiariamo.
sono il sentiero che conduce al paese dell’anima. Sono il trampoSilenzi
falsi
lino di lancio della preghiera. Sono addirittura, il recinto di Dio!
Per
tagliar
corto, diciamo che abbiamo almeno quattro tipi di siEcco qualcosa di me. Scusatemi se ho interrotto i vostri rumori e
lenzio.
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Silenzio vuoto
Il primo tipo è il silenzio vuoto. Subito due esempi. E’ vuoto il silenzio del mutismo, cioè il silenzio del cocciuto, dell’offeso,
dell’orgoglioso, del risentito. Questa è la caricatura del silenzio! Il
mutismo sta al silenzio come l’aceto sta al vino. Altro esempio di
silenzio vuoto è quello della ruminazione mentale di una sola idea:
sono ammalato, sono poco simpatico, sono poco intelligente…Chi rumina in se stesso è come una ruota sgonfia che struscia
sulla strada. E’ ovvio che in questo caso il silenzio non può essere
che un’insidia.
Silenzio vile
Secondo tipo di silenzio falso è quello vile: il silenzio di chi tace
per paura, per vigliaccheria. Il proverbio dice:”La parola è
d’argento, il silenzio è d’oro”. No, non è sempre così! E’ forse
d’oro il silenzio di chi non parla contro l’ingiustizia, contro
l’oppressione? Il grande difensore dei diritti civili della popolazione nera degli Stati Uniti, Martin Luther King, diceva “Non temo la
cattiveria dei malvagi; temo il silenzio degli onesti”. Non c’è dubbio che, talora, tacere è una colpa: non parlare contro il male, equivale a provocarlo! La nostra santa Caterina da Siena gridava:”Basta con il silenzio! A forza di tacere, il mondo s’è tutto imputridito!” chi pare abbia raccolto, oggi, il grido di Santa Caterina
è un'altra donna: Oriana Fallaci. Sentiamo, ad esempio, ciò che
nel suo ultimo lavoro “Apocalisse” dice sul silenzio di chi non
protesta contro la pretesa degli omosessuali di adottare bambini.
“Mi indigna il silenzio, l’ipocrisia, la vigliaccheria che circonda
questa faccenda. Mi infuria la gente che tace, che ha paura di parlarne, di dire la verità: E la verità è che le leggi dello Stato non
possono ignorare le leggi della natura. Lo Stato non può consegnare un bambino, cioè una creatura
indifesa e ignara, a genitori con i
quali egli vive credendo che si nasce
da due babbi o due mamme, non da
un babbo e una mamma. Un bambino non è un cane o un gatto da nutrire e basta, alloggiare e basta. E’ un
essere umano, un cittadino con diritti
inalienabili. E il primo di questi diritti
è sapere come si nasce su questo
pianeta, come funziona la Vita nella
nostra specie. Cosa del tutto impossibile con due ‘genitori’ del medesimo sesso. Punto e basta”. Bene! In
questo caso la Fallaci ha ragione.
Non avesse parlato, avrebbe praticato il silenzio vile.
Silenzio pigro
Terzo tipo di falso silenzio è il silenzio pigro, cioè quello che nasce dal poco impegno, dalla poca buona volontà, per cui non sa
parlare, mentre sarebbe preciso dovere. L’insegnante e il genitore
che non sanno rispondere con intelligenza ad una lecita domanda
dell’alunno o del figlio; l’impiegato che non sa quale consiglio o
informazione dare, l’alunno tace all’esame…sono esempi di silenzio pigro.
Silenzio imposto
Quarto tipo di falso silenzio è quello imposto: quello a cui viene
costretto qualcuno con forza, con autoritarismo. Il silenzio imposto
non è d’oro, ma di piombo! Si è mai educato o istruito o convertito
qualcuno riducendolo al silenzio?
Silenzi buoni
I silenzi di razza buona sono quelli che dilatano il nostro spazio
interiore. Anche qui, per non annoiare, vediamo i tre principali.
Silenzio intelligente
Silenzio intelligente è quello di chi tace perché non sa cosa dire.
Purtroppo questo genere di silenzio si sta facendo sempre più raro. Oggi bisogna parlare; anche se non si sa cosa dire, bisogna
dirlo! Televisione a parte, altri due sembrano i principali responsabili della scomparsa del silenzio intelligente: una certa pedagogia e il giornalismo. Han detto:”Fate parlare i bambini, teneteli
desti, la scuola deve essere viva…”. Tutto vero; però è un fatto
indubitabile che perché una parola sia veramente tale e cioè “
concetto vocalizzato” e non semplice chiacchiera, deve essere
macerata nel silenzio. Dunque, non: “Fate parlare i bambini” ma:
“Fateli tacere”, perché solo allora li sentirete dire cose nuove, originali, come è originale il loro ‘io’ che hanno scoperto nel silenzio. Sì: beato il bambino che oggi incontra il silenzio. Crescerà. E
domani farà sentire la sua voce! Altro responsabile della scomparsa del silenzio intelligente è, dicevamo, il giornalismo. E’ sensato
che il giornale debba sempre ‘uscire’ con lo stesso numero di pagine? Si può prevedere, in modo assoluto, che la vita offra sempre
la stessa quantità di notizie? Eppure proprio questo pretende una
discutibilissima logica che, se può soddisfare le esigenze di organizzazione, non garantisce, certo, le esigenze della serietà e della
verità. Non sarebbe più dignitoso se, dopo aver detto tutto quello
che si poteva dire, il giornale portasse magari una pagina bianca
con su scritto: “Le notizie sono esaurite: per oggi è tutto”? Sarebbe un’iniziativa quanto mai intelligente e morale: non si correrebbe
più il rischio di dire parole inutili, se non bugiarde.
Silenzio arricchente
Silenzio arricchente è quello di chi mentre legge un libro, mentre
contempla un’opera d’arte, mentre sente una certa musica, ascolta
una conferenza…. Anche questo, nonostante i
suoni e le parole che lo riempiono, è silenzio
autentico. Tacere non significa circondarsi di
vuoto, ma rifornirsi di qualcosa. “Occorre avere
del silenzio – dice l’esperta Adriana Zarri – un
concetto vitale e formale. Lo stormire degli alberi, il canto degli uccelli, lo scroscio
dell’acqua non lo rompono. Neanche la musica
lo rompe: lo rivela; perché il silenzio è come il
bianco; non è assenza di colori; è la somma di
tutti i colori, riassunti ed unificati, quasi messi
a tacere nella candidezza”.
Silenzio adorante
Silenzio adorante è quello di chi completa estasiato, il silenzio dello studioso concentrato, il
silenzio del mistico. Nessuno ha descritto tanto
bene il silenzio adorante quanto Antoine De Saint Exupéry: “Nel
domenicano che prega c’è una presenza densa. Quest’ uomo non
è mai così uomo come quando è là prostrato e immobile. In Pasteur (scienziato francese) che trattiene il fiato sopra il suo microscopio, c’è una presenza densa. Pasteur non è mai così uomo
come quando osserva. Allora progredisce. Allora si affretta. Allora,
anche se immobile, avanza a passi di gigante e scopre la vastità”.
Così Cézanne (pittore francese) immobile e muto, dinnanzi al suo
abbozzo, "è di presenza inestimabile: non è mai così uomo come
quando tace, prova e giudica. Allora la sua tela diventa per lui più
vasta del mare”. Nel farsi ‘adorante’, il silenzio raggiunge la sua
più vera e alta funzione: essere l’officina dello spirito, dilatare il
paese dell’anima.
Il fascino del deserto
Quale la conclusione di tutto? Una sola: in un mondo di parole,
parolone e parolacce, il silenzio è tra le prime urgenze per poter
sopravvivere da uomini. Già lo avvertiva, nel secolo scorso, lo
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scrittore francese Georges Bernanos: “Conservare il silenzio, che
strana impressione! E’ il silenzio che conserva noi!”. Fin dal quarto secolo dopo Cristo, un grande Padre della chiesa, San Basilio,
era della stessa opinione:”Costudisci il silenzio e il silenzio custodirà te!”.
Preziosità del silenzio! I tuaregh, un popolo del Sahara, hanno uno
stupendo proverbio: ”Dio ha creato paesi pieni d’acqua perché gli
uomini vi trovino la vita e deserti perché vi trovino le proprie anime”. Perché proprio deserti? Perché il fascino del deserto è che
nasconde un pozzo: il pozzo del silenzio. Da esso abbiamo cercato
di estrarre un po’ d’acqua per rigenerare le nostre anime disidatrate dal rumore.
PREGHIAMO IN UNITÀ
— Per le vocazioni sacerdotali, religiose, missionarie perchè ci siano giovani che rispondano un generoso si a Dio che li chiama a consacrare
la loro vita a servizio della chiesa dei fratelli. Per questo ti preghiamo.
— Perché nelle nostre comunità si lavori per accrescere la disponibilità all'accoglienza affinché nessuno si senta discriminato o ignorato per
via della propria origine o ceto sociale, preghiamo.
— Perchè gli adolescenti e i giovani del terzo millennio scoprano un ideale profondo, che dia senso e valore alla loro esistenza, preghiamo
— Perchè coloro che operano nella scuola si ispirino a un progetto educativo adeguato ai bisogni della persona e della società, preghiamo
— E’ questo il mese in cui riprendono le scuole. E’ il periodo del ritorno alla fatica di imparare a conoscere il mondo e la vita, per tanti studenti. Preghiamo insieme il Signore perché ogni ragazzo ed ogni giovane, attraverso l’incontro con tante piccole verità, apra il suo cuore e la sua mente
all’incontro con la Verità stessa. Preghiamo anche per tutti gli insegnanti e gli educatori, perché incontrino con rispetto e aiutino con dolcezza i giovani
in questo delicato momento della loro vita.
Ti ascolto
Mio Dio, mi hanno detto che Tu, molte volte, hai parlato ai Tuoi amici: ad Abramo, a Mosè, a David, al Tuo figlio Gesù
quando viveva tra noi, a San Francesco.... Mio Dio, mi hanno detto che Tu parli sempre a chi vuole ascoltarti. L'universo intero, le creature della terra, le opere dell'uomo, i fatti e le persone, le pagine della Bibbia sono pieni di te. Io mi siedo. Tante voci
mi piovono addosso, ogni giorno, ogni istante. I genitori, i professori e gli amici, i cantanti e i campioni, la televisione e i giornali... tutti vogliono dirmi la loro. Io mi siedo, con la testa in silenzio, con il cuore tranquillo, con il corpo disteso. Ecco, tra
mille emittenti, voglio sintonizzarmi con Te. Sono pronto. Mio Dio, parla. Io ti ascolto
Col prossimo mese ritorna regolarmente la pubblicazione del Monastero Invisibile.
Se hai un indirizzo di posta elettronica, comunicacelo, ti potremo far giungere più velocemente questo piccolo sussidio di preghiera.
Altrimenti, dopo il giorno 20 del mese precedente (ad esempio dopo il 20 SETTEMBRE, puoi trovare il numero di OTTOBRE),
puoi trovare il sussidio sul sito internet:
http://www.murialdo.org/MonasteroInvisibile/sussidi_doc.htm
☺
Se vuoi fare un regalo utile a un tuo figlio, nipote, ragazzo o giovane che conosci,
c’è a disposizione un piccolo e simpatico libretto per aiutarlo ogni giorno a non “dimenticarsi” di pregare.
Per ogni giorno, da settembre 2007 a settembre 2008, c’è il brano del vangelo e un breve commento:
un buon compagno per restare vicino al Signore!!
Richiedilo in questo mese di settembre all’opera Giuseppina a te più vicina o scrivi all’indirizzo:
[email protected]
(il prezzo si dovrebbe aggirare su 1,50 euro circa).
Oppure scrivi, come sempre, alla redazione del Monastero Invisibile:
Redazione “Un Monastero Invisibile”
c/o Capelli Giorgio e Stefania
via Ossanesga 46
24030 Paladina (BG)
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Una storia
Sapendo che non ci sono parole più belle di chi le vive davvero, vorremmo proporvi questa testimonianza di d.Roberto Pennati. Ci piace pensare che il mondo continua a essere ricco di bene e speranza grazie a persona come lui. (Intervista a cura di E. Ongis).
“La mia malattia si chiama Sla, sclerosi laterale amiotrofica. Simile a quella di Piergiorgio Welby. E’ una malattia che colpisce il sistema nervoso e soprattutto i neuroni del movimento, braccia e gambe inizialmente. Non se conosce la causa, questo è il grande problema. Un po’ alla
volta il sistema nervoso non stimola più i muscoli e i muscoli deperiscono, diventano quasi insignificanti. Forse adesso la ricerca ha fatto dei
passi in avanti ma, per la letteratura medica di alcuni anni fa, il 50 per cento dei pazienti moriva tre anni dopo la diagnosi, il 90 per cento dopo
cinque anni. Io ho “festeggiato”i dieci anni della mia malattia nel novembre scorso. Non si sa il perchè: per qualcuno la patologia evolve più
velocemente, per altri più lentamente”. Don Roberto Pennati è un prete del Patronato. Ha 61 anni e vive nella comunità Agro di Sopra alle porte di Bergamo, vicino al rondò delle Valli. Con lui risiede una famiglia composta da papà, mamma e una figlia. Qui aveva fondato, alla fine degli
Anni 70, una casa di recupero per tossico dipendenti, sull’esempio del Gruppo Abele di Torino. L’insorgere della malattia lo ha costretto a porre fine a quell’esperienza di frontiera, ma la comunità ha continuato a esistere cambiando pelle: oggi ,oltre che dagli “ex” è frequentata da persone che vivono al centro della società, manager, intellettuali, preti, padri e madri di famiglia che hanno trovato in don Roberto un padre e una
guida. L’appuntamento fisso è la Domenica mattina per la Messa, celebrata nella sala attigua alla sua camera-studio, piena di libri e di quadri.
Sul tavolo il computer che ha come sfondo una crocifissione. Il computer è uno strumento preziosissimo per Don Roberto (“è di una utilità eccezionale per leggere la Bibbia e i Salmi”) perché uno dei pochi movimenti che riesce a compiere è digitare sul mouse. Le gambe sono bloccate, la voce ha bisogno di continue pause. La mente invece è lucida, lucidissima. L’ultima volta che ha potuto lasciare la sua “cella” è stato
nel novembre scorso per intervenire a un convegno:(ma era un anno e quattro mesi che non uscivo).
Don Roberto, quando è cominciato il suo calvario?
“Quando ci si scopre addosso questa malattia si è nel pieno dell’attività, non ci sono blocchi improvvisi o immediati. Il segnale è stato che un
giorno, nel tirar fuori secchi di acqua dai bidoni per bagnare l’orto, dopo mezz’ora mi ha preso una strana stanchezza alle braccia, in particolare al braccio destro. Questo è stato l’esordio. Il mattino dopo, mentre celebravo Messa, quando tenevo le braccia in alto mi tremavano un pò.
La neurologa a cui mi sono rivolto ha capito gia al primo incontro. Gli esami fatti in seguito hanno confermato la diagnosi. Avevo 50 anni.
Qual e stata la sua reazione?
“I primi dieci giorni non ho capito più niente, mi è crollato il mondo addosso. Ricordo il fastidio che mi provocavano amici e parenti quando
mi chiedevano: “Ma cos’è questa malattia? Cosa farai adesso?”. “Non so niente, rispondevo, non chiedetemi niente”. Il medico mi consolava a
modo suo: “Non è una malattia grave come un tumore che ti porta via in tre mesi”. Ho capito! Di quello che diceva m’è rimasta in mente una
cosa: “Vai in montagna, riesci ad andare e non riesci più a tornare”. Per paura non sono più andato in montagna. Poi ho provato: mezz’oretta e
riuscivo, un’oretta e riuscivo. Nei tre anni successivi sono riuscito ancora a salire due quattromila. I primi giorni però è stato un subbuglio che
ha scombussolato tutto. Devi lasciarlo calmare, non c’è niente da fare. Per la prima volta nella mia vita erano crollati tutti i paletti di riferimento,
tutti”.
Ha pianto?
“Una volta, da solo. Parecchio”.
Lei è un prete, a Dio cosa diceva?
“All’inizio la domanda era: perché? Perchè a me e non a un altro? Mi ero fatto l’idea che questa malattia girasse nell’aria. Nei primi mesi provavo un’ invidia tremenda contro tutte le persone sane, anche perché la Sla ne colpisce trenta- quaranta sull’intera popolazione bergamasca.
Provavo invidia soprattutto verso i giovani. Come a dire: io ho questa peste addosso e gli altri neppure si rendono conto che può capitare anche
a loro, vanno in giro tranquilli in bicicletta mentre io sono sempre sotto questa cappa, sotto questo peso. I primi mesi sono stati durissimi. Non
mi interessava se c’era un bel sole o se era scesa la neve: l’unica cosa che per me contava era il fatto di essere ammalato. La domanda al Signore era: perché? Esiste una risposta?”
Dove l’ha cercata?
“Mi sono letto più di ottanta testi sul significato del male, del dolore, della sofferenza. Ma niente di quello che c’era scritto mi soddisfaceva
pienamente. Non perché le risposte non ci fossero, ma perché io non volevo sentirle. Per di più, pensavo di essere vaccinato contro una tale
sofferenza, perché in comunità avevo accompagnato alla morte una decina di ragazzi malati di Aids. Percorsi durissimi ma di grande profondità. Ero cioè stato vicino alla morte degli altri. Ma quando capita a te, è come se ti venissero meno tutte le forze, è come se non riuscissi più a
essere te stesso. Il rischio di una depressione è reale”.
Come ha cercato di reagire?
“Uno dei primi gesti è stato pregare e far pregare affinché il Signore mi guarisse. E’ normale, è giusto. In seguito, fortunatamente, ho partecipato a riunioni con altre persone malate. In questi incontri avevo di fronte un padre di famiglia, più giovane di me di due anni, colpito dalla stessa
malattia e un giorno mi è venuta questa illuminazione: “Pensa se Dio guarisse me e non lui. Io non accetto questa cosa, non avrei più il coraggio di guardare in faccia a quest’uomo”. Allora ho cambiato la mia preghiera: “Dio, ti raccomando, non guarirmi”. Perchè non avrei retto il confronto. Tempo dopo però, leggendo Santa Teresa di Lisieux, ho trovato un passo in cui dice: “Tu non devi chiedere al Signore di guarirti o di
non guarirti. Lascia fare a Lui che se ti guarisce non sei tu che l’hai chiesto”. E’stata una liberazione enorme. Attraversare queste prove ha rappresentato però un’esperienza micidiale”.
Quel padre di famiglia è guarito?
“E’morto già da quattro anni”.
Non si sente un po’in colpa per il privilegio di essergli sopravvissuto?
“No, anche perché ogni tanto mi dico: come è difficile morire adagio”.
Cosa significa?
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“Mese per mese io avverto che qualcosa in me finisce. Tre mesi fa riuscivo a compiere un gesto e adesso non riesco più, e so che non lo recupererò mai più. Questo è il dato con cui oramai convivo da dieci anni. Cinque anni fa mi dicevo: devo far presto perché se mi capita… devo
fare testamento, voglio che sia tutto chiaro, non voglio avere più niente, almeno se muoio ogni cosa è a posto. Adesso mi meraviglio di come il
tempo passa e dentro di me c’è ancora quel pezzettino di forza che ti permette di alzarti al mattino, anche se faccio sempre più fatica”.
Lei deve essere aiutato a fare tutto?
“Riesco ad alzarmi e a spostarmi da una sedia all’altra, se aiutato. Da agosto però non sono più in grado di mangiare da solo, devo farmi imboccare. E’stato tremendo questo passaggio”.
E’tornato a una condizione quasi infantile.
“E’ un ritornare ad essere dipendenti in tutto. E quello sulla dipendenza è uno dei discorsi che la civiltà di oggi non accetta. Mentre invece è la
nostra condizione più vera. Tenga conto che noi dipendiamo dall’aria che respiriamo”.
Qual è la prima percezione che ha al mattino?
“Il mattino per me è un momento molto duro. Per tirarmi in piedi, lavarmi, farmi vestire ci vogliono due o tre persone. Poi la giornata prende
forma e poiché ho sempre vissuto qui, lavorando in una fattoria con gli alberi e gli animali, ho imparato a gustare la bellezza della natura. Lo
stare immobile, in meditazione, con il tempo ha affinato la mia sensibilità per la vita. Ripercorrere anche solo con la mente certi pezzi di terra
me li fa cogliere oggi con più profondità. Ho capito che una piccolissima striscia di terra può raccogliere e custodire l’ infinito”.
La sua giornata come si svolge ?
“Mi alzo alle 7,30. Ci vogliono tre quarti d’ora per sistemarmi , poi do un’occhiata al televideo e alla rassegna stampa. Celebro la Messa (non
tutte le mattine riesco) e dalle 9 a mezzogiorno prego e lavoro: ho mille piccole cosette da fare.
A mezzogiorno pranzo e vedo i telegiornali e altri programmi in tivù, ci sono cose interessanti. Nel pomeriggio incontro molte persone, confesso, chiacchiero. Poi il rosario, la cena e ancora un po’di tivù. Vado a letto verso le dieci e mezza e durante la notte mi sveglio spesso, una o
due volte chiamo per essere girato”.
Che senso ha tutta questa sofferenza?”
“Come una mamma fa fatica a star dietro a suo figlio, io faccio un altro tipo di fatica. Non mi ritengo né più bravo né diverso, io vivo con questa
fatica. La tentazione più forte è quando mi dico: sono stanco di essere sempre stanco. Una stanchezza a volte inimmaginabile, perché quando
non riesci a muovere neppure il dito di un piede, a spostare una gamba di un centimetro è veramente dura”.
Welby diceva che una vita così non è più vita.
“Qui il discorso diventa molto serio .Cos’è infatti la vita? La vita è quello che dai e quello che ricevi , ed è quello che sei. Non è solo il dare ,
non è solo il “non ho più niente da dare”. Che capacità ho ancora di ricevere un aiuto? Di accettare che qualcuno mi legga un libro? Oppure
dover dipendere per ogni cosa è troppo deprimente, troppo umiliante? E’ una questione delicata e sottile, questa”.
Qual è la cosa più difficile da sopportare ?
“Il dolore fisico, perché di fronte a esso non c’è ragionamento che tenga. Io non ho avuto, ad eccezione di alcune volte, dolori lancinanti, ma
in quei momenti la preghiera allo spirito è stata questa: “Tu che sei sottile ,entra là dove c’è il mio dolore, nel profondo delle ossa”. Là dove
non arriva il massaggio, dove non arriva la medicina, dove non arriva l’iniezione, lo spirito entra. Comunque non so quanto, e come, e se, riuscirò a sopportare tutto questo. Io mi ripeto che bisogna avere molta calma, molta pazienza e lasciarlo attraversare. Certo, bisogno pensare anche ad altro e allora uno si inventa i suoi percorsi …Sa cosa faccio quando mi prende l’insonnia e sono li immobilizzato nel letto? Vado in
montagna, da solo. Salgo a Valbondione, parcheggio la macchina e comincio a scendere il sentiero: faccio tutto il percorso a memoria…camminando, camminando…mi aiuta tantissimo. Poi riparto dal Coca e vado ancora avanti. Ho in mente quasi tutti i passi, la mia percezione è nell’ordine di dieci metri. E vado….Il profumo dell’ aria di montagna non è facile sentirlo, quello no. Ma ho qui alcuni segni che mi
portano i miei amici: qualche fiore, le stelle alpine…E’proprio la forza del segno: la stella alpina è quella lì ma dentro c’è…”.
Senta Don Roberto, ma una persona che non ha la sua stessa familiarità con lo spirito non ha il diritto di chiedere che la sua pena finisca?
“Può chiederlo, anche se, secondo me, la sua richiesta va sempre confrontata con le persone care e con il medico. L’importante è che la decisione non sia mai presa da soli, perché niente di nostro è sempre soltanto nostro: è “condiviso con” i parenti, con gli amici, i medici. E
quando tutte queste persone gli diranno che effettivamente questa situazione non porterà mai più a niente…E’tuttavia difficile stabilire il limite,
stabilire una norma giuridica adeguata è impossibile. Sarà sempre una mediazione, una formula che avrà grandi limiti. L’errore fatto con Welby
è stato pretendere di saltare il percorso di approfondimento di alcune cose, come quella della coscienza. La decisione della coscienza singola,
che è l’ultimo criterio di giudizio, non è mai del singolo ma va sempre presa “insieme a”. C’è poi un’altra cosa”.
Quale?
“Che nell’umanesimo di oggi noi nascondiamo la morte, la sofferenza. Le vediamo, ma non le guardiamo mai seriamente. E’successo così anche nella vicenda di Welby: anticipare significa non guardare. Quale sarebbe stato il punto umano della sua morte? Con la scelta di farla finita è
rimasto nascosto. Tutta la proiezione dei media si è concentrata sul “prima di morire”, ma il momento naturale, affettuoso, libero dalla morte, il
momento pienamente umano, è stato negato con il gesto eclatante di imposizione di “staccare la spina”. Poteva arrivare il giorno in cui egli
giustamente chiedeva di morire, ma non così. Perché in quel modo è stata tolta ad altri la fatica di scegliere in maniera etica, umana, il suo
percorso di accoglienza della morte. E’questo il nodo fondamentale. Va da sé che se arriva una legge, ognuno poi la sfrutterà in base a criteri
che non sono la vita e la morte del malato. Una legge arriverà, ma potrebbe deresponsabilizzare”.
Vuol dire che parandoci dietro una legge rischiamo di rinunciare a vivere fino in fondo il nostro dramma?
“L’ultima cosa bella che ho letto è questa: cosa facciamo della sofferenza nel cuore? La attraversiamo con intelligenza. Perché la vita dell’uomo
è fatta di nascita e separazione: il matrimonio è separazione dalla famiglia, la delusione d’amore è separazione dall’amato. Come la malattia dal
genitore anziano: tutti i miei amici oltre i 40-50 anni hanno il papà che sta morendo…Ecco, tutto questo sta dentro la vita. Ma la vita che cosa
è ? E’un dono affidato alla mia libertà e intelligenza. Con l’aiuto della fede dico: la vita è un dono affidato al mio amore, che è fatto di libertà,
affetti e intelligenza e che è illuminato dallo sguardo di Dio padre di fronte alla croce del figlio. Uno sguardo sulla sofferenza, perché Dio padre
è triste, di sicuro, vedendo il Cristo in Croce, ma questo suo sguardo è il germe della resurrezione. Allora, Dio ama se stesso di un amore intelligente e infinito anche di fronte al figlio in croce. Ora, questa esperienza di Dio padre è l’impegno del credente ma anche del non credente.
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Pure il non credente deve attivare la sua libertà, i suoi affetti, la sua intelligenza per attraversare il dolore che nella vita c’è. Perché questo attraversamento intelligente, libero, affettuoso, amoroso è la resurrezione anche per l’uomo laico. Credo sia questo il regalo del cristianesimo
all’umanesimo di oggi: uno sguardo di amore sulla sofferenza, uno sguardo che ruba qualcosa di Dio…”.
Scusi, perché anche per un non credente attraversare la sofferenza diventa motivo di resurrezione?
“Perché la resurrezione è star dentro le dimensioni della vita. Se tu non fai questo, rifiuti la vita. Oppure compi atti di terrorismo per evitare certe situazioni. Star dentro è l’unica strada umana. E anche chi non crede capisce che qui c’è un nocciolo di verità che non si può negare”.
Le cito una frase di Don Gnocchi: la felicità del mondo è data dal dolore umano offerto a Dio.
E’bellissima. Ma io cerco di tradurla da un punto di vista laico. Il dolore fa parte della vita, se tu non lo offri, lo bestemmi. O lo offri o lo rifiuti.
Per cui offrirlo a Dio significa metterlo nelle mani di Dio, che può dargli, o meglio, che ti farà vedere il senso che Lui è riuscito a dare, quando
sarà possibile vederlo. L’onnipotenza di Dio, che nei miei primi anni pensavo fosse “Lui può guarirmi” è diventata col tempo un’altra: “Lui non
lascia che sia, che resti o diventi inutile neanche una lacrima di una mamma che piange per il suo bambino che sta male”. Dio saprà dare dignità a quel pianto e ricompensa a ogni lacrima. Questo è il fondamento che può offrire un’idea buona della vita, che illumina l’esistenza cosiddetta normale”.
Insomma rifiutare la malattia vuol dire rifiutare la vita?
“Sì, non perché il vivente debba essere malato, ma perché l’uomo si trova spesso- e di fronte alla morte sempre- ammalato. E’ questa la dinamica della vita”.
Cosa pensa del testamento biologico?
“Sì può anche fare, ma ha un difetto fondamentale: la presunzione. Se oggi decido in un certo modo, come posso pensare che “in quel momento” avrò ancora la stessa volontà? Il testamento può aiutare, ma va sempre preso con beneficio di inventario: bisogna ri-farlo al momento
giusto, perché anticipare tutta l’esperienza negativa nell’oggi non fa altro che deprimere. Di fronte al dolore, alla sofferenza, alla malattia ognuno deve essere umile: non posso sapere adesso quale sarà il mio livello di sopportazione. Io lo chiedo tutti i giorni al Signore: aiutami a non
essere troppo scorbutico quando non ce la farò più, aiutami a non essere troppo cattivo quando il dolore sarà insopportabile. Ma anch’io farò
quello che riuscirò, con il suo aiuto. Di più è presunzione”.
Pavese diceva che non è vero che la sofferenza rende più buoni. E’ piuttosto vero il contrario: rende cattivi.
“Un conto è una sofferenza che deriva dalla natura, come la mia malattia (non mi è venuto un cancro al polmone perché fumavo, in questo caso un tantino me lo sarei cercato), un altro conto è chi subisce violenza attiva a causa della malvagità di un altro uomo. Questa sofferenza, soprattutto quando colpisce un innocente, diventa ancora più difficile da accettare. Anche se vedo che tutto nel mondo, anche la natura, è affidato
alla libertà e questo da una parte è una grandezza ma dall’altra un rischio. Io mi definisco mezzo albero e mezzo monaco, mezzo albero perché
sono radicato qui, prendo dalla terra, vivo di terra, sono dentro la terra, respiro quello che la terra produce. Questa è una dimensione che esiste
anche in tanti santi, mentre invece noi, sottolineando giustamente la dignità e la grandezza dell’uomo, lo abbiamo quasi tolto dalla sua condizione di terra, dall’humus”.
Già il dolore è duro da sopportare. Come ci si sente di fronte allo sguardo compassionevole di quelli che le sono intorno?
“Le persone intorno devono essere silenziose e pronte. Silenziose nel senso che il malato è un po’ autocentrato, vede la sua malattia. Io subisco la mia malattia, vivo, elaboro, penso dentro questa atmosfera. Per cui molte volte mi ritiro perché sto male, cercando di capire. Se in quel
momento chi mi sta vicino mi forza a dire: “Dimmi cosa ti succede, dimmi cosa ti sta capitando” è un motivo in più di rabbia perché non sono
pronto, ho bisogno di capire. Ho impiegato venti giorni prima di riuscire a dire: “Ho bisogno di essere imboccato”. Ecco l’attenzione degli altri.
Io fortunatamente ho degli amici meravigliosi perché in alcuni dei passaggi più difficili mi hanno aiutato loro. Ero responsabile di una comunità
di tossicodipendenti nel’ 96, una comunità che funzionava a pieno ritmo e chissà quanto sarebbe andata avanti. Scoperta la malattia, cosa facciamo? Avevo due o tre possibilità: o ritirarmi al Patronato lasciando questa casa ad altri o andare al ricovero. Nel’ 98-99 siamo arrivati al bivio.
Su suggerimento di un medico, una sera in pizzeria mi sono confidato con due amici: “Io non riesco più ad andare avanti con la comunità, sono già passati tre anni, adesso bisogna decidere”. Loro mi hanno sorpreso: “Don Roberto, questa comunità è stata di aiuto a tante persone- mi
commuovo ancora ricordandolo-, questa è casa tua e in questa casa noi ti aiuteremo, faremo con te tutto il percorso”. A quel punto chi ha fatto
più fatica a decidere sono stato io, perché significava stravolgere l’opera di una vita, chiudere. Tuttavia non avevamo costruito imperi, eravamo
un gruppo familiare, e tutti sono stati d’accordo”.
Lei avrebbe celebrato i funerali di Welby ?
“Sì a una condizione: che non fossero strumentalizzati a livello politico. Se almeno nel giorno dell’addio si fosse riusciti a mantenere sulla vicenda di quell’uomo uno sguardo umano, privato, lontano dalla spettacolarità e soprattutto dalla strumentalizzazione politica, che era fortissima, io l’avrei fatto”.
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