Paul Celan traduttore: il poeta «setzt Wundgelesenes über»

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Paul Celan traduttore: il poeta «setzt Wundgelesenes über»
Paul Celan traduttore: il poeta
«setzt Wundgelesenes über»
Enza Dammiano
SCUOTE LA VEGLIA il tuo sogno.
Con la parolasegno incisa nel suo
corno, a spira
per dodici volte.
L’ultimo colpo assesta.
Si stringe a
picco la gola del giorno
vi si inerpica
il traghetto:
e traduce ciò che a ferirsi fu letto1.
La parabola creativa di Paul Celan si configura sin dai primi componimenti come ricerca intorno alla parola, «ein Wort», – si legge già nella
raccolta Mohn und Gedächtnis (1952) – «von Sensen gesprochen»2 parola recisa, mutilata, prodotto di una ‘scrittura-falce’, Sichelschrift3, che
ritaglia frammenti di senso dalla lingua, ne solca e ne incide il materiale, aprendo varchi nello spazio interdetto del silenzio.
1
Dein vom Wachen, Celan 2008, p. 536. Traduzione mia.
2
Celan 2008a, pp. 114-115, «e una parola, che le falci dissero».
3
Ivi, p. 556.
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È proprio la lingua, infatti, che resta, oltre il silenzio: «Erreichbar,
nah und unverloren blieb inmitten der Verluste dies eine: die Sprache»4 – scrive Celan nell’Allocuzione tenuta nel 1958 in occasione del
conferimento del premio letterario della città di Brema – paradossalmente attualizzabile proprio attraverso la discesa nei suoi stessi abissi
di interdizione: «Aber sie mußte nun hindurchgehen durch ihre eigenen Antwortlosigkeiten, hindurchgehen durch furchtbares Verstummen, hindurchgehen durch die tausend Finsternisse todbringender
Rede. Sie ging hindurch und gab keine Worte her für das, was geschah;
aber sie ging durch dieses Geschehen. Ging hindurch und durfte wieder zutage treten, "angereichert" von all dem»5. La lingua celaniana attraversa, allora, una necessaria afasia, penetra quello stesso indicibile
Geschehen, per poi riemergerne arricchita; essa ri-orienta, riconsidera il
tempo-spazio, aprendosi e aprendo al dialogo, e si fa poesia:
In dieser Sprache habe ich, […] Gedichte zu schreiben versucht: um zu
sprechen, um mich zu orientieren […]. Es war, Sie sehen es, Ereignis,
Bewegung, Unterwegssein, es war der Versuch, Richtung zu gewinnen. […] Denn das Gedicht ist nicht zeitlos. […] es sucht, durch die Zeit
hindurchzugreifen – durch sie hindurch, nicht über sie hinweg.
Das Gedicht kann, da es ja eine Erscheinungsform der Sprache und damit seinem Wesen nach dialogisch ist, eine Flaschenpost sein, aufgegeben in dem […] Glauben, sie könnte irgendwo und irgendwann an
Land gespült werden, an Herzland vielleicht6.
4
Celan 1983, III, p. 185; trad. it. Celan 2008b, p. 35, «Raggiungibile, vicina e non
perduta in mezzo a tante perdite, una cosa sola: la lingua».
5
Ivi, pp. 185-186; trad. it. Celan 2008b, «La lingua, essa sì, nonostante tutto, rimase
acquisita. Ma ora dovette passare attraverso tutte le proprie risposte mancate,
passare attraverso un ammutolire orrendo, passare attraverso le mille e mille
tenebre di un discorso gravido di morte. Essa passò e non prestò parola a quanto
accadeva; ma attraverso quegli eventi passò. Passò e le fu dato di riuscire alla luce,
‘arricchita’ da tutto questo».
6
Ivi, p. 186; trad. it. Celan 2008b, «Con questa lingua […] io ho tentato di scrivere
poesie: per parlare, per orientarmi […]. E fu, chiaramente, vicissitudine, movimento,
un porsi in cammino; fu il tentativo di trovare una direzione. […] Poiché il poema
non è qualcosa di atemporale. […] cerca di aprirsi un varco attraverso il tempo –
attraverso, ma non sopra il tempo. La poesia, non per nulla una manifestazione
linguistica e quindi dialogica per natura, può essere un messaggio nella bottiglia,
gettato a mare nella convinzione […] che possa un qualche giorno e da qualche parte
essere sospinto a una spiaggia, alla spiaggia del cuore, magari».
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La poesia è innanzitutto accadimento, segno e traccia di quello spazio-tempo, nel quale essa stessa si muove; la sua parola procede unterwegs come un ‘messaggio in bottiglia’ che, nel suo rifluire, si nutre della
convinzione di poter raggiungere, inmitten der Verluste, una riva.
È proprio il movimento ambivalente di questa parola che si fa metafora nel componimento Dein vom Wachen: tra conscio e inconscio,
essa si immerge nel profondo, per poi riemergerne, recando il segno di
un passaggio. Anche il sogno e la veglia diventano ambivalenti nel loro
reciproco rapportarsi, per cui la veglia è determinazione del sogno –
«vom Wachen» – nonché oggetto del suo stoßen – «stößiger Traum» –
mentre il sogno è soggetto di quello stesso movimento che si determina
nella veglia. Sogno e veglia, allora, irrompono l’uno nell’altra, sovrapponendo i confini tra conscio e inconscio, e reclamando ‘attenzione’: «Die Aufmerksamkeit» – si legge nel Meridian – «[…] sein schärferer Sinn für das Detail, für Umriß, für Struktur, für Farbe, aber auch für
die ‘Zuckungen’ und die ‘Andeutungen’, das alles ist, glaube ich, keine
Errungenschaft des mit den täglich perfekteren Apparaten wetteifernden (oder miteifernden) Auges, es ist vielmehr eine aller unserer Daten
eingedenk bleibende Konzentration»7. L’attenzione, dunque, non è necessariamente una ‘conquista dell’occhio’; essa è piuttosto ‘concentrazione’ interiore, memore delle proprie date: «Aufmerksamkeit» – continua Celan, citando Malebranche dal saggio che Walter Benjamin dedica
a Kafka – «Aufmerksamkeit ist das natürliche Gebet der Seele»8.
Anche il sogno, infatti, si fa memoria: il suo corno diventa testimone del segno di una parola che vi si incide vorticosamente. Nella
costruzione prosodica sincopata sembra attualizzarsi un primo movimento di immersione nella profondità dell’incisione che, reiterata per
dodici volte, conquista faticosamente una forma – «schrauben-förmig»
(vv. 2-3) – in una sorta di artigianato poetico: «Handwerk» – scrive in
una nota lettera inviata a Hans Bender nel maggio del 1960: «ist, wie
Sauberkeit überhaupt, Voraussetzung aller Dichtung. […] Es hat seine
7
Celan 1999, p. 9; trad. it. Celan 2008b, p. 16, «L’attenzione, […] il suo acutissimo
senso del dettaglio, del profilo, della struttura, del colore, ma anche dei ‘palpiti’ e
delle ‘allusioni’, tutto questo io credo non è la conquista di un occhio in gara (o in
concomitanza) con apparecchiature ogni giorno più pefette: è piuttosto un
concentrarsi avendo ben presenti tutte le nostre date».
8
Ibidem, «L’attenzione è la preghiera spontanea dell’anima».
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Abgründe und Tiefen […]. Handwerk – das ist Sache der Hände»9.
Speculare alla prima strofa, la terza ne riproduce il movimento, modificandone il soggetto: die Fähre, il traghetto, arranca verso l’alto, mentre
la verticalità della gola si fa vertiginosa, spingendo verso il basso. L’alternarsi di profondità e superficie, inoltre, sembra rintracciarsi nella
forma stessa del componimento che, nella sua simmetria, si presenta
composto da due parti, ciascuna di sei versi, diversamente distribuiti
attraverso un uso puntuale delle pause e degli enjambements (vv. 3-4:
sein|Horn; vv. 4-5: gekrebten|Wortspur; vv. 2-3: schrauben-|förmig;
vv. 7-8: senk-|rechten; vv. 8-9: schmalen|Tagschlucht; vv. setzt|Wundgelesenes). Sono questi elementi a cadenzarne la lettura, facendo corrispondere al v. 6 e ai rispettivi vv. 11-12 il momento di emersione in superficie e, di conseguenza, dell’inspirazione, in un
movimento pneumico che sembra riprodurre quello che permea la raccolta che contiene il testo, Atemwende.
Un respiro tuttavia doloroso che si fa carico di quel «Wundgelesenes», di quelle letture-ferite, tra-dotte attraverso un passaggio angusto.
La percezione di dolore e di asfissia, che ripercorre l’intero componimento (v.1: stößiger; v. 6: Stoß; vv. 7-9: senk-|rechten, schmalen|Tagschlucht), raggiunge il suo acme nel neologismo celaniano:
«[…] ces vers» – scrive Derrida in Schibboleth pour Paul Celan – «parlent
en tout cas d’un passage au-delà, par-dessus ce qui est lu jusqu’au
sang, jusqu’à la blessure, atteignant ce lieu où le chiffre s’inscrit douloureusement à même le corps»10. Una cifra incisa nel corpo, dunque,
come quella Wortspur della prima strofa che è segno della parola 'propria', ma anche di quella 'letta', ovvero di quella 'altrui': «Alors la blessure» – continua Derrida dopo qualche riga – «ou sa cicatrice, devient
signifiante, elle est tenue par quelque fil à la lecture. Dire qu’elle est
lisible, ce serait littéralement abusif, car elle est aussi bien illisible, et
voilà pourquoi elle use la lecture jusqu’au sang. Mais elle appartient à
9
Celan 1983, III, p. 177; trad. it. Celan 2008b p. 57, «L’artigianato, come in genere la
pulizia nel mestiere, è presupposto di qualsiasi poesia. […] Esso ha i suoi baratri e
le sue profondità […]. Un manufatto - è questione di mani».
10
Derrida 1986, p. 97, «questi versi parlano in ogni caso di un passaggio al di là, al di
sotto di ciò che è letto fino al sangue, fino alla ferimento, raggiungendo quel luogo
in cui la cifra si inscrive dolorosamente nel corpo».
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l’expérience de la lecture»11. Indissolubilmente e paradossalmente legata alla lettura, la ferita è dolorosa apertura e insieme possibilità di
comprensione: «Es sind die Bemühungen» – si legge a conclusione
dell’Allocuzione di Brema – «der [...] mit seinem Dasein zur Sprache
geht, wirklichkeitswund und Wirklichkeit suchend»12. Se la verità non
è data, – «Wirklichkeit ist nicht, Wirklichkeit will gesucht und gewonnen sei»13 – ma richiede di essere cercata 'ferendosi', wirklichkeitswund,
allo stesso modo la parola poetica 'propria e altrui' si impone di attraversare quella stessa ferita; i due neologismi celaniani sembrano allora
compenetrarsi in una struttura a chiasmo:
wirklichkeitswund
X
Wundgelesenes
I suoi termini, Wirklichkeit, wund, e gelesenes, diventano le parolechiave dell’intera esperienza creativa e non solo, «Je dirais même à
celle de la traduction»14: il verbo separabile über|setzen, ‘traghettare’,
ma anche «transmittere, in bildlichem gebrauche neben fester verbindung»,
e il suo corrispettivo non separabile übersetzen, ‘tradurre’ in senso proprio15, si sovrappongono in un processo doloroso e arrancante, assimilandosi al movimento che l’intero componimento rintraccia. La tra-duzione si fa passaggio da una riva all’altra, da una lingua all’altra,
attraverso l’esperienza della realtà e della lettura che al contempo ferisce ed è ferita. Essa si configura come duplice über-setzen, un trans-ducere i segni della scrittura nella lingua, ma soprattutto da una lingua
all’altra, da un testo all’altro, come affermerà Gadamer: «Lesen ist wie
11
Ivi, p. 98, «Allora la ferita, o la sua cicatrice, assume significato, e risulta legata a filo
alla lettura. Dire che è leggibile, sarebbe letteralmente improprio, poiché essa è
comunque illeggibile, motivo per cui usa la lettura fino al sangue. Ma essa
appartiene all’esperienza della lettura».
12
Celan 1983, III, p. 186; trad. it., Celan 2008b, p. 36, «Sono i tentativi di chi, […]
s’accosta con la propria esistenza alla lingua, ferito da realtà e realtà cercando».
13
Ivi, p. 167; trad. it., Celan 2008b, p. 38, «La realtà non è, la realtà va cercata e conquistata».
14
Derrida 1986, p. 98, «Direi anche di quella della traduzione».
15
Per entrambe le definizioni cfr. ad vocem Deutsches Wörterbuch von Jacob Grimm und
Wilhelm Grimm, http://woerterbuchnetz.de/DWB/call_wbgui_py_from_form?sigle=
DWB&mode=Volltextsuche&lemid=GU01823.
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ein Über-setzen von einem Ufer zu einem fernen anderen, von Schrift
in Sprache. Ebenso ist das Tun des Übersetzers eines >Textes< Übersetzen von Küste zu Küste, von einem Festland zum anderen, von Text
zu Text. Übersetzen ist beides»16.
Tradurre significa, dunque, per Celan farsi carico di quella Flaschenpost e condurla verso lo Herzland, rispondendo alla struttura appellativa della poesia: la sua è sempre la lingua di uno «sprechendes Ich»,
«ein unter dem besonderen Neigungswinkel seiner Existenz sprechendes Ich, dem es um Kontur und Orientierung geht»17, che si pone unterwegs, verso un ansprechbares Du: «Gedichte sind auch in dieser Weise
unterwegs: sie halten auf etwas zu. Worauf? Auf etwas Offenstehendes, Besetzbares, auf ein ansprechbares Du vielleicht, auf eine ansprechbare Wirklichkeit. Um solche Wirklichkeiten geht es, so denke
ich, dem Gedicht» 18 . Ambizione della poesia sembra essere, allora,
proprio quella di procedere verso l’‘altro’: «Das Gedicht» – si legge ancora – «ist der Ort, wo das Synonyme unmöglich wird: es hat nur eine
Sprache und damit Bedeutungebene. Aus der Sprache hervortretend,
tritt das Gedicht der Sprache gegenüber. Dieses Gegenüber ist unaufhebbar»19. Ma se la poesia, Gedicht, che non vuole diventare Genicht20 è
il luogo in cui ogni ‘sinonimo’ diventa impossibile, la traduzione è il
luogo in cui ogni identità risulta altrettanto irrealizzabile; il processo
di traduzione, come dimostra la lettura di Dein vom Wachen, è un passaggio doloroso e complesso, dove resta sempre – per citare Walter
Benjamin – «in aller Sprache und ihren Gebilden außer dem Mitteilbaren ein Nicht-Mitteilbares, ein, je nach dem Zusammenhang, in dem
16
Gadamer 1993, p. 284, «Leggere è come un tra-durre da una riva a un’altra lontana, dalla
scrittura alla lingua. Allo stesso modo il fare del traduttore di un testo è un tra-durre da
costa a costa, da un paese all’altro, da un testo all’altro. Tradurre è entrambe le cose».
17
Celan 1983, III, p. 167; trad. it. Celan 2008b, p. 38, «un io che parla dal particolare angolo
di incidenza della propria vita e che ricerca una delimitazione, un orientamento».
18
Ivi, p. 186, trad. it. Celan 2008b, pp. 35-36: «Le poesie sono anche in questo senso in
cammino: esse hanno una meta. Quale? Qualcosa di accessibile, di acquistabile, forse
un tu, o una realtà, aperti al dialogo».
19
Ibidem, «La poesia è il luogo in cui ogni sinonimo è impossibile: essa ha solo una
lingua e quindi livelli di significato. Provenendo dalla lingua, la poesia va incontro
alla lingua. Questo andare incontro è irrevocabile».
20
Celan 2008, p. 550.
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es angetroffen wird, Symbolisierendes oder Symbolisiertes»21, tanto da
necessitare un salto: «Das Übertragen» – scrive Celan nei materiali preparatori al Meridian – «ist eine Übung in diesem Sinn: es geschieht über
die Abgründe der Sprachen hinweg: das Einende ist der Sprung»22.
Attività continua e parallela a quella poetica, la traduzione, così come
la poesia stessa, diventa per Celan, l’attualizzazione, nella lingua,
dell’irriducibile dialogo con un Gegenüber, che si pone come indispensabile «testo a fronte»23 della sua ricerca poetica e poetologica: «Das
Gedicht will zu einem Anderen, es braucht dieses Andere, es braucht
ein Gegenüber. [...] Das Gedicht wird [...]; es wird Gespräch – oft ist es
verzweifeltes Gespräch»24.
Il poeta, dunque, fa di ciò che gli resta, la lingua, la sua unica risorsa: «Eine Alternative» – scrive John Felstiner nella sua monografia
– «blieb das Übersetzen von Gedichten»25: Paul Celan traduce, infatti,
poesie dal rumeno, dall’inglese, dal francese, dall’ebraico, dall’italiano, dal portoghese, fino al russo, ponendosi a fronte di autori quali
Jean Cocteau, Paul Eluard, Paul Valéry, Osip Mandel’štam, Boris Pasternak, William Shakespeare e Giuseppe Ungaretti26.
Di grande rilevanza nello sviluppo della poetica celaniana è, dopo
quella dal francese, l’attività di traduzione dal russo: a una prima fase,
negli anni Quaranta, che lo vede impegnato nelle traduzioni dal russo
al rumeno delle opere in prosa di autori quali Michail Lermontov e
Anton Čechov, segue una seconda e più proficua fase di incontro con
la letteratura russa, quella con i suoi poeti: è tra il 1957 e il 1963 che
Celan traduce nella lingua della sua poesia, il tedesco, alcune tra le
opere di Aleksandr Blok, Sergej Esenin, Osip Mandel’štam, Evgenij
21
Benjamin 1972, p. 19; trad. it. Benjamin 2006, p. 50, «in ogni lingua e nelle sue
costruzioni oltre il comunicabile, un non comunicabile, […] qualcosa di
simboleggiante o simboleggiato».
22
Celan 1999, p. 125; «Il tradurre è un esercizio del senso: esso avviene oltre gli abissi
della lingua: ciò che unisce è il salto».
23
Miglio 2005, p. 66.
24
Celan 1999, p. 9; trad. it. Celan 2008b, pp. 16, «Il poema tende a un Altro, esso ne ha
bisogno, esso ha bisogno di un interlocutore. [...] Il poema [...]; diventa colloquio –
spesso un colloquio disperato».
25
Felstiner 1997, p. 261, «Come alternativa restava la traduzione di poesie».
26
Cfr. Celan 1983, IV-V.
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Evtušenko, Konstantin Slučevskij e Velimir Chlebnikov27. Il rinnovato
interesse per la letteratura russa sembra coincidere per il poeta con il
momento di più intenso confronto con il suo ebraismo e con l’elaborazione della memoria storica e personale, che culminerà con la raccolta
di Niemandsrose (1963), nonché con la fase più matura di riflessione e
formulazione poetologica, si pensi alla già citata Allocuzione di Brema
(1958) e al Meridian (1960).
Le sue traduzioni sembrano intersecarsi, infatti, con alcune delle
‘svolte’ decisive della parabola celaniana: Die Zwölf (Dvenadcat‘, 1918)
di Aleksandr Blok è tradotto tra la formulazione del discorso di Brema
e la raccolta Sprachgitter (1959); mentre l’opera di Osip Mandel’štam, e,
successivamente e in misura minore, quella di Sergej Esenin, permeano le riflessioni intorno al Meridian, così come l’intera raccolta Die
Niemandsrose, esplicitamente dedicata alla memoria del poeta epurato,
«Dem Andenken Ossip Mandelstamms»28, a cui Celan risulta legato a
doppio filo in un rapporto già ampiamente analizzato dalla critica29.
Un caso isolato è rappresentato, invece, dall’unica traduzione da
Evgenij Evtušenko: intellettuale rappresentativo della generazione
poetica post-staliniana e delle sue contraddizioni, Evtušenko esordisce
nella seconda metà degli anni Cinquanta, intersecando la propria
prassi artistica a un engagement politico e pubblicistico trasversale, dai
toni spesso provocatori che, tuttavia, non sfociano mai in dissidenza.
Poeta contemporaneo, dunque, non assimilabile a quei poeti che Celan, parafrasando Roman Jakobson30, ricorda nella nota introduttiva al
volume delle sue traduzioni da Mandel’štam: «[…] diese Dichter, von
denen das noch zu ende gedachte Wort Roman Jakobsons gilt, daß sie
von ihrer Generation ‘vergeudet’ wurde, heißen Nikolaj Gumiljow,
Welemir Chlebnikow, Wladimir Majakowskij, Sergej Jessenin, Marina
Zwetajewa»31; poeti, a cui lo stesso Celan cerca di restituire memoria
attraverso la parola 'tra-dotta'. Quello che Evtušenko sembra rappresentare, invece, per il poeta è l’attualizzazione dell’evidenza della memoria, o meglio dell’evidenza della sua assenza.
27
Cfr. Celan 1983, V, pp. 10-311.
28
Celan 2008, p. 347.
29
Cfr. Ivanović 1996.
30
Cfr. Jakobson 1931.
31
Mandelstamm 1959, pp. 65-66.
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Babij Jar, la gola ucraina in cui nella notte tra il 29 e il 30 settembre
del 1941 furono assassinati oltre 34.000 civili ebrei, rimane immemore
della propria data per oltre un trentennio. La reticenza delle autorità
sovietiche ostacola il riconoscimento della memoria, che avviene solo
nel 1974 con la costruzione di un monumento, al quale si aggiunge
negli anni Novanta una targa dedicatoria rivolta in maniera esplicita
al popolo ebraico32.
Il poema di Evtušenko, Babij Jar appunto, è composto nel 1961, nel
ventesimo anniversario dell’eccidio; all’anno successivo risale, invece, la traduzione di Paul Celan. Edita bilateralmente nell’Almanach
Fischer33 e nella rivista tedesco-orientale Sinn und Form34, sotto la direzione di Peter Huchel, la versione celaniana di Evtušenko fa del suo
autore una «verbindende Übersetzerfigur»35 tra Est e Ovest: lo stesso
Huchel, accusato di dare un orientamento culturale eccessivamente
aperto alla rivista, di cui risponde con le dimissioni forzate nello
stesso anno, scrive a Celan: «Vor allem Dank für Ihre wundervollen
Gedichte, die dem letzten Heft das rechte Gewicht geben. Gegenwärtig – seit Februar dieses Jahres – befinde ich mich in einer Situation,
aus der eine Korrespondenz keinen Auftrieb erhält. […] Ich lese oft
in Ihren Gedichten»36.
Composto in pentametri giambici, il testo di Evtušenko ripropone
graficamente una struttura a scala, lestnica, mutuata dall’avanguardia
futursita e da Vladimir Majakovskij, in particolare37, che Celan accoglie, intensificandone la portata emotiva attraverso l’inserimento di cesure, il ricorso a inversioni e a un autentico processo di Ausdehnung di
alcuni passaggi del poema:
32
Cfr. Ivanović 1996, pp. 307-318.
33
76.1962, p. 100 ss.
34
14.1962, p. 729 ss.
35
Fischer 2012, p. 351.
36
Huchel 2000, p. 381, «Innanzitutto grazie per le sue meravigliose poesie, che danno
all’ultimo numero il giusto peso. Attualmente — da febbraio di quest’anno — mi trovo
in una situazione, che non incentiva una corrispondenza. Leggo spesso le sue poesie».
37
Fischer 2012, p. 16.
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Über Babij Jar, da steht
Над Бабьим Яром
памятников нет.
Крутой обрыв, как грубое
надгробье.
keinerlei Denkmal.
Ein schroffer Hang – der eine,
unbehauene Grabstein38.
L’assenza di ogni memoria diventa evidenza sin dal primo verso,
pamjat-nikov (pamjat’, memoria)/Denk-mal; al russo net Celan fa corrispondere l’avverbio keinerlei che ne rafforza la connotazione negativa.
La ripida gola che Evtušenko paragona, kak (come), a un monumento
sepolcrale, perde ogni elemento di mediazione dell’immagine, acquisendo unicità, der eine, e materialità petrosa, unbehauene Grabstein. L’io
lirico, ja/ich, si riconosce immediatamente come ebreo, iudej/Jude, dilatandosi in un avvicendarsi di soggetti che affiorano dalla versione celaniana – wir/ man/ ihr/ er –, e ri-fluiscono poi in una identità multipla e
collettiva, «ein Jude.[…] das bin ich”, si legge, mettendo insieme i due
versi brevi evidenziati dalla struttura a lestnica:
Ich glaube, ich bin jetzt
Мне кажется сейчас -
ein Jude.
я иудей.
Вот я бреду по древнему
Египту.
aus, ich zieh mit.
Man schlägt mich ans Kreuz,
А вот я, на кресте
распятый, гибну,
ich komm um,
und da, da seht ihr sie noch:
и до сих пор на мне следы гвоздей.
Мне кажется, что Дрейфус
–
Wir ziehn aus Ägyptenland
это я.
die Spuren der Nägel.
Dreyfus, auch er,
das bin ich39.
Un io che continua a trovare determinazione nel corso nel poema
e, in particolare, nella sua seconda metà, dove risultano più evidenti
gli espedienti traduttivi di Celan che reitera, inverte e scompone i
38
Gli estratti dal russo sono da Evtušenko, Babij Jar, trad. it. di Ignazio Ambrogio in
Evtušenko 1962, «Non c’è un monumento a Babij Jar.|Il ripido burrone è una rozza
lapide». Trad. ted. Celan 1983, V, pp. 280-281.
39
«Mi sembra oggi di essere ebreo.|E vagare per l’antico Egitto|e morire crocifisso:|ho
ancora le stimmate. |Mi sembra di essere Dreyfus».
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termini del discorso poetico di Evtušenko; dal grido sordo,
bezzvučnyj krik, emerge allora un elemento fondamentale della propria poetica, la voce, Stimme, o il suo ammutolire40:
И сам я,
Und bin – bin selbst
как сплошной
ein einziger
беззвучный крик,
над тысячами тысяч
Schrei ohne Stimme
über tausend und aber
погребенных.
tausend
Я–
Begrabene hin.
kаждый здесь расстрелянный
Jeder hier erschossene Greis –:
старик.
Я–
ich.
Jedes hier erschossene Kind –:
каждый здесь расстрелянный
ich.41
ребенок.
Un’identità che trova connotazione ulteriore nei due versi conclusivi – «und deshalb bin ich| ein wirklicher Russe»42 – in cui alla poetica
di Celan si sovrappongono quelle dei suoi poeti, letti – wundgelesen –
tra-dotti e, come nella prima versione di Eine Gauner- und Ganoverweise,
«gesungen von Pawel Lwowitsch Celan, Russkij poët in partibus nemetskich infidelium»43.
Bibliografia
75B
Opere di Paul Celan
17B
Gesammlte Werke in fünf Bänden, hrsg. von Beda Allemann und Stefan
Reichert unter Mitwirkung von Rudolf Bücher Frankfurt am Main,
Suhrkamp, 1983.
40
Si pensi a Stimmen, Celan 2008, p. 248 ss.
41
«Sono io stesso un grido muto|sulle molte migliaia di sepolti.|Sono io ogni
vecchio,|ogni bambino fucilato qui». Trad. ted. Celan 1983, V, pp. 284-285.
42
«E per questo io|sono un vero russo». Trad. ted. ivi, p. 287.
43
Celan 2003, p. 790, «cantati da Pavel Lvovič Celan, poeta russo nelle terre degli
infedeli tedeschi».
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PAUL CELAN IN ITALIA 2007 - 2014
Werke. Tübinger Ausgabe – Der Meridian. Endfassung – Entwürfe – Materialien, hrsg. von Bernhard Böschenstein und Heino Schmull unter
Mitarb. von Michael Schwarzkopf und Christiane Wittkop, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1999.
Die Gedichte. Kommentierte Gesamtausgabe in einem Band, hrsg. und komm.
von Barbara Wiedemann, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 2003.
Poesie, a cura e con un saggio introduttivo di Giuseppe Bevilacqua,
Torino, Einaudi, 2008.
Opere di Evgenij Aleksandrovič Evtušenko
172B
Babij Jar, in “Literatur-naja gazeta”, 19 marzo 1961, p. 6.
Non sono nato tardi, trad. it. di Ignazio Ambrogio, Roma, Editori
Riuniti, 1962.
Studi critici
173B
BENJAMIN, W., Die Aufgabe des Übersetzers, in W. Benjamin Gesammelte
Schriften Bd. IV/1, Frankfurt am Main, Suhrkamp, 1972.
BENJAMIN, W., Il compito del traduttore, in Angelus Novus, a cura di
Renato Solmi e con un saggio di Fabrizio Desideri, Torino, Giulio
Einaudi Editore, 2006.
DERRIDA, J., Schibboleth pour Paul Celan, Paris, Galilée 1986.
FELSTINER, J., Paul Celan. Eine Biographie, München, Beck, 1997.
FISCHER, C., Sinnbilder Russlands im geteilten Deutschland, Frankfurt am
Main, Lang, 2012.
GADAMER, H. G., Lesen ist wie Übersetzen, Ästhetik und Poetik I, Kunst als
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Paul Celan traduttore
Strumenti
273
174B
Deutsches Wörterbuch von Jacob Grimm und Wilhelm Grimm,
http://dwb.uni-trier.de/de/.
Wörterbuchnetz, http://woerterbuchnetz.de/DWB/call_wbgui_py_from
_form?sigle=DWB&mode=Volltextsuche&lemid=GU01823.