La Chiesa greco-russa

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La Chiesa greco-russa
associazione culturale Larici – http://www.larici.it
Louis Léouzon Le Duc
La Chiesa greco-russa
18531
1 L. Léouzon Le Duc, L’Église gréco-russe, in La question russe, Paris 1853, pp. 39-96.
Traduzione dal francese e note (N.d.T.): © associazione culturale Larici, 2008.
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I
Definizione della Chiesa russa – Conversione della Russia al cristianesimo – La Russia
cattolica – Feudo della Santa Sede – La Chiesa russa si separa da Costantinopoli –
Patriarcato di Mosca comprato a peso d’oro – Immunità del patriarca russo – Ammirazione e
culto della forma – La Chiesa russa, istituzione morta – Libri teologici – Educazione religiosa
dei Russi – Dio e lo zar – Principio della vita morale.
«Che cos’è la Chiesa russa? È la Chiesa cattolica ridotta allo stato della
pietrificazione». Così si esprimeva un giorno padre Lacordaire dall’alto del
pulpito di Notre-Dame2. Queste parole sono di una profonda verità.
Transfuga della Chiesa di Roma, imitatrice servile della Chiesa di
Costantinopoli, la Chiesa russa non ha avuto altro scopo, almeno sembra,
soprattutto da tre secoli, che quello di soffocare poco a poco il principio che
la vivificava alla sua origine, per arrivare a questo triste letargo in cui oggi
langue. Cosa significa il titolo di ortodossa di cui si agghinda con tanto
orgoglio? Lo chiedo invano alla storia. Ciò che la storia mi insegna è che
nell’867 il patriarca bizantino Ignazio, che viveva allora in perfetta armonia
con il pontefice romano, inviò missionari in Russia per lavorare alla sua
conversione3; ciò che la storia mi insegna è che nel 980 Vladimir il Grande,
primo granduca della Russia, dopo la principessa Ol’ga, che aveva
abbracciato solennemente il cristianesimo, ricevette il battesimo dalle mani
del vescovo greco di Cherson4. Ma, nell’867 e nel 980, qual era la fede che i
Russi consideravano ortodossa? Evidentemente quella che professavano. Ma
questa fede, qual era se non la fede cattolica pura, se non la fede romana?
So che gli storici russi, accumulando tenebre attorno alla culla della loro
conversione, hanno cercato di persuadere il mondo che la loro Chiesa
derivava direttamente e originariamente soltanto da Fozio. La storia,
fortunatamente, parla di più di questi storici.
Era quella la questione di Fozio nell’867? No: Fozio non appare che
nell’880. Era quella la questione nel 980? Ancora no: in quel tempo la
Chiesa di Costantinopoli ebbe una fase di quiete; viveva allora nell’oblio
delle prodezze di Fozio, senza che nulla potesse disturbare le sue buone
2 Henri-Dominique Lacordaire (1802-1861), autorevole esponente del cattolicesimo liberale,
tenne i quaresimali del 1835 e 1836 nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, riscuotendo
gran successo. In seguito ottenne il ristabilimento in Francia dell’ordine domenicano del
quale entrò a far parte pronunciando i voti a Viterbo nel 1840. (N.d.T.)
3 Cfr. le prove citate nell’opera di un prete dell’Oratoire, intitolata Vicissitudes de l’Eglise
Catholique des deux rites, en Pologne et en Russie (Vicissitudini della Chiesa cattolica dei
due riti, in Polonia e in Russia), A Sagnier e Bray, 1813, t. 1, pp. 2 e ss.
4 Il battesimo di Vladimir e della Rus’ avvenne nel 988, non nel 980, e il primo tentativo di
conversione della Rus’ fu una lettera enciclica del patriarca Fozio datata 867, ma poi Fozio
fu deposto (dall’867 all’887) e solo quasi un secolo dopo la reggente Ol’ga di Kiev andò a
Costantinopoli e fu ripresa la questione religiosa. (N.d.T.)
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relazioni con Roma; è solamente sessanta anni più tardi che Michele
Cerulario riprese nuovamente l’opera dello scisma per consumarla senza
ritorno5.
Tuttavia non bisogna credere che, a quell’epoca, la Chiesa russa si
lasciasse rimorchiare dalla Chiesa bizantina. A lungo restò fedele a quel
rispetto che testimoniava fin d’allora la sua origine nella Santa Sede. Con
questa, manteneva una corrispondenza frequente, chiedeva consigli, e,
benché dipendesse gerarchicamente da Costantinopoli, sembrava avesse a
cuore di attingere dalle fonti di San Pietro la purezza dei dogmi, le norme
della disciplina canonica e lo splendore della fede. Non vediamo, nel 1075, il
granduca Izjaslav chiedere aiuto e protezione a papa Gregorio VII contro le
invasioni di suo fratello Vseslav6? Il pontefice ristabilì tra loro una buona
armonia, confermò il primo nel possesso dei suoi Stati, garantendogli inoltre
l’alleanza della Polonia, e assegnò al secondo, in nome del principe degli
apostoli, la sovranità della Russia. Si sa che cosa significavano allora, nello
spirito dei popoli, queste solenni investiture che il superbo Ildebrando
conferiva ai padroni della terra.
Ma già i Tatari avevano invaso la Russia.
Piegati dalla più amara servitù, i Russi persero poco a poco la forza
d’animo; il fiore del loro carattere nazionale appassì. In tali condizioni, come
avrebbero potuto resistere all’influenza deleteria dei pontefici scismatici che
venivano da Costantinopoli? Politicamente e socialmente schiavi, lo
diventarono anche ecclesiasticamente: copiarono Bisanzio. Tuttavia, il
legame fu definitivamente rotto solamente alla fine del XV secolo.
Separata da Roma, la Chiesa russa volle anche affrancarsi da
Costantinopoli; in altri termini, volle darsi un patriarca che fosse nazionale e
indipendente. Ma ciò richiedeva il consenso e l’intervento del patriarca
bizantino.
Ecco il mezzo di cui si è servita per ottenerli.
All’epoca, ossia nel 1572, il seggio patriarcale di Costantinopoli era in
preda a impudenti rivalità. Geremia II, prelato di fede incerta, a volte incline
allo scisma di Fozio e a volte all’eresia di Lutero, occupò il seggio per primo.
Egli fu rovesciato da Metrofane, il quale dovette, a sua volta, cedere il posto
a Pacomio, quindi a Teolepto, due vescovi simoniaci. Il regno di questi ultimi
fu breve, Geremia II li scavalcò nuovamente e, dando a ciascuno una
pensione di cinquecento ducati, ottenne l’impegno di cessare ogni
concorrenza.
Un prelato che sa comperare così bene gli altri deve saper vendere se
stesso. Tale fu la riflessione che fece il granduca di Moscovia, o meglio Boris
Godunov, suo favorito e ministro. Egli invitò quindi Geremia a recarsi a
Mosca, e gli promise tutto l’oro ch’egli potesse desiderare, se conferiva la
5 Michele I Cerulario (1000-1059) fu patriarca di Costantinopoli dal 1043 fino alla morte. Lo
Scisma d’Oriente avvenne nel 1053, dopo anni di divergenze tra Michele e papa Leone IX.
(N.d.T.)
6 Cfr. l’opera suddetta, da pag. 10 a pag. 15 inclusa.
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dignità patriarcale a Job, appena eletto metropolita della città santa.
Geremia non pensò di rifiutare; comparve a Mosca in tutta la pompa della
sua sacrale dignità; e fu lui che, incoronando il patriarca nazionale della
Chiesa russa, ispirò lo spirito di forza e saggezza che, da quel momento,
formò quella Chiesa nella sua propria indipendenza e la liberò dall’antica
tutela. Meraviglioso spirito, in effetti, quello di Geremia II, e utile
soprattutto per fondare quell’ortodossia di cui la Russia se ne fa oggi titolo
d’influenza.
Tuttavia, il mercato del patriarca di Costantinopoli fu lontano dall’essere
ratificato dai suoi confratelli d’Oriente. In un sinodo che Geremia, al ritorno
nella sua metropolia, convocò a tal fine la maggior parte dei vescovi si
dichiarò contraria; per farli ragionare occorsero niente meno che l’intervento
dell’ambasciatore dello stesso granduca di Russia e gli sforzi insidiosi di
Melezio, patriarca di Antiochia, ingaggiato per tempo alla causa di Boris
Godunov. Del resto, poiché Geremia morì l’anno successivo, il granduca
attirò nelle mura di Mosca, ancora a peso d’oro, Teofilo, suo successore, che
confermò per la seconda e ultima volta la nuova istituzione7.
Tale fu l’origine del patriarcato moscovita, che dopo un secolo fu abolito
da Pietro il Grande. Ma quale fulgore gettò nel frattempo sulla Chiesa
ortodossa? Naturalmente, poiché ne avevano sostenuto le spese, i
granduchi se ne attribuirono i benefici e ne disposero secondo i propri
capricci. Infatti, tutti quei sovrani, che l’imperatore Nicola8 oggi chiama i
suoi gloriosi antenati, non riconobbero al patriarca di Mosca altre immunità
che l’onore di fungere da strumento al loro dispotismo e la facoltà di
muoversi secondo gli ordini dei loro ukase9. Inoltre, prima e dopo Pietro il
Grande, la Chiesa ortodossa non ha che affrettato la propria decadenza.
Staccatasi dal tronco originale da cui attingeva la linfa, si è a poco a poco
pietrificata, involvendosi, in mancanza di moto interno, in un affollamento di
cerimonie e formule vuote, sorta di feticismo che forse rivaleggia con quello
al quale si abbandonavano i Russi quando si inclinavano dinanzi a un blocco
di pietra o di legno.
Ecco ciò che, tutto considerato, fa ora della Chiesa russa soltanto
un’istituzione morta. La Chiesa cattolica si è distinta per prodigi di
civilizzazione, anche le chiese protestanti hanno emancipato il loro pensiero,
perché in queste Chiese c’è un intimo principio che esalta l’animo; la Chiesa
russa, al contrario, manca di slancio, attorno a essa tutto si atrofizza; e, se
si vuol fare un bilancio del suo progresso, vi si troverà, in aggiunta al
programma primitivo, una buona somma di segni di croce, di genuflessioni e
di prosternazioni, ma non una sola idea fertile, non una sola creazione che
carichi il movimento di intelligenza. La Chiesa russa può far da leva a una
Cfr. l’opera suddetta, pp. 47, 48, 49. – [Già dal 1448 il metropolita di Mosca e di Russia
veniva eletto senza l’approvazione di Costantinopoli. Geremia II ufficializzò tale situazione
nel 1589 con un decreto che nominava san Job primo patriarca di Mosca e di tutta la
Russia. (N.d.T.)]
8 Nicola I (1796-1855), zar dal 1825. (N.d.T.)
9 Dal russo ukaz, decreto legge. (N.d.T.)
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politica che abbruttisce, non da cornice a un culto amico della libertà umana
e dell’andamento spontaneo dello spirito.
Durante il mio soggiorno in Russia, mai una volta sono stato colpito
dall’inutilità di questo mucchio di formule che si è battezzato del nome di
Chiesa ortodossa! Nascosti nei libri sacri come in una necropoli murata, i
dogmi non escono mai per illuminare il popolo. Non è proibito ai preti 10 di
farne troppo spesso oggetto della loro predicazione, per paura che essi li
alterino? Vegliano su di essi come il drago della favola, senza capirne né lo
splendore né il valore. È vero che oggi si stampano alcuni libri di teologia,
ma sono solo compilazioni isolate, estratti falsificati, frutto di lavori solitari,
senza credito nel clero e senza influenza sulle masse. Una volta che il Russo
sa che Dio è Dio e che lo zar è il suo profeta, la sua educazione religiosa è
terminata. Lo si può riferire, per mantenerlo nelle vie della morale,
all’impulso di un naturalismo istintivo, che potrebbe essere fatto altrettanto
bene da un pagano che da un discepolo di Cristo.
II
Abbondanza di segni di croce e di genuflessioni – Ginnastica del culto – Immagini dipinte –
Santi russi frustati – Vecchi cadaveri canonizzati – Parola dell’imperatore Nicola – L’anziana
donna e la madonna miracolosa – San Metrofane e il tumore alla gola.
Dove vanno quel mužik, quel commerciante, quell’impiegato, che,
passando dinanzi a una chiesa, fanno un rapido voltafaccia, si aspergono di
alcuni segni di croce, curvano la schiena e mormorano macchinalmente tre
o quattro parole di preghiera? Uno va nel suo ufficio per derubare
l’imperatore, l’altro al suo bancone per fare i suoi comodi, il terzo va al
cabaret per ubriacarsi. Nessun legame, infatti, esiste tra i simboli della
Chiesa ortodossa e la virtù. È ginnastica, ecco tutto.
Credete, per esempio, che tutti quei santi incorniciati che ornano
invariabilmente le case russe, santifichino il luogo e i padroni di quel luogo?
Quei santi si trovano fin nei lupanari. È vero che in alcuni momenti, dopo il
segno di croce preliminare, si adombra loro il viso!…
Felici almeno quei santi che non incappano nella disgrazia di coloro che li
invocano! San Nicola fu pregato da un ladro di dargli man forte e, avendo
risposto solo flebilmente all’appello, venne implacabilmente fustigato.
Un giorno, nel governatorato di Pskov, se non erro, alcuni monaci
scopersero nei sotterranei del loro monastero un vecchio cadavere
rinsecchito. Lo si canonizzò, alcuni miracoli seguirono, e affluirono doni e
offerte ai pii reclusi. Venne una spaventosa siccità. Gli afflitti contadini
accorsero in massa al monastero per chiedere la pioggia, tentando, allo
10 In tutto il testo originale corre la distinzione: i “sacerdoti” sono cattolici occidentali e i
“preti”, o pope, gli ortodossi orientali. (N.d.T.)
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stesso tempo, di invogliare il miracolo con somme di denaro, che i monaci
dovettero apprezzare. La pioggia non venne. Furiosi e credendosi
imbrogliati, durante la notte i contadini scalarono le mura del monastero, si
introdussero nella chiesa e, tirato fuori il santo dall’urna, lo spogliarono
degli orpelli che lo ricoprivano e lo bastonarono.
Santi di questo genere non sono affatto rari in Russia. Un tempo se ne
scoprivano tutti i giorni: era una speculazione. Da allora, l’imperatore Nicola
si è mostrato molto meno rapido a canonizzare. Recentemente, poiché lo si
implorava per dei vecchi resti umani scoperti a Kazan’, che, a sentire quelli
che peroravano la causa, avevano almeno altrettanti titoli di tutti i
predecessori saliti agli onori dell’apoteosi, l’imperatore disse: «Bene, vada
ancora per questo, ma che sia l’ultimo!»
Questa difficoltà di procurarsi nuovi santi ha ispirato ad alcuni pope l’idea
di trarre maggior partito dagli anziani. Il pope di un villaggio del
governatorato di Jaroslavl’, dove sono rimasto a lungo, aveva nella sua
chiesa un’immagine di madonna11 che, benché rimasta fino allora
improduttiva, gli sembrò meravigliosamente adatta a fare la sua fortuna.
Illuse una vecchia donna malata, persuadendola che gli incubi notturni di cui
si lagnava erano altrettanti avvertimenti celesti, affinché chiedesse la
guarigione alla madonna. Di conseguenza, la vecchia non uscì più dalla
chiesa e ogni alleviamento delle sue sofferenze le sembrò un miracolo. Non
si tardò a circondare la madonna di enorme fama. I malati arrivarono da
ogni parte, perfino dal governatorato di Archangel’sk, e, con loro, regali di
ogni natura, cosa che faceva molto piacere al pope. Ciò durò oltre due anni.
L’uomo di Dio si arricchì, lui e la sua chiesa. Ma ecco che un monastero
vicino, anch’esso sfruttatore di madonne, si accorse che gli omaggi offerti a
quel pope arrecavano danno alle sue casse e se ne lagnò con il vescovo. Un
semplice prete poteva, agli occhi di un vescovo russo, avere ragione su un
intero convento? La madonna fu tolta della chiesa del villaggio e trasportata
nella cappella del prelato, il quale le proibì di fare altri miracoli.
Fra i santi da miracoli12 che la Chiesa russa celebra preferibilmente,
occorre citare san Metrofane. Non c’è servizio che questo santo non renda
all’umanità. Avete freddo? mettete un buona pelliccia e invocate san
Metrofane, improvvisamente un piacevole calore circolerà nelle vostre vene.
Avete il cuore tormentato? prendete una tazza di tè e invocate san
Metrofane, immediatamente recupererete la pace. Ecco un fatto più
importante. Nella parrocchia imperiale in cui si conserva il mantello di san
Metrofane, si trovava un individuo che soffriva terribilmente per un tumore
alla gola. Dopo aver esaurito invano tutte le cure offerte dalla scienza dei
medici, risolse di rivolgersi al santo. Si recò in chiesa, si inginocchiò dinanzi
alle reliquie del santo e invitò i sacerdoti del luogo a unire le loro preghiere
alle sue. Questi fecero di più: mentre il supplicante era prostrato a terra,
11 Nell’originale, Madonna (Madre di Dio) non è mai scritto con l’iniziale maiuscola. (N.d.T.)
12 Per mantenere il tono sarcastico dell’Autore, l’espressione non è traducibile con “santi
taumaturghi”. (N.d.T.)
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essi gli stesero sopra il mantello del beato. Sarà che le sofferenze erano
diventate improvvisamente intollerabili, sarà che una sorta di delirio aveva
afferrato il suo spirito, fatto è che il povero malato ebbe la tentazione di
suicidarsi. Ma di quali armi servirsi? Si infilò a poco a poco in gola un angolo
del sacro mantello. Prodigio! il malato ebbe un’espettorazione terribile,
sputò, sputò, è fu sanato. Penetrando in gola, il panno che aveva
ingurgitato gli aveva bucato il fatale tumore! Questo fatto è scritto in una
relazione ufficiale pubblicata in Russia. I sacerdoti lo raccontano al popolo, e
il popolo ci crede13.
III
Solo immagini dipinte ortodosse – Statue bandite – Immagini domestiche. – Posto d’onore
presso i contadini – Saluto ai bog – Il lapidario devoto e furfante – Talismani sacri.
Queste immagini, che i Russi moltiplicano con così gran sfarzo nelle loro
chiese e all’interno delle loro case, sono dipinte su tessuto o su legno. Mai
statue né rilievi, la Chiesa russa li vieta in quanto eterodossi. Tutto ciò che
permette è di coprire le immagini più preziose con placche d’oro o d’argento
incise, in modo da lasciar scoperte solo la testa e le braccia dei personaggi.
Ciò produce un effetto bizzarro.
Si incastonano sui loro quadri pietre fini, anche diamanti. Pochi nobili e,
soprattutto, pochi commercianti non hanno queste immagini sfarzose
sospese a uno degli angoli del loro salone o della camera da letto.
Nelle isbe o capanne dei contadini russi, il posto d’onore è nella piccola
cappella che accoglie le immagini di famiglia; sotto si fanno accomodare le
persone rispettabili e gli ospiti di riguardo. Ho sempre visto i mužik
indignarsi vivamente quando non si ha l’aria di comprendere le loro cortesie,
ma lo sarebbero ben di più se, entrando da loro, non si indirizzasse il primo
saluto al loro santo. Questo è, del resto, l’uso generale nelle case russe: i
bog14 prima di tutto. Ciò non impedisce di fare in loro presenza delle cose in
cui la perfezione cristiana è tristemente arrischiata, ma questi bog ortodossi
sono così indulgenti!
Durante una mia missione in Russia nel 1846, ricevevo spesso un
lapidario di Peterhof, che mi portava campioni lucidati di porfido, malachite,
diaspro, topazio e altre pietre fini della Siberia. Entrando nella mia camera,
egli aveva sempre un’aria inquieta; il suo sguardo girava a destra e a
13 San Metrofane (o Mitrofane; 1623-1703) fu vescovo di Voronež dal 1682, dove fece
edificare nuove chiese e sottopose a violente persecuzioni i Vecchi Credenti. Dal 1830 si
diffuse il suo culto e furono rese note numerose guarigioni avvenute presso la tomba, per
cui fu canonizzato nel 1832. (N.d.T.)
14 In russo bog significa “dio”, più avanti nel testo si intendono le immagini sacre, le icone.
(N.d.T.)
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sinistra, e non si decideva a salutare fin quando sembrava aver perso la
speranza di trovare ciò che cercava. Gli chiesi un giorno da dove gli venisse
tale agitazione.
«Non gradite i bog?» mi rispose. Compresi. Il giorno dopo andai al bazar
della città e acquistai una bell’immagine. Quando il lapidario tornò a
trovarmi, la vide sospesa nell’angolo della parete di fronte alla porta. Il suo
viso si illuminò; ci fu un seguito di genuflessioni e di segni di croce così
rapidi, ma così rapidi che ne rimasi incantato.
«Ah! ah! eccoti contento» gli dico.
«Sì, certo; ora vedo che anche Vostra Signoria gradisce i bog.» Fu proprio
quel giorno che lo sciagurato scelse per ingannarmi con gran sfrontatezza.
Fra le pietre che gli comperai e gli pagai molto caro, si scoprì che più della
metà erano false. La presenza dei santi è dunque, per alcuni Russi, soltanto
di incoraggiamento alle mascalzonate?
Indipendentemente dalle immagini sospese in casa, i Russi ne portano
anche una attaccata al collo. Questa non la lasciano mai, la considerano un
sacro talismano e la loro fiducia in essa è così grande che la implorano in
tutte le circostanze della vita. Ma che essa si guardi bene dall’ingannare le
loro aspettative! Sappiamo a quale espiazione la condanneranno.
IV
Madonna itinerante – I monaci questuanti – Superstizioni strane – Appetito dei monaci russi
– Il popolo russo e l’ebbrezza – Sentimento dei nobili a questo riguardo – Cooperazione dello
Stato – L’ubriacatura principio di felicità.
Ho parlato delle madonne di convento. Ecco, su quest’argomento, un
episodio curioso. Era il 1850: passavo l’estate dal conte B., in una magnifica
terra del governatorato di Novgorod. Il grano era maturo, il raccolto volgeva
al termine. Al castello, si era dunque molto occupati, ma io, non avendo
alcun interesse al raccolto, mi annoiavo. Parlai di partenza.
«Dateci ancora qualche giorno – mi disse il conte B., – attendiamo
l’immagine dal monastero vicino, bisogna che la vediate». Un’immagine dal
convento! Cosa poteva avere di così attraente da trattenermi? Mi lasciai
convincere e non me ne pentii.
Dopo due o tre giorni, alcuni contadini dei dintorni arrivarono
annunciando che l’immagine aveva cominciato il giro e che, in
ventiquattr’ore, sarebbe giunta alla residenza padronale. Subito tutti si
agitarono: il pope pulì la sua chiesa, i contadini la loro capanna, il padrone
stesso fece dipingere a nuovo la facciata del castello. Il momento solenne
era imminente. I corrieri si succedevano di minuto in minuto. «Eccola!
eccola!» Con i figli del conte B., salii sul campanile della chiesa per vedere
ciò che succedeva. Scorgemmo, ad alcune centinaia di passi, una spessa
nuvola di polvere, attraverso la quale scintillavano di tanto in tanto l’argento
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di una croce greca e la porpora di uno stendardo. Un’ora dopo, la
processione svolgeva sotto i nostri occhi il suo interminabile serpente.
Scendemmo per andarle incontro. Il pope era già sulla scalinata della
chiesa, circondato dal clero, al quale si era aggiunto il conte B. ornato di
decorazioni e accompagnato da alcuni gentiluomini russi suoi amici, invitati
per l’occasione. Ci mescolammo alla processione. Le campane
scampanavano, i contadini urlavano gli urrà.
Ben presto la processione arrivò. In testa marciava una truppa di
mendicanti discinti, poi una decina di monaci, boccheggianti e coperti di
sudore, croci, lanterne, insegne, zoppi, ciechi, sordi, tutte le infermità della
terra; infine, su una portantina sorretta da contadini, l’immagine, che
rappresentava una madonna, incorniciata da una nicchia d’argento
tempestata di emblemi. Cinque o sei carri chiudevano la marcia. L’immagine
fu introdotta nella chiesa e posta in mezzo alla navata. Chi potrebbe
descrivere la scena che avvenne? Non c’era devozione, era frenesia. Tutti si
precipitarono sotto la nicchia, ognuno voleva baciare l’immagine, almeno
toccarla. Al contempo, ciechi, sordi e zoppi facevano salire i loro gemiti cupi,
mentre all’esterno risuonavano le scariche dei moschetti, che si
mescolavano all’incessante scampanio delle campane.
Terminato l’ufficio divino, l’immagine fu tolta e la processione marciò
verso il castello, ma stavolta non erano più i contadini a reggere la
portantina, era il conte B., aiutato dai figli e dagli amici; nemmeno io potei
dispensarmi dal dare loro una mano. Arrivata alla porta d’onore, la folla si
fermò, rispettosa, ed entrarono nel castello soltanto l’immagine, i suoi
portatori, il clero e i monaci. Là cominciarono nuove preghiere, nuovi canti,
cui il popolo rispondeva dall’esterno, cercando di godere della cerimonia
dalle finestre e baciando piamente i muri che celavano l’oggetto sacro. Tutte
queste devozioni durarono almeno due ore.
In seguito, i monaci uscirono per fare la questua: compito facile, poiché
alcuni contadini del conte B. gettavano nei loro carri dei polli, altri dei
prosciutti o quarti di montone salati, altri ancora del grano o altre derrate.
Quanto al conte, pagò la sua elemosina in argento. In tal modo, i monaci
incaricati di far viaggiare l’immagine santa facevano a meraviglia gli affari
del loro convento. Attorno a me dicevano che ogni giro annuale, nei villaggi
della loro zona, fruttava ai monaci oltre centomila franchi.
Terminata la questua, il conte B. fece avvisare i monaci che il pranzo era
servito. Essi si affrettarono a stringere i cordoni della loro borsa e a
chiudere i carri, e si recarono nella sala da pranzo. Un monaco russo è un
gigante dell’appetito; ha soprattutto una capacità di bere di cui nessuno ne
conosce il limite. Coloro che il conte B. aveva appena invitato alla mensa
avevano già bevuto alla vigilia da un padrone delle vicinanze, a loro dire,
ventitré bottiglie di birra, dodici di kvas15 e due bollitori di tè di quasi dieci
litri ciascuno.
Sentendomi poco disposto a essere testimone delle loro imprese, uscii
15 Tipo di birra fatta con farina di segale e orzo mescolata ad acqua.
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per vedere ciò che succedeva all’esterno. Alcune tavole erano state
sistemate su uno spiazzo di fronte al castello e i servitori del conte le
avevano coperte di carni fredde, pane e birra, destinati ai poveri e ai malati
che componevano il seguito dei monaci. Tutto fu divorato in un batter
d’occhio e io ammirai come tutti quegli infelici, che poco prima in chiesa
producevano solo lugubri gemiti, avessero uno stomaco così elastico e
zelante. Da parte loro, anche i contadini del villaggio fecero festa. La sera, i
monaci, distesi su divani o materassi, ronfavano come mantici di fabbri; i
poveri, i malati, i contadini, sparsi sull’erba dei campi, erano totalmente
ubriachi. L’ubriachezza è, in Russia, il complemento obbligato di tutte le
feste popolari. Non soltanto i padroni non educano i loro servi, ma li
spingono al contrario: «A che pro, dicono, togliere a questa povera gente un
così grande elemento di felicità?» Lo stesso Stato li asseconda con
un’efficacia ammirevole: di tutti i diritti che avrebbe potuto arrogarsi sulle
loro terre, ha preso soltanto quello di stabilire dei cabaret16. Che paese
quello dove il popolo misura la durata della propria felicità in base alle ore in
cui divorzia dalla sua ragione!
V
I pope dediti all’ubriachezza – Che cosa impedisce questo vizio – Te Deum domestico –
Aspetto del pope russo, la sua ignoranza – Educazione nei seminari – Niente dispute – Punti
di controversia tra Chiesa greca e Chiesa latina – Infallibilità dell’imperatore – Il santo sinodo
e il generale di cavalleria.
Perché il popolo russo non dovrebbe inebriarsi? l’ubriachezza non è
santificata ai loro occhi dall’esempio dei preti, loro medici naturali? Tempo
fa, una comunità parrocchiale, di cui potrei dire il nome, aveva l’abitudine di
mettere il proprio pastore sotto chiave, dal sabato sera fino alla domenica
dopo mezzogiorno. Lo ritenevano un mezzo sicuro per fargli avere la testa
sgombra e i piedi fermi per la celebrazione della messa. È vero, però, che
non considerava la bottiglia che il pope, di tanto in tanto, nascondeva sotto
la veste.
Tale inclinazione del clero russo si mantiene indipendentemente dalla
passione personale, da un lato per le abitudini liturgiche, dall’altro per i
costumi popolari. In Francia e negli altri paesi cattolici, la chiesa è
pressoché il solo luogo aperto a ciò che io chiamo la preghiera ufficiale. In
Russia non ce n’è uno uguale. Chiunque è libero di trasformare, se gli piace
e quando gli va, il suo salone o la sua camera da letto in cappella e invitare
il clero della propria parrocchia a celebrarvi l’ufficio. Ciò si definisce: far dire
un Te Deum. I padroni sono molto prodighi di questo tipo di cerimonia. A
ogni evento importante capitato in famiglia, convocano i preti, li si chiama
16 L’imposta sull’acquavite forma, in Russia, il più forte reddito della corona.
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anche al momento della loro partenza per un viaggio o del ritorno. Allora
tutta la casa del padrone si riunisce in un salone, in cui si prepara, a guisa
di altare, una tavola coperta con una tovaglia bianca, e si fanno gli stessi
canti, le stesse genuflessioni, gli stessi segni di croce che nelle chiese. Non
saprei dire se il culto greco guadagni in dignità a svendersi così, di casa in
casa; ciò che è certo, è che la sobrietà dei suoi preti vi trova uno scoglio che
raramente riesce a superare, poiché, dopo l’ufficio domestico, si mangia e si
beve, ma succede spesso che il medesimo pope serva in uno stesso giorno
molte famiglie e si può immaginare in quale stato arrivi all’ultimo Te Deum.
Sono stato molte volte testimone di questo strano modo di implorare le
benedizioni del cielo, ma è soprattutto nelle feste di Pasqua che bisogna
vederne l’applicazione. In quei giorni, i preti non aspettano che sia richiesto
il loro ministero, vanno essi stessi dai loro parrocchiani. Non soltanto
invadono le case padronali, anche l’isba più malconcia non è al riparo dal
loro zelo. Occorre dire, tuttavia, che sono i benvenuti ovunque. Il contadino,
che presto o tardi avrà bisogno di loro, approfitta dell’occasione per
ingraziarseli; pensa, per esempio, che essi si mostreranno meno restii in
materia di dispense matrimoniali se il ricordo dell’accoglienza di cui sono
stati oggetto sarà molto piacevole. Perciò i pope trovano ovunque la tavola
apparecchiata; in loro onore l’acquavite cola a fiotti e ogni loro Te Deum ne
viene in gran parte spruzzato. Di isba in isba, di capanna in capanna, essi
cantano, mangiano, bevono. Quando cala la sera, rientrano a casa con lo
stomaco sazio e il cervello annebbiato: i misteri più santi si concludono
come le orge più ignobili.
Tuttavia, quando il pope non è ubriaco, offre una specie di maestosa
solennità. Quella lunga barba che scende fino al petto e quei lunghi capelli
fluttuanti che non hanno mai toccato il ferro gli danno un’aria da Cristo
onnipotente. Aggiungete una toga di ampiezza infinita, un alto berretto
foderato a forma di diadema, un rispettabile bastone pastorale, e avrete
un’idea dell’impressione che il pope russo potrebbe produrre sulle masse se
il suo stato morale rispondesse all’aspetto esteriore.
Un’altra cosa, una cosa triste, che colpisce inoltre nel ministro del culto
ortodosso, anche quando l’eccesso del bere non ha abbruttito i suoi tratti, è
l’espressione insignificante, che supera tutto ciò che si può immaginare. Il
più disgraziato per natura, il più povero d’intelligenza dei sacerdoti cattolici
porta sempre, almeno nella sua figura, una sorta di misterioso riflesso che
rivela in lui la coscienza della propria missione sovrumana. Nulla di simile
c’è nel pope russo. Pontefice di un culto morto, egli ne è l’immagine fredda
e muta. Del resto, quale ignoranza è la sua!
Se si escludono alcuni membri dell’alto clero, tutti appartenenti all’ordine
monacale, e alcuni religiosi che non superano mai la soglia del loro
convento, i preti russi sono, in generale, completamente sprovvisti
d’istruzione. Messi da giovani in seminario, apprendono la lingua slavone, il
canto, l’arte del segno di croce ortodosso e tutta la ginnastica della liturgia.
Quanto alla teologia e all’esegesi, essi ne sfiorano appena qualche principio.
Ma nessuna disputa. Chi dunque oserebbe discutere, in Russia, anche se in
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seminario17? I punti di controversia più vivaci che separano la Chiesa latina
dalla Chiesa greca non sono affatto consegnati al loro esame. Tutt’al più li si
permettono ad alcuni spiriti d’elite; quasi mai dai preti e dai nobili devoti si
ottiene un giudizio un po’ serio.
Indipendentemente dalla lotta del pane lievitato contro quello azzimo e di
alcuni altri corollari, si sa che la divergenza tra le due Chiese poggia, su tre
questioni principali: l’autorità del papa, il purgatorio e la processione dello
Spirito Santo. I greci non vogliono affatto un papa, non possono ammettere,
dicono, un uomo impeccabile 18. Rifiutano anche il purgatorio, mandando i
loro morti subito in cielo o all’inferno19, ma ciò non impedisce loro di pregare
per i defunti. Quanto allo Spirito Santo, anziché farlo procedere dal Padre e
dal Figlio, come i Latini, lo fanno procedere soltanto dal Padre.
Il conte B., di cui ho già parlato in occasione delle immagini itineranti, si
dilettava a provocarmi su queste questioni.
«Convenite – mi diceva, – che né i Latini né i Greci sapranno mai su che
cosa basarsi riguardo le relazioni dello Spirito Santo con le altre persone
della Santa Trinità. A che pro, quindi, farne un argomento di discussione?
Convenite ancora che la nostra dottrina sul destino dei morti è ben
preferibile alla vostra: non è meglio definire d’un colpo il loro destino che
lasciarli languire così a lungo in un inutile purgatorio? Riguardo al vostro
papa, tutti noi siamo coscienti della nostra fragilità ed essa si oppone
invincibilmente a ciò che reputiamo impeccabile.»
Se questo modo di discutere del conte B. non fosse altamente teologico,
dimostrerebbe almeno un certo spirito di tolleranza, una tendenza alla
17 Uno storico racconta, tuttavia, una discussione solenne che ebbe luogo nel 1554 tra il
patriarca russo e un prelato di un’altra comunione. È un fatto curioso da ricordare:
«Laurentius Petri, vescovo di Svezia, era stato inviato in Russia per un importante
negoziato. Pochi giorni prima della partenza da Mosca, il granduca lo invitò a intavolare, in
sua presenza, con il patriarca, una discussione erudita sulla religione. Laurentius
acconsentì; ma in quale lingua avrebbero parlato? Il granduca non sapeva né il greco, né
il latino, e l’inviato svedese molto poco il russo; il principe propose il tedesco, ma il
patriarca si rifiutò. Infine, dopo lunghe trattative, si fissò che si sarebbe discusso in greco
con l’aiuto dell’interprete. La quantità di interrogazioni metafisiche che Laurentius
indirizzò al patriarca fece sudare quest’ultimo a grandi gocce, mentre il povero interprete,
incaricato di rendere parola per parola la discussione al granduca, era in uno spavento
mortale. Non sapendo che cosa fare, né come uscire dall’imbarazzo, il patriarca diceva
tutto ciò che gli passava per la testa, usando frasi tanto leggere e poco adeguate a quanto
doveva esprimere che uno dei membri dell’ambasciata svedese, che conosceva bene
greco, latino e russo, scoppiò a ridere. Il granduca ne indovinò la ragione e fece
altrettanto, lo stesso fece il pubblico. La discussione finì lì e il povero interprete, più morto
che vivo, fuggì, felice di essersi liberato di un lavoro tanto difficile». Io mi domando che
cosa succederebbe oggi se Nicola mettesse alle strette uno dei suoi dottori con un nostro
teologo? La sua censura è già ora paralizzata dal terrore quando deve sforbiciare un’opera
dogmatica straniera in cui si mette in dubbio il problema dell’ortodossia russa!
18 Nel senso teologico di persona che non commette peccato.
19 È inesatto: per gli ortodossi, il giudizio definitivo dei defunti avverrà soltanto alla parusia,
alla seconda venuta di Cristo. La purificazione dai peccati si ha nella prova della morte
oppure attraverso l’intercessione della Chiesa, con la preghiera e le buone opere dei
fedeli. (N.d.T.)
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fusione. Solo sulla questione del papa egli si mostrava intrattabile; non ho
mai potuto fargli comprendere che egli si ingannava: i Latini non credono
all’impeccabilità del papa come i Greci, ma ne difendono l’infallibilità.
Contraddizione sconosciuta! Questi ortodossi, che canzonano così
amaramente coloro che credono nell’infallibilità del papa, vi salterebbero
alla gola se vi arrischiaste a sostenere che lo zar è soggetto all’errore. Ecco
chi è più forte. Tra i Russi, qual è, in materia religiosa, l’autorità suprema? Il
santo sinodo20, cioè un consiglio formato della vetta del clero, ma vi siede
accanto un rappresentante dell’imperatore, un procuratore il cui veto può
annullare o sospendere a piacimento ogni decisione del sinodo, pur se presa
all’unanimità. Chi credereste che sia questo procuratore? è un generale di
cavalleria, il generale Protasov21. Quanto al numero dei membri ecclesiastici
del santo sinodo, esso è indeterminato: l’imperatore è libero di riunire chi
più gli aggrada. Di solito, così è attualmente, il santo sinodo si compone di
un metropolita, di tre arcivescovi, di un vescovo, del confessore
dell’imperatore, di un archimandrita, del capo cappellano dell’esercito e
della flotta e di un arciprete. Inutile dire che, qualunque siano il merito e il
carattere personale di ciascun titolare, essi sono completamente sottomessi
al procuratore imperiale. Al santo sinodo, come ovunque, la volontà dello
zar è la sola torcia che illumina e la sola legge che dirige.
VI
Reazione dell’ignoranza dei preti russi sul culto – L’anziana devota e i duecento segni di croce
– Feste, digiuno e quaresime – Loro abbondanza – Loro rigore – Servi e nobili – Cuochi allo
stremo – Atroce fanatismo – I salvatori di anime.
L’ignoranza dei preti russi si riversa inevitabilmente sul culto. Ho già
parlato dell’abbondanza di segni di croce, di prosternazioni, di genuflessioni
che accompagnano ogni loro cerimonia. Un giorno, un’anziana devota di
Mosca mi domandò quante volte facessi il segno della croce nella mia
preghiera. «Dipende – le risposi, – una, due volte.» «Non è abbastanza! se
non fate di seguito almeno duecento segni della croce, la vostra preghiera
non vale nulla!» Così pensano, o almeno fanno, tutti i Russi. Entrate in una
chiesa all’ora della messa, quante evoluzioni di braccia, mani, gambe, teste,
schiene! Si direbbe un’assemblea di acrobati.
20 Anche qui viene differenziata la Chiesa (maiuscolo) cattolica occidentale dal santo sinodo
(minuscolo) ortodosso orientale. (N.d.T.)
21 Nei numeri del 24 e del 26 maggio, la Presse religeuse pubblica due articoli firmati La Fite
de Pelleporc, in cui l’ammirazione per il santo sinodo e l’organizzazione gerarchica della
Chiesa russa è entusiastica. Non mi fermo a confutare tutte le stranezze contenute, però
mi chiedo perché un giornale cattolico non esiti a aprire le proprie colonne a una
collaborazione che potrebbe riconoscere soltanto un giornale russo ortodosso.
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A queste pratiche esteriori, occorre unire le feste, le quaresime e i giorni
di magro. Da nessuna parte le feste sono così numerose come in Russia. In
un mese ne hanno persino dodici e senza contare le domeniche: è un
pretesto per riposare, per i dipendenti, e per ubriacarsi, per il popolo. Il
popolo celebra la maggioranza delle feste basandosi sulla fiducia al prete,
poiché ne sa solamente il nome. Quando, passando in uno di questi giorni in
un villaggio, incontrate un contadino che vacilla e che canta, chiedetegli
perché non lavora. «Eto prazdnik!» (è festa!) risponderà. «Quale festa?»
«Ja ne snaju! (non lo so!)»
Le quaresime e i giorni di magro sono i più conosciuti. La Chiesa russa
impone due giorni di magro la settimana, il mercoledì e il venerdì, e cinque
quaresime l’anno, in occasione delle solennità di Pasqua, di Natale, della
Pentecoste, dell’Assunzione e di San Pietro. Tutto ciò forma un totale di oltre
sei mesi, durante i quali i Russi ortodossi sono costretti al digiuno più
rigoroso. Non possono mangiare né carne, né uova, né burro, né latte. Il
popolo vive allora di pesce secco, d’olio di semi di canapa, di semolino e di
cavoli acidi. Ma sono press’a poco gli alimenti abituali durante tutto l’anno. I
nobili si dispensano generalmente dal magro settimanale e limitano quello
della quaresima all’ultima settimana. Ci si prepara molto in anticipo a
questo periodo di devozione, o almeno se ne parla. I più preoccupati sono i
cuochi, costretti come sono, nelle quaresime, a scervellarsi per trovare
ricette che, pur soddisfacendo la scrupolosa ortodossia dei loro padroni, non
affliggano troppo il loro stomaco.
Questo modo alla buona con cui i nobili russi trattano la regola
dell’astinenza, è raramente un argomento scandaloso per i servi, perché
essi credono che i loro padroni siano di un’altra natura e che, al bisogno,
siano i sacerdoti a mantenere tale credenza; quindi, i servi non trovano
stupefacente che anche il giogo della Chiesa pesi più leggermente sulla
testa dei nobili. È soltanto fra i servitori che risiedono nelle città – e hanno
qualche contatto con gli stranieri – che a volte si trovano spiriti meno
flessibili, ma mai essi si arrischierebbero a esternare le proprie idee: si
accontentano di sperare che un giorno la giustizia del cielo li vendicherà
delle ingiustizie sulla terra.
Tuttavia, sono esistiti alcuni contadini russi che hanno manifestato la loro
convinzione religiosa con atti del più atroce fanatismo. Si racconta che,
intorno a Smolensk, un viaggiatore, fermatosi un venerdì presso una
stazione di posta per cenare, chiese della carne. L’oste lo guardò con aria
cupa, e, poiché il viaggiatore insisteva, si affrettò a servirlo, ma, nel
momento in cui il disgraziato portò alla bocca il primo pezzo, gli abbatté
sulla testa un colpo d’ascia. La stessa cosa successe a un altro viaggiatore
che aveva chiesto della crema in un giorno di quaresima. Gli omicidi
sostennero che, assassinando le loro vittime, non avevano avuto altro scopo
che quello di salvarli da un peccato che avrebbe fatto loro perdere l’anima.
Questi due fatti sono avvenuti non più di quindici anni fa.
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VII
Comunione obbligatoria – Insignificanza del mistero agli occhi dei Russi – Confessione di
massa – Il pope, sua moglie e l’imperatore – Una storia terribile – Il sacerdote va soldato.
In Russia, la comunione che segue la grande quaresima può essere
considerata come un atto ufficiale. L’imperatore ci tiene particolarmente: chi
dunque oserebbe sottrarsi? Agli occhi di un russo, il timore di una disgrazia
o di un ritardo nel suo avanzamento è cento volte più efficace di tutte le
minacce dell’inferno, di tutte le promesse del paradiso. Per lui, peraltro, la
comunione è soltanto una cerimonia ordinaria: non vi attribuisce più
importanza di un segno di croce ben tracciato. Fin da poppante si è visto
portare alla santa tavola e, arrivato in età di comprendere la sublimità del
mistero, lui ne parla appena. Il russo non prova mai quelle dolci emozioni,
quei timori salutari, quelle virtuose aspirazioni che accompagnano il
bambino cattolico alla prima comunione e il cui ricordo lo segue fino alla
tomba. Ho conosciuto un nobile di San Pietroburgo, indubbiamente molto
devoto, che, tre giorni prima di quello fissato per la prima comunione dei
suoi bambini22, non aveva ancora pensato a informarli. Bisogna dunque
stupirsi se il dovere imposto dall’imperatore non ha altra portata agli occhi
dei suoi sudditi che quella di una semplice formalità?
Ciò che aggiunge gran valore alla comunione nei cattolici è la confessione
che la precede. Forse la confessione li preoccupa più della stessa
comunione, perché, alla fin fine, chi vuole confessarsi seriamente deve
pentirsi e modificarsi, ma ciò richiede una riflessione ed esige uno sforzo. Il
russo non è affatto tormentato da un simile timore. Che peso può dare alla
confessione? Da parte dei preti, la forma è irrilevante: non si vede
confessare in massa nelle chiese, interrogando a destra e a manca le
persone presenti, e, in base alla loro risposta positiva o negativa, versare su
tutto l’auditorio, senza altre cerimonie, una assoluzione generale23? Da parte
del popolo, i confessori, come i pope, non ispirano alcuna fiducia. Come
sperare che essi conservino fedelmente il segreto del sacro tribunale se
hanno nella loro moglie un eterno tentatore e nell’imperatore un padrone
che si crede in diritto di penetrare fino in fondo alla coscienza come Dio? Ho
inteso molte volte alcuni russi istruiti esprimersi su questa questione; tutti
concordavano nell’affermare che, da loro, una vera confessione era
impossibile. «Se alla fine – dicevano – non possiamo contare sul segreto,
non possiamo ovviamente confessare le colpe gravi e allora a che pro
22 Qui si parla della prima comunione che fanno i giovani russi, dopo la loro prima
confessione.
23 Gli ortodossi fanno una confessione completa dei peccati almeno quattro volte l’anno,
prima di comunicarsi, ma si usa far precedere la comunione da un’assoluzione
sacramentale, individuale o collettiva, che non sostituisce affatto la confessione completa
e vale soltanto per i credenti che si comunicano ogni domenica. (N.d.T.)
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confessare quelle leggere?»24
Ecco un esempio di violazione, da parte di un pope, del segreto della
confessione che mi sembra interessante citare.
Sotto il regno dell’imperatore Alessandro, una giovane donna di una
grande famiglia di provincia, si innamorò di un domestico al suo servizio ed
ebbe la sventura di diventare madre. Temendo la collera dei propri genitori,
fece sparire il frutto dell’errore e fu lo stesso amante che si incaricò di
compiere l’omicidio. Poco tempo dopo i genitori della ragazza morirono e il
servo cominciò a ricattarla, esigendo somme considerevoli sotto la minaccia
di svelare il suo disonore e la sua colpa. La giovane donna inizialmente
cedette, ma poi, stanca dell’ossessività del domestico, lo fece morire in un
incendio che causò intenzionalmente. Questo crimine, aggiunto al
precedente, le causò ben presto dei rimorsi intollerabili. Si recò quindi alla
chiesa parrocchiale e svuotò la coscienza ai piedi del prete. Questi raccontò
tutto a sua moglie, benché sotto il sigillo del segreto. Alcuni giorni dopo, la
donna fu invitata a un grande ballo. Brillante di ricchezza e di bellezza, era
l’oggetto di tutte le attenzioni, ma, d’un tratto, le si avvicinò la moglie del
pope, anch’ella fra gli ospiti, che apostrofò la ragazza brutalmente,
raccontando molto di ciò che era stato confessato al pope. Si gridò allo
scandalo. La giovane donna fu rinviata a giudizio, dove riconobbe ogni sua
colpa. Prima di condannarla, però, i giudici credettero loro dovere riferire la
causa all’imperatore. Alessandro restò indignato dal tradimento del prete, lo
sollevò dalle sue funzioni e lo mandò soldato in perpetuo. Quanto alla
giovane donna, lo zar fu toccato dalla sua sincerità e le impose soltanto una
penitenza di due mesi in un monastero, dopo i quali riuscì ancora,
nonostante i suoi precedenti, a fare un brillante matrimonio.
VIII
Non indelebilità dello stato sacerdotale in Russia – L’Ordine corollario del Matrimonio –
Infelice sorte del prete vedovo – Conseguenze della decadenza del prete in materia di
confessione – Dipendenza del clero russo – Il pope imbecille e l’imperatore Alessandro.
Un sacerdote va soldato! In questa misura c’è qualcosa che colpisce ogni
nostra idea cattolica. Non è, tuttavia, solamente una semplice applicazione
del codice ecclesiastico della Russia25. Con questo codice, il sacramento
24 Un nobile russo raccontava che, sotto Pasqua, era andato a confessarsi dal pope del luogo
dove si trovava la guarnigione presso cui stava prestando il servizio militare. Fu sincero e
scaricò la coscienza di cose, così gli sembrò, che scandalizzarono il pope. Questi, girandosi
bruscamente verso il soldato, gli chiese: «Amate l’imperatore?». Il penitente persistette
nella sua sincerità e rispose: «No!». Qualche tempo dopo, proprio a causa dei peccati
confessati, il nobile cadde in disgrazia e fu privato di ogni avanzamento di carriera.
25 Ecco, su questo argomento, le disposizioni dello svood (codice delle leggi russe):
1. A un sacerdote o a un diacono che desiderano rinunciare al loro stato, sono imposti tre
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dell’ordine non imprime affatto un carattere indelebile. Si permette al pope
di liberarsi del giogo dei voti e di rientrare nella vita civile quando gli piace e
con alcune formalità poco rigorose. Abbiamo visto che una condanna
criminale è sufficiente per fargli perdere, spiritualmente e temporalmente, la
virtù della consacrazione e ciò appare molto curioso. Nella Chiesa latina si
pratica l’esatto contrario. Innanzitutto il sacramento dell’Ordine esclude
perentoriamente quello del Matrimonio, mentre la Chiesa greca fa dell’uno
un corollario obbligato, l’elemento inseparabile dell’altro. In tal modo, in
Russia, nessun individuo può essere ordinato prete prima di essere sposato
e, per meglio indicare che il matrimonio è la base essenziale del sacerdozio,
il prete conserva le sue funzioni, e conseguentemente il proprio stato
sacrale, soltanto finché la moglie è in vita. Se ella muore, non può convolare
a seconde nozze, perché la Chiesa russa non ammette un prete coniuge di
due donne. Agli sfortunati vedovi non resta altra risorsa che quella di farsi
monaci o rientrare formalmente nella vita civile. È una triste istituzione
quella che subordina un principio tanto importante come il sacerdozio a un
fatto naturale di cui nessuno è responsabile e che priva violentemente della
propria vocazione un uomo ancora giovane, il cui unico crimine è di essere
sopravvissuto alla sua metà! San Paolo forse si stupirebbe di vedere
interpretato in questo modo il passaggio della sua epistola a Timoteo:
«Bisogna che il vescovo sia… non sposato che una sola volta». Ma non lo
sarebbe meno se cercasse nel pope russo le qualità che ha fissato nella
stessa epistola come segni distintivi del tipo sacerdotale26. La non
mesi di riflessione, durante i quali sono esortati a rinunciare alla loro intenzione.
2. Se, al termine dei tre mesi, essi vi persistono, possono, con l’approvazione del santo
sinodo, essere sciolti dai voti. In questo caso, si redige una relazione sul loro
cambiamento di condizione alla reggenza del governatorato al quale appartengono.
Tuttavia, affinché, per effetto dell’atto risolutorio del santo sinodo, il sacerdote e il diacono
rientrino immediatamente nella vita civile e ricoprano tutti i diritti acquisiti per nascita,
non possono occupare alcun posto ufficiale se non dopo sei anni per il diacono e dieci anni
per il prete. E non possono più riprendere i gradi e le decorazioni di cui usufruivano prima
della loro ingresso nel clero.
3. Qualunque prete o diacono che si trovi sotto sentenza o inchiesta non può essere
sciolto dai voti prima che la sua posizione sia liquidata.
4. Ogni membro del clero che abbia vizi, malversazioni o una cattiva condotta è rifiutato
nella vita civile; può soltanto entrare al servizio dello Stato in qualità di soldato: i diaconi
per dodici anni, i preti per venti. Quando il periodo è terminato, se la loro condotta è stata
buona, sono ammessi a presentarsi dove a loro conviene o dove abbiano diritto per
nascita o per rango.
5. I preti degradati per cattiva condotta restano soldati o, nel caso d’inettitudine al
servizio militare, esiliati nei governatorati più lontani dell’impero.
6. L’espulsione dal corpo clericale, di solito proveniente dalle autorità ecclesiastiche, è
decisa, in materia criminale, dai tribunali secolari.
26 Citerò interamente il brano dell’Epistola a Timoteo di cui si servono i teologi russi per
sostenere la loro organizzazione clericale: «È degno di fede quanto vi dico: se uno aspira
all’episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non
sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non
dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia
dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno
non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non
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indelebilità del sacramento dell’Ordine presso i preti ortodossi dà luogo,
relativamente al segreto della confessione, a conseguenze che non sono
affatto sfuggite alle classi che essi riflettono. Supponete, per esempio, che
l’imperatore voglia conoscere ciò che uno o l’altro dei nobili o dei dipendenti
ha confessato al suo pastore e che quest’ultimo, fedele al proprio dovere di
prete, si rifiuti di rivelarlo. L’imperatore avrà un mezzo molto semplice per
costringerlo: con un qualunque pretesto, lo punirà. Il discreto confessore,
non avendo nel suo stato più nulla che autorizzi gli scrupoli, si arrenderà
immediatamente, rivelerà come semplice cittadino, come semplice uomo,
tutto ciò che aveva nascosto come sacerdote. Non ho bisogno di dire che, in
generale, i pope russi mi sembrano molto poco disposti a provocare tali
eccessi d’autorità.
Non si può, infatti, immaginare lo spirito di dipendenza e di servilità di un
prete russo. Abituato a mescolare nella sua dottrina, come nella preghiera,
il nome dell’imperatore e il nome di Dio, finisce per confonderli anche nel
culto. Egli trema dinanzi all’uno come davanti all’altro, e più ancora dinanzi
all’imperatore che dinanzi a Dio. Sempre, ma soprattutto dall’epoca in cui il
patriarcato è stato annullato da Pietro il Grande, il clero russo è stato
sottomesso agli zar. Ogni tanto costoro li lusingano ed essi non lo
opprimono. Il clero russo ha la sensazione di questo giogo? Lo ignoro. Ma
cosa importa? Avrebbe la forza, il potere di liberarsene? Ciò che è fatto è
fatto; la roccia polverizzata non ridiventa marmo.
È d’uso, quando l’autocrate entra in una chiesa, che sia ricevuto dal pope,
il quale gli dà l’acqua benedetta e fa su di lui il segno della croce con la
mano destra che l’autocrate afferra e bacia. Una volta che l’imperatore
Alessandro era in viaggio nelle sue province dell’interno, ebbe la devozione
di visitare la chiesa di un villaggio. Fu ricevuto dal pope con il consueto
cerimoniale, ma all’atto della benedizione, il pope non osò tendere la mano
per ricevere il bacio imperiale. «Dà dunque la tua mano!» gli disse
sottovoce l’imperatore, ma il prete ancor più intimidito non si mosse. Allora
Alessandro, esplodendo di rabbia, esclamò: «Vuoi darmi la tua mano,
stupido (durač)?». Tremando, il sacerdote obbedì.
IX
Condizione materiale dei preti russi – Immunità del clero greco di Costantinopoli – Redditi e
incerti – Simonia – Decima.
sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa
condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori,
per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo». Cfr. Alexandre Sturdza,
Considérations sur la doctrine et l’esprit de l’Eglise orthodoxe (Considerazioni sulla
dottrina e lo spirito della Chiesa ortodossa), Weimar 1816, pag. 134. – [La citazione di
San Paolo è nella Prima lettera a Timoteo 3,1-7. (N.d.T.)]
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L’esempio riferito, cui se ne potrebbero facilmente aggiungere altri, dà la
misura del trattamento al quale i preti russi sono esposti, non solo da parte
del capo dell’impero, ma particolarmente dai nobili che usano i servizi delle
parrocchie.
Non è raro che i pope, quando sono chiamati dai nobili per qualche affare
riguardante la loro chiesa, siano investiti di rimproveri e congedati con il più
insultante dispregio; ciò non impedisce ai padroni, però, di richiedere
all’occasione la loro acqua benedetta, i segni di croce e il Te Deum27.
Come potrebbero, i pope, pretendere seria considerazione dai proprietari
delle loro parrocchie? Quando un uomo tiene il proprio pane nella mano di
un altro uomo, è molto vicino a esserne schiavo. Tale è la condizione dei
pope riguardo ai nobili. Da loro, i pope sono nominati ancor più che dal
vescovo diocesano e da loro ricevono gli elementi necessari all’esistenza
nelle località nobiliari in cui il pope vuol stabilirsi.
Ecco qual è la posizione del clero in un villaggio del governatorato di
Jaroslavl’, appartenente al conte B., dove ho soggiornato a lungo. Il villaggio
è servito da due preti, ai quali sono legati un diacono, quattro scaccini e un
cantore. Tutti sono sposati e padri di famiglia e ciò forma un complesso di
27 Obiettiamo fin d’ora lo stato di servilismo in cui è sprofondata la Chiesa greco-russa sotto
lo scettro degli zar, le immunità e i privilegi di cui usufruisce la Chiesa greca orientale
sotto lo scettro dei sovrani musulmani.
Il patriarca di Costantinopoli è il capo della nazione greca. Egli presiede il sinodo e giudica
sovranamente tutte le cause civili e religiose. Sotto la sua presidenza, lui e i dodici
metropoliti formano il sinodo, o grande consiglio della nazione, e sono un esempio di
harac, ossia di tassa personale. [Tra gli Ottomani, la parola harac indicava una imposta
generica, mentre kharaj o kharag era quella fondiaria, entrambe richieste alle popolazioni
sottomesse non musulmane. (N.d.T.)]
Gli arcivescovi e i vescovi sono membri di diritto dei consigli municipali, allo stesso titolo
dei governatori e dei mufti [sacerdoti musulmani (N.d.T.)].
Il patriarca e gli arcivescovi presiedono, nell’interesse della nazione greca, alla ripartizione
delle imposte.
Tutti i cadi [giudici turchi di grado inferiore (N.d.T.)] e tutti i governatori sono obbligati a
garantire l’esecuzione delle sentenze giudiziarie del patriarca che riguardano i cristiani del
rito greco. Sono pure obbligati a far eseguire le sentenze dei vescovi sui loro diocesani.
Devono, inoltre, dare man forte al clero greco nell’esazione delle tasse loro dovute e nel
recupero dei ricavi.
Il clero riceve da ogni famiglia un contributo annuale per il mantenimento del culto;
inoltre, celebra matrimoni, pronuncia divorzi, redige testamenti e percepisce per ogni atto
delle tasse considerevoli. Ha anche, in alcune circostanze, il potere di farsi intestare dei pii
legati.
Per qualunque giudizio, il patriarca e, come lui, tutti i metropoliti prelevano un diritto del
dieci per cento sul valore dell’oggetto controverso. Possono condannare all’ammenda, alla
prigione, alla flagellazione o all’esilio; hanno, inoltre, il diritto di scomunica, di cui ne
hanno fatto spesso uso.
Il patriarca, gli arcivescovi e i vescovi esigono un compenso dai preti cui affidano le alte
funzioni del ministero sacerdotale; a loro volta, questi preti ricevono una retribuzione dai
preti subalterni. Gli onorari dei tre patriarchi di Gerusalemme, Antiochia e Alessandria,
come pure dei trentadue arcivescovi e dei centoquaranta vescovi, sono considerevoli e
sono prelevati dall’ammontare dei contributi pubblici.
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trenta-quaranta persone. Al loro mantenimento non c’è solo il fondo
nominale, rappresentato da un valore di trentasei acri di terra, di cui il conte
B. paga la rendita in ragione di seicento rubli (seicentonovanta franchi). Il
conte aggiunge a questa concessione alcuni alloggi adatti per tutta la
colonia.
Simili mezzi sono indubbiamente piccoli, basterebbero al prete che
volesse vivere come il contadino presso il quale abita. Tuttavia, osserviamo
che il conte B., uomo illuminato e sinceramente religioso, è uno dei
proprietari che trattano meglio il clero. Se si considera un’eccezione rara
l’esempio che ho appena fornito, ci si può formare un’idea abbastanza
esatta dello stato generale dei pope di parrocchia in tutta la sua ampiezza,
non escludendo neppure coloro che servono i villaggi della corona.
Al reddito fisso che ottengono dai latifondisti, i pope aggiungono la
possibilità dell’incerto ed è qui che la loro cupidigia si libera. Siccome dopo
Pietro I la tariffa delle cose di Chiesa non è mai stata aggiornata e, di
conseguenza, in seguito alla variazione dei valori, le prescrizioni del
grand’uomo sono diventate totalmente inapplicabili, i pope non fanno altro
che fissare il prezzo delle loro funzioni a loro arbitrio e capriccio. La simonia
è per loro l’esercizio quotidiano. Essi vendono i sacramenti. Si racconta di
un pope che si rifiutò di portare l’estrema unzione a un malato perché la sua
famiglia non voleva pagare quanto richiesto. Il padrone fu obbligato a
intervenire e a malapena poté fare un’opera di transazione tra le parti.
Tuttavia, è soprattutto in materia di dispense matrimoniali che l’ingordigia
dei pope ha buon gioco. In quei villaggi della Russia in cui di rado i giovani
vanno a cercar moglie all’esterno, i pope trovano con facilità tra le famiglie
delle unioni proibite! O è molto semplice farle apparire tali agli occhi di
contadini ignoranti e succubi! L’importante per i pope è che li si paghi ed
essi sanno bene che la gente che vuol sposarsi paga sempre.
Parlando del Te Deum che i pope cantano nelle famiglie, ho indicato la
particolarità delle dispense matrimoniali come una delle ragioni che valgono
un’accoglienza benevola da parte dei contadini. Questi, infatti, non
trascurano, se necessario, di ricordare ai pope i bicchieri di acquavite che
hanno versato e il pirog (pasticcio di pesce e uova) che hanno imbandito in
loro onore. Per quanto siano avidi, ai pope è difficile non mostrarsi sensibili
a quei ricordi e, di conseguenza, a non fare concessioni. Le occasioni di
rivincita non mancano ai pope: due o tre volte l’anno, essi fanno ancora un
giro nelle capanne prelevando dai contadini una sorta di decima che cercano
di far pagare in denaro. In questo modo, si stabilisce tra il prete russo e il
parrocchiano un sistema di buone apparenze, ma, avendo come unico scopo
lo scambio reciproco di doni spirituali e regali temporali, fatalmente nel
parrocchiano albergherà uno spirito di sospetto che impedisce di aver
fiducia nel pastore, e nel pastore prenderà corpo uno spirito di speculazione
che paralizza lo zelo che dovrebbe mostrare al parrocchiano. È l’obiettivo
che conta, ma in questo commercio, mi chiedo, che cosa diventano l’ideale
religioso e quel tipo sacerdotale che la Chiesa russa ortodossa pretende di
avere preso da san Paolo?
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X
Monasteri – Scienza e virtù dei monaci russi – Unione per ukase dei Greci cattolici alla Chiesa
ortodossa – Opinione dei protestanti sulla Chiesa russa – Conventi di donne – Ignoranza e
disordine.
Entriamo ora nei monasteri. È là che si è rifugiato il poco di vita che resta
ancora dello spirito della Chiesa greco-russa. Vi si trovano uomini di scienza
e di virtù, ma, poiché essi non oltrepassano mai la soglia della cella, la loro
scienza e la loro virtù non servono che a loro stessi, al massimo a qualche
religioso che vive sotto il medesimo tetto. Coloro che escono dal chiostro
rivestono la dignità di vescovo o di arcivescovo, perdendo così
l’indipendenza e diventando non più che pontefici d’apparato, di cui, senza
dubbio, lo zar si compiace di ornare il proprio trono, ma non esiterebbe a
rompere la mitra, se si accorgesse che copre una testa che si permette di
pensare liberamente. Si sa fino a quale punto spingeva il mestiere di
cortigiano quel vecchio metropolita di San Pietroburgo sotto il quale fu
consumato l’atto di unione alla Chiesa russa ortodossa dei Greci cattolici
stabilitisi nell’impero. Questo atto è uno scandalo inaudito e disegna bene il
modo molto umano in cui si trattano in Russia le cose religiose. Dopo avere
invano esaurito contro gli infelici dissidenti ogni violenza, perfino le brutalità
della soldatesca, dopo aver loro imposto un catechismo fabbricato da
scismatici, dei sermoni inventati da scismatici, dopo avere condannato a
pene ridicole o infamanti i pastori che rifiutavano queste empie falsificazioni,
dopo averli oppressi, in una parola, di tutti gli eccessi della persecuzione, il
governatorato imperiale si decise per una misura che sembrava perentoria.
Sostituì con preti russi i preti greco-uniti cacciati delle loro parrocchie e
dichiarò per ukase che i parrocchiani non potevano appartenere ad altra
fede che quella del loro pastore; la riunione delle due Chiese era ormai un
fatto compiuto28. Quando dicevo che il culto russo guarda soltanto alla
forma! È vero che era stato difficile anche per il generale di cavalleria,
procuratore del santo sinodo, trovare un altro mezzo di conversione. Chi
dunque si è mai sentito trascinato dalla convinzione verso la Chiesa russa?
Ad alcuni protestanti sudditi dello zar chiesi se, qualora avessero voluto
cambiare religione, si sarebbero fatti battezzare nella fede ortodossa. Mi
risposero: «Quando mai si cambia religione per peggiorare?»
Ritornando ai monasteri, se quelli che ospitano gli uomini si
raccomandano, in certa misura, per la loro scienza e la loro virtù, quelli che
servono da rifugio alle donne si segnalano, generalmente, per l’ignoranza e i
disordini. Altrove si è già raccontato molti fatti strani e potrei aggiungerne
28 Ci si riferisce alla Chiesa greco-cattolica ucraina, che, caduta la speranza di indipendenza
dalla Russia con la sconfitta di Napoleone Bonaparte, fu posta sotto l’amministrazione
dallo zar e alle dipendenze del patriarcato di Mosca. Molti greco-cattolici furono deportati
in Siberia per essersi rifiutati di abbandonare Roma. (N.d.T.)
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altri ancor più strani, sfidando chiunque a contestarli, ma a che cosa serve
ampliare una cronaca vergognosa? Il rispetto che portiamo a coloro che ci
leggono ci impone un pudore che sarebbe impossibile conservare se
toccassimo in profondità i misteri delle vergini ortodosse. Lasciamo queste
vergini dormire sotto la loro coltre di ignominia, altri la rimuoveranno.
XI
Sette dissidenti – I raskol’niki – Comunione di sangue – Tendenza delle sette a diffondersi –
Pietro il Grande le perseguita – Il sacerdote russo né apostolo, né martire – Il pope e la lepre
– Conversione alla russa – Riassunto – La Chiesa russa, figlia della Chiesa di Costantinopoli –
Nulla giustifica il protettorato che reclama – Essa ha piuttosto bisogno di essere protetta da
se stessa – I luoghi santi e l’orda.
Sarebbe ora il caso di parlare delle sette della Chiesa russa, se i limiti che
mi sono imposto mi permettessero di avvicinare un così vasto argomento.
Preferisco rinviare il lettore all’eccellente lavoro del barone Haxthausen29,
che lo ha trattato con ampiezza pur riconoscendo lui stesso di essere molto
lontano dall’aver esaurito il tema. Infatti, nella Chiesa ortodossa si contano
più di duecento sette – i cui membri sono indicati generalmente con il nome
di raskol’niki o di starovery (vecchi credenti) – che offrono infinite varietà
sia nel dogma che nel culto. La maggior parte è inoffensiva, ma ce ne sono
che professano spaventosi principi e si sporcano delle peggiori mostruosità.
Tali sono la setta degli skoptsy, presso i quali la mutilazione è un onore, la
setta dei khlysty, sostenitori della comunanza delle donne e di tutte le
vergogne della carne, e la setta dei subbotniki30, che rinnovano tutte le
imposture dell’antica magia. Haxthausen ha descritto tre o quattro
cerimonie in uso presso i raskol’niki; io aggiungerò alcune caratteristiche al
suo resoconto. Alcuni settari del governatorato di Archangel’sk hanno come
festa preferita quella del Natale. In questo giorno, essi girano tutto il paese
alla ricerca di un neonato. Se nessuna donna ha partorito, è segno di grandi
disgrazie e lo stesso è se il bambino è una femmina. Se, invece, il piccolo è
un maschio, i settari lo portano con sé. Gli anziani si riuniscono in un luogo
segreto e là, sistemati in cerchio, lanciano l’infelice bambino dall’uno
all’altro, come fanno i muratori con le pietre, e continuano così finché
muore. Colui che nelle sue braccia il piccino è spirato viene guardato come
un altro Simeone, e gli astanti intonano il Nunc dimittis31. La madre della
vittima è proclamata madonna. Quindi fanno a pezzi il cadavere e tutta la
29 Etudes sur la situation intérieure, la vie nationale et les institutions rurales de la Russie
(Studi sulla situazione interna, la vita nazionale e le istituzioni rurali della Russia),
Hannover, 1848, t. I, pag. 296. – [Scritti del barone August von Haxthausen sono in
http://www.larici.it. (N.d.T.)]
30 O Sabbatariani. Nel testo francese è sabatniki. (N.d.T.)
31 Il Cantico di Simeone o Nunc dimittis (prime parole nel testo latino) è un cantico tratto dal
secondo capitolo del Vangelo secondo Luca (2,29-32). (N.d.T.)
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setta si comunica con i brandelli sanguinanti. Questo orribile rito ricorda la
comunione, non meno terribile, che altri settari russi fanno con i resti di una
mammella strappata dal petto di una vergine quindicenne da alcune
spaventose matrone.
Anziché diminuire, la Chiesa ortodossa vede i raskol’niki aumentare ogni
giorno di più. Anche il numero delle sette tende ad accrescere, soprattutto
dopo il regno di Pietro il Grande. È logico che, in una Chiesa in cui
l’ignoranza del clero non ha eguale, la sua degradazione non manchi di far
presa sulla dissidenza. Fra i loro seguaci, le sette russe comprendono non
solo contadini, ma ricchi mercanti e nobili. Haxthausen sostiene che quasi
tutti gli orafi e i cambiavalute di San Pietroburgo, Mosca, Riga, Odessa ecc.
siano degli skoptsy. Alcuni spiriti illuminati ritengono che essi rappresentino
l’inizio della morte della Chiesa ortodossa. Credo esagerata quest’opinione.
Tuttavia, il governo imperiale non sembra preoccuparsene seriamente.
Pietro il Grande, che non lesinava la violenza, perseguì con il ferro e il fuoco
le sette del suo tempo. Esse, però, aumentarono la loro protervia e, di
conseguenza, misero in atto un proselitismo oscuro per rendersi
inafferrabili: come si potevano stanare quei fanatici che sviluppavano i loro
dogmi all’ombra delle cappelle ma palesemente si mostravano di una
sottomissione assoluta alle leggi civili dell’impero? Si adottarono delle
misure poliziesche, ma senza risultati concreti.
Se almeno i preti ortodossi, che pur si erano coalizzati in una santa
crociata, avessero marciato risolutamente verso la loro conversione! Ma un
tale zelo non fa parte della loro natura: dovunque dominino i raskol’niki,
non si vedono i preti piegare la testa e lasciarsi trattare da sudditi? Il clero
russo non ha né apostoli né martiri.
Durante il mio ultimo viaggio al lago Onega, ho avuto occasione di
passare alcuni giorni in una parrocchia composta quasi esclusivamente di
raskol’niki. Il prete ortodosso incaricato di evangelizzarli tremava dinanzi a
loro, pur non essendo ignorante, né un uomo senza pietà, ma anzi con
alcune conoscenze di scienza che non si incontrano di solito nei pope. Egli si
occupava di vaiolo equino, discuteva sui sistemi di Copernico e di Galileo, e
comparava a Cristoforo Colombo un contadino del suo villaggio che aveva
scoperto un’isola nel lago Onega. Eppure, in presenza dei raskol’niki, tutte
le sue belle qualità svanivano; il prete non osava contraddirli, soprattutto in
quella parte della loro dottrina che proibisce di cibarsi di alcuni animali, della
lepre in particolare.
Io lo attaccavo spesso su quest’ultimo punto. Infatti, mi costava, in un
paese in cui non trovavo da mangiare che lepri bianche, che il prete non mi
appoggiasse contro lo scandalo che esercitavano le mie consumazioni.
- Credi che io accetti tutte le idee dei raskol’niki? – mi diceva.
- Ma, allora, perché non ti opponi?
- Ah, è difficile!
- Dunque tu ritieni che si possa mangiare la lepre?
- Certo!
Presi atto del consenso. Due giorni dopo invitai a cenare il pope, lo
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ispravnik (specie di giudice o di commissario di polizia del luogo) e qualche
altro notabile rurale, tutta gente rigorosamente ortodossa.
Una superba lepre arrostita troneggiava sulla tavola in mezzo a cinque o
sei pezzi di carne fredda, resti delle mie provvigioni di viaggio.
Alla vista della lepre, il pope arretrò.
- Questo animale ti fa paura? – gli chiesi.
- No, no, ma…
Senza permettergli di continuare, lo feci sedere e gli servii
immediatamente una porzione di selvaggina. Inizialmente, il pope esitò, ma
poi, sedotto dal profumo, addentò la sua parte.
Ecco che la porta della stanza nella quale cenavamo cigolò sui cardini e
cinque o sei contadini entrarono. Questa brava gente, considerando che ero
nel loro paese per cercare la pietra per la tomba di Napoleone32, mi portava
a ogni ora del giorno, e senza preoccuparsi di disturbarmi o meno, alcuni
campioni mineralogici delle più svariate specie per sottopormele.
Se si ricorda la testa della Medusa o la statua del Commandeur, ci si farà
un’idea dell’impressione che produsse sul pope la comparsa improvvisa di
quei contadini. Si sentì perduto, ma, improvvisamente, stese le mani sul
suo piatto e cominciò a borbottare delle preghiere.
I contadini uscirono e il pope si rimise a mangiare.
Non tutti i preti russi sono così timidi di fronte ai raskol’niki, ci sono
anche quelli che cercano di convertirli. Ecco un fatto che mi è stato
raccontato da un testimone degno di fede.
Un giorno, in uno dei governatorati settentrionali della Russia, dove i
raskol’niki sono molto numerosi, un giovane pope recentemente insediatosi
ricevette una lettera del vescovo, con la quale gli si ingiungeva di convertire
immediatamente tutti i dissidenti della sua giurisdizione, sotto pena di
essere gettato in prigione.
Il giovane sacerdote si mise immediatamente all’opera; riunì tutti i
raskol’niki che incontrò e provò a evangelizzarli. Ma questi non ne volevano
sapere.
Disperato per il proprio fallimento e immaginandosi già prigioniero del
vescovo, il povero prete si sedette, triste e pensieroso, in un locale del suo
presbiterio.
Lo ispravnik entrò.
- Vostra Riverenza, come va la conversione dei nostri eretici?
- Male, molto male; vi perdo il mio tempo e la mia pena.
- Oh, non tormentatevi più d’ora in avanti, sarò io a convertirli.
Il giorno dopo, lo ispravnik piombò in mezzo alla riunione seguito da
cinque o sei mužik armati di fruste.
- Voi miserabili – esclamò con voce tonante rivolgendosi ai settari, – non
volete convertirvi alla nostra religione?
- No.
32 Fu Léouzon Le Duc a scegliere, in Finlandia, il porfido rosso destinato alla tomba di
Napoleone all’Hôtel des Invalides a Parigi. (N.d.T.)
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- Si può sapere il perché?
- Perché né i nostri padri, né i padri dei nostri padri ce l’hanno insegnato.
- Duecento colpi di frusta a ciascuno!
Lo ispravnik schiumava di collera.
- Oh, saprò bene farli cedere – mormorò.
Fece incatenare i ribelli e ordinò di trasportarli in un posto coperto di
ghiacci e di lasciarveli tutta la notte.
Il giorno seguente, di buon’ora, l’ispravnik si recò in quel luogo
accompagnato da pope.
- Ah! ah! figli di cane, – urlò agli infelici per metà congelati, – cosa ne
dite dei miei mezzi di persuasione? Ora vi convertirete spero…
- No! - risposero i settari a un’unica voce.
- No?
- No.
- Duecento colpi di verga!
Il sangue colò.
Di quando in quando, l’ispravnik faceva sospendere l’esecuzione, e
rinnovava la domanda.
Quando, infine, non si intese che un sordo mormorio, di cui era
impossibile distinguere se fosse un sì o un no uscito da quei petti feriti e
lividi, lo ispravnik disse con un sorriso di trionfo:
- Ah, lo sapevo bene che vi avrei forzato a confessare la verità!
E senza aspettare altro tempo, fece condurre i nuovi convertiti alla chiesa
dove pope li confessò e li comunicò.
Alcune settimane dopo, il felice pope ricevette una lettera di
congratulazioni dal vescovo e una decorazione dall’imperatore. La storia non
dice se anche l’energetico ispravnik ebbe una ricompensa. Quanto ai
proseliti conquistati alla religione dell’imperatore, essi si guardarono dal
rimettere piede una seconda volta nella chiesa ortodossa che li aveva visti
confessare e comunicare.
Tale è dunque la Chiesa russa, questa Chiesa cui si vorrebbe imporre il
protettorato ai Greci sudditi del sultano33. Una pretesa superba per nulla
giustificata: né per i fasti della storia, né per il diritto politico, né per il
diritto religioso. La Chiesa russa ha dimenticato che è figlia della Chiesa di
Costantinopoli, che è a causa sua che si è sigillato lo scisma e che, fino alla
fine del XVI secolo, ha ricevuto i patriarchi di Costantinopoli, i quali non
33 L’Autore scrisse La question russe quando stava per scoppiare la Guerra di Crimea (18531855) con i Russi contro i Turchi appoggiati da Francesi e Inglesi. Il pretesto della guerra
fu trovato nella disputa che divideva il clero cattolico da quello ortodosso
sull’amministrazione dei “luoghi santi” di Gerusalemme, a quel tempo sotto il controllo
politico turco. I Francesi li reclamavano appoggiandosi a una Convenzione stipulata con i
Turchi, nel 1740, che poneva sotto la tutela francese gli interessi dei cattolici in Palestina.
Invece, i Russi si ritenevano i legittimi eredi della civiltà bizantina dopo la caduta di
Costantinopoli (1453) e pretendevano di imporre il protettorato russo sui dodici milioni di
cristiani ortodossi diventati sudditi turchi. (N.d.T.)
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hanno mai occupato che il quinto rango nella gerarchia orientale? Ha
dunque dimenticato che quando avrebbe potuto salire sul più alto gradino
della supremazia, è improvvisamente caduta, avendo Pietro il Grande
spezzato il legame spirituale che univa la figlia alla madre, secolarizzando
nella sua persona la dignità patriarcale? È proprio questo che si cerca di far
valere nella richiesta del protettorato: è perché l’autocrate si intitola
sovrano ortodosso che si crede in diritto di estendere il proprio scettro, fin
sopra la testa del sultano, su questi correligionari di Turchia. Se questo
principio fosse ammesso, allora perché l’imperatore cattolico dei Francesi
non dovrebbe andare a proteggere, contro Leopoldo e contro Federico, i
cattolici di Belgio e Germania; perché egli non dovrebbe andare a chiedere
conto allo stesso imperatore di Russia della sorte dei cattolici di Polonia? Ah,
se la Chiesa russa avesse questo carattere di scienza elevata, di venerabile
moralità che impone, per l’ampiezza delle sue immunità e per lo splendore
dei suoi privilegi, dominerebbe realmente la Chiesa di cui ora ambisce la
tutela e si comprenderebbero, almeno fino a un certo punto, le sue pretese.
Ma è una Chiesa ridotta allo stato cadaverico, è una Chiesa che riesce
appena a difendere, contro il lavorio sotterraneo delle sette, la sua unità
interna, è una Chiesa in cui ogni pontefice è servo del trono e ogni prete è
ignorante e disordinato, è una Chiesa dove la simonia è un regime normale,
dove il culto è soltanto un mucchio di formule inutili e superstizioni ridicole,
dove la somministrazione dei sacramenti è solamente una parodia, dove la
parola di Cristo è senza ripercussione e senza eco; tale Chiesa, anziché
proporsi come protettrice, non avrebbe piuttosto bisogno di trovare
qualcuno che la protegga? Qual è il tranello che dopo tanti anni gli zar della
Russia cercano di tendere all’Occidente? È vero che nel momento in cui sono
scoperti, si affrettano a cambiar registro e a rifugiarsi nella questione dei
luoghi santi. Ma è quello un terreno ancora così solido per loro? Quali sono
le credenziali che offrono per rivendicare privilegi su Gerusalemme? Hanno
versato il loro sangue per strappare la tomba di Cristo dalle mani degli
infedeli? Ahimé! mentre gli Occidentali volavano alle crociate, i Russi, curvi
sotto il giogo dei Tatari, si arrendevano all’orda dei khan e baciavano le loro
staffe, leccavano nella polvere la goccia di latte caduta dalla coppa che gli
orgogliosi padroni mostravano loro.
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