Santi e Morti - MEDITAZIONE

Transcript

Santi e Morti - MEDITAZIONE
DANIELE PIAZZI
Proclamare la Pasqua del Signore
Si sente da più parti auspicare un ritorno di devozione a santi più o meno locali e più o meno
antichi, e da altre, invece, se ne lamenta il permanere, perché percepita come culto meramente
consolatorio e distraente da Cristo, quale impoverita invocazione che sale dalla miseria dell’uomo,
ma vuota di fede pasquale. Ugualmente la preghiera per i defunti è per alcuni pregevole permanere
di antropologie antiche miste a pietà cristiana, esprime civiltà e, salvando la coscienza della morte
educa la vita. Ad altri, invece, appare sempre più un accaparrarsi garanzie sulla ineluttabilità della
morte e una ennesima chiusura nel privato, in un individualismo che piega anche la preghiera
ecclesiale al suffragio solo per i propri morti.
In ogni caso culto liturgico o privato dei santi e dei defunti porta con sé tradizioni locali
antiche o recenti, è radicato nel tessuto di gran parte del popolo di Dio (.. ma è così anche per le
nuove generazioni?); è anche, e non scandalizziamoci, una notevole voce nel bilancio economico di
parrocchie, santuari, pro-loco e comitati locali, di singoli preti e predicatori.
Una storia salvata e pasquale
«Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli e dei santi e nella
commemorazione dei fedeli defunti la Chiesa proclama la Pasqua del suo Signore». Con queste
parole l’Annuncio della Pasqua del giorno dell’Epifania innesta felicemente il culto dei santi e la
preghiera per i defunti nella celebrazione del mistero pasquale di Cristo. È evidente nel sensus fidei
del popolo di Dio il legame tra santi/morti e l’intercessione: i santi intercedono per la chiesa e la
chiesa intercede per i morti. Invece è poco maturata nei fedeli la consapevolezza che i santi
riverberano la forza sanante della Pasqua nella storia di cui sono stati protagonisti e che possiamo
pregare per i morti proprio perché anche la loro esistenza può essere rischiarata dalla luce della
Pasqua, forza che supera il buio della morte stessa.. Così nei santi rendiamo grazie dopo la loro
morte, perché la loro vita ha ‘sanato’ la loro generazione, e per i defunti supplichiamo il Dio dei
santi perché nella fraternità battesimale per la quale siamo tutti un corpo solo, nessun membro sia
reciso e perduto, cancellato da libro della vita, affinché nessun frammento della generazione degli
uomini, quale è una singola vita, si perda nella tenebra della lontananza da Dio.
Ricentrare il culto dei santi sul mistero pasquale significa fare come la liturgia: tenere la loro
memoria dentro una tonalità laudativa ed eucaristica. Sono certo modelli e intercessori, e la
catechesi farà bene a rimeditarne le biografie, la pietà popolare ad invocarli e le diverse attività
assistenziali ad imitarli. Essenzialmente però la vita dei santi è l’eucaristia vivente della chiesa di
una precisa generazione che sale al Dio vivente, suscitare dei santi e fonte di ogni santità.
Ricentrare la preghiera per i morti sul mistero pasquale significa fare come la liturgia: tenere
la loro memoria dentro l’evento che ha cambiato la storia e di cui ne attendiamo il compimento. La
catechesi farà certo bene a farsi carico delle domande dell’uomo sul suo destino dopo la morte; la
pietà popolare continui pure a venerare la memoria degli antenati; chi è in lutto approfitti ancora
della carità e della solidarietà dei fratelli, ma si sappia anche dare lode al Dio della vita perché nella
Pasqua di Cristo ci dà la speranza che la nostra piccola storia non sarà né perduta né inutile.
L’assemblea domenicale tra tempo e eternità
Siamo abituati a legare la memoria dei santi e dei defunti ai loro giorni anniversari.
Abbiamo, come cristiani, spostato la loro commemorazione dal compleanno (uso romano) al giorno
della loro morte, per dire anche così la forza vittoriosa e rivitalizzante della Pasqua. Ma la liturgia
ha un suo modo peculiare di mantenere nel tempo la loro memoria e anche di inserire santi e defunti
nel mistero pasquale: non li lascia fuori dalla assemblea del giorno del Signore e li richiama nella
preghiera eucaristica. Così santi e defunti sono ricordati là dove la chiesa domanda il primo ed
essenziale frutto della comunione all’unico pane e all’unico calice: diventare un solo corpo. In
questo modo il culto dei santi e dei defunti è strettamente inserito nella memoria ebdomadaria del
mistero pasquale, proprio nel giorno che per se stesso è memoriale e profezia. In questo modo santi
e defunti sono sentiti partecipi dell’assemblea liturgica, corpo del Risorto che si edifica nel tempo,
poiché in passato anch’essi hanno condiviso la nostra stessa mensa pasquale e ora ci attendono per
condividere insieme con loro il banchetto definitivo nella Gerusalemme del cielo.
Questa consapevolezza libererebbe le nostre catechesi sul senso della chiesa e
dell’assemblea domenicale da eccessive semplificazioni sociologiche, aprirebbe l’assemblea
celebrante a dimensioni escatologiche meno teoriche e più esistenziale, chiamata com’è a fare
spazio a «presenze» di fratelli e sorelle che ci hanno preceduto nella fede. Infine, questo sguardo
ampio sull’oltre la morte educa la carità a guardare le miserie dell’uomo, ma senza scoraggiarsi,
aperti alla speranza del futuro di Dio e certi che la morte non è l’ultima parola.
Icone del «Santo»
La liturgia celebra il Santo e i santi, non la santità. Non si occupa di idee teologiche astratte.
Il memoriale liturgico si radica in eventi e persone, non in idee. Nello stesso tempo una fede non
solo di testa, ma fatta anche di cuore, di vista, di udito, di tatto, di movimento pellegrinante, tende a
rappresentare, a «immaginare». Si può allora capire perché Oriente e Occidente molto presto hanno
affiancato all’iconografia di Cristo e degli eventi centrali della storia della salvezza anche le
immagini dei santi, i cicli della vita della Madonna le storie dei martiri o dei santi locali. Il santo è
icona del divino e la sua persona è segno di una storia salvata. Allora non è ininfluente per una
adeguata formazione cristiana il come rappresentiamo i santi, dove ne esponiamo le immagini alla
venerazione nell’aula ecclesiale, con quali generi letterari ne raccontiamo l’esperienza di fede e con
quali linguaggi visivi li rappresentiamo o, meglio, li ripresentiamo perché i fedeli diano lode al Dio
che li ha resi santi e ne imitino la vita.
Catechesi e liturgia, predicazione e devozione devono tornare ad interrogarsi se davvero
certe raffigurazioni dei santi sono eloquenti annunci dell’evangelo della Pasqua o se, invece,
comunicano un’idea oleografica della fede. Anche gli antichi luoghi della carità cristiana si erano
riempiti di immagini di Volti sofferenti, di Madonne della misericordia, di Pietà, di santi ausiliatori,
di santi della carità. I moderni luoghi della assistenza e dell’educazione di quali immagini sono
decorati? Di asettici pannelli informativi? Di posters e locandine soltanto? Quali volti di santi
possono essere oggi icona concreta e non astratta dell’amore di Cristo che lenisce e medica?
«Immaginare» … l’oltre
Difficile rappresentare la morte. Sembra tramontato il tempo dei giudizi universali, delle
danze macabre, delle tibie incrociate e dei teschi barocchi, della falce della morte, della clessidra
che si svuota… Ora amiamo circondarci delle foto dei morti di quand’erano vivi. E come è anche
fragile la rappresentazione occidentale della risurrezione. Al di là di un nerboruto Risorto che esce
da un sepolcro con guardie accasciate e attonite non abbiamo saputo creare. Difficile rappresentare
il mistero pasquale. Così da un paio di secoli preferiamo sulle tombe dei nostri raffigurare il dolore,
il dolore dei vivi. Ugualmente nelle aule delle nostre assemblee da cinquecento anni dalle absidi ci
guardano estatici santi in ricche ancone e pesanti paludamenti. Lo sguardo dell’assemblea radunata
2
sulla terra non è più rivolto al Pantocratore inizio e fine del tempo, che tiene aperto il libro della vita
e alza la mano per dire una parola eterna.
Difficile rappresentare la speranza della risurrezione sulle nostre tombe e l’escaton nelle
nostre chiese. Eppure se la catechesi tornasse a narrare gli eventi operati dal Dio della vita e
racchiusi nelle Scritture ci consentirebbe di dipingere immagini di risurrezione. Se la liturgia non
temesse di acclamare il Signore e Sovrano della vita e della morte, anticipando il cielo in terra e
aprendo la terra alle cose ultime ci toglierebbe il falso pudore di raffigurare il futuro nel tempo. Se
la carità fosse più consapevole che durerà più della fede e della speranza, forse i nostri cimiteri
racconterebbero e «immaginerebbero» con visioni d’avvento la morte e dei giusti e dei peccatori.
Dove «dormono» i corpi
Culto dei santi e preghiera per i morti portano con sé, spesso inconscia, un’altra dimensione:
il corpo. Eppure pellegriniamo là dove le basiliche antiche o moderne custodiscono le sepolture
onorate dei santi e andiamo ai cimiteri, dove «dormono» i corpi dei morti. I defunti, santi o non
santi, ci lasciano reliquie e spogli sepolte. La geografia cristiana ha trapuntato paesi e regioni di
santuari. L’antica pietà per chi non è più ha lasciato tracce di civiltà e ha punteggiato gli angoli
della terra con i cimiteri, città dei morti.
Culto dei santi e culto dei morti fanno risuonare le più profonde dimensioni antropologiche
quando ci costringono ad «andare» là dove eroi e defunti sono custoditi. Pellegrinaggi e visite al
cimitero toccano corde antiche e profonde: si va e ci si allontana dal quotidiano, si cammina verso
la Gerusalemme celeste e poi si ritorna nel tempo, in attesa dell’ultimo esodo, dell’ultimo
passaggio. I pellegrinaggi sono la cifra del cammino di fede.
Forse non è inutile ripensare pastoralmente e rivitalizzare le antichissime prassi di andare in
pellegrinaggio alle reliquie dei santi, di celebrare presso le tombe dei morti, di andare
processionalmente ai cimiteri. D’altra parte ogni rito funebre, anche quello cristiano, è rito di
separazione che serve a rielaborare il lutto, a darsi ragione di una separazione. E se i funerali
separano dal corpo defunto, paradossalmente le traslazioni dei corpi dei santi ricollocano il santo
dentro il corpo ecclesiale. L’andare ai corpi dei santi e alle tombe dei morti può prendere il sapore
di un’attesa, di un ricongiungimento, non nostalgico o illusorio, ma radicato nella fede che genera la
speranza: il Dio dei vivi e dei morti, dei santi e dei peccatori, non ci lascerà nella separazione e
nella lacerazione. Ma con quali architetture, con quali spazi noi oggi sappiamo contornare i corpi
dei santi e dei morti? Come seminiamo nella terra reliquie e corpi destinati alla risurrezione?
I corpi dei santi e le sepolture dei morti invitano a dare concretezza alla nostra predicazione
e catechesi sulla santità, spesso spiritualizzate, incorporee, quasi che santi e defunti non avessero
mai avuto corpo, spessore, una generazione in cui vivere, una cultura dalla quale essere
condizionati. La corporeità delle chiese-reliquiario e dei cimiteri invita la preghiera devozionale e
tante nostre liturgie a non astrarre da luogo e tempo, ma a vedere nel tempo umanità trasfigurate dal
risorto. Pensare i santi e i defunti nella loro storicità ci ricorda quanto siano calate nella realtà le
opere di misericordia, siano esse corporali o spirituali e quale squisita carità sia occuparsi del corpo
che muore e del corpo ormai morto.
Una nuova città
Alcuni decenni fa, e mi perdoni il lettore se non sono riuscito a rintracciare la fonte per
citarla con esattezza, la Congregazione per il Culto Divino invitava quelle comunità che non ne
hanno conservato memoria della data precisa, a collocare l’anniversario della dedicazione della
propria chiesa, solennità del Signore, all’ultima domenica di ottobre. Qualche anno dopo si invitò a
collocarla il 25 dello stesso mese, per non occupare la domenica. In questo modo l’autunno e il
3
principiare dell’inverno nelle nostre regioni si colora di feste che richiamano fraternità ecclesiale,
senso di appartenenza alla chiesa che vive in un luogo preciso, feste che celebrano legami di fede
con quanti ci hanno preceduto: dedicazione della chiesa, solennità di tutti i santi, commemorazione
di tutti i fedeli defunti… Tre feste, una chiesa. Come diceva la tradizione: la chiesa militante,
purgante, trionfante. È questa la comunione battesimale dei santi. Il legame che nel tempo è donato
dal battesimo, che introduce nell’assemblea eucaristica i segnati col sigillo dello Spirito, non è
distrutto dalla morte. È una comunione che, attraversato il crogiolo dell’ultimo nemico, continua
fino a costruire l’umanità nuova: i centoquarantaquattromila, salvati da ogni tribù d’Israele,
accompagnati da una folla immensa, convocata da ogni tribù, lingua, popolo, e nazione, folla che
nessuno può contare. Curare, allora, pastoralmente la qualità delle nostre fragili assemblee che si
radunano nello spazio e nel tempo non è inutile, non è estraniarsi dalle vere necessità della storia.
L’assemblea liturgica ritaglia spazi di umanità, che celebrando il mistero pasquale e vivendo di
esso, sa già intravedere la forza vincitrice della Pasqua sul male e sulla morte.
4