ANNO 2016 NOtizie dAl 24 dicembre Al 31 dicembre

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ANNO 2016 NOtizie dAl 24 dicembre Al 31 dicembre
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ANNO 2016
Notizie dal 24 dicembre al 31 dicembre
notizie e informazioni SULL’america meridionale e, in particoLare, SULLa
colombia,
raccolte da agenzie, gruppi, istituzioni,
confrontate E comMENTATE CON CONTRIBUTI CRITICI E VALUTATIVi
Pag. 02 - 24 dic. La Colombia è il Paese del 2016 secondo l’Economist
Pag. 02 - 24 dic. Venezuela, Natale di azzardi e tensioni
Pag. 03 - 25 dic. In Colombia il Natale rafforza le speranze di pace
Pag. 04 - 26 dic. Primi passi di Santos per entrare nella Nato
Pag. 05 - 27 dic. I rapimenti in Colombia sono diminuiti del 92 per cento in 15 anni
Pag. 05 - 28 dic. Dalla Colombia al Congo, ecco la nuova geopolitica del Vaticano di Papa Francesco
Pag. 07 - 29 dic. Il Vescovo di Cucuta (Colombia): “Fornire aiuti umanitari ai venezuelani in
difficoltà”
Pag. 07 - 30 dic. Guatemala. I maya invocano la pace attraverso un antico rituale
Pag. 08 - 31 dic. Colombia. anche il Senato approva all'unanimità sull’amnistia per guerriglia e
militari
Pag. 08 - 31 dic. Venezuela: 30 persone in ostaggio dei rapitori in un monastero
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24 dic. La Colombia è il Paese del 2016 secondo l’Economist
L’autorevole settimanale britannico The Economist ha decretato la Colombia come paese del 2016 grazie
all’accordo che ha permesso allo Stato di mettere fine al conflitto armato con i ribelli marxisti delle FARC
(Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), che andava avanti da ormai quasi cinquant’anni.Il
riconoscimento assegnato dal settimanale britannico al paese sudamericano va ad aggiungersi al premio
Nobel per la Pace conferito dall’Accademia svedese lo scorso ottobre al presidente della Colombia, Juan
Manuel Santos per “la sua determinazione nel mettere fine alla guerra civile nel paese che durava da più di
50 anni”. Negli anni passati l’Economist aveva assegnato il premio a Myanmar (2015), Tunisia (2014) e
Uruguay (2013).
Il primo storico accordo di pace tra Stato colombiano, rappresentato dal presidente Juan Manuel Santos, e le
FARC era stato siglato lo scorso 27 settembre, e poi respinto dal 50,2% dei colombiani chiamati, una
settimana dopo l’accordo, a dire la loro attraverso un referendum popolare. Nonostante la bocciatura
popolare gli accordi tra le due fazioni sono proseguiti portando a un nuovo accordo, che questa volta dovrà
venire ratificato dal Congresso in cui il presidente Santos detiene la maggioranza.
Dagli anni sessanta le FARC si sono sempre battute contro l’espropriazione dei terreni agricoli ai danni dei
contadini colombiani, e hanno cercato di rovesciare lo stato colombiano e instaurare un governo di
ispirazione marxista. Nel corso degli anni il gruppo guerrigliero ha quindi condotto una sanguinosa lotta
contro il governo che dalle Ande è arrivata a colpire anche le più grandi città della Colombia.
24 dic. Venezuela, Natale di azzardi e tensioni
Crisi umanitaria, stato fallito, code bibliche davanti ai supermercati… Sono questi i titoli delle notizie
provenienti dal Venezuela. Qualche volta, filtra un trafiletto su un argomento che nel nord del mondo – dove
i diritti economici sono sempre più una chimera – diventerebbe una notizia da «uomo morde cane»: «Nicolas
Maduro aumenta salari e pensioni», oppure «il presidente occupa la fabbrica chiusa insieme agli operai», e
poi «aumentate le borse di studio anche per gli studenti all’estero», e ancora «il governo destina oltre il 70%
degli introiti ai piani sociali».
In questi giorni, il presidente ha consegnato la casa popolare n. 1.300.000, ammobiliata e gratuita per i
redditi bassi, a Ciudad Caribia, la cittadella autogestita creata da Chavez: nell’ambito della Gran mision
vivienda Venezuela (Gmv). Un programma che ha preso avvio del 2011 e che si propone di arrivare a tre
milioni di alloggi popolari entro il 2019.
Nel 2016, nonostante la drastica caduta del prezzo del petrolio, su 303.997 abitazioni, lo Stato e le comunità
organizzate ne hanno costruite 285.518, il settore privato 18.477. Come può uno «stato in bancarotta»
realizzare tutto questo? Perché una «cricca totalitaria abbarbicata al potere» dovrebbe decidere di non far
pagare ai più deboli i costi della crisi, affrontando la guerra con i grandi decisori internazionali?
L’«esperimento bolivariano» non è un orologio svizzero né un concerto di voci bianche, né le riforme
strutturali fin qui compiute sono apparentabili alla Russia di Lenin: e infatti, la parte più a sinistra del
chavismo propone di non pagare più il debito estero e di andare più a fondo espropriando le banche. I
problemi ci sono, eccome. Ma anche così, basta comparare qualche dato con uno dei paesi vicini, la
Colombia del presidente neoliberista Manuel Santos, insignito del premio Nobel per la pace, per rendersi
conto che a tornare alle ricette di prima si starebbe ben peggio.
Il Venezuela è un paese di 29 milioni di abitanti, la Colombia ne conta 47 milioni. Secondo l’Unesco, in
Venezuela l’83% dei giovani va all’università (gratuitamente e con l’ipad), e le università pubbliche sono 43,
mentre in Colombia la percentuale è del 32% e le università sono 32. Secondo la Fao, che ha dedicato il
programma mondiale contro la fame a Hugo Chavez, i malnutriti in Venezuela sono il 5%, in Colombia il
15%.
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E nessuno ha parlato della tragedia umanitaria che sta vivendo la popolazione indigena wayuu nella Guajira
colombiana, dove nel 2016 sono già 89 i bambini morti per denutrizione, il 55% della popolazione vive in
povertà estrema e il 40% non ha accesso al cibo. E si potrebbe continuare con le pensioni (20% in Colombia,
73% in Venezuela) o con l’acqua potabile (il deficit è del 5,3% in Venezuela, ma del 28% in Colombia, dove
interi municipi ne sono sprovvisti). L’insicurezza? I diritti umani? Si dà per inteso che «Caracas sia la città
più violenta al mondo», senza parlare dell’Honduras, del Messico (che quest’anno ha fatto registrare la cifra
record di 20.800 morti), ma anche della Colombia, dove si trovano 5 delle 100 città più violente al mondo,
dove i leader sociali fanno costantemente da bersaglio.
«Se va bene al Venezuela, va bene anche alla Colombia, perché qui vivono 5.600.000 colombiani che
studiano, lavorano e vivono con noi», ha detto Maduro spiegando i passi diplomatici compiuti con Santos per
ridurre il traffico illegale col paese vicino. Una piaga evidenziata anche dalla decisione di ritirare dalla
circolazione le banconote da 100 bolivar presa all’improvviso da Maduro.
È risultato che oltre 2.000 milioni di biglietti, ossia il 14% del denaro dei venezuelani si trovava a Bogotà.
Dalla metà del 2015, la scarsità di contante, soprattutto delle banconote da 100 bolivar si è fatta sempre più
evidente, provocando le famose code. Al contempo, è proliferato sempre più il mercato nero, dove l’effettivo
si paga al di sopra del suo valore in forza del cambio gonfiato arbitrariamente dal sito Dolartoday.
Oltrefrontiera, funziona così: un tizio va in un ufficio di cambio a Cucuta e cambia 100 bolivar per
l’equivalente di 110 pesos colombiani. Da lì il denaro va alla Banca della Repubblica di Colombia (Bcr),
dove in forza di un decreto speciale, viene cambiato (attualmente) a 29.646 pesos, per un equivalente di 10
dollari. Poi, il tizio torna alla frontiera e cambia i 10 dollari con i bolivar: questa volta, però, al mercato
illegale, che dà oltre 2.500 bolivar per un dollaro. Un mercato che, se le disposizioni speciali, in Colombia,
non cambiano, potrebbe continuare anche con l’introduzione di banconote venezuelane di più grosso taglio,
che stanno arrivando nel paese.
25 dic. In Colombia il Natale rafforza le speranze di pace
Pace e dialogo: è quanto sognano in questo Natale le popolazioni dell'America Latina, specie i colombiani,
che quest'anno vedono realizzarsi una speranza maturata in oltre 50 anni di guerra.
Rappresentazione della natività in Colombia
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La firma dell'accordo tra governo e guerriglieri delle Farc, segna sicuramente una svolta in cui tutti sono
chiamati a dare il proprio contributo.
Come sempre il Natale porta la speranza: è Gesù che ci aiuta ad accendere anche quelle luci che, alle volte,
sembrano spente. In tutto il mondo si è vissuto un anno molto difficile, un anno anche molto travagliato per
guerre, attentati, disastri naturali e, in America Latina, soprattutto riguardo ai dialoghi dell’Avana e poi con il
referendum. Ora si è fortemente riaccesa la speranza della pace. Il Papa è stato molto vicino a quel popolo in
questo processo di pace, ha sempre rivolto parole di incoraggiamento ad andare avanti, i bambini si sentono
in prima fila come strumenti di questa pace ed hanno nel cuore la voglia di pace.
Effettivamente tutti sognano la pace! Tutti! Ogni colombiano sembra avere questo desiderio: che non sia
soltanto un sogno, ma una realtà in cui tutti possano vivere, ciascuno con la propria cultura e le proprie
diversità.
Un forte appello alla pace in tutti i paesi del mondo ove imperversa la guerra o situazioni di conflitto, da
parte di Papa Franscesco, nel suo discorso prima della solenne benedizione Urbi et Orbi dalla finestra
principale di San Pietro. Nel suo discorso Bergoglio ha ricordato tutte le zone dove imperversano le guerre a
partire dalla Siria, in particolare ha citato la martoriata Aleppo dove "troppo sangue è stato sparso". Subito
dopo l'"amata Terra Santa" perchè "Israeliani e Palestinesi abbiano il coraggio e la determinazione di scrivere
una nuova pagina della storia, in cui odio e vendetta cedano il posto alla volontà di costruire insieme un
futuro di reciproca comprensione e armonia". Il Papa ha quindi pregato per la pace in Iraq, in Libia,
nelloYemen, in Nigeria, in Sud Sudan e il Congo, e ancora, in America Latina in particolare una preghiera
per "l'amato Venezuela" e per il cammino di "dialogo e riconciliazione del popolo colombiano". Un richiamo
alla pace in 'Ucraina e per l'Estremo Oriente Myammar e le due Coree.
26 dic. Primi passi di Santos per entrare nella Nato
C’è allarme, nel suo annuncio natalizio ha
comunicato che la NATO ha accettato di iniziare
conversazioni ufficiali per mettere in marcia un
programma di cooperazione economica in
materia di intelligence e lotta al crimine
organizzato. Un obiettivo – ha precisato Santos
(nella foto a lato, il presidente colombiano Manuel Santos) –
«che ho perseguito fin da quando ero ministro
della Difesa. Già circa nove anni fa inoltrammo la
richiesta per un accordo di mutua cooperazione,
la massima istanza della Nato per i paesi che non
ne sono membri». II trattato contempla, in primo
luogo, l’accettazione dei programmi militari della
Nato, premessa per l’entrata a pieno titolo
nell’Alleanza atlantica.
Dalla Colombia, all’Honduras al Venezuela, le organizzazioni popolari si sono fatte sentire. Il governo
venezuelano ha diffuso un comunicato ufficiale per respingere il possibile accordo militare tra Santos e la
Nato, giacché viola gli accordi di pace dell’America del Sud. La Comunità degli stati latinoamericani e
caraibici (Celac) e la Unasur, di cui anche la Colombia fa parte, ha infatti dichiarato il continente «zona di
pace», e così ha fatto il Movimento dei paesi non allineati a settembre nell’isola di Margarita, in Venezuela,
presieduto da Nicolas Maduro. «Il governo venezuelano si oppone con fermezza all’intento di introdurre
fattori esterni che hanno potenza nucleare nella nostra Regione, le cui azioni passate e recenti indicano
politiche di guerra, violentano gli accordi bilaterali di cui la Colombia fa parte e i principi di Bandung».
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Gli accordi sulla sicurezza, l’interscambio di informazioni e formazione di giudici e personale militare alla
lotta alla criminalità organizzata è emerso anche in un recente incontro organizzato dall’Ila alla Farnesina,
alla presenza degli alti comandi dei Carabinieri e della Finanza, di Procuratori e di alcuni governi
centroamericani: ove la rimozione delle cause (l’ingiustizia sociale) è ovviamente rimasta sullo sfondo.
Intanto, in Colombia, dove va avanti con procedura d’urgenza l’approvazione degli accordi di pace con la
guerriglia, è anche passata una riforma tributaria di stampo neoliberista, che taglia le tasse alle grandi
imprese, ma aumenta l’Iva dal 16 al 19%.
27 dic. I rapimenti in Colombia sono diminuiti del 92 per cento in 15 anni
L'accordo di pace con le Farc secondo la polizia colombiana ha contribuito a questo storico risultati. La
polizia colombiana ha riferito che il numero di persone rapite nel paese è sceso del 92 per cento dal 2000 a
oggi. Nel 2016 sono state rapite 188 persone. I gruppi a
tutela dei diritti umani riferiscono che almeno 33mila
persone sono state sequestrate nel paese dal 1970.
L'accordo di pace con il principale gruppo ribelle della
Colombia, le Farc, conclusosi qualche mese fa e una
maggiore sicurezza hanno portato a questo storico
risultato secondo gli alti funzionari della polizia.
Le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, Farc,
che per anni sono state famose per i rapimenti e per aver
tenuto in ostaggio nella giungla centinaia di persone per
lunghi periodi di tempo, non hanno rapito una sola
persona nel 2016.
I ribelli delle Farc erano soliti eseguire sequestri di civili
su larga scala a scopo di estorsione.
Il capo della polizia colombiana, il generale Murillo, ha riferito che l'88 per cento dei sequestri avvenuti nel
2016 erano stati commessi da "criminali comuni" che non appartenevano né alle Farc, né al secondo gruppo
ribelle della Colombia, l'Esercito di Liberazione Nazionale (Eln). L'11 per cento dei sequestri è stato
effettuato da bande criminali organizzate e solo il restante 1 per cento è stato commesso dall'Eln.
L'Eln si è recentemente scontrato con il governo per essersi opposto al rilascio dell'ultimo dei suoi ostaggi.
Il gruppo ribelle marxista avrebbe dovuto avviare colloqui di pace esplorativi con il governo nel mese di
ottobre, ma la riunione è stata annullata dopo che l'Eln si è rifiutata di liberare l'ex membro del Congresso,
Odino Sanchez, prima dei negoziati. Il gruppo ribelle dice che lo rilascerà nel corso della prima tornata di
colloqui ma il governo insiste nel dire che deve essere liberato prima che le due parti si siedono al tavolo dei
negoziati.
È adesso il Messico a detenere il primato dei paesi latino americani con il più alto numero di persone
sequestrate a scopo di estorsione. Il governo messicano dice che ci sono circa mille rapimenti all'anno, ma un
sondaggio da parte dell'Istituto Nazionale di Statistica e Geografia messicano sostiene che il numero sia
invece di circa 64.500 sequestri.
28 dic. Dalla Colombia al Congo, ecco la nuova geopolitica del Vaticano di Papa Francesco
Sarebbe esagerato dire che la foto che ritrae insieme, seduti l’uno vicino all’altro, Manuel Santos (presidente
della Colombia) e Alvaro Uribe (suo predecessore nel medesimo incarico), farà la storia. Ma il fatto che
davanti a loro ci fosse il Papa e la location fosse la Biblioteca del Palazzo apostolico vaticano, mostra ancora
una volta quanto la Santa Sede (nel presente pontificato) intenda giocare un ruolo politico ben definito nello
scacchiere globale. Santos e Uribe erano amici quasi fraterni, poi il dissidio sul negoziato con le Farc ha
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alimentato tensioni e procurato la rottura. Santos deciso a compiere ogni passo – anche a costo di cedere
qualcosa – per raggiungere l’intesa, Uribe contrario a concessioni e a una pace che a suo dire avrebbe molto
dell’appeasement.
Non è un mistero che la Santa Sede
appoggi (e abbia appoggiato) ogni
sforzo di Santos, compreso il
referendum confermativo di qualche
mese fa clamorosamente bocciato dalla
popolazione locale. La strategia della
diplomazia vaticana è sempre la
medesima: nessuna ingerenza, si
interviene solo se invitati a partecipare
al tavolo negoziale. E’ andata così
anche nel caso colombiano. Nell’aprile
del 2015, furono le Forze armate
rivoluzionarie del paese sudamericano
(le Farc appunto) a chiedere
l’intervento del Pontefice per
propiziare la pace. L’idea, poi senza
seguito, era di un incontro a Cuba (in terreno neutrale) durante il viaggio a Cuba del settembre successivo.
Il Vaticano aveva prontamente smentito l’ipotesi di un incontro a tre sull’isola caraibica, pur ammettendo
che la presenza di un esponente della conferenza episcopale colombiana ai colloqui sarebbe stata possibile.
Lo scorso aprile, perdurando lo stallo, il capo delle Farc aveva preso carta e penna e scritto direttamente a
Francesco, chiedendo un nuovo intervento del vescovo di Roma perché “la pace è a rischio”. “Pensiamo –
scriveva il capo delle milizie riferendosi ad altre mediazioni papali – che la chiesa potrebbe dispiegare uno
sforzo analogo in Colombia, dalla più umile parrocchia alla più alta gerarchia, e risvegliare nel cuore di
quanti sono confusi la forza della pace e della riconciliazione”. Da qui al colloquio della scorsa settimana, il
passo è stato breve.
Ma sarebbe errato e superficiale legare questo “interventismo” della Santa Sede come logica conseguenza
dell’appartenenza culturale del Papa alla realtà latinoamericana. Analoga mediazione, infatti, il Vaticano la
sta portando avanti in un altro delicato contesto, quello della Repubblica Democratica del Congo, il più
grande paese africano. I fatti: il presidente Joseph Kabila, giunto al termine del suo secondo mandato, non
può più ricandidarsi, ma da mesi si rifiuta di convocare le elezioni per la scelta del successore.
“Lo farò quando saranno pronte le liste del corpo elettorale”, ha fatto sapere. Si tratta però, secondo le
opposizioni, di una chiara volontà di posporre sine die il voto, dal momento che l’ultimo censimento nel
paese risale al 1983. Il rischio concreto è che si torni indietro di quindici anni, quando terminò la guerra
civile che lasciò sul terreno almeno cinque milioni di morti. Ecco perché la Santa Sede, su richiesta, è
intervenuta.
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Proprio pochi giorni fa, infatti, il Papa ha ricevuto in Vaticano il presidente della Conferenza episcopale della
Repubblica democratica del Congo, mons. Marcel Utembi Tapa, accompagnato dal vicepresidente, mons.
Ambongo Besungu. “Il Papa ci ha accolto con grande gioia. La prima cosa che abbiamo notato è stata che il
Papa segue la nostra situazione già da tempo. Sapeva più o meno quello che sta accadendo lì da noi. La
prima cosa che ha detto – ha spiegato mons. Besungu – è stata l’assicurazione della sua preghiera. Poi, il suo
incoraggiamento è stato per il lavoro che noi, Conferenza episcopale, stiamo facendo per aiutare i politici a
dialogare, e trovare una soluzione alla crisi di oggi”. Domenica scorsa, poi, Francesco aveva lanciato
all’Angelus un appello per il Congo”.
29 dic. Il Vescovo di Cucuta (Colombia): “Fornire aiuti umanitari a venezuelani in
difficoltà”
Il Vescovo della diocesi colombiana di Cucuta, Mons.
Víctor Manuel Ochoa Cadavid, ha esortato le autorità
statali colombiane a fornire aiuti umanitari al popolo
venezuelano, ricordando che il Venezuela sta
affrontando una grave crisi economica e per questo
motivo molti venezuelani cercano di provvedere alle
loro necessità di base in Colombia, a dare loro una
mano, e la nostra regione deve aiutare i fratelli
venezuelani.
Nelle dichiarazioni fatte a Radio Caracol per il Natale,
ha evidenziato che nella sua diocesi c'è il sostegno di
tutte le chiese e in particolare quello della pastorale
sociale, che porta avanti iniziative per contribuire alla
soluzione dei "problemi sociali che interessano la città di Cúcuta e l'area metropolitana".
"Vediamo ogni giorno aumentare il flusso di persone in precarie condizioni, e questo ci preoccupa. E' vero
che è necessaria una soluzione democratica nel paese vicino (Venezuela), ma per ora ciò che possiamo fare è
fornire tutti gli aiuti umanitari possibili a queste persone in difficoltà" ha concluso.
Cúcuta, alla frontiera con il Venezuela, è una città della Colombia di 742.000 abitanti, capoluogo del
dipartimento di Norte de Santander, nella parte nord-orientale del paese. In molte occasioni i Vescovi di
Cucuta (Colombia) e San Cristobal (Venezuela), rispettivamente Mons. Ochoa Cadavid e Mons. Moronta
Rodríguez, hanno sollecitato le autorità competenti a risolvere in tempi brevi la crisi che colpisce i
venezuelani.
30 dic. Guatemala. I maya invocano la pace attraverso un antico
rituale
In occasione della commemorazione del ventesimo anno dalla firma degli Accordi di
Pace nel Paese, un gruppo di leader spirituali maya di diverse località del Guatemala si
è radunato nel sito archeologico Kaminal Juyú, nella capitale, per invocare, attraverso
un rituale maya, la pace, l’accordo e l’armonia tra i guatemaltechi.
La firma degli Accordi di Pace pose fine a un sanguinoso conflitto interno durato 36
anni (1960-1996) durante il quale si registrarono oltre 250 mila vittime, tra morti e
scomparsi. Tuttavia, nonostante la firma degli accordi, le cause che originarono il
conflitto armato nel 1960, come povertà e disuguaglianza sociale, persistono ancora.
Dei 16 milioni di abitanti del Paese centroamericano, il 59,3 % vive sotto la soglia
della povertà. Secondo le cifre ufficiali il 79% degli indigeni risulta povero, mentre tra
i meticci è il 46,6 %.
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31 dic. Colombia. anche il Senato approva all'unanimità sull’amnistia per guerriglia e
militari
Una legge "storica". Così il governo colombiano ha commentato l'approvazione dell'amnistia da parte del
Senato: "il primo passo per consolidare la pace", ha detto Santos, insignito del Nobel per aver portato a casa
la firma degli accordi con la guerriglia marxista delle Farc. Il testo prevede un trattamento giuridico speciale,
amnistia e indulto ai componenti delle Farc accusati di reati politici, e riguarda anche i militari.
Esclude dai benefici i responsabili di delitti di lesa umanità, genocidio, violenze sessuali, tortura ed
esecuzioni extragiudiziarie. Chi confessa i crimini più gravi davanti a un tribunale speciale che dovrà
presiedere alla giustizia di transizione, potrà accedere alle pene alternative al carcere. Se non accetta e viene
ritenuto colpevole, dovrà scontare una pena che va da 8 a vent'anni
Entro il 30 gennaio si saprà quanti guerriglieri verranno esclusi dalla disposizione di legge. Gli agenti dello
Stato o i civili responsabili di violenze nel conflitto armato (che dura da oltre cinquant'anni) interessati
dall'amnistia sarebbero circa 5.000, e circa 1.200 quelli che uscirebbero dal carcere. Il Senato ha approvato la
legge con 69 voti a favore e nessun contrario. In precedenza, l'amnistia era passata alla Camera con 121 voti
a favore e nessuna opposizione.
L'estrema destra del Centro democratico, diretto dall'ex presidente Alvaro Uribe, in prima fila contro gli
accordi di pace, ha partecipato alla discussione in entrambe le Camere, ma è uscito dall'aula al momento del
voto. Le Camere hanno deliberato in sessione straordinaria, in base a una procedura d'urgenza (fast track)
stabilita il 24 novembre scorso, al momento della firma dell'accordo rivisto, dopo la bocciatura al referendum
voluto da Santos. Ora l'ultima parola spetta alla Corte Costituzionale la cui decisione verrà ratificata da
Santos.
Potrà allora cominciare la smobilitazione dei circa 5.700 guerriglieri che avevano bloccato il processo di
rientro nella vita politica a causa dei ritardi nell'approvazione della normativa. Ora potranno trasferirsi nelle
26 zone stabilite dagli accordi, in attesa che si apra davvero la fase del post-accordo. Un percorso tutt'altro
che lineare in un paese che, in America latina, gioca lo stesso ruolo di Israele in Medioriente. Un ruolo che,
se i decisori rimangono gli stessi, avrà una ulteriore accelerazione con la firma degli accordi di partenariato
con la Nato, annunciata da Santos. E resta in sospeso l'accordo con l'altra guerriglia storica, quella guevarista
dell'Eln, che ha auspicato la ripresa dei negoziati.
31 dic. Venezuela: 30 persone in ostaggio dei rapitori in un monastero
L'irruzione è avvenuta in pieno giorno, poco dopo pranzo mercoledì scorso ma la notizia è stata diffusa solo
nella notte tra giovedì e venerdì. Un commando di uomini armati e incappucciati ha assaltato il monastero
trappista di Nuestra Señora de los Andes. La struttura è situata in un luogo impervio, fra le gole dei monti tra
Canagua e Vigía, nello Stato occidentale di Mérida. È un’oasi di silenzio e preghiera, in cui venezuelani da
tutto il Paese si recano per trascorrere qualche giorno in ritiro. Al momento della rapina, c’erano trenta
persone, tra religiosi e ospiti. Sono tutti rimasti in ostaggio dei malviventi per diverse ore, senza che la
polizia intervenisse, nonostante le numerose richieste di aiuto. Uno dopo l’altro sono stati malmenati,
imbavagliati, legati con nastro adesivo e derubati. Poi, sono stati rinchiusi nelle celle mentre i banditi
rovistavano dappertutto, portando via qualunque cosa trovassero, dai computer ai mobili, ai sacchi di caffè
prodotto dai frati.. Gli agenti di polizia hanno detto di non aver potuto raggiungere il monastero poiché non
hanno mezzi di trasporto. Alla fine, alcuni privati – avvertiti da Nuestra Señora de los Andes – sono andati a
prenderli e li hanno portati sul posto.
La recessione nel Paese ha fatto impennare il tasso di criminalità. La rapina, al di là degli aspetti grotteschi,
mette in luce il dramma venezuelano, in cui la feroce recessione ha fatto schizzare alle stelle il livello di
criminalità. Con 92 omicidi ogni 100mila abitanti – secondo l’Osservatorio sulla criminalità –, il Paese ha
ottenuto il tragico secondo posto dei più violenti al mondo, dopo El Salvador.
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