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INTRODUZIONE
Fin da bambino ho sempre desiderato saperne di più sui miei
antenati: forse perchè m’incuriosiva sentire che, in paese, la gente
si riferiva a me o, meglio, al parentado di mio padre, quando, in
dialetto, ci chiamava: “quessi dù frate”! Volevano indicare:” quelli
che discendevano dal frate”.
Voi capirete che sapersi discendente da un religioso cattolico(un
prete o dintorni), visto il voto di celibato ecclesiastico, era
sicuramente “intrigante”. Per me, bambino, lo era moltissimo.
La cosa che stuzzicava ancor più la mia curiosità, era vedere
come, in casa, nessuno ne parlasse. Poi ho capito che, per tutti si
trattava di qualcosa accaduta in un tempo lontano e finita per
assumere sempre più deboli accenti di “normalità”. Era la vita!
Cominciai a fare domande, in giro e in famiglia. Iniziò a prendere
forma, in me, la figura di un mio bisnonno.
Era stato per davvero un frate, un frate cercatore. Circa cento
anni fa, assai prima che fosse bonificato quel territorio paludoso e
malarico, fu mandato in un convento a Latina. “ Forse dietro sua
richiesta”, venne poi trasferito nella sua terra di origine, a Sant’
Oreste poco distante da Rignano Flaminio dove era nato.
Sant’Oreste fa tutt’uno con il monte Soratte. C’era, lì, un convento
ove questo mio avo trascorse alcuni anni (senza pervenire al
sacerdozio) fin quando decise di optare per una vita non
conventuale. Si dice che fosse a conoscenza di come, alcuni religiosi,
non resistettero al fascino femminile e finirono col cedere alle grazie
confidenziali di alcune audaci donnine. L’esperienza mostra che a
pagarne lo scotto, talora, sono quasi sempre i più educati, i più
buoni e remissivi.
Il nostro Anastasio (questo era il suo nome) non deve essere
stato risparmiato da questi sinistri eventi se è vero – ne sono
convinto – che egli ebbe forti contrasti con quel “Padre Priore” e che
abbandonò il convento proprio a motivo del suddetto contesto e
delle relative forti tensioni che lo indussero a un più radicale
dissenso. E ne uscì.
Continuò a professare convintamene gli insegnamenti della sua
religione tanto che allestì un altare nella propria casa.
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Conobbe Sestilia Fienauri e mise su famiglia. Ebbe un figlio di
nome Carlo. La famiglia aumentò, ma aumentarono anche le
responsabilità che spinsero Anastasio a prendere la decisione di
andare in America.
A quei tempi l’Italia era davvero povera. Non sempre era possibile
procurarsi il necessario per la vita quotidiana. La pubblicità delle
compagnie navali dipingeva l’America come il paese dove scorreva
latte e miele, con strade lastricate d’oro, dove tutti avrebbero
fatto fortuna. Questo convinse a partire, non solo il mio avo, ma
anche milioni di persone da tutto il mondo per raggiungere gli
states,incrementando le casse degli armatori che offrivano loro un
viaggio oltre oceano, su carrette del mare, ammassati peggio del
bestiame. Il viaggio durava, se tutto andava bene, circa 30 giorni
nei quali era difficile che venissero forniti un pasto giornaliero e un
minimo d’assistenza sanitaria a bordo. E questo per “la modica”
somma che variava da 150 a 180 lire per un biglietto in terza
classe!
Per molti si trattava di una cifra davvero alta da mettere insieme;
ma l’America era l’America e valeva tutti i sacrifici possibili per
poterla raggiungere.
Come spiegano Oreste Grossi e Gianfausto Rosoli ne "Il pane duro", gli emigranti per decenni
furono costretti a mangiare accovacciati sui ponti o sottocopoerta: "il primo esperimento
italiano di salone da pranzo per emigranti fu compiuto a bordo del piroscafo Roma nel 1906.
Un uso generalizzato si ebbe molto più tardi, ad opera specialmente del Lloyd italiano".
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Ora sapevo che il mio bisnonno era andato in America, e che ne
era tornato per due volte nel tentativo di portare con se la moglie
Sestilia e il figlio Carlo. Non ci riuscì. Anche Sestilia l’avrebbe voluto;
ma nel porto di Napoli, alla prima visita, fu negato a Carlo il visto
per l’imbarco perchè aveva un bozzetto tra i capelli. Né era da
ritenere che avrebbe superato le rigide e umilianti visite mediche ad
ELLIS ISLAND.
Carlo (futuro mio nonno) rimase in Italia. Oggi questo mi rallegra,
poiché, se fosse emigrato, io non sarei mai nato.
Tra un viaggio e l’altro’ Anastasio aumentò la prole. Ebbe altri due
figli, Alberto e Ugo. Si stabilì poi in Italia dove morì a 72 anni. Perse
tutto quello che aveva messo da parte in America, investendo in una
fabbrica di ceramiche a Civita Castellana, con un socio disonesto.
LE RICERCHE
Mi sono detto che dovevano per forza esserci delle tracce dei miei
bisnonni, non tanto di Sestilia (l’ho conosciuta, perché ringraziando
Dio è vissuta fino a novantatre anni), ma di Anastasio e tutti quelli
che sono andati in America e si sono stabiliti lì creando le loro
famiglie, i Magalotti, i Fienauri, i Feriani da cui discendo.
Con l’aiuto di internet ho cominciato le mie ricerche. In alcuni
forum leggevo di altri che avevano cercato i loro nonni nella rete e li
avevano trovati.
Dopo giorni di navigazione sul Web, sono entrato in un sito
americano, curato dai Mormoni d’America, che mette a
disposizione, grazie al lavoro di ricerca di migliaia di volontari, le
liste di sbarco degli emigranti per l’America da tutto il mondo. Dopo
essermi iscritto ho cominciato a digitare il mio cognome o meglio
quello del mio bisnonno. Quando è apparsa, la sua scheda mi
diceva: la data di arrivo, che era sposato, la nave che aveva preso,
che era partito da Rignano Flaminio. Mi è preso il classico groppo
alla gola, e ho sentito per la prima volta come se mi parlasse e mi
dicesse: “Ciao nipote, finalmente mi hai trovato!”
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LE LISTE
Ho trovato altri Magalotti, anche loro partiti da Rignano; ho
trovato i Fienauri, i Feriani e le date di arrivo sono tutte intorno agli
inizi del novecento.
Ho anche trovato storie che ignoravo sui nostri emigranti in
America: Come sono stati trattati, tutte le difficoltà che hanno
affrontato, il loro coraggio, spinti più che dal facile guadagno,
dall’amore per le loro famiglie, e dalla fame che affliggeva l’Italia di
quel tempo.
Presto hanno capito sulla loro pelle che le strade americane erano,
per loro, coperte solo di fango e nei fiumi c’era solo acqua, ma
così non era per altri.
Nelle liste spesso è riportato anche quanto denaro avessero in tasca.
Si trattava di pochi dollari “per chi li aveva” e dovevano dichiararli
perché richiesto dalle autorità USA, come requisito per restare in
America.
Oggi ad ELLIS ISLAND, un lungo muro su cui compaiono i loro
nomi ed un museo dedicato all’emigrazione raccontano il loro
passaggio; tracce di italiani che hanno contribuito a “fare” l’America.
Tutto questo mi ha coinvolto. Ho cominciato a cercare altri
cognomi che mi suonavano familiari e che avevo sentito da mio
padre. Cominciarono così ad apparire altri viaggiatori partiti da
Rignano Flaminio. Stavo dando voce ad altri, gente che non
conosco perché vissuti cento anni fa; ma era come se volessero
raccontare la loro storia per far sapere a noi, forse l’ultima
generazione che può ancora ricordarli, tutto quello che essi hanno
affrontato per le loro famiglie.
Se siamo stati fortunati qualcuno ce ne ha parlato: Forse di uno
zio, di un nonno partito all’inizio del secolo scorso! Abbiamo saputo il
loro nome! Esistono ancora le tracce del loro passaggio? Molti loro
discendenti, nostri parenti, vivono ancora là.
Noi a nostra volta possiamo parlarne ai nostri figli, affinché queste
flebili voci del passato siano ancora ascoltate, ricordandoci tutto
quello che essi hanno affrontato per la loro gente, per una vita
migliore.
IVO MAGALOTTI
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La scheda di Magalotti Anastasio
Nell’ immagine: La lista di sbarco riguardante il mio bisnonno. Il
cognome è sbagliato: Macalotti e non Magalotti. Ma ciò è
comprensibile, in quanto il ricercatore ha avuto a disposizione solo
un foglio scritto a mano più di cento anni fa.
Il paese invece di Rignano Flaminio è stato trascritto Rignano Flam.
Probabilmente si era scolorita la scrittura ed era illeggibile.
In ogni caso si doveva vedere bene, sia la data di arrivo apr.
21.1907, sia la nave con cui partì da Napoli, inoltre dice che era
sposato e che aveva 35 anni.
Veramente è qualcosa di magico! Trascorsi cento anni e più è
stato ancora possibile, grazie alle ricerche dei Mormoni d’America,
ritrovare le tracce di una persona vissuta a quel tempo.
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Il foglio di sbarco originale conservato nei registri ad Ellis Island.
passeggeri italiani sul ponte di un bastimento
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IL NAUFRAGIO DEL BASTIMENTO SIRIO
Le navi spesso erano solo delle carrette del mare: Ci furono tantissimi naufragi, come quello
del Sirio, avvenuto nell’Agosto del 1906: Secondo le Assicurazioni morirono 300 persone, ma la
stima reale fu di circa 700. Sul Sirio viaggiavano circa 2000 passeggeri italiani.
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ELLIS ISLAND ovvero:
L’isola delle lacrime
.
Ellis island oggi
Di fronte a Manhattan, nella baia del fiume Hudson è situato il
porto di New York. A pochi minuti di traghetto dall’isola, c’è Ellis
Island, un isolotto, la prima tappa per quasi sedici milioni di
immigrati che erano partiti dalle loro terre d’origine sperando di
stabilirsi negli USA.
Ellis Island divenne famosa dal 1894 come stazione di
smistamento per gli immigranti; venne adibita a questa funzione
quando il governo federale assunse il controllo del flusso migratorio,
resosi necessario per il massiccio afflusso di immigrati provenienti
essenzialmente dall’Europa meridionale e orientale.
La "casa di prima accoglienza-prigione" rimase attiva fino al 1954,
poi fu chiusa. Gran parte del popolo americano può far risalire la
propria origine negli Stati Uniti a un uomo, una donna o un bambino
che passarono per la grande Sala di Registrazione a Ellis Island.
Oggi è trasformata in Museo dell’Immigrazione: Angela Molteni una
visitatrice odierna racconta:
Ellis Island fu aperta nel 1894, quando l’America superò un
periodo di depressione economica e cominciò a imporsi come
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potenza mondiale. In tutta Europa si diffusero le voci sulle
opportunità offerte dal Nuovo Mondo e migliaia di persone decisero
di lasciare la loro patria.
Quando le navi a vapore entravano nel porto di New York, i più
ricchi passeggeri di prima e seconda classe venivano ispezionati a
loro comodo nelle loro cabine e scortati a terra da ufficiali
dell’immigrazione. I passeggeri di terza classe venivano portati a
Ellis Island per l’ispezione, che era più dura. Il traghetto storico Ellis
Island veniva usato dal Servizio Immigrazione per trasportare gli
immigrati che arrivavano e il personale del centro di immigrazione.
Ogni immigrante in arrivo portava con sé un documento con le
informazioni riguardanti la nave che l’aveva portato a New York. I
medici esaminavano brevemente ciascun immigrante e marcavano
sulla schiena con del gesso coloro per i quali occorreva un
ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute; se vi erano
condizioni particolari di infermità ciò comportava che venissero
trattenuti all’ospedale di Ellis Island.
Dopo questa prima ispezione, gli immigrati procedevano verso la
parte centrale della Sala di Registrazione dove gli ispettori
interrogavano gli immigranti a uno ad uno. A ogni immigrante
occorreva perlomeno una intera giornata per passare l’intero
processo di ispezione a Ellis Island.
Le scene sull’isola erano veramente strazianti: per la maggior
parte le persone arrivavano affamate, sporche e senza una lira, non
conoscevano una parola di inglese e si sentivano estremamente in
soggezione per la metropoli ammiccante sull’altra riva.
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Una finestra dell’isola delle lacrime, o Ellis Island ai nostri giorni.
Da qui vedevano l’America gli emigranti, in attesa della quarantena.
Agli immigrati veniva assegnata una Inspection Card con un
numero e c’era da aspettare anche tutto un giorno, mentre i
funzionari di Ellis Island lavoravano per esaminarli. Dopo l’ispezione,
gli immigranti scendevano dalla Sala di Registrazione per le “Scale
della Separazione” che segnavano il punto di divisione per molte
famiglie e amici verso diverse destinazioni.
Il centro era stato progettato per accogliere 500.000 immigrati
all’anno, ma nella prima parte del secolo ne arrivarono il doppio.
Truffatori saltavano fuori da ogni dove, rubavano il bagaglio degli
immigrati durante i controlli, e offrivano tassi di cambio da rapina
per il denaro che questi erano riusciti a portare con sé. Le famiglie
venivano divise, uomini da una parte, donne e bambini dall’altra,
mentre si eseguiva una serie di controlli per eliminare gli
indesiderabili e i malati.
Questi ultimi venivano portati al secondo piano, dove i dottori
controllavano la presenza di “malattie ripugnanti e contagiose” e
manifestazioni di pazzia. Coloro che non superavano gli esami
medici venivano contrassegnati, come già accennato, con una croce
bianca sulla schiena e confinati sull’isola fino a diversa decisione,
oppure venivano reimbarcati. I capitani delle navi avevano l’obbligo
di riportare gli immigrati non accettati al loro porto di origine.
Secondo le registrazioni ufficiali tuttavia solo il due per cento veniva
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rifiutato, e molti di questi si tuffavano in mare e cercavano di
raggiungere Manhattan a nuoto o si suicidavano, piuttosto che
affrontare il ritorno a casa.
Nel giro di alcune ore veniva deciso il destino di intere famiglie,
un fatto che meritò a Ellis Island il nome di “Isola delle lacrime”. La
maggior parte degli immigrati veniva esaminata e quindi convogliata
verso il New Jersey; una volta arrivati a destinazione gli immigrati si
stabilivano in uno dei distretti etnici in rapida espansione.
Circa 10 milioni di americani possono rintracciare le loro origini.
Sul retro, c’è la mostra "La popolazione d’America", che narra
quattro secoli di immigrazione americana, offrendo un ritratto
statistico di coloro che arrivavano: chi erano, da dove venivano,
perché venivano.
L’enorme Registry Room (Sala di Registrazione), a volta, al secondo
piano, teatro di tanta trepidazione, e, qualche volta, di disperazione,
e stata lasciata vuota, a parte un paio di banchi degli ispettori e di
bandiere americane. Nel salone laterale una serie di stanze per i
colloqui ricreano passo per passo la trafila alla quale dovevano
sottoporsi gli immigrati per il loro riconoscimento: le stanze rivestite
di piastrelle bianche ricordano più una prigione o un istituto per
malattie mentali piuttosto che apparire come una tappa nel
cammino verso una vita libera e confortata dalla speranza
Alcuni bagagli rimasti sono esposti oggi nel museo dell’immigrazione
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Nelle altre sale le esperienze di vita vissuta sono ricostruite
mediante fotografie, testi esplicativi, piccoli oggetti domestici,
oggetti d'uso utilizzati per il lungo viaggio (valigie, ceste, sacchi,
fagotti...) e le stesse voci registrate dei protagonisti. Vi sono
descrizioni dell’arrivo e dei successivi colloqui, esempi delle
domande poste e degli esami medici effettuati. Uno dei dormitori,
destinato a coloro che sostavano per i controlli e la “quarantena”, è
rimasto pressoché intatto ed è l'ambiente che più emoziona, oltre a
dare, come un flash, l'impressione del "campo di concentramento" .
Al piano superiore, alle pareti, è allestita una imponente mostra
fotografica dell’edificio prima che venisse ristrutturato: moltissime
sono anche le fotografie di singoli emigranti o di interi nuclei
famigliari.
Quando gli Stati Uniti entrarono nella prima guerra mondiale nel
1917, i sentimenti anti-immigrazione e le ostilità isolazioniste erano
all’apice. Il Klu-Klux-Klan, costituito nel 1915, rifletteva le opinioni di
coloro che disprezzavano gli immigrati non inglesi considerandoli di
“razza inferiore”.
Oggi Ellis Island, dopo ampi lavori di restauro, è sede del Museo
dell’Immigrazione; le esposizioni del Museo, oltre a mostrare oggetti
cari portati dalla terra di origine come vestiti, tessuti, fotografie,
utensili, illustrano la storia dell’isola, mostrano come gli immigranti
venissero trattati e come l’edificio fu ristrutturato.
Salone della registrazione a Ellis Island inizi del 900
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Alcuni strumenti usati dai dottori sugli emigranti ( Museo dell’emigrazione ad Ellis Island )
Su un muro commemorativo adiacente l'edificio principale di Ellis Island è riportato
un elenco di nominativi di oltre 500mila immigrati
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LA PREPARAZIONE DEL VIAGGIO
Partire per emigrare non era, certamente, una scelta che si poteva
prendere facilmente. Nella decisione, poi, la famiglia assumeva un
ruolo decisamente importante. Si poteva, infatti, scegliere di andar
via da soli o con alcuni dei parenti più stretti (come i genitori o,
come più spesso avveniva, con la moglie e i figli), ma si poteva
anche emigrare perché richiamati da un familiare (generalmente il
padre o il marito) che già risiedeva da tempo all’estero.
Molto spesso, poi, il far partire un componente della famiglia e
mandarlo a cercare fortuna in un paese straniero era visto, da parte
chi rimaneva, come una sorta di investimento per il futuro, reso
possibile grazie ai soldi delle rimesse che l’emigrante avrebbe
mandato a casa.
Una volta che la decisione era stata presa, bisognava trovare il
denaro necessario per acquistare il biglietto del vapore oltre che per
avere a disposizione una piccola somma per le prime necessità (e
nel caso degli Stati Uniti, obbligatoria per dimostrare che non si
sarebbe stati a carico dell’erario). Anche a questa “bisogna”,
normalmente, provvedevano amici e parenti con un prestito: il
denaro sarebbe stato restituito, con i dovuti interessi, grazie al
futuro salario ricevuto. In mancanza di tali finanziatori per così dire,
“istituzionali” si era costretti a ricorrere a persone esterne alla
propria cerchia familiare. In questo caso si correva il rischio di
incappare in figure poco raccomandabili che potevano anche
costringere il futuro emigrante ad impegnare o vendere la propria
casa o il piccolo pezzo di terra. In ogni caso, comunque, era sempre
in agguato il rischio, tutt’altro che remoto, di vedere le masserizie
sottovalutate o, nella peggiore delle ipotesi, di venire truffati da
mediatori o acquirenti senza scrupoli.
Durante i primi anni del fenomeno migratorio, quando ancora le
leggi non prevedevano un’adeguata tutela dell’emigrante, questi
doveva vedersela anche con gli emissari di alcuni governi stranieri
(come, ad esempio, quello brasiliano) che per convincerli a partire
per quel paese promettevano viaggi gratuiti e retribuzioni favolose.
Da ultimo, ma non meno insidiosi per l'emigrante, erano gli agenti
e i rappresentanti delle compagnie di navigazione che, non di rado,
assicuravano (anche loro, come tutti) comodi viaggi in nave e un
lavoro sicuro e qualificato al di la dell’oceano pur di accaparrarsi
l'aspirante viaggiatore.
.www.terzaclasse.it
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"TONNELLATA UMANA"
Così veniva definito il carico umano degli emigranti. Circa il 90%
degli emigranti del primo periodo era analfabeta e al loro arrivo
alle frontiere venivano subito individuati avendo con sè il famigerato
e umiliante "Passaporto Rosso",autentico simbolo degli emigranti,
che li inquadrava nella categoria di manovalanza per i lavori umili.
Costava due lire che, dopo pochi anni aumenteranno fino ad otto.
Genova fu il maggior porto della nostra emigrazione. Gli emigranti
affluivano da tutte le parti del paese, spesso stipati come merce su
appositi carri ferroviari. Gli agenti e i sub-agenti di emigrazione
battevano anche gli angoli più remoti d'Italia, per reclutare
emigranti e riempire all'inverosimile le navi. Essi ricevevano dai
paesi di immigrazione, dalle compagnie di navigazione, un compenso per ogni emigrante; il Brasile pagava 10 lire per ogni
emigrante...
Prima dell’imbarco i passeggeri venivano lavati con un bagno
disinfettante, i loro bagagli disinfestati e dovevano passare una
prima visita medica. Poiché le compagnie marittime potevano
pagare una multa di $100 per ogni persona cui veniva
rifiutato l’ingresso negli Stati Uniti, queste si rifiutavano di
imbarcare chiunque apparisse malato o menomato
Nella fase di imbarco gli emigranti alloggiavano nelle locande
situate nei pressi dell'angiporto oppure si ammassavano nelle
banchine. Durante il viaggio venivano sistemati nei dormitori di
terza classe. I pasti venivano serviti, da grosse marmitte di oltre
100 litri, ai passeggeri in fila con le loro gavette.
il passaporto rosso che li identificava come analfabeti.
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Una donna italiana dorme su una
panca ad Ellis Island mentre aspetta
di essere visitata e registrata per
ottenere il permesso di sbarco.
L’attesa per la registrazione poteva
durare anche un’intera giornata, poi
seguivano la visita ed i test
attitudinali che stabilivano l’idoneità
della persona per rimanere negli
U.S.A.
La visita
La registrazione
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Nella registrazione la lingua poteva essere un problema di
comunicazione, molti parlavano solo il dialetto stretto del loro paese,
e questo influiva sulla precisione delle trascrizioni che venivano fatte
a mano dall’addetto.
Per esempio quando chiesero ad un emigrante da dove venisse lui
rispose: “Venghe da Cassine.” E l’impiegato scrisse Cassine come lo
aveva sentito pronunciare, poiché non conosceva la città di Cassino.
( FR) in Italia.
Emigranti sbarcano ad Ellis Island.
Sicuramente la foto mostra persone di diverse nazionalità, alcuni
sono molto ben vestiti, e lo stile non sembra quello italiano dell’epoca, anche se chi partiva cercava sempre di trovare un vestito adatto
per poter fare buona impressione agli addetti che dovevano giudicarli idonei per essere accettati nel paese.
Il film “Nuovomondo” di Emanuele Crialise del 2006 è consigliato
per chi vuole approfondire l’argomento.
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NELLE BARACCHE TRA I GRATTACIELI
" Come vivono gli italiani nei peggiori bassifondi", foto di Jacob Riis,
scattata in Jersey Street nel 1897 ed esposta al Museum of the City
of New York. Scrive Adolfo Rossi, autore nel 1894 di Un italiano in
America: "A New York c'è quasi da vergognarsi di essere italiani.
La grande maggioranza dei nostri compatrioti, formata dalla classe
più miserabile delle province meridionali, abita nel quartiere meno
pulito della città, chiamato i Cinque Punti (Five Points).
Italiani in America 1897
È un agglomeramento di casacce nere e ributtanti, dove la gente
vive accatastata peggio delle bestie. In una sola stanza abitano
famiglie numerose: uomini, donne, cani, gatti e scimmie mangiano e
dormono insieme nello stesso bugigattolo senz'aria e senza luce.
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In alcune case di Baxter e Mulberry Street, è tanto il sudiciume e
così mefitica l'atmosfera da far parere impossibile che ai primi calori
dell'estate non si sviluppi ogni anno un colera micidialissimo."
In sedici in una stanza
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Agli inizi del novecento gli emigranti italiani occuparono questo
quartiere di New York fino a farlo tracollare, si calcola che la
sovrappopolazione italiana era tale da renderlo quasi invivibile.
New York .Mulberry Street: inizi 1900, conosciuta come Little Italy (piccola Italia)
Era certo gente povera, ma questo non fermò la delinquenza che
ben presto vide un guadagno facile sopra questi indifesi emigranti
(vedi il film tv “Joe Petrosino” con Beppe Fiorello trasmesso dalla
RAI) o altri grandi capolavori come la “saga del Padrino” di Francis
Ford Coppola o gli “Intoccabili” di Brian De Palma. Tuttavia una
analisi del F.B.I. Nel 1958 dedicò una voluminosa monografia alla
storia della mafia negli Stati Uniti e in Italia. Un estratto di quella
documentazione mette in evidenza il trasferimento della mafia in
America verso la fine dell’ottocento e alle sue attività criminali,
soprattutto nel primo quarto del novecento.
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I delitti della "Mano Nera", l'omicidio di Joe Petrosino, l'ascesa di Al
Capone e la strage del giorno di San Valentino sono alcuni degli
argomenti affrontati dagli analisti americani nel ripercorrere le
principali tappe evolutive dei clan d'oltreoceano.
Volantino della mano nera
Joe Petrosino (foto d’epoca)
Nei primi anni del '900, la mafia è una sinistra realtà in pieno
sviluppo, che affonda le proprie radici in Sicilia ma estende già i suoi
tentacoli nelle comunità di italiani emigrati negli USA.
Giuseppe “Joe” Petrosino è un agente italoamericano della polizia
di New York e si dedica completamente alla lotta contro la malavita:
la sua ostinata indagine, condotta nel 1909 in Italia allo scopo di
svelare gli oscuri intrecci tra politica e criminalità, finisce per
costargli la vita e farne una delle prime vittime illustri della mafia
Il logorante, disperato viaggio in terza classe è per gli emigranti
solo un preludio della vita difficile che li attende a New York: una
crudele selezione decide la concessione dei documenti, e dunque i
destini di tante famiglie, sull'isola di Ellis Island dove sono raccolti
come in un lazzaretto tutti gli stranieri appena sbarcati; gli alloggi a
disposizione si trovano in edifici fatiscenti e sovraffollati, le
cosiddette five cents houses.
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Uomini d'onore a Little Italy
L'ambiente degli immigrati è particolarmente esposto a fenomeni
di illegalità, in ragione dell'estrema miseria e della completa
mancanza di assistenza, sia da parte della madrepatria sia
dallo Stato ospite, che rendono ostaggio della malavita ogni nuovo
arrivato: in molti ne sono vittima senza neanche aver fatto i primi
passi in terra americana.
Il prezzo del viaggio attraverso l'Atlantico costringe i contadini
emigranti ad impegnare i propri possedimenti agricoli, di cui la mafia
regolarmente si impossessa approfittando della precarietà dei
legittimi proprietari; l'espatrio è per le cosche un traffico
estremamente redditizio, un affare che continua ad alimentarsi
anche negli Stati Uniti poiché i clan gestiscono lo smistamento, il
collocamento degli immigrati ed impongono con la violenza il
pagamento di una percentuale sui guadagni agli esercizi
commerciali: è proprio in questo periodo che ha origine, come
deformazione di “ricatto”, il termine “racket”.
L'iniziativa delle forze dell'ordine non sembra del resto efficace nel
contrapporsi all'autorità dei boss di quartiere, e con diffidenza lascia
senza tutela la gente di Little Italy, un piccolo mondo a sé stante,
alla mercè di soprusi ed estorsioni, nell'isolamento generato dalla
fame e dalla sporcizia.
In un tale clima di disperazione e malcontento, si moltiplicano tra
gli immigrati le adesioni a formazioni anarchiche che operano di
frequente in contiguità con la mafia, sebbene siano più spesso
infiltrate da affiliati alle cosche in cerca di copertura o di capri
espiatori da denunciare alla polizia.
La polizia contro la “Mano Nera”
Per far fronte al crescente dominio della malavita, che stringe
nella sua morsa la popolazione italiana di New York (all'epoca, per
numero di abitanti inferiore soltanto a Napoli), la polizia
ingaggia una battaglia durissima e inizia ad ottenere i primi risultati
importanti proprio grazie al solerte lavoro di Joe Petrosino.
Con metodi piuttosto bruschi, grazie anche a nuovi metodi di
ricerca investigativa quali la schedatura, il travestimento e la
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creazione di una fitta rete di informatori, Petrosino combatte con
successo taglieggiatori e delinquenti isolati, ed inizia ad occuparsi
anche delle gang, le bande della criminalità organizzata colpevoli di
estorsioni e delitti efferati.
La città di New York, il 12 aprile 1909 (giorno della sua morte)
rende onore al tenente Petrosino con la partecipazione senza
precedenti di oltre 200.000 persone alla solenne cerimonia funebre.
Con grande onestà intellettuale, i "federali" riconoscono che è
stato proprio il proibizionismo a fornire alla mafia uno straordinario
trampolino di lancio per l'espansione in altre aree, creando le
premesse per la sua "modernizzazione".
Al Capone uno dei più grandi protagonisti al tempo del Proibizionismo in America
Gli italiani furono implicati in storie di anarchia e terrorismo e ciò
non facilitò i rapporti degli italiani con l’America.
Ogni italiano era un possibile terrorista, e chi ne pagava le spese
era colui che cercava solo un lavoro per poter vivere.
Chi veniva solo sospettato di ideologie politiche ritenute non
compatibili con l’idealismo americano, veniva schedato.
Se solo fosse stato un indiziato politico, non avrebbe trovato più
lavoro nelle fabbriche o in nessuna azienda, in quanto la sua foto
veniva esposta in tutti i posti di possibile assunzione.
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Certo per costoro non fu facile continuare a vivere in America, chi
poteva tornare in Italia lo faceva, altri invece si ingegnarono,
conosco la storia di un italiano accusato di essere un comunista
anarchico, accusa tra l’altro non vera, che fu licenziato dal suo posto
di lavoro e non trovando più nessun impiego, intendendosi di
meccanica, aprì un’officina mettendosi in proprio, divenendo così un
apprezzato meccanico.
Strage a Wall Street : Dinamite romagnola
Sopra un'immagine di Wall Street all'epoca in cui venne devastata
da un carico di dinamite piazzato da Mario Buda, un anarchico
romagnolo: era il 16 settembre 1920. I morti furono 33, i feriti 200,
i danni incalcolabili. Fino alle Torri Gemelle restò il più grave
attentato politico nella storia degli Stati Uniti. Mario Buda giustificò
le sue gesta dicendo che era nel giusto, in quanto anarchico
convinto, odiava tutti i ricchi e che faceva questo a favore di tutti i
poveri. Per molti anni ancora gli italiani furono visti come
gente poco raccomandabile.
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COME CI VEDEVANO GLI AMERICANI
I MORTI? NELLA SPAZZATURA
Una vignetta anti-italiana pubblicata su un giornale australiano nel
secondo dopoguerra e usata polemicamente come copertina
dell'"Italian Joke Book" di Tommy Boccafucci. Lo scambio di battute
è: <Come mai ai funerali italiani portano la salma soltanto in due?>.
<Perché i bidoni dell'immondizia hanno solo due maniglie>.
Abbiamo parlato della povertà, della mafia che sfruttava gli italiani
in America, di come vivevano i nostri connazionali al di là dell’oceano. Perché subivano tutto questo? Alla radice c’era sempre la stessa
cosa: LA FAME IN ITALIA!
27
I bambini: una strage
Nella foto di Jacoob Riis del 1895, una mamma italiana a New York.
Spiega Augusta Molinari ne "La storia dell'emigrazione italiana" edita
da Donzelli, che il viaggio nel nuovo mondo si concludeva spesso per
i piu piccoli in una strage <Sono soprattutto le epidemie di morbillo
e varicella a provocare decessi di massa. La mancanza di cure
appropriate, il degrado ambientale dei dormitori, spesso
l'incompetenza del personale medico, facevano assumere a quella
che era una normale patologia infantile il carattere di una pericolosa
epidemia.
I giornali sanitari di bordo registrano, nei primi anni del
Novecento, alti tassi di morbilità e di mortalità infantile per epidemie
di morbillo e di varicella. Sul piroscafo "Bologna" in rotta verso
l'Argentina, scoppia nel febbraio 1909 un'epidemia di morbillo. Ne
restano contagiati duecento bambini e una ventina di adulti. Dei
bambini molti sono neonati che non sopravvivono alla malattia. Su
di un totale di cinquanta decessi, venti sono di neonati e quindici di
bambini>.
In America molti non hanno migliorato le loro condizioni di vita.
Nella foto sopra salta subito agli occhi l’indigenza di questa donna.
28
Ma in Italia quale alternativa c’era? La scarsità di cibo era tanta! Il
lavoro? L’Italia non ne offriva affatto. Almeno in America rimaneva
la speranza di un lavoro! Anche se per molti non andò così, tanti
altri riuscirono a migliorare la loro condizione sociale.
un suonatore di organetto 1898
Nella foto di Eugene Atget, un suonatore di organetto nel 1898.
Erano gli anni in cui il grande Ernesto Nathan denunciava: "Non
sono centinaia, ma sono migliaia, diecine di migliaia i casi in cui il
potere giudiziario dovrebbe intervenire, interdire a degli indegni
l'esercizio della patria potestà, assumere o delegare la tutela dei
minorenni vilmente sfruttati o corrotti". "Ai padri che vendono i
figli agli spazzacamini o alle vetrerie francesi, o ai suonatorí di
organetto in America. Con il passare del tempo, le cose non
migliorarono di molto in Italia, specialmente nel nostro sud.
Per molto tempo ancora il flusso migratorio per gli U.S.A rimase
alto.
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Scuole da terzo mondo 1948
Nella foto di Tino Petrelli, una classe delle elementari di Africo
(Reggio Calabria) nel 1948. Dicono i censimenti che nel 1951, tra
gli abitanti con più di sei anni, erano ancora analfabeti 5.456.005
italiani, pari al 12,9% della popolazione. Un ritardo storico
incredibile rispetto a paesi come Germania, Austria, Svizzera,
Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Belgio o Inghilterra, scesi
intorno o addirittura sotto il 3% già a cavallo tra l'Ottocento e il
Novecento. Nessuno stupore: spiegava Ernesto Nathan nel suo
"Vent'anni di vita italiana" del 1906 che l'Italia buttava allora il
20,47% delle sue risorse per le spese militari.
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POLENTA E PELLAGRA: UNA STRAGE
la pellagra
Nella foto sopra dell'archivio del "Gazzettino" di Venezia, due
contadini veneti a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Erano anni durissimi, per quelle terre oggi così ricche, che
fornivano allora un terzo di tutta l'emigrazione italiana. Edoardo
Pittalis, nel libro "Dalle Tre Venezie al Nordest", spiega che secondo i
rapporti sanitari lungo il Terraglio, la strada per Treviso, "su 6.362
abitanti ci sono 541 pellagrosi. L'ospedale di Mogliano accoglie
malati da tutto il Veneto, alla fine dell'Ottocento si registrano nella
regione oltre 10 mila morti per pellagra". Era la malattia delle tre
"d": dermatiti, diarrea, demenza. La malattia della fame, dovuta
all'eccessivo consumo di polenta
Un italiano all’inizio del 900 interrogò un ministro:
« Cosa intende per nazione, signor Ministro? È una massa di infelici?
Piantiamo grano ma non mangiamo pane bianco. Coltiviamo la vite,
ma non beviamo il vino. Alleviamo animali, ma non mangiamo
carne. Ciò nonostante voi ci consigliate di non abbandonare la
nostra Patria? Ma è una Patria la terra dove non si riesce a vivere
del proprio lavoro? »
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Tutti al lavoro, fin da piccoli
Nella foto di Lewis W. Hine del 1908, una famiglia italiana al
lavoro per produrre fiori di plastica nella loro casa di New York a
East Side.
In tanti si impegnarono e inventarono lavori, anche se umili, come
in questo caso, riuscirono a superare momenti veramente
drammatici.
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IL RUOLO DELLE DONNE NELL’EMIGRAZIONE ITALIANA
Un aspetto del fenomeno migratorio che è stato a lungo sottovalutato dagli studiosi di storia contemporanea è sicuramente
costituito dal ruolo che hanno rivestito le donne durante la cosiddetta “Grande Emigrazione”.
Si era a lungo pensato che la necessità di emigrare avesse
riguardato quasi esclusivamente l’universo maschile con le donne
costrette a rimanere a casa ad aspettare. In realtà le cose non
andarono proprio in questi termini.
Le statistiche sui flussi migratori dei primi del ‘900 ci dicono che
su 14 milioni di espatri le donne rappresentarono una percentuale
che poteva variare dal 20 al 40 % delle partenze, a seconda delle
fasi storiche e delle necessità contingenti, ma per avere un
panorama più adeguato alle realtà dell’emigrazione femminile, non
si deve, tuttavia, dimenticare che una grossa fetta di emigrazione
maschile aveva un carattere temporaneo, con ripetuti periodi di
lavoro all’estero a cui seguivano lunghi rientri in patria.
Questo comportamento, se considerato nella giusta prospettiva, fa
comprendere come, in realtà, l’emigrazione femminile avesse una
consistenza ben maggiore: una donna che lasciava il proprio focolare spesso, molto spesso, lo faceva per raggiungere gli uomini al di
la dell’oceano (padri, mariti, fratelli, figli) e restare accanto loro in
maniera definitiva.
Oltre al ruolo nell’emigrazione attiva, le donne furono protagoniste, loro malgrado, anche quando rimasero al paese ad aspettare.
In questo caso il loro compito non fu affatto secondario: bisognava,
in primo luogo mandare avanti, da sole, la famiglia, la casa, la terra,
occupazioni usuali per una donna, ma si aggiungeva a gravare ancor
più, dei pochi beni rimasti in seguito all’acquisto del biglietto del
piroscafo e, soprattutto, la gestione del denaro delle rimesse.
L’improvvisa disponibilità economica, unita ai nuovi ruoli sociali
ereditati in seguito alla partenza degli uomini, consentì alle donne di
acquisire un certo livello di emancipazione impensabile in precedenza. Le mogli e le madri degli emigranti presero, infatti, a frequentare botteghe, uffici postali, banche ed enti pubblici portando
una ventata di novità nella ristretta società rurale dell’epoca (e
sovente, anche scandalo e maldicenze).
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Donne sul ponte della nave in viaggio per l’America.
Le donne che, invece, vissero in prima persona l’esperienza migratoria, spesso andarono incontro a una vita non molto dissimile a
quella che avevano lasciato in patria: la maggior parte di loro
raggiunse i propri uomini per continuare a rivestire il solito ruolo di
madre, di moglie, di amante.
In questo caso l’emancipazione fu più difficile ma non impossibile.
Fu ottenuta grazie al lavoro svolto al di fuori del nucleo familiare: le
donne che non si industriavano in casa per fabbricare fiori di carta,
capi di abbigliamento o come “bordanti” (donne che affittavano
camere a connazionali), erano impegnate in fabbrica dove, durante
turni massacranti, erano sfruttate e private dei più elementari diritti
sindacali.
Le donne meno “fortunate” dovettero affrontare gli aspetti
peggiori del fenomeno migratorio: tra la fine dell’ottocento e gli
albori del nuovo secolo non era difficile imbattersi in cronache e
resoconti giornalistici che illustravano casi di sfruttamento minorile
ai danni di “giovinette” impiegate come animali da fatica in filande
e opifici francesi, o in casi di vera e propria prostituzione, organizzata direttamente da connazionali che carpivano la buona
fede di decine e decine di giovani ragazze italiane per condurle “sulla
via del vizio e della malavita” (esemplari in tal senso sono i traffici di
“domestiche” con Londra e, soprattutto, con il Cairo dove, le case di
appuntamento erano quasi esclusivamente composte da italiane.
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Molte ragazze italiane furono avviate alla prostituzione, dalla mala italiana
che gestiva la tratta delle bianche.
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LA STORIA DEL FONDATORE DELLA BANK OF ITALY
Amadeo Peter Giannini, il più grande banchiere del mondo
di GUIDO CRAPANZANO
Questa è la storia di Amadeo Peter Giannini, un emigrante italiano
che arrivò in America nel ventre della madre.
Amadeo venne alla luce nel 1870 a San Josè, in California e,
partendo da zero, in soli quarant'anni creò la più grande banca
del mondo.
Nel 1902 Giannini era già direttore in una banca di San Francisco,
dove molti emigranti italiani andavano per spedire in Patria i propri
risparmi. Giannini si rammaricava che, per il trasferimento, gli
italiani dovessero pagare un tasso del 5/6% e subire un cambio
svantaggioso.
Per due anni lottò per cambiare la politica della banca, che dedicava attenzione solo ai clienti abbienti. Visto inutile ogni sforzo, nel
1904 decise di aprire una nuova banca, che chiamò Bank of Italy.
Da lì, mandare i soldi in Italia costava solo il 2 % e il cambio era
onesto. Anche se può apparire incredibile, questa piccola banca, che
ebbe la prima modesta sede in un saloon di North Beach, la
zona povera di San Francisco dove risiedeva la comunità italiana diventerà la più grande banca del mondo. Ma ciò che più sorprende,
non è tanto quello che Amadeo Giannini ha fatto, ma come lo ha
fatto. Per tutta la vita ha operato oltre i limiti imposti dalla logica del
profitto con l'ambizione di soddisfare le esigenze dei più deboli.
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Molti emigranti italiani hanno contribuito a fare dell’America il
grande paese che tutti conosciamo, come nel caso di Amadeo Peter
Giannini, anche in altri settori si sono distinti, li chiamavano
maccheroni, si sono distinti nella ristorazione, aprendo alcuni tra i
più caratteristici ed apprezzati ristoranti italiani in America.
Li chiamavano i musicanti, perché malgrado tutto portavano con
loro i suoni e i canti del proprio paese, e molti si distinsero nel
campo della musica, e oggi lo fanno ancora i loro discendenti.
Tra i musicisti uno dei più affermati fu:
• Henry Warren (vero nome Salvatore Guaragna), originario di
Cassano allo Ionio, i cui successi non furono inferiori a quelli di
George Gershwin e Cole Porter.
Tra i cantanti è facile ricordare
• Frank Sinatra,
• Frankie Lane, originario di Monreale (PA),
• Warren Cuccurullo chitarrista, ex membro dei Duran Duran di origini campane, Nocera
Inferiore.
•
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Italiani famosi in altri campi
Italiani emigrati in America spesso naturalizzati cittadini
statunitensi e che in molti casi parlano anche l'italiano, tra i quali
troviamo:
•
•
•
•
•
•
•
Antonio Meucci, l'inventore
John Martin il trombettiere (unico uscito vivo dalla battaglia
del Little Bighorn),
Enrico Fermi, lo scienziato
Luigi Beccali mezzofondista trionfatore alle Olimpiadi di Los
Angeles,
Mario Andretti, il pilota automobilistico
Carlo Rambaldi, lo scenografo
Dino De Laurentiis, l produttore cinematografico
Italiani anche solo in parte, per esempio per metà o un
quarto delle loro origini, che hanno perso qualunque tipo di
legame con l'Italia, come
• Al Pacino, Robert De Niro, Silvester Stallone, John Travolta,
Leonardo DiCaprio, Madonna, Lady Gaga ecc.
L’elenco continuerebbe all’infinito,basta dare uno sguardo
a Wikipedia alla voce italiani famosi.
Altri vanno ricordati per essersi sacrificati con il loro lavoro,
magari umile, altri di cui non conosciamo i nomi, gente che ha
lavorato in miniere per anni.
A Goffredo Fienauri, “un emigrante partito da Rignano Flaminio
all’inizio del novecento” fu chiesto da un suo nipote che andò a
trovarlo come mai non avesse imparato la lingua americana, lui
rispose: Come potevo fare? Io sono stato più di un quarto di secolo
sotto terra a scavare il carbone, però ho imparato il polacco perché
vicino a me c’era un operaio proveniente dalla Polonia.
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Goffredo non è mai tornato in Italia, ha costruito la sua famiglia
nello stato di New York e oggi i suoi discendenti sono sparsi negli
states
La famiglia Fienauri con altri italiani, forse parenti (1925 circa).
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Di una cosa possiamo essere certi ,che hanno dimostrato coraggio
partecipando a questa grande avventura. Partire a quei tempi, senza
neanche saper leggere e scrivere, con in tasca poco e niente,
lasciando le poche cose che avevano, per andare incontro ad un
sogno, non conoscendo, non dico la lingua inglese, ma in molti casi
neanche l’italiano! Ho fatto questa ricerca perchè volevo dare voce
a questa gente, la nostra gente. Credo che ogni italiano abbia un
antenato, emigrato in qualche parte del mondo, forse all’inizio del
secolo oppure dopo, non importa dove, se in Germania, in America,
in Argentina o in Brasile; sono andati via! Hanno dovuto vincere la
nostalgia integrandosi in un paese che non era il loro, affrontando
viaggi inverosimili, umiliazioni che nessun uomo o donna dovrebbe
conoscere, spesso pagando con la propria vita questo salto nel buio.
Ora so per certo che sono stati dei grandi e con la loro determinazione hanno contribuito a rendere migliori, non solo i paesi da loro
scelti per emigrare, ma anche l’Italia.
Minatori a Monongah
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La sciagura di Monongah, piccolo centro nel West Virginia, e'
rimasta pressoche' ignorata per oltre un secolo, nota solo ai parenti
delle vittime. Poi Domenico Porpiglia, direttore di 'Gente d'Italia,
sulla base di una semplice indicazione, comincio' a investigare
facendo di quella tragedia il tema di una ricerca storico-giornalistica
che consenti' di dare il giusto risalto a una sciagura mineraria che
determino' il maggior numero di vittime italiane, piu' ancora di
quella belga di Marcinelle (8 agosto 1956, 262 vittime di cui 136
italiane).
Alle 10,25 del 6 dicembre nelle miniere di carbone numero 6 e 8
della compagnia Fairmont Coal Company vi fu una serie di potenti
esplosioni causate dal gas. In pochi minuti centinaia di minatori
vennero travolti, schiacciati nel crollo dei tunnel, bruciati dalle
fiamme, soffocati dal fumo. Non ci furono superstiti: questa e'
l'unica cosa certa, mentre, a distanza di un secolo, non e' ancora
possibile stabilire il numero esatto delle vittime. Dapprima si parlo'
di 361, poi di oltre 500; di 620 (un addetto alle sepolture del
Municipio di Monongah), e, addirittura, di 956 (un giornale del 9
marzo 1908).
Le esplosioni furono causate da un accumulo di gas: il giorno
precedente le miniere erano rimaste chiuse e per risparmiare
energia furono spenti gli aeratori. Questo, secondo alcuni
ricercatori, avrebbe determinato l'accumulo di gas alla base
dell'esplosione. Quella mattina, secondo documenti della compagnia
mineraria, sarebbero entrati nelle miniere 478 minatori e 100
addetti ad attivita' accessorie. La paga non era legata alle ore
effettivamente lavorate, ma alla quantita' di carbone portato
in superficie.
LA STORIA DI ANTONIA
Avrei pagato per riuscire a comprendere quello che diceva Antonia
Valente, una donna di 84 anni che ho incontrato a San Biagio
Saracinisco, un paesetto della Ciociaria che ospita meno di 400
anime. Lei parlava raccontando la sua avventura quasi a ruota
libera, però in dialetto ciociaro stretto e ad un volume di voce
bassissimo. Per questo ad un certo punto il mio orecchio si era
talmente avvicinato a lei per poter riuscire a capirla, che destai la
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curiosità degli altri invitati al pranzo, suoi compaesani, che poi mi
spiegarono alcune cose. Così compresi, almeno in parte, quel che
diceva.
Mi raccontava della sua vita, passata in gran parte in un paese del
Canada, dove lei era andata nel 1962 per seguire il marito Pierino
emigrato un anno prima. Un operaio, che dopo la chiusura della
galleria, un acquedotto dove lui lavorava vicino al proprio paese qui
in Italia, era rimasto senza un impiego. Da qui, la decisione di emigrare.
Arrivato in Canada trovò lavoro con una ditta che stava costruendo una ferrovia dove fu impiegato per anni, poi ebbe un’ incidente e
Antonia dette ascolto alle parole del marito: “Io voglio essere
sepolto a San Biagio,” le disse mentre era in un ospedale canadese. Questo fu il motivo del suo ritorno in Italia, lasciando anche
tre figlii in quel paese, dove ancora vivono.
Non conosco il nome della cittadina in cui sono vissuti, so che era
situato vicino all’Alaska e lì erano stati per anni.
Certo Antonia non viaggiò nelle condizioni degli emigranti dell’inizio
del secolo, di cui abbiamo parlato in questa ricerca, però anche lei
dovette fare la visita medica a Napoli, dove si imbarcò per il nuovo
mondo affrontando una traversata di 24 giorni in nave.
Quando chiesi ad Antonia come si era trovata in Canada mi guardò
in un modo particolare, ma senza rispondere. Io pensai che alla sua
età non mi avesse capito, così gli rifeci la stessa domanda. Lei allora
mi disse: “Non la vedi la faccia delusa? Ti dovrebbe dire tutto”.
Antonia mi aveva capito benissimo e mi aveva gia risposto a modo
suo, non doveva essere stata una bell’esperienza di vita.
Questa è una storia di italiani partiti per il Canada in cerca di un
lavoro che avrebbe permesso loro di vivere decorosamente.
Una storia come tante, raccontata come un sussurro da
un’anziana donna in un giorno di festa, ma come ogni storia, bella o
brutta che sia ha un suo fascino, perché chi la racconta ha il potere
di trasportarti indietro nel tempo, di farti rivivere un’epoca a cui si
riferisce, provi le sensazioni che egli stesso ha provato e che ha
ancora stampato negli occhi, a volte la loro espressione è più
eloquente delle parole stesse,
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Io non sono uno scrittore. Mi occupo di musica e scrivo canzoni. Mi
interesso più di sentimenti che di letteratura, osservo la gente che
mi sta intorno e ascolto le storie che essa racconta. A volte questo
mi fornisce lo spunto per scrivere canzoni. Non voglio dire che è
calcolato, è solo quello che succede ad ogni cantautore.
A tutti sarà capitato di ascoltare persone che parlano di un fatto
accaduto, magari in un bar, al mercato o semplicemente per strada,
questo non significa che ci stiamo occupando dei fatti degli altri. Più
semplicemente ci troviamo ad ascoltare le parole dette dalla gente,
ci fermiamo un momento a udire, guardare la faccia delle persone.
Credo che parlare con persone anziane sia molto interessante,
perché essi custodiscono esperienze di vita legate a tempi che non
torneranno più e nei loro racconti, ognuno può conoscere meglio le
proprie origini, e non c’è un altro modo per conoscerle, se non quello
di ascoltarle direttamente da loro.
Non abbiamo perso la voglia che avevamo da bambini di sentire le
favole, quando la nonna o la zia tenendoci sulle gambe ci narrava
delle storie, poco importa se vere o no, ci piaceva ascoltarle, quella
voglia l’abbiamo ancora dentro.
In questa ricerca ho solo voluto far rivivere l’incredibile avventura di
coloro che in qualche modo, sono sicuro avrebbero desiderato
raccontarla personalmente.
Antonia Valente
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IL CANTO DELLE GENTI
Pi la merica partenza
(dialetto siciliano)
Chi scunipigli ti chi c'è ni li paisi,
ntra li famigli, ntra tutti li casi:
di po' ca di l'America si 'ntisi
pi la partenza ognunu fa li basi.
Partenza per l'America.
( traduzione )
Che scompiglio c'è nei paesi,
nelle famiglie, in tutte le case;
dopo che sono arrivate le notizie dall'America
ognuno fa i preparativi per la partenza.
Cu si pripara mutanni e cammisi
cunn'avi grana si 'mpigna li casi.
Afflittu cu a famiglia s'allicenza
e poi pi l'America partenza.
C'è chi prepara mutande e camicie,
chi non ha i soldi dà in pegno le case
Si distacca afflitto dalla famiglia
e poi per l'America partenza.
A quant'è tinta ddra brutta spartenza,
lassari li famigli cu duluri.
Priava la divina onnipotenza
ca pi strata l'aiutassi lu Signuri.
Quanto è triste quel brutto distacco
lasciare le famiglie con dolore.
Pregava la divina onnipotenza
perché il Signore lo aiutasse nel viaggio
A quant'è tinta ddra brutta spartenza,
lassari li famigli cu duluri.
Iu stessu ca lu cantu mi cumpunnu
in ca di ccà v'attaccu n'antru munnu.
Quanto è triste quel brutto distacco
lasciare le famiglie con dolore.
Io stesso che lo canto mi confondo
io che da qua parto verso un altro mondo.)
(Canto raccolto nel 1974 a Favara, Agrigento, da Antonio Zarcone e Maurizio Piscopo.)
L’evento dell’emigrazione italiana come poteva non riguardare
anche i canti della gente? Da sempre essa si esprime affidando ai
versi e alla musica tutto ciò che in qualche modo attiri l’attenzione,
l’amore, il dolore, le pene e anche le storie. Sono stati la molla per
tanti musicisti e poeti che volevano fissare uno stato d’animo che li
riguardasse personalmente, o come il canto sopra, rispecchiasse un
sentimento collettivo.
Dalla Sicilia partirono a migliaia in cerca di fortuna, gente povera
che decideva di vendere case, di lasciare chi amava, per offrire ai
loro cari un modo di vivere migliore, non senza provare dolore nel
momento del distacco, ma le notizie erano troppo allettanti per
rinunciare all’America.
Di questi canti ce ne sono tantissimi, “Pi la merica partenza”. Il
canto sopra riportato, è stato raccolto ne 1974, ma è una canzone
dell’inizio del secolo. Chi lo ha esposto a Zarconi e Piscopo, lo ha
sicuramente ascoltato dai suoi genitori, o addirittura potrebbe
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essere, una di quelle nenie di paese che vengono trasmesse perché
ormai scritte nel tempo, ossia fanno parte della cultura paesana, in
questo caso di Favara in Sicilia.
Quello che fa riflettere è che dopo 70 anni, ancora viene ricordato,
come testimonianza di uno sconvolgimento italiano svoltosi nel XIX°
secolo.
Nel cd allegato a questa fascicolo, ho inserito delle canzoni che
riguardano questo tema. Ho cercato di interpretare dei sentimenti
legati a quei momenti, ho ascoltato storie da persone che hanno
avuto qualcuno che è partito, ho visitato siti internet che raccontano
come si sono svolti certi fatti, ed ho scritto canzoni immaginando
come certe storie si svolsero, come: Viva la merica che racconta
l’arrivo ad Ellis Island da parte di due italiani dello stesso paese, o
Paisà, che vuole essere un quadro della vita degli emigranti in
America e della nostalgia per la loro terra; Amico, un ragazzo parte,
lasciando solo il compagno fraterno; Occhi di mare, racconta il
dolore di due innamorati che si lasciano perché lui parte con la
speranza di un ritorno dopo aver fatto fortuna, poi c’è : Istanti,
rivive il momento del ritorno dopo tanto tempo e i due si ritrovano.
Anche Stasera no, che prende in considerazione l’amore, rivive
alcune sequenze della sera prima della partenza, da parte
dell’uomo, per ritornare in Italia, il personaggio deve lasciare la
donna che in america è stata la sua compagna per anni, si lasciano
con dispiacere, ma c’è la necessità di ritornare, perché ci sono
moglie e figli che lo aspettano, ai quali ha fatto delle promesse.
In realtà ce ne furono molti di casi in cui un italiano trovò una
compagna americana con cui vivere, spesso perché non essendo
stato possibile da parte della moglie raggiungerlo in America, il
marito restava tanto tempo solo.
Credo che in fondo le donne americane coinvolte sapessero che un
giorno ci sarebbe stato un distacco dovuto al ritorno a casa da parte
dell’uomo.
Per quanto riguarda le mogli italiane, forse non ne parlarono mai
direttamente con i mariti, magari per pudore o solo perché era
meglio non sapere, ma in fondo al loro cuore conoscevano la verità.
Aprendo lo sportello per la carica di un vecchissimo orologio a
pendolo appeso sulla parete di una casa, si legge una dedica da
parte della donna che lo regalò come ricordo all’uomo di cui era
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stata innamorata. Non lascia dubbi sul tipo di relazione che i due
avevano avuto. Il nostro uomo era regolarmente sposato con prole
nel suo paese. Per questo tornò in Italia, ma in qualche modo tutta
la sua famiglia dovette capire la situazione, perchè ora il pendolo è
ancora appeso funzionante in casa di un diretto nipote, tramandatogli dal padre e la dedica è ancora lì, sotto gli occhi di tutti e
nessuno ne fa un segreto. Per molte altre donne andò decisamente
peggio, perché i loro mariti non fecero mai più ritorno, avendo deciso di stabilirsi definitivamente in America.
Per molte persone la situazione familiare cambiò per sempre, ma
credo che ciò fosse stato inevitabile. Era la vita di quel tempo che
cambiando, diventava ingestibile.
Una cosa è certa: Un’avventura così in Italia non c’era mai stata, ed
è stata vissuta proprio dai nostri nonni. Noi a nostra volta possiamo
raccontarla ai nostri figli, per ricordare loro gli sforzi ed il coraggio
che essi ebbero sospinti dagli affetti dei loro giorni, protesi al bene
dei figli dei figli.
MARITME STA ALL'AMERICA E NUN ME SCRIVE
(Mio marito sta in America e non mi scrive)
Tratto da un canto sull'emigrazione garganica
(a cura di Luciano Castelluccia, direttore artistico del Carpino Folk Festival )
Marit'me sta all'America e nun me scrive
Nun sacce la mancanza
Nun sacce la mancanza che l'aje fatte
e na mancanza mia iè stata questa
da tre fanciull na truvat quatt
zitt marite mije che nun je nent
e lu viam a Napl a fa student
'Nfa nend marit mije che a patut
basta che magn e viv e va v'stut
non jadda jess mo lu chiant amar
adda jess mo che m vid p' na 'merican
non adda jess mo lu chiant a llochje
adda jess mo che m vid a Nuva York
zitt marite mije che non je nent
e lu n'viam a Napl a fa student
Questo Canto di emigrazione fu raccolto da Lomax e Carpitella nel 1954 a
Cagnano Varano.
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Ringraziamenti
Dal profondo del cuore ringrazio l’egregio signor Vinicio Micheli
per la preziosa collaborazione nella stesura di questa ricerca,
e per le sue parole di apprezzamento che di seguito riporto:
“Al termine della seconda lettura le confermo le mie congratulazioni
per la ricerca sull’emigrazione sia per l’impostazione
e ancor più per il taglio proprio, che coglie la profondità
e le pieghe segrete dell’anima.
Stupenda la chiusura con la lirica mistica “
Marit’me sta a la merica e nun me scrive”.
Sarà anche per lei una piena di consonanti valori perenni
allorché si imbatterà, con lo stesso registro,
in mille righe, pagine e risvolti, per esempio della Bibbia.
La nostra umanità sempre uguale e sempre nuovamente viva,
fin da principio.
Cordiali saluti V.Micheli”
Ivo Magalotti
Le immagini presenti nel libro le ho trovate durante la ricerca su internet e sono di proprietà degli autori
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I testi delle canzoni
VIVA L'AMERICA
Testo e musica: Ivo Magalotti
AMICO SIAMO ARRIVATI QUESTA E' L’AMERICA IL VIAGGIO E' FINITO
ERAVAMO DUEMILA ORA CHI LO SA MEGLIO NON CONTARE
L'IMPORTANTE PER ORA E' CHE ADESSO ADESSO SIAMO QUA
NON MI SEMBRA VERO C'E' LA STATUA DELLA LIBERTA'
C'E UN TIPO IN DIVISA DELL’ UFFICIO D' IGIENE CHISSA’ COSA VORRA'
CI FA SEGNO DI ANDARE E' MEGLIO SEGUIRLO PARE SAPPIA QUEL CHE FA
E IN FILA PER DUE QUI DAVANTI AL MARE PERO’ GUARDA C’HE’ STRANO
C'E' UN GRUPPO DI GENTE CHE ASPETTA CON LE BRAGHE IN MANO
VIVA VIVA VIVA VIVA VIVA VIVA VIVA L' AMERICA
VIVA IL PAESE DOVE OGNUNO DI NOI FARA’ PRESTO FORTUNA
COSI' ALMENO HANNO DETTO QUEI SIGNORI DISTINTI E CI HAN CONVINTI A PARTIRE
ORA CHE SIAMO ARRIVATI PERO’ L'HO GIA DETTO A ME SEMBRA UN PO’ STRANO
CHE LA FORTUNA CI ASPETTI NUDI E CON LE BRAGHE IN MANO
NOI DA UNA PARTE LE DONNE DALL'ALTRA SIAM DIVISI DAL MURO
LO SGUARDO FISSO DAVANTI
PER NON CREARE IMBARAZZO
MA IO HO CAPITO LO STESSO PERCHE’ AL MIO AMICO IN PAESE
LO CHIAMANO IL FENOMENO IL FENOMENO
VIVA VIVA VIVA VIVA VIVA VIVA VIVA L'AMERICA
IL PAESE CIVILE DOVE CI HAN DETTO AVREMMO FATTO FORTUNA
POI UN DOTTORE DICE QUALCOSA CHE NOI NON SI CAPISCE
ALLORA LO SPIEGA QUELLO ISTRUITO DELLA FILA D'AVANTI
"LASCIAMO QUI LA VALIGIA E I VESTITI NELLE DOCCE I PRESENTI"
QUESTA E’ L’ISOLA DELLE LACRIME E CI VIVONO IN TANTI
DIETRO IL MURO SON TANTI DIETRO IL MURO SON TANTI
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AMICO
Testo e musica: Ivo Magalotti
RIMASE DI LUI SOLO UNA VOCE
CHE PARLAVA FORTE FORTE DENTRO AL CUORE
E QUEL GIOCO DI BAMBINI NEL FIENILE
QUATTRO SASSI E UNA CONCHIGLIA SCEGLI TU
E RIMASE DI NOI SOLO UN MOMENTO
QUANDO SENZA DIRMI NIENTE SE NE ANDAVA
LO GUARDAVO DENTRO AL TRENO DIETRO I VETRI
ORA LO SO QUEL GIORNO POI PERCHE' PIANGEVA
AMICO MIO QUANT' ERA DIVENTATO GRANDE QUEL FIENILE
ANDANDO VIA M'HAI FATTO CRESCERE IN UN GIORNO
TROPPO IN FRETTA TROPPO IN FRETTA
E RIMANE DI LUI SOLO UNA VOCE
CHE MI PARLA ANCORA FORTE DENTRO IL CUORE
E LO RIVEDO MENTRE PARTE ALLA STAZIONE
E CON LO SGUARDO DICE FORZA SALI SU
E RIMANE TRA DI NOI SOLO UN RICORDO
CHE OGNI TANTO MI RITORNA NELLA MENTE
POI UNA VOCE DI DONNA CHE MI CHIEDE COS'HAI
LE RISPONDO STO PENSANDO A DEI BAMBINI
AMICO MIO TU CERTE VOLTE TI PRESENTI DENTRO AL CUORE MIO
E SPINGI FORTE E APRI LE PORTE DELLE MIE MALINCONIE AMICO MIO
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OCCHI DI MARE
Testo e musica: Ivo Magalotti
IO NON MI VOLTERO' NON CI RIUSCIRO' LO SO
TU NON MI PARLERAI NON CI RIUSCIRAI LO SAI
NOI QUANTA GENTE NOI UN BASTIMENTO VA E VA
E LA NOTTE ARRIVERA’ E OGNUNO GUARDERA’
NEL CIELO E RIVEDRA’ IL VISO DI CHI NON C'E' NON C'E
E VA MA QUANTO MARE C'E’ DENTRO GLI OCCHI MIEI
CHE NEL CUORE PORTO LEI PORTO LEI
NELLA VALIGIA PANE E SPERANZA
MA LA RIEMPIRO’
CON LE COSE CHE RIPORTERO’ PER LEI PER LEI
ISTANTI
Testo e musica: Ivo Magalotti
ECCO LA CASA, TU MI VEDI E NON SAI SE SORRIDERE,
POI IL PIANTO TI INUMIDISCE GLI OCCHI,
IO MI FERMO A GUARDARTI E MI CHIEDO SE SEI PROPIO TU
O LA MIA MENTE SI PRENDE ANCORA UNA VOLTA GIOCO DI ME
FACENDOMI IMMAGINARE CIO CHE NON C'E,
MA TU APPOGGI IL TUO VISO SULLA MIA MANO
E CHIUDI GLI OCCHI E ASSAPORI UN GESTO ASSAI LONTANO
QUANDO TI CAREZZAVO COME TU FOSSI UN FIORE,
DELICATAMENTE MENTRE TI PARLAVO D'AMORE.
ORA TU APRI LE BRACCIA E TI STRINGI AL MIO CUORE
QUESTI ISTANTI, LI HO VISSUTI MILLE VOLTE SOGNANDO DI TE,
ORA SENTO IL TUO PROFUMO COME SE TU FOSSI UN FIORE
TI CAREZZO MENTRE TI PARLO D'AMORE
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CANTO D'AMORE
Musica di Ivo Magalotti testo anonimo
CI SONO PAROLE SUSSURRATE SULLE LABBRA
SONO PAROLE D'AMORE SONO PAROLE DI TUTTI
UN INCONTRO UN UOMO UNA DONNA
SI DICONO PAROLE PROFUMI COLORI E SPERANZE
CI SONO PAROLE CANTATE
SONO PAROLE MIE TUE SONO PAROLE DI TUTTI
UNA MELODIA ANTICA SUONA NOTE NON ESISTONO
NASCONO DAL CUORE SONO VOCE CON UN TONO DI TUTTI
CI SARANNO PAROLE NOSTRE CAMMINANO TRA LA GENTE
PRESENZE VICINISSIME RACCONTANO STORIE BELLISSIME
LE TUE PAROLE IL CUORE LE RICORDA
LE MIE PAROLE NON LE DIMENTICARE LE SAI
FAVOLE! UNA FORMICA LE RACCONTA AD UNA GOCCIA DI SANGUE
IL GIOVANE PIANGE ORA SA CHE DEVE CAMMINARE CERCARE
DENTRO DI SE’ QUELLE PAROLE CHE TU CONOSCI
IL POETA HA RUBATO NEGLI OCCHI DI UN CUORE INNAMORATO
PRUDENTE IL POETA LE RACCONTA AI FIORI DEL MATTINO
SCOPRE UN RAGGIO DI SOLE UN SEGRETO LA LUCE RIPETE
IO TI AMO IO TI AMO IO TI AMO
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STORIA DI NOTTE
Testo e musica: Ivo Magalotti
STANCHE ORE DELLA NOTTE I PENSIERI AFFONDANO
UN PO’ BRILLO E COL CUORE ALL' ASCIUTTO ROBA DA FAR PAURA
PRIME ORE DEL MATTINO NON CI SONO PIU' NEANCHE I BAR
L'ULTIMO TRAM CHE SE NE VA OGGI E' PURE DOMENICA
SULLA STRADA BUIA CON TANTE PORTE CHIUSE UNA STRISCIA DI LUCE
UNA VOCE MI CHIAMA ACCIPICCHIA SEI BELLA MI FARAI COMPAGNIA
FREDDE ORE DELLA NOTTE I PENSIERI CONFONDONO
QUESTA MENTE UN PO’ BRILLA E QUESTO CUORE ALL'ASCIUTTO
POI MI SIEDO DISTRUTTO
STRANA RADIO DELLA NOTTE
UNA MUSICA SENZA MELODIA
LEI SORRIDE HA CAPITO PER L'AMORE C'E' TEMPO FORSE DOMANI
TOGLITI IL TRUCCO CHE DORMIAMO UN PO
VIENIMI ACCANTO IN QUESTO LETTO CIGOLANTE
IL TUO CALORE NON GUASTERA'
VOCI NELLA STRADA I RUMORI MI SVEGLIANO
MI GUARDO UN PO’ INTORNO IN QUESTA STANZA ANNI TRENTA
SON RIMASTO QUI DA SOLO
UNA SCRITTA SULLO SPECCHIO QUALCOSA CHE HA LASCIATO LEI
"QUANDO PASSI DI QUA ORMAI LO SAI DOVE STO TI FARO' COMPAGNIA"
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PAISA'
Testo e musica: Ivo Magalotti
LA NAVE ERA GIA’ NEL GOLFO LI’ SUL FIUME HUDSON
ERA L'ORA DI CHI ANDAVA AL PORTO COL PASSO DI CHI DEVE ASPETTARE
DI GENTE CE N’ ERA TANTA QUANDO LA NAVE ORMEGGIAVA
ED OGNI ISTANTE CHE PASSAVA ERA UN CHIODO IN PIU' NEL CUORE
E STAVANO TUTTI LI’ CON LO SGUARDO VERSO IL MARE
LO SGUARDO DI CHI CERCA PER LASCIARE POSTO A UN SORRISO
E NELLE SCOLLATURE DEI VESTITI DELLE DONNE
IL FAZZOLETTO BUONO E TANTA VOGLIA DI UN ABBRACCIO
NANANA PAISA’ NANANA PAISA’ PAISA’
E PRESTO SI CONFONDERA' L'ODORE DELLA TERRA
ASCOLTANDO UNA LINGUA NUOVA ALLA RICERCA DELLA FORTUNA
MA OGNI VOLTA CHE ENTRERA’ NEL PORTO UN BASTIMENTO
OGNI EMIGRANTE RITROVERA' CASA SUA PER UN MOMENTO
E STARANNO TUTTI LI’ A GUARDARE VERSO IL MARE
DI DOMENICA POMERIGGIO SE NON ANDRANNO A LAVORARE
E TRA I VESTITI SCURI SOPRATTUTTO DELLE DONNE
C’E’ CHI SEMINA PER LA FORTUNA MA ANCORA NON RACCOGLIE
NANANA PAISA’ NANANA PAISA’
PAISA’
E I LORO FIGLI PARTIRANNO DA LI’ E ARRIVERANNO AD ANZIO
CON LA FACCIA DI CHI A VENT'ANNI E' SEMPRE PRONTO PER UN SORRISO
CON UN VESTITO GRIGIO REGALATO DALLA GUERRA
CON POCHE PAROLE DI UNA VECCHIA LINGUA MA TROVERANNO CHI LE CAPISCE
NANANA PAISA’ NANANA PAISA’
PAISA’
NANANA PAISA’ NANANA PAISA’
PAISA’
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LA GENTE
Testo e musica: Ivo Magalotti
E SE PROVASSI A CAMMINARE? QUANTA STRADA FAREI?
E IN QUANTI POSTI POTREI ARRIVARE E QUANTI PONTI ATTRAVERSEREI
FORSE MI RINCONTREREI E MI VEDREI LONTANO LONTANO MA CERTO MIGLIORE
QUANTE MANI STRINGEREI?
LA GENTE
MANI DI TUTTA LA GENTE
QUANTI SOGNI HA LA GENTE
GENTE TRISTE O FELICE CON PENSIERI PIU’ GRANDI DI LORO
CON UNA VALIGIA E LA VOGLIA DI ANDARE
LA GENTE QUANTO E’ GRANDE LA GENTE
CON TANTA VOGLIA DI FARE
LE COSE MIGLIORI
E SE PROVASSIMO A GUARDARCI NEGLI OCCHI?
FORSE IL CORAGGIO SI POTREBBE TROVARE
PER AVVENTURARCI TRA LE STELLE DEL CIELO
CON SU LE BRETELLE PER TENERSI I CALZONI
GUARDANDO SEMPRE LONTANO
PER UN FUTURO DI TUTTA LA GENTE IN UN MONDO MIGLIORE
COSA SI POTREBBE FARE CON UN PO’ DI CORAGGIO PER CAMMINARE
LA GENTE GRANDI SOGNI NEGLI OCCHI
SARA’ TRISTE O FELICE? CON PENSIERI PIU’ GRANDI DEL MARE
ANDRA’ LONTANO CON LA VOGLIA DI FARE
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STASERA NO
Testo e musica: Ivo Magalotti
NO STASERA NO NO NON DEVI ANDARTENE
QUALCOSA CE L'AVREI QUALCOSA AVREI DA DIRE
MA TU ASCOLTA UN ATTIMO
VORREI POTER RESTARE SEMPRE QUI CON TE
VORREI POTER RESTARE PER SOGNARE
MA HO PROMESSE FATTE IN MEZZO AL VENTO E SON NEL VENTO
GUARDA LA CITTA' CHE STRANO EFFETTO CHE FA
LA NEBBIA STA SALENDO SIAMO SOLI
UNA NOTTE PER AMARE DOMANI PRESTO DOVRO’ ANDARE
NON PIANGERE
NO STASERA NO L'HO VISTA SAI LA TRISTEZZA CHE TU HAI
A TE LASCIO IL MIO CUORE CON ME PORTO ILTUO VISO
E’ BELLO E QUESTO BASTA SARAI BELLA AMORE E BASTA
VIENI GIU’
Testo e musica: Ivo Magalotti
DAI VIENI GIU’ VOGLIO PARLARTI SOLO UN PO’
DAI VIENI GIU’ CHE C'E' L'AURORA C'E' ANCHE IL MARE
COSI’ E' PIU' FACILE SOGNARE PER DUE TIPI COME NOI
CHE SCIOLGONO LE VELE DELLA FANTASIA
CHE POSSONO VIAGGIARE GUARDANDO SOLO UNA CARTOLINA
DAI VIENI GIU’ I TUOI LASCIALI DORMIRE UN PO’
DAI VIENI GIU’ E’ DA IERI SERA CHE TI STO ASPETTANDO
NASCERA' IL SOLE E POI SENZA TE IO NON SO VOLARE
HAI PRESO TUTTA QUANTA TUTTA LA MIA FANTASIA
NON POSSO ANDARE SE TU TU NON SEI CON ME
NASCERA' IL SOLE
E POI SENZA TE IO NON SO SOGNARE
HAI PRESO TUTTA QUANTA TUTTA LA MIA FANTASIA
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NON POSSO ANDARE SE TU NON SEI CON ME
SOLO MARIA
Testo e musica: Ivo Magalotti
LA MENTE ACCESA IL VINO VERSATO
IL TAVOLO SPORCO DI UN OSTERIA
DI CERTO IL POSTO IDEALE
PER NON PENSARE A MARIA
QUALCUNO BRINDA ALZANDO IL BICCHIERE
QUALCUNO BESTEMMIA UN PO’
DI CERTO IL POSTO IDEALE PER NON PENSARE A MARIA
QUANTO MALE MI HA FATTO LEI
QUANDO HA DETTO "IO ME NE VADO VIA"
SE NE' ANDATA SENZA VOLTARSI NEMMENO
E MI HA DETTO NON PENSARMI ANCORA
ADESSO MI ALZO E ME NE VADO VIA BARCOLLO UN PO’
FA NIENTE TANTO FUORI POI MI PASSERA’
TU CHI SEI? PROFUMI DI FUMO TU
NASCONDI I SOLDI NEL PETTO E NON SEI
NON SEI TU NON SEI COME MARIA
E AL MATTINO QUANDO TI SVEGLI
NON TI CHIEDI NEMMENO CHI SONO IO
GIA’ L'ODORE DEL CAFFE’ CHE MI ENTRA NEL LETTO
IO TI VEDO MI SEMBRI PIU' BELLA PIU’ BELLA PIU’ BELLA
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VAMOS CON DIOS
Testo e musica: Ivo Magalotti
SOTTO IL SOLE DI SETTEMBRE VIDE UN'OMBRA E LA SEGUI'
QUELL'UOMO PENSO' STANCO ORAMAI MI FERMO QUI
QUESTA STRADA E' ANCORA LUNGA SOLO UN PO RIPOSERO'
E COLEI CHE LO ASPETTAVA NON SORRISE MA CAPI'
GUARDO' NEGLI OCCHI IL VECCHIO CHE ANSIMANDO LE PARLO'
DISSE: NON TI PREOCCUPARE TRA UN MINUTO IO VERRO'
LEI CHE MAI SI RIPOSAVA SI SEDETTE ACCANTO A LUI
E ASCOLTO' QUEL VECCHIO STANCO CHE' D'AMICA LA TRATTO'
TI HO INCONTRATA PER LE STRADE IN MEZZO A PANE E POVERTA'
TI HO VISTO PER LE CASE IN MEZZO A RICCHI E NOBILTA'
TI HO SCAVATO NELLA TERRA AI GIORNI DELLA SICCITA'
MI HAI MOSTRATO MILLE VOLTE LA TUA NOTTE CHE VERRA'
VAMOS CON DIOS AMIGA VAMOS CON DIOS CHE PRIMA DELLA NOTTE ARRIVERO'
VAMOS CON DIOS AMIGA VAMOS CON DIOS CHE ALMENO QUESTA NOTTE DORMIRO'
QUELL' OMBRA GUARDO' IL VECCHIO E INCURIOSITA DOMANDO'
COME FAI A STAR TRANQUILLO QUI SEDUTO ACCANTO A ME
LE TUE MANI SON DEI SASSI E RACCONTANO DI TE
ANCHE LA VITA NON E' STATA MAI FACILE PER TE
FRA GLI STENTI DISSE IL VECCHIO SUPERATI ACCANTO A TE
CI SON STATI DEI MOMENTI CHE HO INCONTRATO PURE LEI
NELL'AMORE DELLE DONNE CONOSCIUTE IN GIOVENTU'
NEL CUORE DELLA GENTE ONESTA GLI OCCHI DI COLEI CHE RESTA
I VISI DELLA GENTE IN FESTA CON SEMPLICITA'
IO DI TE NON HO PAURA ANCHE SE ADESSO SONO QUI
OGNI GIORNO CHE HO VISSUTO NON LO RENDERO' MAI PIU'
E TOGLIENDOSI IL BERRETTO I CAPELLI GLI MOSTRO'
ERANO BIANCHI E UNA CORONA SULLA TESTA GLI SEMBRO'
VAMOS CON DIOS AMIGA VAMOS CON DIOS CHE PRIMA DELLA NOTTE ARRIVERO'
VAMOS CON DIOS AMIGA VAMOS CON DIOS CHE ALMENO QUESTA NOTTE DORMIRO'
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Viva la “Merica”
1 Vieni giù
2 Solo maria
3 Occhi di mare
4 Amico
5 Storia di notte
6 Paisà
7 Canto d’amore
8 Viva la merica
9 La gente
10 Stasera no
11 Istanti
12 Sul treno
13 Vamos con dios
Ivo Magalotti
A cura di
Associazione culturale caffè d’autore dance
Indirizzo web www.ivoerosy.it
E-mail [email protected]
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