LAVORO MINORILE e SFRUTTAMENTO A livello internazionale si

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LAVORO MINORILE e SFRUTTAMENTO A livello internazionale si
LAVORO MINORILE e SFRUTTAMENTO
A livello internazionale si sono sviluppati diversi approcci rispetto al lavoro minorile. L’UNICEF ha accolto
la distinzione emersa dal dibattito internazionale tra “child work” e “child labour”. Il termine “child
work” è spesso tradotto con “lavoro minorile non lesivo”: s’intende generalmente un’attività lavorativa
leggera, non pericolosa né pregiudizievole, che si affianca alla frequenza scolastica e che non
interferisce con la crescita del bambino, consentendogli ad esempio di contribuire all’economia
familiare.
Il termine “child labour” – tradotto generalmente come “sfruttamento del lavoro minorile” - definisce
invece un’attività lavorativa pesante, inadeguata per l’età del bambino e/o suscettibile di pregiudicarne
lo sviluppo fisico, psichico e morale. Di solito si tratta di un’attività lavorativa che per la sua durata e
intensità impedisce al bambino di accedere all’istruzione di base.
La posizione dell’UNICEF tiene conto del fatto che all’origine del lavoro minorile vi sono cause
complesse, ma non deroga sul fatto che le condizioni di lavoro debbano essere dignitose e non
compromettere la frequenza scolastica e lo sviluppo psico-fisico del bambino.
IL QUADRO INTERNAZIONALE E NAZIONALE
• La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 (CRC) e i suoi
due Protocolli opzionali “sulla vendita, la prostituzione, la pornografia concernente i bambini”
e sul “coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati” (2000) stabiliscono il diritto del minore a
essere protetto contro lo sfruttamento economico (art.32 e seguenti CRC) e contro ogni altra
forma di sfruttamento (schiavitù, lavoro forzato, prostituzione minorile, pornografia minorile,
traffico di minori, reclutamento forzato). Il minorenne non può essere costretto a svolgere
nessuna attività che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione,
nuocere alla sua salute o sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale.
• La Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n.1381 del 1973
riguardante l’età minima di ammissione all’impiego e la Convenzione OIL n.1822 del 1999
sulle peggiori forme di lavoro minorile completano il quadro normativo internazionale di
riferimento.
ƒ In occasione della Conferenza globale sul lavoro minorile tenutasi a L’Aja il 10 e 11
maggio 2010 è stata adottata una “Roadmap verso l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro
minorile entro il 2016” attraverso interventi quali: l’attuazione del diritto a un’istruzione gratuita,
obbligatoria e di qualità per ogni bambino; la considerazione del superiore interesse del minore e
del suo punto di vista; la valutazione dell’impatto delle politiche governative sulle peggiori forme
di lavoro minorile e la loro integrazione; la previsione di adeguate risorse; la previsione e il
rafforzamento di sanzioni contro chi viola la normativa a tutela dei lavoratori minorenni; il
supporto alle famiglie nel proteggere i figli attraverso sistemi di protezione sociale (ad esempio
assicurando sostegno economico o promuovendo l’accesso al credito).
ƒ Il 16 giugno 2011 durante la 100° Sessione della Conferenza Internazionale del Lavoro,
che riunisce annualmente gli Stati membri dell’OIL, è stata approvata la Convenzione sul
lavoro dignitoso per i lavoratori e le lavoratrici domestiche (Convenzione n.189 del
2011), una svolta di grande importanza poiché applica il sistema normativo dell’OIL alla
cosiddetta economia informale3. La Convenzione riconosce infatti a lavoratori e lavoratrici
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La Convenzione OIL N.138 sull’Età Minima di Ammissione all’Impiego afferma che nessun bambino deve essere
impiegato in alcun settore economico prima di avere compiuto l’età prescritta per il completamento dell’istruzione
scolastica obbligatoria e comunque non prima del compimento dei 18 anni per lavori che possano “compromettere la sua
salute, la sua sicurezza o la sua moralità”.
La Convenzione OIL N.182 sulle Peggiori Forme di Lavoro Minorile definisce i lavori pericolosi
come attività che ledono la salute, la sicurezza e la morale dei minori. La Convenzione non definisce
direttamente le tipologie di lavoro lasciando tale compito ai paesi attraverso la compilazione di quelle che
comunemente sono chiamate “liste dei lavori pericolosi”.
Nel 2008 la XVIII Conferenza internazionale degli statistici del lavoro organizzata dall’OIL ha adottato una Risoluzione
che ha formulato una nuova definizione di lavoro minorile nel tentativo di giungere a uno standard comune
comprendente sia l’attività prettamente economica sia il lavoro domestico (non retribuito). La definizione di “lavoro
minorile” a fini statistici include ora: le peggiori forme di lavoro minorile, comprese schiavitù, prostituzione e pornografia;
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domestici gli standard minimi di protezione globalmente riconosciuti agli altri lavoratori (salario
minimo, orari di lavoro ragionevoli, diritto al riposo settimanale di almeno 24 ore consecutive,
libertà di associazione, diritto alla contrattazione collettiva, diritto alle misure di protezione
sociale e alla tutela della maternità). Secondo le più recenti stime dell'OIL4 nel mondo ci
sarebbero oltre 50 milioni di persone impiegate nel lavoro domestico (spesso questo tipo di
lavoro è nascosto), la maggior parte delle quali sarebbero donne e ragazze (spesso lavoratrici
migranti) rimaste escluse finora dalle misure di protezione lavorativa e sociale poiché il lavoro
domestico si svolge prevalentemente tra le mura di casa e riguarda compiti che le donne hanno
tradizionalmente svolto senza essere retribuite.
Secondo il Rapporto dell’OIL “Ending Child labour in domestic work5” in tutto il mondo
sarebbero circa 10,5 milioni i bambini e le bambine, al di sotto dell’età minima legale
di accesso al lavoro, che lavorano come domestici in case private, in condizioni
pericolose e a volte di schiavitù. Sei milioni e mezzo di questi hanno tra i 5 e i 14 anni.
Oltre il 71% sono bambine.
In qualità di lavoratori domestici, questi bambini svolgono mansioni che vanno dalla pulizia della
casa alla cura del giardino e includono lo stirare, il cucinare, fino alla cura di altri bambini o
degli anziani. Sono esposti al rischio di violenze fisiche, psicologiche e sessuali nonché a
condizioni di lavoro disumane.
Il 22 gennaio 2013, il Governo italiano ha depositato presso l’Organizzazione
Internazionale del Lavoro lo strumento di ratifica della Convenzione n.189 del 2011.
L’Italia è tra i tre più grandi Paesi datori di lavoro domestico in Europa, con una percentuale di
donne dell’88% sul totale dei lavoratori di questo settore. L’Italia è stato il primo (e l’unico al
momento) degli Stati membri dell’Unione Europea a ratificare questo Trattato, entrato in vigore
il 5 settembre 2013.
In Italia il lavoro minorile e il suo sfruttamento sono disciplinati dalla legge n.977 del 17
ottobre 1967 “Tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti”, che ha subito modifiche
e integrazioni negli anni: la normativa prevedeva che non potessero essere ammessi al lavoro i
minori di età inferiore ai 15 anni e/o che non avessero adempiuto gli obblighi scolastici. L’obbligo
scolastico è stato innalzato a 16 anni a partire dal 2007/2008 (L. 296/2006).
Nel 2013 il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, organo di monitoraggio
dell’omonima Convenzione, ha pubblicato il suo Commento Generale n.16 dedicato a “Gli
obblighi degli Stati rispetto all’impatto del settore delle imprese sui diritti
dell’infanzia”6 allo scopo di orientare gli Stati rispetto agli obblighi che derivano loro, in
quest’ambito, per aver ratificato la CRC.
INFORMAZIONI E DATI DI BASE
ƒ Il lavoro minorile è sia causa, sia conseguenza della povertà. Molti bambini sono costretti a
lavorare a causa della morte o delle cattiva salute di un familiare percettore di reddito; la crisi
finanziaria globale ha ulteriormente spinto i minori ad avviarsi precocemente al lavoro, specie
verso le forme di lavoro più pericolose. Le conseguenze sono più pesanti per le bambine che,
oltre a lavorare, devono occuparsi dei lavori domestici, trascurando la scuola. I minori impegnati
nel lavoro minorile sono spesso invisibili, perciò è difficile avere dati precisi, anche se negli ultimi
anni sono aumentate le informazioni disponibili grazie a programmi come l’International
Program on the Elimination of Child Labour (IPEC) creato dall’Organizzazione
Internazionale del Lavoro (OIL) nel 1992.
ƒ Secondo le più recenti stime OIL7 il numero di bambini lavoratori nel mondo è diminuito
passando da 246 milioni nel 2000 a 168 milioni nel 2012, ovvero l’11% della
popolazione minorile mondiale. Queste cifre fanno riferimento ai bambini che lavorano al di
sotto dell’età minima di accesso al lavoro o in condizioni che minacciano il loro benessere psicofisico, come stabilito dalle Convenzioni OIL n.138 (1973) e n.182 (1999). Il coinvolgimento nel
lavoro minorile tra i giovani di età compresa tra i 5 e i 17 anni è più alto tra i ragazzi che non tra
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le attività illecite e il lavoro che può compromettere la salute, la sicurezza o la moralità dei bambini (Convenzione OIL
182/1999); l’impiego al di sotto dell’età minima di 15 anni (Convenzione OIL 138/1973); i lavori domestici rischiosi non
retribuiti: eseguiti per molte ore, in ambienti insalubri, in luoghi pericolosi e/o implicanti l’utilizzo di attrezzature non
sicure e/o carichi pesanti.
OIL, Domestic Workers across the world: global and regional statistics and the extent of legal protection, Gennaio 2013.
OIL, Ending child labour in domestic work, Giugno 2013.
UN Committee on the Rights of the Child, “General comment n.16 (2013) on State obligations regarding the impact of
the business sector on children’s rights”: http://www2.ohchr.org/english/bodies/crc/docs/CRC.C.GC.16.pdf
ILO-IPEC, “Marking progress against child labour. Global estimates and trends 2000-2012”, September 2013.
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le ragazze (99,8 milioni a fronte di 68,2 milioni), anche se la diminuzione del lavoro minorile tra
le bambine è stata maggiormente pronunciata tra le bambine ( - 40%) che non tra i bambini (25%).
L’Agricoltura rimane il settore in cui sono concentrati la maggior parte dei bambini
lavoratori (98 milioni), ma il fenomeno è ugualmente rilevante del settore dei servizi
(54 milioni) e nell’industria (12 milioni).
Il maggior numero in termini assoluti di minorenni lavoratori, nella fascia 5-17 anni d’età, si
riscontra nell’area Asia-Pacifico (quasi 78 milioni nel 2012), che registra però anche il calo più
consistente considerati i 114 milioni di bambini lavoratori del 2008.
E’ però l’Africa Sub-sahariana la regione con la più alta incidenza di minorenni lavoratori in
rapporto alla percentuale della popolazione (oltre il 21%, pari a 59 milioni, ovvero un bambino
su 5). Nella stessa fascia d’età ci sono 12,5 milioni di bambini lavoratori in America Latina e
Caraibi e 9,2 milioni in Medio Oriente e Nord Africa.
Più della metà dei 168 milioni di bambini e bambine lavoratori nel mondo svolgono
lavori pericolosi che hanno conseguenze sulla loro salute, la loro sicurezza e il loro sviluppo:
attualmente sarebbero 85 milioni i minorenni di età compresa tra i 5 e i 17 anni impiegati in
lavori pericolosi rispetto ai 171 milioni del 2000. Il lavoro pericoloso è spesso utilizzato come
sinonimo di “forme peggiori di lavoro minorile” perché i minorenni coinvolti in forme di lavoro
pericolose rappresentano la gran parte di quelli coinvolti nelle peggiori forme di lavoro minorile.
Nel suo Rapporto l’OIL identifica inoltre le misure che negli anni hanno determinato i
progressi nella lotta allo sfruttamento del lavoro minorile: gli investimenti nell’istruzione e
nella protezione sociale sembrano aver contribuito in maniera rilevante alla diminuzione del
fenomeno, così come l’aumento del numero delle ratifiche delle due Convenzioni OIL n.173 e
182.
Nonostante il calo riscontrato, i progressi sono ancora troppo lenti e secondo l’OIL non
consentiranno di raggiungere l’obiettivo condiviso dalla comunità internazionale di eliminare le
peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016.
L’OIL peraltro già in passato aveva evidenziato come il fenomeno non sia limitato soltanto ai
PVS: i dati raccolti negli USA e in Europa dimostrano che infortuni e decessi sul lavoro sono più
frequenti tra i minorenni che non tra gli adulti8.
Nel 2014 il Rapporto globale dell’OIL sulla protezione sociale9 ha sottolineato come
politiche sulla protezione sociale efficaci e mirate alle esigenze dei minori possano fare la
differenza nel contrasto al lavoro minorile e al suo sfruttamento.
Secondo il Rapporto gli investimenti sull’infanzia non sono sufficienti e ciò mette a rischio i diritti
di questi bambini compreso il diritto ad essere protetti dallo sfruttamento economico.
Oltre il 70 per cento della popolazione mondiale non sarebbe coperto da una adeguata
protezione sociale: i Governi stanzierebbero in media lo 0,4% del PIL per sussidi all’infanzia e
alle famiglie, passando dal 2,2% in Europa occidentale allo 0,2% in Africa, Asia e Pacifico.
Le misure di protezione sociale (pensioni di anzianità, sussidi di disoccupazione, sussidi di
maternità o per gli infortuni sul lavoro o per disabilità) sono uno strumento chiave delle politiche
per la riduzione della povertà e delle disuguaglianze che se associate all’accesso all’istruzione e
ai servizi sanitari possono contrastare in maniera significativa situazioni di rischio per i
minorenni, costretti a lavorare per far fronte alla mancanza o all’insicurezza di reddito della
famiglia o al decesso o alla malattia di un familiare percettore di reddito.
La comparazione degli studi quantitativi condotti sul lavoro minorile in Italia è complessa,
perché variano le definizioni del fenomeno, l’età della popolazione di riferimento e le metodologie
utilizzate. L’indagine svolta in Italia nel 2008 dal CNEL in collaborazione con la Camera dei
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deputati ed il Senato della Repubblica aveva evidenziato che:
il fenomeno riguardava prevalentemente i maschi (2 minori che lavoravano su 3);
dei minori tra 11 e 14 anni che lavoravano, 1 su 2 svolgeva in prevalenza attività occasionali, 1
su 3 era dedito ad attività stagionali e 1/5 era stabilmente impegnato in un’attività lavorativa;
il 20% dei minori che lavoravano era impegnato per almeno 7-8 ore al giorno;
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OIL, Rapporto 2011 “Minorenni impiegati in lavori pericolosi: cosa sappiamo e cosa dobbiamo fare”.
OIL, “Rapporto globale sulla protezione sociale: costruire la ripresa economica, lo sviluppo inclusivo e la giustizia sociale”,
giugno 2014.
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Indagine "Il lavoro che cambia" curata dal CNEL in collaborazione con la Camera Dei Deputati ed il Senato della
Repubblica e presentata il 2 Febbraio 2009. Dell’indagine fa parte il Rapporto “Il lavoro minorile: esperienze e
problematiche di stima”.
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solo il 40% percepiva una paga regolare (intorno ai 400 euro al mese), il 43% riceveva solo
compensi occasionali e il 17% soltanto oggetti o regali;
il 10% di questi minori era straniero, proveniente in gran parte dall’Asia e per 1/4 dall’Europa
dell’Est (Romania e Albania);
il 70% dei minori collaborava a un’attività familiare, oltre il 21% aiutava parenti o amici di
famiglia, mentre il 9% lavorava presso terzi.
Recentemente Nils Muižnieks, Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, ha
rimarcato come lo sfruttamento del lavoro minorile sia un fenomeno in crescita in Europa, specie
in conseguenza della crisi economica: il legame tra decrescita economica e conseguente
aumento dello sfruttamento del lavoro minorile non è una novità; col crescere della
disoccupazione molte famiglie non han trovato altra soluzione se non mandare i propri bambini a
lavorare. Mentre il fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile nei Paesi in via di sviluppo è
ben noto, la materia in Europa sembra un argomento tabù: secondo un’indagine delle Nazioni
Unite in Georgia il 29% dei bambini tra i 7 e i 14 anni lavora; in Albania il 19%, in Italia uno
studio del 2013 indica che il 5,2% dei minori al di sotto dei 16 anni lavora, ma la maggior parte
degli altri Paesi non ha dati disponibili al riguardo. La maggior parte dei minorenni che lavorano
in Europa svolge mansioni estremamente pericolose in agricoltura, nell’edilizia, in piccole
fabbriche o sulla strada e i Paesi maggiormente a rischio sono quelli duramente colpiti dalle
misure di austerity, come Cipro, la Grecia, il Portogallo e l’Italia.11
L’AZIONE DELL’UNICEF
L’UNICEF promuove a tutti i livelli la conoscenza e il rispetto dei diritti dei bambini, riconoscendo che
i principali interlocutori per la comprensione del fenomeno del lavoro minorile sono gli stessi lavoratori
minorenni. L’UNICEF lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile con programmi di sensibilizzazione,
prevenzione e reinserimento scolastico o lavorativo per bambini lavoratori, ex-bambini soldato, bambini
di strada, che prevedono orari flessibili, metodologie didattiche partecipative e un apprendimento che
contempla competenze utili per la vita quotidiana e per la formazione professionale.
Dal 2000 l’UNICEF porta avanti il programma congiunto Understanding Children’s Work (UCW)
insieme a OIL e Banca Mondiale per sviluppare nuovi indicatori comuni per la misurazione e il
monitoraggio del lavoro minorile.
L’UNICEF ha lanciato nel 2012 i Children’s Rights and Business Principles12 sviluppati in
consultazione con governi, mondo imprenditoriale, società civile, istituzioni nazionali indipendenti per i
diritti umani, e con gli stessi minorenni. I Principi sono indirizzati alle imprese e individuano una gamma
di azioni che queste dovrebbero intraprendere per rispettare e sostenere i diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza, prevenirne le violazioni o, se tardi, garantirne il ripristino. I Principi individuano i
minori e le loro famiglie quali interlocutori privilegiati per le aziende, mirando a far sì che i loro diritti
siano rispettati sul luogo di lavoro, sul mercato e nelle attività di vendita, promozione e pubblicità svolte
dall’azienda, nel rispetto dell’ambiente.
UN ESEMPIO DEL LAVORO DELL’UNICEF
Il Bangladesh è uno dei Paesi più poveri del mondo: circa il 43,3% della popolazione vive sotto la
soglia di povertà ovvero con meno di 1$ al giorno.
I bambini sono 57 milioni: 27 milioni dei quali non possono andare a scuola poiché, per
contribuire al reddito familiare, lavorano.
La povertà, aggravata dalla crisi finanziaria globale, nonché l’accettazione culturale del fenomeno, sono
i fattori che inducono i minori ad avviarsi precocemente al lavoro. La sussistenza delle famiglie spesso
dipende anche da ciò che i piccoli riescono a racimolare da lavori sovente rischiosi. In Bangladesh esiste
una consolidata accettazione del lavoro minorile da parte della società e la legislazione nazionale viene
di frequente aggirata.
Nel 2012, 7,9 milioni di bambini in Bangladesh sono stati vittime dello sfruttamento del
lavoro minorile. Secondo i dati disponibili, circa 4,5 milioni svolgono lavori a rischio, tra i quali
rientrano quelli nell’edilizia, nelle fabbriche del tabacco, in alberghi e ristoranti, per riparazioni
meccaniche ed elettriche, mentre le peggiori forme di lavoro minorile includono lo sfruttamento nel
lavoro domestico, lo sfruttamento sessuale, la raccolta dei rifiuti e la guida dei risciò.
Mediante il progetto ‘Proteggere i bambini lavoratori e di strada’, l’UNICEF Italia dal 2010
sostiene in Bangladesh interventi d’assistenza ai bambini di strada o sfruttati nel lavoro minorile.
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http://humanrightscomment.org/2013/08/20/child-labour-in-europe/
UNICEF, UN Global Compact, Save the Children “Children’s Rights and Business Principles”, March 2012:
http://www.unicef.org/csr/12.htm
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Nel 2013, grazie alla generosità dei donatori italiani, l’UNICEF Italia ha potuto trasferire 1.033.622 euro
all’UNICEF Bangladesh.
L’obiettivo generale del progetto è quello di creare per i bambini vulnerabili e le loro famiglie, un
ambiente protettivo, che prevenga e contrasti situazioni di abuso, con particolare attenzione ai casi di
sfruttamento del lavoro minorile.
Grazie al progetto, nel corso del 2013:
- 1.404 bambini hanno frequentato le Scuole all’Aperto, luoghi dove avviene solitamente il
primo incontro tra i bambini di strada e gli operatori sociali. Qui i bambini ricevono ascolto
psicologico e sono motivati, ogniqualvolta possibile, a tornare presso le loro famiglie. L’obiettivo
delle Scuole all’aperto è di promuovere il reinserimento sociale dei bambini.
- 5.063 bambini sono stati accolti nei Centri per bambini di strada aperti 24 ore su 24
(distinti per maschi e femmine), che offrono assistenza, formazione e attività socio-ricreative.
Qui operatori sociali qualificati si occupano di gestire i singoli casi, per tutelare la sfera psicofisica
del bambino e il suo interesse. Nei centri viene offerta assistenza medica, formazione sulle
tematiche relative alla salute, riparo notturno, servizi igienici adeguati, cibo, vestiario.
- 15.672 bambini sono stati accolti negli Spazi a misura di bambino situati in luoghi
strategici della città, dove c’è un alta concentrazione di bambini a rischio. Oltre a offrire
sostegno, gli Spazi hanno tra gli obiettivi quello di prevenire la dispersione scolastica
organizzando attività di doposcuola e di supporto psicosociale.
- 300 nuovi operatori sociali sono stati formati per essere inseriti nei programmi rivolti
ai bambini vulnerabili presso i centri sostenuti dall’UNICEF.
- del totale dei bambini assistiti e/o accolti nelle scuole all’aperto, nei centri per bambini di strada
e negli spazi a misura di bambino: 654 sono stati ricongiunti alle loro famiglie o reinseriti nelle
comunità di origine; 3.539 hanno beneficiato di corsi sulle Life skills, per acquisire nozioni utili a
comportamenti sani e consapevoli nella vita quotidiana; 1.379 sono stati reinseriti nelle scuole
statali dopo un percorso di formazione di 6 mesi; 12.452 hanno beneficiato della registrazione
anagrafica ed ottenuto il certificato di nascita; 3.840 hanno ricevuto assistenza psicosociale;
2.942 hanno ricevuto assistenza medica; 1.571 hanno ricevuto rifugio notturno presso i centri
per bambini di strada; 115 hanno completato un corso di formazione professionale.
L’UNICEF ha supportato un centro a Dacca che promuove a livello sociale i diritti dei bambini,
per prevenire abusi e sfruttamento. Il centro è dotato di un numero verde gratuito attivo 24 ore
al giorno, di uno spazio di accoglienza d’emergenza e di un team che presta un servizio di
assistenza mobile.
- 35.716 persone sono state sensibilizzate sul tema dell’abuso sui minori: sfruttamento del lavoro
minorile, matrimoni precoci, punizioni corporali.
- 12.339 ragazzi hanno beneficiato, grazie ai fondi forniti dall’UNICEF, del programma di sussidi
governativi per adolescenti. Gli operatori sociali studiano i singoli casi e concedono la
sovvenzione dopo un’attenta valutazione del progetto personale presentato dai ragazzi per lo
sviluppo di un’attività di crescita. Anche le famiglie vulnerabili possono richiedere il sussidio: il
contributo viene concesso a determinate condizioni ovvero solo dopo la dichiarazione di impegno
a far studiare i figli e non farli sposare prima della maggiore età.
- nel 2013 è entrato in vigore il nuovo Children Act, legge quadro sui diritti dell’infanzia che
sostituisce la precedente normativa del 1974. L’UNICEF ha attivamente contribuito alla stesura
della normativa che si fonda sui principi della Convenzione sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza. Il documento stabilisce la maggiore età a 18 anni; regola l’ambito legale della
giustizia minorile; stabilisce standard minimi dei servizi di protezione per le strutture
residenziali; detta le linee guida per il reinserimento familiare o per favorire il reintegro dei
bambini nelle loro comunità
- L’UNICEF e l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) hanno inoltre sostenuto il Governo
nella definizione di una lista delle peggiori forme di sfruttamento del lavoro minorile e di lavori
che comportano un alto rischio per la salute psicofisica del bambino, proibendo il coinvolgimento
dei minori in queste occupazioni.
Scheda a cura del Settore Advocacy Nazionale & Internazionale dell’UNICEF Italia
Ultimo aggiornamento: 28 luglio 2014
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