Che cosa stiamo dicendo?» con Cristiano e Isabella
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Che cosa stiamo dicendo?» con Cristiano e Isabella
Trieste. Il Piccolo. Giovedì 23 novembre 1967. I FUMETTI DI FEIFFER PORTATI IN PALCOSCENICO «Che cosa stiamo dicendo?» con Cristiano e Isabella Da quando sociologi, psicologi, intellettuali e letterati hanno creduto di scorgere nelle fantasiose avventure dei Topolini e Paperini, dei Mandrake e dei Gordon, dei Wonder Woman e delle Barbarelle il filo d’Arianna che poteva condurre a un discorso sull’evoluzione della «cultura di massa» e trasformare quel fenomeno dl divertimento popolare in una sorta dl viaggio metasociologico all’isola di Adorno e vicinanze, i «fumetti» hanno ricevuto, si potrebbe dire, una patente di nobiltà. Non li leggono più soltanto i ragazzini e gli adulti dai gusti andanti, essi sono diventati materia di austere esercitazioni intellettuali, al punto che persino le grandi case editrici hanno cominciato a raccogliere gli albi degli eroi più celebri del fumetto In pregiati volumi. C’era dunque da aspettarsi che, prima o poi, il fumetto sarebbe arrivato anche in palcoscenico. E infatti vi hanno provveduto due giovani e intelligenti attori, Cristiano Censi (autore pure del testo) e Isabella Del Bianco, con lo spettacolo «Che cosa stiamo dicendo?», presentato in prima assoluta (ma era partito dal cabaret) al Teatro Durini di Milano, e ieri al nostro Audltorium. I due tempi di «Che cosa stiamo dicendo?» si ispirano ai fumetti di Jules Feiffer, sul quale meriterà spendere due parole. Feiffer, affermatosi clamorosamente in America all’inizio degli anni sessanta e divenuto ben presto noto anche In Europa (il pubblico italiano potè saggiarne gli umori delicati e insieme misantropi, grazie a due pubblicazioni di Bompiani, “Il complesso facile”, nel ’62, e “Passionella ed altri racconti”, nel ‘63), è uno del narratori di storielle a fumetti più seguiti e apprezzati (il «milieu» di Kennedy, per esempio, lo teneva in gran conto). Ma parlare di Feiffer come di un autore di fumetti non è esatto, non nel senso, almeno, che dl solito si attribuisce a questo genere di letteratura popolare. In realtà egli è qualcosa di più e di diverso: è un acuto e pungente moralista, l’interprete grafico di una tipica tradizione sociologica americana. La sua matita mette a nudo vizi e debolezze dell’ uomo e ci offre uno specchio della nostra situazione di abitatori della civiltà industriale, di «vittime» del benessere. La sua satira tocca tutti gli aspetti del costume contemporaneo, dalla politica al sesso, dai tic intellettuali alle ipocrisie dei grandi businessman, dalla mitologia del successo e dei consumi ai rapporti umani, in un mondo sempre più alienato che corre in folle sulla cresta della propria orbita. Sotto il segno delle sue vignette, delle sue divertenti «strisce», vigila, insomma, una presenza critica, amaramente riflessiva, che il gioco scherzoso delle immagini non riesce quasi mai ad esorcizzare del tutto. Trasferire il mondo di Feiffer sul palcoscenico non era certo impresa da poco, ma si può dire che Cristiano Censi vi sia riuscito. Ha preso due personaggi tipicamente feifferiani: lui, il complessato, smanioso, velleitario, ipocondriaco Bernard, e lei, la Donna, nella gamma completa delle sue molteplici configurazioni anagrafiche e psicologiche; e li ha fatti incontrare, amarsi, sposare, litigare in un profluvio dl gesti, di parole buone, di parole cattive, inutili, vanificate dall’uso, di silenzi, d’ incomprensioni, lungo il filo di una «storia» che l’autore ha reso sufficientemente organica e teatralmente plausibile, grazie ad un misurato lavoro di raccordo tra le varie «stazioni» del percorso. Ed ecco uscirne quella che potremmo chiamare la parabola d’una «vita in due», dal primo approccio al fidanzamento, dal matrimonio alla morte. Una parabola spassosa e ironica, corrosiva, segnata di pessimismo, eppure divertente, che passando attraverso la fitta aneddotica della coppia, getta il suo fascio di luce su condizione più generalizzata, sui tanti luoghi comuni, miti, meccanismi, feticci che governano la vita dell’uomo moderno, e ne sclerotizzano la coscienza. Non saranno cose nuove, ma insoliti ci sono sembrati Io slancio e la convinzione con cui Censi e Isabella Del Bianco queste cose hanno saputo rappresentarle, ricorrendo a un umorista dai veleni tossici qual’à Feiffer. Va poi sottolineato che i due attori sono stati davvero bravissimi a realizzare (staremmo per dire materializzare) quei modi di gestualità animata che sono propri dei personaggi da fumetto, e a inventare per la loro schermaglia coniugale una variabilissima tastiera di moduli espressivi: dall’atonale all’ esagitato, dal birignoso al nevrotico, dal patetico al petulente, lungo tutto il saliscendi del loro «tour de force». Uno spettacolo dunque assai vivace, coraggioso, stimolante, variegato di succose serpentine agrodolci, sorretto da un giusto ritmo, che il pubblico (formato in larga misura da giovani) ha applaudito con calore. Da stasera a domenica le repliche. Vale la pena di andarci. Giorgio Bergamini