Nel silenzio della cella interiore

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Nel silenzio della cella interiore
Gennaio 2014
OTTOCENTO ANNI DALLA MORTE DI S. ALBERTO DI GERUSALEMME
ALLA RICERCA DELL’ISPIRAZIONE ORIGINARIA DEL CARMELO
Nel silenzio della cella interiore
L’itinerario del cuore alla luce di Cristo
Un ulteriore passo per le schede destinate al Laicato carmelitano incentrate quest’anno sul centenario della
morte di S. Alberto di Gerusalemme. Prestiamo attenzione in questo mese alla dimensione “monastica” che
ritroviamo nella Regola: i primi eremiti-fratelli sul monte Carmelo seguono Cristo in una dimensione di
ascolto e di risposta che interpella in modo personale, unico e diretto chiedendo di trasformare la loro vita.
La cella individuale è il luogo dell’incontro intimo con la Parola e della vigilanza orante; è lo spazio di
germogliazione di una libertà che è sempre più solida in quanto maturata dal discernimento ispirato; è il
rifiuto della presunzione del potere e dell’inganno dell’apparenza. La cella custodisce un silenzio ricco di
percezione nello Spirito. È proprio il silenzio a servire l’ascolto e l’attività facendosi spazio di autentica
accoglienza fraterna. In questi numeri della Regola troviamo ampie e articolate citazioni e riferimenti alla
sapienza dell’Antico e del Nuovo Testamento; Alberto le propone come unite dalla tensione verso la
“giustizia” di Dio in Cristo Gesù che attraversa e sostanzia ogni ambito della vita.
1. In ascolto della Parola
Dt 30,11-14: Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da
te. (…) Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta
in pratica.
Pr 2,9-11: Allora comprenderai l’equità e la giustizia, la rettitudine e tutte le vie del bene,
perché la sapienza entrerà nel tuo cuore e la scienza delizierà il tuo animo. La riflessione (il
pensiero santo, versione della LXX) ti custodirà e la prudenza veglierà su di te…
Mt 6,5-8: E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli
delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già
ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e
prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non
siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che
gliele chiediate.
Ef 6,10-18: Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate
l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. (…) State saldi, dunque: attorno ai
fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo
della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce
infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la Parola
di Dio. In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a
questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi.
Col 3,16-17: La Parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e
ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri
cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù,
rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre.
Scheda formativa
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2. Rileggendo la Regola (numerazione concordata OCarm – OCD)
(2) Molte volte e in diversi modi i santi Padri hanno stabilito in che modo ognuno – a qualunque
stato di vita egli appartenga o quale che sia la forma di vita religiosa scelta – deve vivere
nell’ossequio di Gesù Cristo e servire Lui fedelmente con cuore puro e totale dedicazione.
(4) … A Lui (il Priore, ndr.) ognuno degli altri prometterà obbedienza e si preoccuperà di
mantenere la promessa con la verità dei fatti insieme alla castità e alla rinuncia alla proprietà.
(5) Potrete avere delle dimore negli eremi o dove vi saranno offerti luoghi adatti e convenienti al
vostro modo di vita religiosa, secondo quanto sembrerà opportuno al Priore ed ai fratelli.
(6) Inoltre, tenuto conto della situazione del luogo in cui avete deciso di stabilirvi, tutti fra di voi
abbiano una propria cella separata, secondo la disposizione che il Priore stesso, con l’assenso degli
altri fratelli o della parte più matura, avrà dato nell’assegnare le celle a ciascuno.
(8) Non sia lecito ad alcuno dei fratelli, se non con il permesso del Priore in carica, cambiare il
posto a lui assegnato o scambiarlo con un altro.
(10) Rimangano i singoli (fratelli) nelle proprie celle, o vicino ad esse, meditando giorno e notte la
Legge del Signore e vigilando in preghiera a meno che non debbano dedicarsi ad altri giusti
impegni.
(14) L’oratorio, se si può fare con una certa comodità, costruitelo in mezzo alle celle: là ogni giorno,
di mattina, vi dovrete riunire, per partecipare alla celebrazione delle Messe, quando lo si può fare
comodamente.
(18) Poiché la vita terrena dell’uomo è tempo di tentazione e tutti coloro che vogliono vivere
piamente in Cristo vanno soggetti alla persecuzione, e inoltre poiché il vostro avversario, il
diavolo, come un leone ruggente va in giro, cercando chi divorare: con tutta diligenza adoperatevi
per rivestirvi dell’armatura di Dio, così che possiate stare saldi di fronte alle insidie del nemico.
(19) I vostri fianchi siano cinti col cingolo della castità; il petto sia fortificato con religiosi pensieri,
poiché sta scritto: il pensiero santo ti custodirà. Si deve indossare la corazza della giustizia, per
poter amare il Signore Dio vostro con tutto il cuore, e con tutta la mente e con tutta la forza e il
prossimo vostro come voi stessi. In ogni circostanza si tenga in mano lo scudo della fede, con esso
potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno: infatti senza la fede non si può essere graditi
a Dio. Inoltre si ponga sul capo l’elmo della salvezza, affinché attendiate la salvezza dall’unico
Salvatore: egli salverà il popolo dai suoi peccati. Infine, la spada dello Spirito, che è la Parola di
Dio, dimori in tutta la sua ricchezza sulla vostra bocca e nei vostri cuori. E tutto quello che dovete
fare, fatelo nella Parola del Signore.
(20) Voi dovete fare qualche lavoro, così che il diavolo vi trovi costantemente occupati, perché non
avvenga che, a motivo dell’oziosità vostra, egli possa trovare una breccia per insinuarsi nelle vostre
anime. (…)
(21) L’Apostolo raccomanda dunque il silenzio, quando ordina di lavorare in silenzio; allo stesso
modo anche il profeta afferma: il silenzio educa alla giustizia; e ancora: nel silenzio e nella speranza
starà la vostra forza. Stabiliamo, pertanto, che, finita la recita di Compieta, manteniate il silenzio
fino alla recita completata di Prima del giorno seguente. Fuori di questo periodo, benché non sia
(prescritta) un’osservanza rigorosa del silenzio, tuttavia, ci si deve guardare con cura dalle troppe
parole. Infatti, come sta scritto – e anche l’esperienza lo insegna – nel molto parlare non manca la
colpa, e: chi non si controlla nel parlare va incontro alla rovina. Similmente: chi esagera nel parlare
fa del male a se stesso. E (dice) il Signore nel Vangelo: di ogni parola vana che gli uomini diranno,
dovranno rendere conto nel giorno del giudizio. Ciascuno, perciò, pesi le sue parole e ponga freni
opportuni alla sua bocca, per non scivolare e cadere a causa della lingua, e la sua sorte incurabile
non divenga anche mortale. Vigili sulla sua condotta, come (dice) il profeta, per non peccare con la
sua lingua; e si sforzi di osservare con diligenza e con attenzione quel silenzio che educa alla
giustizia.
(24) Vi abbiamo scritto brevemente queste cose, stabilendo per voi una formula di vita, secondo la
quale regoliate la vostra condotta. Se poi qualcuno avrà cercato di dare di più, il Signore stesso, al
suo ritorno, lo ricompenserà. Comunque si faccia uso del discernimento, che è
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guida delle virtù.
3. Riflettendo con l’uomo e la sua storia
Sappiamo che quel diffusissimo fenomeno medievale che alcuni denominano “movimento
pellegrinante” determinò una scossa per la Chiesa e per la società del suo tempo. La consapevolezza
di percorrere, anche e soprattutto fisicamente, un cammino irreversibile fatto di cambiamento di
vita, di spoliazione dall’acquisito, di ricerca penitenziale, il tutto sostenuto da una robusta ascesi
come anche dal fervore mistico della fede, aprì la strada ad una nuova sensibilità, ad una
disponibilità spirituale e culturale la cui intensità possiamo percepire pur senza essere in grado di
tradurne l’impatto. Quanto successe in Terra Santa, sul Monte Carmelo, per gli eremiti latini che
vi si stabilirono, può essere emblematico. Essi diedero origine ad uno stato di vita nuovo con
elementi antichi, solido, pur nell’incertezza del luogo; la risolutezza di porsi dentro il vincolo
dell’obbedienza in Cristo, la semplice ma efficace strutturazione dell’eremo, la dimensione anche
pratica seppure non espressa nella completezza dei dettagli, sono tutti elementi che ci illuminano
sulla autocoscienza di quel gruppo di pellegrini penitenti, consapevoli di seguire una radicale
chiamata all’autenticità. Colpisce, tra l’altro, il recupero e l’ulteriore rilancio della tradizione
monastica che ci viene testimoniato dal testo della “formula di vita” dato loro dal patriarca Alberto:
la cella singola e il vincolo di dimorarvi, la meditazione giorno e notte della Legge del Signore, il
lavoro, il silenzio. Ma tutto questo in un contesto di vita comune, come un richiamo ad un continuo
movimento “cardiaco” di contrazione e allargamento, di interiorizzazione e di incontro fraterno.
Individuo e comunità sono avvertite come dimensioni della cui complementarietà non è possibile
fare a meno. La stessa militanza suggerita dall’immagine dell’armatura spirituale, così
“trasgressiva” in un contesto di armi che risuonano e feriscono, si apre a significare un servizio di
fedeltà alla comunione.
R. C. Montague
Il primo passo suggerito per il recupero di un’autentica libertà ci viene espresso nella Regola
attraverso i simboli del monte, del luogo solitario, della cella, del silenzio: sono un implicito e
simbolico invito a ritagliarsi uno spazio vitale, riposante, fuori della babele di parole ormai svuotate
di senso. Ritornare ad abitare se stessi, o “con se stessi” (habitare secum). Tutto infatti sembra
concorrere a renderci poco più che “sonnambuli”, gente che procede semiaddormentata, distratta.
Troppo spesso crediamo di essere stati informati, mentre siamo stati solo “divertiti” o deviati dalla
“sorgente” del nostro vivere, non ci accorgiamo più del “cuore”, il luogo dell’autocoscienza.
Vivendo abitualmente alla periferia di noi stessi tutti possiamo vivere a lungo senza accorgerci che
al centro del nostro cuore sta avanzando il “deserto”. Una “desertificazione” non meno pericolosa di
quella temuta per l’effetto-serra. La solitudine positivamente scelta e accolta non è isolamento: essa
separa per rendere “fraterni”. “E’ monaco chi è separato da tutti e unito a tutti”. Si tratta di una
“separazione” che include la comunione, una nuova integrazione armonica in Cristo. La solitudine e
il “deserto” come itinerario di maturazione individuale e culturale è altrettanto importante e
necessaria alla persona quanto la relazione con gli altri. La montagna è simbolo che invita a salire,
a emergere dai luoghi comuni, dalle opinioni indotte dai “signori” dell’informazione, a sottrarsi alla
presa delle ideologie, a ricollegare gli orizzonti terrestri con quelli più ampi dei cieli. La “cella”
solitaria, a sua volta, ti invita a scendere nel profondo del tuo essere, a scoprirvi la “sorgente” che
canta dal profondo dell’essere. Del resto “Colui con il quale Dio è, non è mai meno solo di quando è
solo. Allora infatti, gode liberamente della propria gioia; allora egli stesso è suo, per godere di Dio
in sé e di sé in Dio (Guglielmo di Saint-Thierry, Lettera d’oro)”.
Carlo Cicconetti, Regola del Carmelo, CSC, Roma 2007, 106-107.
Lo stile di vita carmelitano è notevolmente marcato dal silenzio. Tutta la Regola porta a una vita
silenziosa, come sinonimo di vita piena, perché vita d’intimità con Dio, vita fraterna, vita di
servizio. (…) Il Carmelitano deve imparare il silenzio reverenziale per la sua relazione con Dio.
Scheda formativa
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Camelia Augusta de Castro Cotta, Il silenzio nella vita carmelitana, CSC, Roma 2001, 53
Una delle vie più belle per entrare nella preghiera passa attraverso la Parola di Dio. La lectio divina
introduce alla conversazione diretta con il Signore e schiude i tesori della sapienza. L’intima
amicizia con Colui che ci ama ci rende capaci di vedere con gli occhi di Dio, di parlare con la sua
Parola nel cuore, di conservare la bellezza di questa esperienza e di condividerla con coloro che
sono affamati di eternità. Il ritorno alla semplicità di una vita centrata sul Vangelo è la sfida per il
rinnovamento della Chiesa, comunità di fede che trova sempre percorsi nuovi per evangelizzare il
mondo in continua trasformazione. I Santi carmelitani sono stati grandi predicatori e maestri di
preghiera. Questo è ciò che ancora una volta si richiede al Carmelo nel ventunesimo secolo. Lungo
tutta la vostra storia, i grandi Carmelitani sono stati un forte richiamo alle radici della
contemplazione, radici sempre feconde di preghiera. Qui è il cuore della vostra testimonianza: la
dimensione di “contemplatività” dell’Ordine, da vivere, da coltivare e da trasmettere. Vorrei che
ciascuno si domandasse: come è la mia vita di contemplazione? Quanto tempo dedico durante la
mia giornata alla preghiera e alla contemplazione? Un carmelitano senza questa vita contemplativa
è un corpo morto!
Papa Francesco, Messaggio al Capitolo Generale, 22 agosto 2013
4. Per condividere la nostra esperienza
a. Sono capace di scendere nella profonda verità di me stesso/a? Cosa avverto quando entro nel
mio cuore (gioia, paura, soddisfazione, inquietudine)?
b. Sento l’esigenza di trovare e custodire un mio spazio e un mio tempo per ciò che ritengo più
importante? E, alla luce delle mie scelte riguardo a riservarmi un tempo particolare, cosa sento che
è importante per me?
c. Come reagisco ai momenti di solitudine? Li subisco, cerco di evitarli o so utilizzarli?
d. Il mio ascoltare la Parola riesce a illuminare tutti gli aspetti della mia vita? Cosa ancora rimane
fuori? Come reagisco al cammino che ancora mi manca da percorrere?
e. Riesco a custodire un silenzio pieno di ascolto e di preghiera? Le parole che pronuncio edificano i
rapporti nella carità e nella misericordia? So discernere l’opportunità delle mie parole secondo le
situazioni e in base a quali criteri?
5. Pregando insieme
Recitiamo e meditiamo il Salmo 119,105-112
Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino.
Ho giurato, e lo confermo,
di osservare i tuoi giusti giudizi.
Sono stato umiliato, Signore:
dammi vita secondo la tua parola.
Signore, gradisci le offerte delle mie labbra,
insegnami i tuoi giudizi.
La mia vita è sempre in pericolo,
ma non dimentico la tua legge.
I malvagi mi hanno teso un tranello,
ma io non ho deviato dai tuoi precetti.
Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti,
perché sono essi la gioia del mio cuore.
Ho piegato il mio cuore a compiere i tuoi decreti,
in eterno, senza fine.
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