alighiero boetti a roma

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alighiero boetti a roma
Il MAXXI presenta
ALIGHIERO BOETTI A ROMA
Boetti con Clemente e Ontani
trenta opere per raccontare una stagione creativa straordinaria
IL MAXXI DEDICA LA PIAZZA DEL MUSEO AD ALIGHIERO BOETTI:
MARTEDI’ 22 GENNAIO IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE
IL PRESIDENTE DEL MAXXI GIOVANNA MELANDRI SVELA LA TARGA
23 gennaio - 6 ottobre 2013
www.fondazionemaxxi.it
Roma 22 gennaio 2013. Una mostra per raccontare il rapporto tra un artista insofferente alle definizioni e una
città che diventa per lui trampolino per l’ignoto e ispirazione per nuovi percorsi creativi: con Alighiero Boetti
a Roma prodotta dal MAXXI Arte diretto da Anna Mattirolo e curata da Luigia Lonardelli, il MAXXI racconta la
storia di “Alì Ghiero, il beduino in transito, accampato accanto al Pantheon”.
La mostra, nelle sale del museo dal 23 gennaio al 6 ottobre 2013, prende in esame il particolare rapporto
che ha legato Boetti a Roma, da lui considerata un “avamposto verso l’Oriente”: come la comunità degli artisti
della capitale sia stata influenzata dalla sua personalità e come i rapporti con la sua visione dell’Oriente siano
stati fondamentali per il riemergere di una nuova sensibilità coloristica nel corso degli anni Ottanta.
La mostra sottolinea le connessioni, gli intrecci e le risonanze fra l’opera dell’artista e quella di Francesco
Clemente e Luigi Ontani di cui verranno esposti una serie di lavori in dialogo con quelli di Boetti, indagando
per la prima volta le relazioni tra le loro opere, che ridefiniscono il panorama di vitalità e di esuberanza
creativa che investe la generazione degli anni Settanta.
Trenta opere, molte inedite o raramente esposte, che raccontano una stagione creativa straordinaria, alla
ricerca di una identità e alla scoperta di mondi lontani e affascinanti.
Martedì 22 gennaio, in occasione dell’inaugurazione della mostra, alle ore 18.30 al MAXXI B.A.S.E. Mark
Godfrey (in collegamento da Londra), Franco La Cecla, Annemarie Sauzeau, Caterina Raganelli-Boetti,
moderati da Elena Del Drago, presentano il secondo volume del catalogo generale di Alighiero Boetti,
edito da Electa.
Sempre martedì 22 gennaio alle ore 19.30 il Presidente della Fondazione MAXXI Giovanna Melandri svelerà
la targa che dedica ufficialmente la piazza del MAXXI al grande artista italiano. La proposta di dedicare
la piazza a Boetti era nata nel 2010 con un sondaggio lanciato dal MAXXI e da Massimiliano Tonelli, allora
Direttore di Exibart.
“Alighiero Boetti è uno dei padri dell’arte contemporanea italiana – dice Giovanna Melandri – il suo lavoro è
ancora oggi denso di suggestioni per tutti i giovani artisti e il MAXXI gli rende un giusto omaggio. Un museo
come il MAXXI, per sua natura proiettato nel futuro, non può infatti perdere di vista le radici da cui nasce la
cultura contemporanea.”
La mostra è anche occasione per il Dipartimento Educazione del MAXXI di proporre un nuovo laboratorio
didattico per famiglie. Sabato 26 gennaio, 2 e 9 febbraio alle ore 16.00 adulti e bambini scoprono insieme
le "regole del gioco" di Alighiero Boetti attraverso le opere in mostra. (prenotazione obbligatoria e acquisto
al numero 0639967350).
Inoltre MAXXI e il Gioco del Lotto, partner per le attività educative del museo, ogni domenica dal 27
gennaio al 16 giugno 2013 offrono ai visitatori in possesso del biglietto del museo, due visite guidate
gratuite per gruppi di 30 persone (ore 11.30 e 12.00, accesso libero fino a esaurimento posti). Un modo
per conoscere meglio il MAXXI, scoprire la mostra di Boetti e tutte quelle che saranno in corso al museo.
LA MOSTRA
Nell’autunno del 1972 Boetti si trasferisce a Roma. La sua compagna Anne Marie Sauzeau così scrive di
questa scelta: aveva “l’illusione che Roma fosse già Palermo e Palermo già Il Cairo”. Considerata dall’artista
un avamposto verso l’Oriente, opposta all’aristocratica Torino, fredda e concettuale, Roma gli offre una libertà
creativa insperata, rende possibili percorsi nuovi, individuali e liberi da condizionamenti. La comunità della
capitale é alla ricerca di una identità, nel confronto tra i maestri della generazione precedente come Gastone
Novelli, Achille Perilli, Toti Scialoja, Giulio Turcato e la generazione che agisce intorno alla corte di Mario
Schifano, di cui Boetti diventa intimo amico.
In omaggio alla geografia immaginaria che Boetti ha saputo creare con i suoi lavori, introduce la mostra
l’opera dell’artista inglese Jonathan Monk Untitled and Unfinished (Afghanistan) (2004): una ripresa fissa
sui laghi di Band-e Amir, luogo magico e surreale nel centro-nord dell’Afghanistan dove Boetti avrebbe voluto
venissero disperse le sue ceneri.
La situazione politica del paese li rende tuttora un luogo inaccessibile che possiamo solo immaginare, come
ha fatto lo stesso Monk, che ha commissionato la ripresa ad un afghano, quasi fosse una nuova declinazione
delle ricamatrici che hanno realizzato per anni le mappe boettiane.
Le opere di Boetti in mostra attestano definitivamente la chiusura del periodo poverista torinese in una sorta
di rinascita del colore, della leggerezza e della sperimentazione.
Negli anni Settanta, Boetti inizia il lavoro delle Mappe di cui sono esposti due esemplari tra cui un inedito
assoluto. Il suo rapporto con Roma lo porta a sviluppare il tema del viaggio inteso sia in senso fisico, sia in
senso metaforico come oscillazione tra tecniche e tradizioni culturali, di cui è esempio l’impressionante opera
Poesie con il Sufi Berang, composta da 51 elementi, in cui frasi di Boetti in alfabeto latino si alternano con
le poesie in farsi appositamente realizzate dall’afghano Sufi Berang, conosciuto e frequentato assiduamente
a Peshawar.
Roma significa per Boetti anche la riscoperta del colore: Ho scoperto a posteriori che a Torino non usavo mai
i colori. Forse percepisco il troppo rigore della città … mentre qui a Roma ho capito la bellezza di fare molto,
di fare più rapidamente, di allargare, di facilitare.
Esempio di queste riflessioni opere come le Faccine colorate a due mani con la figlia Agata nel 1977 e le
grandi carte che si distendono in misure ampie arrivando a includere un universo barocco di forme naturali, di
oggetti che raccontano l’intimità del suo studio, declinati in colori immaginifici. Altro esempio le due opere dal
titolo Orme, che in questa occasione entrano nelle collezioni del MAXXI con un comodato di Matteo
Boetti, figlio dell’artista: due lavori che prendono il titolo dal disegno delle suole delle scarpe di Boetti che
con la leggerezza di un acrobata le attraversa verticalmente.
Una Roma disordinata, sentita come l’ultimo baluardo alchemico, libera dalle pastoie dell’ideologismo politico
e concettuale, è quella che accoglie Francesco Clemente appena diciottenne nel 1970.
Le sue opere in mostra, tutte della seconda metà degli anni Settanta, caratterizzate da un disegno lineare e
preciso, ci rivelano un artista diverso da quello della Transavanguardia: esprimono una intimità totale con la
poetica boettiana, e la suggestione di un Oriente cercato ancora più a Est, dopo il viaggio compiuto con Boetti
in Afghanistan nel ‘74. Clemente sarà l’unico fra i tre artisti a decidere di abbandonare in maniera definitiva
Roma spostandosi per lunghi periodi in India e studiando Teosofia a Madras dove, dopo essersi trasferito a
New York, tornerà più volte nel corso degli anni Ottanta.
Un’altra Roma ancora è quella di Luigi Ontani, sentita nelle parole dell’artista come una città i cui
“personaggi permangono per mitologia e leggenda”. Anche per lui la città sarà una base di partenza per il suo
Oriente che, nella seconda metà degli anni Settanta, prenderà la forma di Viaggio in India una bellissima
ricerca, di cui sono esposte le prime fotografie acquerellate che lo vedono protagonista dei suoi famosi
tableaux vivants: una visione esotica, artificiale e fantastica, che esprime la purezza concettuale di uno degli
ultimi orientalisti. Insieme a questo lavoro viene esposto anche il Tappeto Volante, in cui l’artista fotomontato
racconta il luogo per antonomasia di chi non ha una fissa dimora, di chi si sente in perenne transito.
L’Oriente è quindi una scelta di appartenenza totale per Clemente, mentre per Ontani un mondo immaginato
costruito con la stessa attenzione che si riserva alle favole e ai miti. Alighiero Boetti invece vorrà sempre
rimanere un occidentale a Kabul e un orientale a Roma, a rimarcare una sua voluta alterità rispetto all’ordine
delle cose, la sua connaturata bilateralità: “a Roma sono uno straniero, sono un soggiornante, per cui ho
sempre la coscienza di dove sono”.
La cartella stampa e le immagini della mostra sono scaricabili nell’Area Riservata del sito della Fondazione MAXXI
all’indirizzo http://www.fondazionemaxxi.it/?page_id=5176 inserendo la password areariservatamaxxi.
Ufficio stampa MAXXI +39 06 3225178, [email protected]
ALIGHIERO BOETTI A ROMA
23 gennaio - 6 ottobre 2013
Con questa mostra il MAXXI celebra l’entrata in collezione di due opere di Alighiero Boetti, le Orme,
attraverso un generoso comodato da parte di Matteo Boetti, figlio dell’artista. Questa dimostrazione di
fiducia da parte dei collezionisti e degli eredi è per noi il traguardo più importante perché conferma la
funzione del museo come punto di riferimento per le realtà che gravitano nel sistema dell’arte; in questo
senso, ringraziamo l’Archivio e la Fondazione Alighiero Boetti che, ormai da molti anni, si occupano dello
studio, di cui è un fondamentale risultato il catalogo generale di cui oggi presentiamo il secondo tomo, e
della promozione dell’artista. Inoltre questa acquisizione è particolarmente importante per noi perché va
a inserirsi nel nostro nucleo di opere di Boetti: Mimetico (1968), raramente esposto, una delle primissime
Mappe (1971-73) e Iter-vallo (1969-1986), versione dell’opera andata dispersa esposta a Live in Your
Head. When Attitudes Become Form nel 1969. Siamo felici, quindi, di poter chiudere il nucleo con
un’opera degli ultimi anni boettiani in cui si condensa tutta la sua ricerca. Le Orme sono fra i lavori su
carta più grandi mai realizzati da Boetti, la loro superficie è riempita da disegni tratti da copertine di
giornali, documenti, inviti di mostre e cartoline e ci raccontano di un universo privato e pieno di
suggestioni che non ha mancato di influire sulle generazioni più giovani fino a diventare a volte il
soggetto stesso della loro ricerca, come nel caso del video di Jonathan Monk esposto in mostra.
La mostra parte dallo spunto biografico del trasferimento dell’artista a Roma, in questa città Alighiero
Boetti ha avuto molti compagni di strada, fra questi si è scelto di includere in mostra Francesco
Clemente e Luigi Ontani trasferitisi entrambi a Roma nel 1970. Da stranieri anch’essi vivono Roma come
un ponte verso l’Oriente, un porto per immaginazioni lontane che, in un momento in cui la situazione
sociale del Paese è sempre più soffocante, diventa un luogo dove trovare conforto. La Roma di quegli
anni corrisponde alla loro visione di Oriente: un luogo vissuto in prima persona e, allo stesso tempo,
costruito e immaginato, in cui siamo tuttora immersi.
L’esposizione è, quindi, un doveroso omaggio ad un artista che ha saputo egli stesso costruire un mito a
sua volta e non è solo una “felice coincidenza”, per usare un’espressione cara all’artista, se, nel giorno
dell’inaugurazione, il museo ha voluto dedicargli ufficialmente la sua piazza.
Anna Mattirolo, Direttore MAXXI Arte
ALIGHIERO BOETTI A ROMA
23 gennaio - 6 ottobre 2013
ALIGHIERO BOETTI
Mimetico, 1968
Tela mimetica militare montata su tavole di legno assemblate su pannello di fibra di legno dipinto
Collezione permanente
Nel 1966 Alighiero Boetti inizia a sperimentare materiali industriali utilizzati per le loro qualità intrinseche.
La tela mimetica sfrutta un meccanismo di imitazione del reale in quanto riprende i colori della natura,
non per rappresentarla come generalmente accade in un’opera d’arte, ma per dissimularsi al suo
interno. In questo raro esempio di assemblaggio di mimetici differenti, esposto a Genova, alla Galleria
de’ Foscherari nella mostra “Arte Povera” nel 1968, l’artista combina pattern diversi fino a formare un
polittico contemporaneo. Il mimetismo è assunto come metafora dell’invisibilità e non rivela nulla se non
la sua dichiarata natura industriale: queste prime ricerche di Boetti evidenziano la parzialità formale del
colore svelandone il carattere di convenzione visiva.
Rosso Palermo 511 52 27, 1967
Vernice industriale su metallo
Collezione Campiani di Cellatica
Quando Boetti comincia a lavorare ai pannelli detti “dei colori” è certamente influenzato anche dalla
presenza a Torino della FIAT, l’industria automobilistica che contribuisce fortemente a definire l’identità
della città. Nei Pannelli il colore è presentato non come prodotto industriale come accade nei Mimetici,
ma nella sua natura precommerciale, con il codice e il nome che lo identifica. Il titolo Rosso Palermo,
reso visibile sulla superficie dell’opera e corrisponde esattamente al nome stesso del colore, eliminando
ogni eventuale sforzo interpretativo. Anche il modo in cui viene stesa la vernice, “a spruzzo”, rimanda
alle tecniche di verniciatura delle carrozzerie, mentre il riferimento ai luoghi evocativi dei colori, come
“Palermo”, sottolinea la funzione pubblicitaria del nome commerciale del prodotto.
Mappa,1984
Ricamo su tessuto
Collezione Matteo Boetti, Roma
Mappa, 1971-73
Ricamo su lino
Collezione permanente
Iniziato nel 1971, durante il suo primo viaggio in Afghanistan, il lavoro delle Mappe accompagna tutto il
percorso di Boetti. L’artista progettava e disegnava le mappe sulla tela a Roma per poi spedirle in
Afghanistan dove venivano ricamate almeno fino alla fine degli anni Settanta, quando l’invasione russa
ne rese sempre più difficile la spedizione e l’organizzazione del lavoro. Alla metà degli anni Ottanta le
Mappe verranno quindi affidate ai profughi afghani rifugiatisi a Peshawar, in Pakistan. Nel rigido
panorama concettuale dei primi anni Settanta la tavolozza che compone i brillanti colori delle bandiere
crea imbarazzo al punto che le prime reazioni della critica non sono affatto positive: in larga parte a
causa della componente artigianale di questi lavori, tessuti da gruppi di donne che eseguono un modello
dato. Se, a prima vista, possono sembrare frutto di una fredda esecuzione, in queste due Mappe si
riscontra invece come la bandiera ufficiale dell’Afghanistan, nel lavoro più recente, sia stata sostituita
dalle ricamatrici con una parola tessuta in rosso su campo bianco, la cui trascrizione in alfabeto latino è
“Khalq”, il partito riformista al potere.
Faccine, 1977
Intervento a mano su manifesto offset stampato in bianco e nero
Collezione Agata Boetti, Parigi
Quest’opera è stata realizzata a quattro mani con la figlia Agata che nel 1977 aveva cinque anni. La
stampa offset al posto della tecnica più libera del pennarello rimanda ad un processo di massima
serializzazione, di quello che il paese stava vivendo in quegli anni. Nell’opera si evidenzia la ricerca di
armonia fra la standardizzazione e l’unicità, come era stato già per le Mappe: di norma uguali, ma
sempre diverse a seconda delle mani e dei tempi in cui vengono realizzate. Anche l’allusione ironica del
titolo sottolinea la possibilità di giocare su pochi tratti del segno per cambiare l’espressione
convenzionale di un viso, mentre il suo perimetro esagonale si ripete, uguale, in una dialettica continua
fra “ordine e disordine”, una delle espressioni più care all’artista.
Clessidra, cerniera e viceversa, 1981
Matita su carta Collezione Grasso Cannizzo, Vittoria
Una delle costanti nella ricerca e nella biografia di Boetti è il dualismo, che lo aveva portato nel 1972 a
firmarsi “Alighiero e Boetti”. Fra gli anni Settanta e Ottanta l’artista vive un momento di profondo
passaggio e turbamento, testimoniato dai lavori Clessidra, cerniera e viceversa. Realizzata strappando
un testo manoscritto a partire dal centro e rivoltando il foglio in quattro lembi, l’opera si offre allo sguardo
dal suo retro, con le quattro direzioni della scrittura invertite e difficilmente leggibili. Il testo sembra
provenire da un diario privato e descrive situazioni complesse, che si riflettono nella difficoltà di
decifrazione, espressione di una lacerazione insanabile che coincide con lo stato della carta su cui è
scritto.
Sentire una pietra di notte spaccarsi in due, 1982
Tecnica mista su carta
Collezione Alessandra Bonomo, Roma
L’artista esegue questo lavoro nel 1982, durante il periodo di convalescenza seguito a un incidente
automobilistico che lo costringe all’immobilità. Già nel titolo, che corre a matita sul lato destro della carta,
si legge un riferimento ad una capacità percettiva portata all’estremo, quella del sentire, che risuona
nella parola “vedenti”, realizzata forando la carta alla base dell’opera. Al centro corre un asse verticale
che richiama una spina dorsale resa con una pennellata larga e piena che inizia, proprio in questi anni,
ad essere presente in alcuni lavori, così come il motivo degli animali. Nell’opera, i delfini, sono stati scelti
per le loro capacità ultrasensibili e per la flessibilità del loro corpo che l’artista vive, invece, in quel
momento come un limite debilitante.
Senza titolo (Renè Guenon) 1987
Tecnica mista su carta intelata
Collezione Alessandra Bonomo, Roma
Nel corso degli anni Ottanta l’universo visivo dell’artista si popola di figure di animali - rane, delfini,
scimmie - che forse per la prima volta entrano così prepotentemente in una ricerca artistica. Le scimmie
ripetute come fossero elementi di un’infinita impresa decorativa, sono spesso ritratte nei loro movimenti
consueti. In quest’opera il tipico slanciarsi dell’animale da una ramo all’altro è rivisitato sostituendo alla
forma del ramo un tratto di colore. L’animale si trova quindi a muoversi dentro l’opera legando attraverso
i suoi salti l’intera composizione. Nel 1926 l’esoterista René Guénon, che dà il titolo all’opera, scriveva
“da un ordine all’altro, tutte le cose si concatenano e si corrispondono per concorrere all’armonia
universale e totale”.
Senza titolo, 1987
Tecnica mista su carta intelata
Collezione Alessandra Bonomo, Roma
Nel 1987 Boetti inizia a realizzare grandi opere a più pannelli che, disposti orizzontalmente, richiamano
un fregio. Nella parte inferiore si rincorrono delle scimmie, mentre in alto scorrono immagini intime e
familiari riprese dagli oggetti presenti nello studio dell’artista come disegni, cartoline, ritagli di giornali.
Come molte opere realizzate negli anni successivi, Boetti si serve di uno stampo che riutilizza più volte,
in una sorta di furore creativo. Parlando di questi lavori dirà: “la cosa importante che diventa anche
velocità è definire una forma”. A partire da un catalogo definito di forme, si possono creare diversi ordini,
come è poi del resto nella natura dell’universo che si compone attraverso elementi singoli ripetuti in
infinite combinazioni.
Poesie con il Sufi Berang 1989
Ricamo su tessuto
Collezione privata, Roma
A partire dal 1988 grandi quadrati di lettere dove si alternano l’alfabeto farsi e quello latino iniziano a
essere ricamati dai rifugiati afghani a Peshawar, in Pakistan. Quest’opera è stata realizzata nel 1989 in
occasione della grande mostra “Les Magiciens de la Terre” al Centre Pompidou di Parigi, che esponeva
lavori provenienti da tutti i continenti e da culture artistiche differenti, in un’ottica postmoderna di
contaminazione. I versi ricamati sulle tele sono stati composti dal maestro Sufi Berang per l’occasione;
Boetti, che sin dalla metà degli anni Settanta si interessa alla poesia sufi, lo aveva conosciuto a
Peshawara metà anni Ottanta . Tra di loro nacque un profondo legame e sarà proprio il maestro Sufi a
celebrare il secondo matrimonio dell’artista con Caterina Raganelli, già sposata con rito civile. I
cinquantuno elementi che compongono questo lavoro, uno degli esempi più impressionanti della ricerca
dell’artista, sono presentati in Italia per la prima volta. La componente fondamentale di quest’opera è
quella visiva e risiede nell’integrazione fra due linguaggi: la lingua vera e propria e la cultura, poiché
attraverso il farsi si vuole rappresentare l’intera cultura sufi. L'osservatore è invitato a leggere il testo in
italiano, ma non può decifrare quello in farsi; la componente lirica, nell’impossibilità di comprendere il
valore poetico del testo, risiede nel segno che è già poesia di per sé.
Tutto, 1989
Ricamo su cotone
Collezione privata, Roma
La genesi di quest’opera risale all’inizio del percorso artistico di Boetti quando, nel 1968, espone a
Milano presso la Galleria Christian Stein Pack, una sottile striscia di cemento attraversata da spaccature
che, vista dall’alto, richiama il pack, lo strato di ghiaccio che si trova ai due Poli. L’opera viene perduta,
ma Boetti continuerà a riutilizzarne il titolo, accostandolo ad un secondo Perdita di identità e poi a Tutto,
in alcune prove di quadratura delle lettere che continua a fare nel corso degli anni Settanta. I tre titoli
uno di seguito all’altro fanno riflettere sul significato che l’artista dava a questo lavoro: i pezzi del pack si
compongono insieme a formare un’immagine riconoscibile ma solo a costo della perdita delle singole
identità. Queste riflessioni si concretizzano in forma definitiva nei grandi ricami chiamati “Tutto” e iniziati
intorno al 1987, nei quali Boetti raccoglie ogni oggetto, figura, immagine, ricordo, a comporre un
mosaico di forme sovrapposte che l’occhio non riesce mai ad individuare completamente.
Fregio, 1990
Tecnica mista su carta intelata
Collezione privata, Roma
Fregio viene esposto per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1990: composto da ventotto pezzi,
correva lungo la parete della sala personale a lui dedicata. Sotto Fregio erano esposte dieci opere, tra
cui Orme I. La meraviglia compositiva di questo lavoro è testimoniata dall’invenzione degli animali che si
rincorrono da un elemento all’altro analogamente alla frase che li lega insieme. Pesci, rane, lucertole
sono inserite, come nei fregi classici, all’interno di due fasce parallele. L’iscrizione posta al livello
superiore, come a celebrare gesta o vittorie riecheggiando stilemi antichi, è invece una riflessione
sull’opera stessa composta da “tracce e impronte e segnali” in modo da “riempire questo bianco e
l’insensata corsa della vita”.
Orme I, 1990
Orme II, 1990 circa
Tecnica mista su carta
Collezione permanente
Comodato Collezione Matteo Boetti, Roma
Le Orme sono fra i lavori su carta più grandi mai realizzati da Boetti: al loro interno sono illustrati e
conservati i temi della ricerca svolta nei decenni precedenti. La loro superficie è riempita da disegni tratti
da copertine di giornali, documenti, inviti di mostre e cartoline. Intorno alle forme tracciate a matita ci
sono zone colorate realizzate con pittura stesa a spruzzo,colore lasciato colare o impresso sulla tela
poggiandovi degli elastici immersi nella vernice che creano circonferenze irregolari. Orme I viene
esposto alla Biennale di Venezia del 1990 e, fra i documenti, si riconosce anche la lettera di invito
spedita all’artista, mentre Orme II viene realizzato successivamente. In entrambe il disordine delle forme
segue il ritmo centrale del disegno delle suole di Boetti che, con passo da acrobata, le attraversa
verticalmente. Realizzate in orizzontale, sul pavimento dello studio, le opere conservano memoria di
quel gesto e, ironicamente, accompagnano verso l’alto gli ultimi passi dell’artista.
Senza Titolo, 1993-95
Tappeto in lana e cotone
Collezione privata, Roma
Senza Titolo, 1993-95
Tappeto in lana e cotone
Collezione Matteo Boetti, Roma
Nelle intenzioni di Boetti i Tappeti, ideati nel 1993 e la cui esecuzione termina dopo la sua morte,
dovevano riassumere tutta l’iconografia dell’artista diventando una sorta di testamento: è tipico della
cultura islamica che il tappeto si offra come rappresentazione astratta dell’universo. Concepiti come
classici tappeti persiani in essi è possibile rintracciare uno sguardo critico su tutta la sua opera. Nelle sei
fasce che delineano il perimetro sono presenti gli elementi decorativi cari a Boetti. Ritorna il motivo della
spina centrale che regola la composizione, come nelle Orme e in Sentire una pietra di notte spaccarsi in
due, da cui partono raddoppiandosi diverse forme in cui sono riconoscibili riferimenti diretti alle sue
opere: i Tutto, la quadratura del suo nome, la bandiera afghana. Il tipico cartello da albergo con la scritta
“non disturbare”, è usato qui come una sagoma, in cui si leggono frasi malinconiche che suggeriscono il
sentimento di intimità degli ultimi giorni dell’artista.
Iter-vallo,1969-1986
Ferro, carta velina
Collezione permanente
Il titolo di quest’opera richiama il concetto che ne è alla base: la ripetizione, nascosta nella parola latina
“Iter”, di un elemento che, procedendo per “intervalli” regolari, definisce una struttura geometrica. La
prima versione di questo lavoro fu esposta a Berna nel 1969 in occasione di When Attitudes Become
Form, la mostra che lancia in Europa il concettualismo postminimalista. Iter-vallo potrebbe essere a
prima vista letto come un’espressione della corrente minimal, con il suo regolare moltiplicarsi di una
forma industriale di base, il quadrato di ferro. L’inserimento della carta velina insinua, nell’apparente
freddezza dell’opera, la componente umana del gesto e le sottili imperfezioni della carta conservano la
memoria del mondo vegetale, opponendosi alla pesantezza del ferro.
La natura è una faccenda ottusa, 1981 circa
Tecnica mista su carta
Collezione Marina Deserti, Bologna
“La natura è una concretezza malposta, una faccenda ottusa, senza suoni, profumi, colori; soltanto una
corsa della materia, senza fine, senza senso” questa frase del matematico e filosofo inglese Alfred North
Whitehead ha ispirato, a partire dal 1980, una serie di opere dove Boetti ripete lo stesso schema
compositivo, chiamato Tra sé e sé, rimodulando al centro ogni volta un universo di forme naturali
differenti. La vista dall’alto, con il profilo della testa dell’artista che limita i bordi superiori e inferiori,
sottolinea attraverso la sua struttura speculare, inscrivendolo in un confine preciso, il proliferare delle
sagome animali che si offrono nella loro disordinata caoticità. Come scrive lo stesso artista è solo “lo
sguardo mentale umano a voler cogliere (nella natura) colori, profumi, bellezze”.
La quinta essenza del sesto senso, 1993
Tecnica mista su carta intelata
Collezione Calabresi, Roma
Al centro della composizione de La quinta essenza del sesto senso passa un elemento verticale che
divide le carte che compongono il lavoro in due parti distinte, mentre le linee orizzontali sono realizzate
appoggiando sul foglio un supporto e tracciando una striscia di colore seguendone il bordo. Insieme con
la partitura verticale esse concorrono a formare una griglia compositiva su cui si innesta la teoria di
immagini della spina centrale: riproduzione fedele di illustrazioni riprese da riviste e giornali. Questi
elementi portano a “datare” l’opera e a collocarla in un tempo preciso: il trascorrere del tempo rende
evidente il processo di storicizzazione attraverso la lettura degli elementi che si possono evincere, non
solo dagli avvenimenti ritratti, ma anche dallo stile delle illustrazioni.
LUIGI ONTANI
Tappeto volante aureo, 1975
Fotografia su carta
Collezione Martino, Roma
En route vers l’Inde, d’après Pierre Loti
Stilita MahARAja Monkey Mime AltoMARE, 1977
Fotografie acquerellate su carta
Collezione dell’artista
Krishna, 1978
Fotografia acquerellata su carta
Collezione privata
Le Temple, 1978
Fotografia acquerellata su carta
Collezione Calabresi, Roma
Dopo il suo primo viaggio in India nel 1975 l’artista realizza una serie di opere, alcune delle quali
esposte in questa parete, parte del primo ciclo indiano En route vers l’Inde, omaggio al grande
viaggiatore Pierre Loti, a testimonianza di un rapporto con l’India fortemente idealizzato. Come scrive
Ontani “sentivo la necessità di andare in un luogo che sembrasse un altrove”. L’artista cerca una
possibilità di illusione attraverso il fotomontaggio in Le Temple e AltoMARE che prosegue un viaggio,
metaforico e reale, già iniziato con l’artificio del Tappeto volante nel 1975. Il suo è anche un percorso
attraverso le tecniche e le tradizioni: Ontani ritrova a Madras l’uso occidentale di acquerellare le
fotografie e, vestendo i panni sia di Cristo che di Krishna, compone un ideale ponte di congiunzione fra
l’iconografica occidentale e quella orientale.
FRANCESCO CLEMENTE
Coppie al lavoro, 1978
Acquerello su carta applicata su tela
Collezione privata
La prima produzione di Clemente svela fin da subito i caratteri di quello che si rivela essere uno dei punti
nodali del suo lavoro: svincolare lo spazio del foglio, o della tela, da ogni convenzione spaziale e
prospettica. Le figure sembrano quindi galleggiare in un universo creativo liberato dove si dispongono in
ordine sparso. Molto spesso in questi anni l’artista ragiona sul tema del doppio attraverso coppie di
figure binarie che si dispongono in varie forme; un tema che è costante anche nella ricerca di Boetti. In
questo caso la coppia consiste in due partner apparentemente riecheggianti un’iconografia di scene
cortesi, ma che invece, ad una lettura più attenta, si rivelano occupati in lavori vari piuttosto che intenti in
giochi amorosi.
Under the Hat, 1978
Acquerello su carta
Collezione D’Ercole, Roma
Quest’opera testimonia come, dopo il soggiorno a Madras fra 1976 e 1977, l’artista sviluppa a pieno
quelle istanze decorative su cui aveva iniziato a riflettere a Roma nella prima metà degli anni Settanta,
affascinato dal decorativismo dei fregi e delle grottesche classiche, annullando di fatto ogni qualità
personalistica nella mano. Il lavoro, infatti, mostra un moderno borghese occidentale prendere le forme
mutevoli di un dio indiano; richiama lo stile impersonale delle raffigurazioni di tradizione orientale che
vedono nella creatività la semplice espressione di un desiderio di rappresentazione e nella ricerca
dell’anonimato la maestria del pittore-esecutore. Questi temi, sebbene passati attraverso l’esperienza
personale del viaggio in India, sono certamente mutuati dal suo mentore Alighiero Boetti.
Ritratto di Foucault, 1978
Gouache e matita su carta montata su tela
Collezione Gian Enzo Sperone, New York
Quest’opera è un omaggio al filosofo francese attraverso una ripetizione fissa della forma del suo
braccio, ripreso dal ritratto al centro della composizione. Clemente sostituisce alla testa del pensatore,
tenuta dal braccio nel tipico gesto della riflessione, una serie di architetture classiche provenienti da
culture differenti. Esse sembrano gli appunti di un diario di viaggio interiore, emblemi di quel nomadismo
che diventerà presto tipico della sua personalità artistica. Allo stesso tempo il riferimento a Michel
Foucault sembra riecheggiare la sua nozione di impossibilità di definire il soggetto individuale, se non
attraverso i processi storici e sociali che portano l’uomo a costituirsi anche nella sua espressione
artistica.
Scheda volume
Jean-Christophe Amman
Alighiero Boetti
Catalogo Generale - Tomo secondo
AUTORE: Jean-Christophe Ammann
EDITORE: Electa
COLLANA: Arte e cultura
PAGINE: 448
ILLUSTRAZIONI: 1200
PREZZO: euro 200
IN LIBRERIA: ottobre 2012
“… venticinque per venticinque seicentoventicinque lettere dai cento colori i colori del mondo per poi divenire
un solo colore il colore della terra e poi nuovamente separarsi per poi diluirsi disperdendosi nel tempo il tempo
del divenire per poi diventare vento …”
Alighiero Boetti
Electa pubblica il secondo volume del catalogo generale di Alighiero Boetti (1940-1994), artista di
grande inventiva e di raffinata ironia che ha praticato per tutta la vita una complessa e variegata ricerca, con
orientamento “cosmico”.
Il nuovo tomo tratta il periodo cruciale della sua poetica concettuale: le mappe, i lavori postali, le opere a
biro… Queste e le altre opere realizzate tra il 1972 e il 1979 sono le più importanti che l’artista ha prodotto e
mettono in evidenza i fondamenti del suo lavoro: molteplicità, differenza e ripetizione; frammentazione,
mutazione e profusione. Il 1972 è anche l’anno a partire dal quale decide di inserire una “e” fra il nome e il
cognome evidenziando così il dualismo della sua identità, lo sdoppiamento gemellare, l’alterità che è
all’origine del principio della delega, ovvero la scissione tra ideazione, di cui l’artista è l’artefice, ed esecuzione
dell’opera che può infatti avvenire tramite una comunità di lavoro, una manodopera esperta, come nel caso
delle ricamatrici afghane.
Il volume documenta un periodo di profonda sperimentazione per l’artista torinese che, dopo un esordio
legato all’arte povera, se ne allontana: il rilievo dato al colore e alla soggettività, a partire dagli anni settanta
quando si stabilisce a Roma, costituiscono alcuni elementi che lo allontanano dal movimento. Prosegue
tuttavia la sua ricerca concettuale su principi generativi quali il tempo, l’ordine e il disordine, l’uguale e il
diverso. Boetti si muove tra gli opposti, ad esempio Oriente e Occidente, nell’estasi dell’equilibrio -come egli
stesso diceva- che si trova in un luogo limite, come la soglia tra due spazi. L’elemento culturale-antropologico
è sempre stato al centro dei suoi interessi: il gioco costruito attraverso i lavori postali mira da un lato a
sperimentare la comunicazione e al modo per veicolarla, dall’altro gli permette di scardinare le regole dell’arte,
abbandonando lo spazio istituzionale della galleria d’arte per far conoscere le sue opere. Cerca un contatto
diretto con gli interlocutori, facendo a meno di eventi e attività espositive, fa viaggiare l’arte con modalità
innovative e mezzi mai utilizzati prima.
Il progetto di catalogazione sancisce la collaborazione tra l’Archivio Alighiero Boetti e la Fondazione
Alighiero e Boetti e prevede la pubblicazione di 4 volumi (il primo tomo è stato pubblicato nel 2009), a cura
dell’Archivio Alighiero Boetti con la direzione scientifica di Jean-Christophe Ammann. In questo volume
Ammann ha condotto un dibattito a più voci con Achille Bonito Oliva, Laura Cherubini, Giulio Verzotti, Franco
La Cecla, cui si aggiungono un testo di Giulio Paolini e uno di Annemarie Sauzeau.
Moltissime immagini inedite presenti in questo tomo riescono a dare una panoramica integrale e d’insieme sui
cicli di opere dell’artista, finalmente fruibili in modo completo.
Informazioni
Ufficio stampa Electa - Enrica Steffenini Tel 3398662595, [email protected] - www.electaweb.com
Scheda volume
SOMMARIO
A più voci
Jean-Christophe Ammann, Achille Bonito Oliva, Laura Cherubini, Franco La Cecla, Giorgio Verzotti
Molteplicità, differenza, ripetizione: maturità di Alighiero e Boetti
Annemarie Sauzeau
Ad Alighiero Boetti
Giulio Paolini
English version
To more voices
Jean-Christophe Ammann, Achille Bonito Oliva, Laura Cherubini, Franco La Cecla, Giorgio Verzotti
Multiplicity, Difference, Repetition: the Maturity of Alighiero Boetti
Annemarie Sauzeau
To Alighiero Boetti
Giulio Paolini
Nota al Catalogo generale
Note to the General Catalog
Catalogo
Opere 1972
Opere 1973
Opere 1974
Opere 1975
Opere 1976
Opere 1977
Opere 1978
Opere 1979
Apparati
Curricula
Addenda apparati
Informazioni
Ufficio stampa Electa - Enrica Steffenini Tel 3398662595, [email protected] - www.electaweb.com
LE REGOLE DEL GIOCO
Laboratorio didattico per famiglie a cura del Dipartimento educazione del MAXXI
Sabato 26 gennaio – 2 e 9 febbraio 2013 ore 16.00
Tra ordine e disordine, tra regole prestabilite e incidenti del caso Alighiero Boetti ha saputo “inventare” il
mondo con le sue opere multimateriche dando forma a pensieri e visioni. L’attività educativa è divisa in due
parti: nella prima adulti e bambini scoprono insieme le "regole del gioco" di Alighiero Boetti attraverso le
opere esposte in mostra; nella seconda si mettono in gioco in prima persona, inventando le proprie regole, tra
rebus ed enigmi di immagini, parole e numeri, per realizzare elaborati creativi ispirati al lavoro dell’artista
torinese.
Il laboratorio “Le regole del gioco” si suddivide in tre fasi:
1. ESERCIZI PROPEDEUTICI NEL LABORATORIO: Bambini e genitori sono invitati a sperimentare alcune
delle modalità creative di Boetti
2. VISITA ESPLORAZIONE IN MOSTRA: Attraverso le riflessioni emerse con le attività propedeutiche,
bambini e adulti sono invitati a cogliere, con l’aiuto dell’operatore, le regole nascoste all’interno di alcune
opere di Alighiero Boetti.
3. LABORATORIO DEL FARE: Il gruppo si sposta in laboratorio. Qui sono a disposizione dei bambini kit per
realizzare diverse tipologie di opere, tutte con un ordine dato su cui i bambini interverranno per “reinventarlo”,
con l’aiuto del genitore: le opere coinvolte saranno Faccine, Tutto e Poesie con il Sufi Berang.
Il Gioco del Lotto è partner delle attività educative del MAXXI.
Per adulti e bambini tra i 7 e i 12 anni, durata: 1h e 30’
bambini € 7, adulti: gratuito + biglietto di ingresso al museo.
Prenotazione obbligatoria e acquisto al numero 0639967350