sciamanesimo

Transcript

sciamanesimo
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 1 di 15
SCIAMANESIMO
________________________________________________________________________________________________________________
Questa sezione, curata da Italo Bertolasi, comprende i seguenti capitoli:
- La riscoperta dello sciamano di Italo Bertolasi
- I Jhakri - gli sciamani del Nepal e l'alta montagna di Italo Bertolasi
- L' UTA - Urgent Tribal Assistance
- Ainu, il popolo dell'orso. Antica spiritualità giapponese di Italo Bertolasi
- Il " volo magico " dei Jhakri, gli sciamani del Nepal di Italo Bertolasi
________________________________________________________________________________________________________________
La riscoperta dello sciamano
di Italo Bertolasi
Lo sciamano è un mistico che sfida l'ignoto e il mistero dell'esistenza.
Un uomo straodinario che riesce a curarsi da dolorose malattie iniziatiche e laceranti crisi esistenziali che lo trascinano al limite della follia. Che inventa riti
bioenergetici e danze estatiche per fare una concreta e dolorosa esperienza di morte e rinascita, di verità. Diventa un medico, un mago e un mistico. Un uomo
"nuovo" sano e armonioso. Un visionario, un animale erotico e uno specialista dell'anima umana.
Col trance provocato da allucinogeni, dalla danza e dal suono del tamburo lo sciamano ristabilisce l'equilibrio tra il "dentro" e il "fuori", tra l'uomo e l'universo.
Col "volo magico" - il viaggio interiore - scopre il ritmo vibratorio e le forme dell'Universo. Quando entra in risonanza con gli spiriti trema, perde coscienza e sprofonda
nel ventre della Madre Terra dove tutto è caos e dove l'energia si muove liberamente. Scende nel regno della Morte, un mondo al rovescio dove gli alberi crescono
all'ingiù e il sole tramonta ad oriente. Viene torturato e fatto a pezzi: con una operazione di chirurgia rituale gli vengono trapiantati cristalli e altri oggetti sacri al posto
del cuore e degli altri organi. La morte simbolica e il rito dello smembramento liberano l'energia interiore imprigionata dalla corazza del corpo e dell'Ego. Aprono alle
visioni e alla sapienza sciamanica. Lo sciamano può allora lottare contro forze inquietanti, ombre e demoni che grondano sangue e che causano disgrazie e malattie.
Attraversa foreste di fiamme e fiumi di pece: il corpo si disfa, diventa puro e leggero. Poi scala l'albero cosmico decorato con visi e mammelle per ritrovarsi in un
paradiso solare dove è accolto come un santo e un perfetto, come uno sciamano.
Quando si incontra il vuoto, l'assoluto e il trascendentale si realizza che non c'é cammino, né conoscenza, né mete da conquistare. Con un senso di vertigine si
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 2 di 15
galleggia nel mare del silenzio senza più confini corporei. Si diventa "signori del Sonno" e si sprofonda negli strati più fondi e segreti della psiche. E' un percorso di
consapevolezza d'autoguarigione e di rinnovamento del sé: si vince la paura del morire, del disordine psichico e del caos. Si regredisce per ritornare bimbi, animali
polimorfi - né maschi né femmine - e si conquista agilità e sensibilità corporea, poteri medianici e creatività.
Per vivere in compagnia degli animali selvaggi, per raccogliere le piante "maestre" e per meditare in silenzio lo sciamano si ritira nel ventre verde della foresta. Per
curarsi vagabonda nei deserti d'alta montagna e si fortifica con docce ghiacciate, bagni di vento e diete vegetariane. Ridiventa selvaggio, istintivo e animale. Per
proteggersi dai demoni indossa il costume sciamanico che è una corazza energetica, ma anche una mappa di simboli cosmici e di itinerari metapsichici.
Claudine Brelet nel suo libro Le arti mediche sacre dall'antichità ad oggi Edizioni Sperling & Kupfer come è fatto il mantello dello sciamano: "Su un caffettano è
appeso tutto un tintinnante armamentario di oggetti di ferro - dischi forati, arpioni, raffigurazioni di animali. Il tutto per un peso che può anche essere di venti chili. Gli
oggetti sono indenni dalla ruggine perché possiedono un' anima. Talvolta sono cuciti altri ornamenti, seni di donna e altri organi - fegato, cuore, lune stelle e soli".
Lo sciamano è un "etologo" che studia le abitudini degli animali e il mondo vegetale. Per gli sciamani siberiani l'aquila è l'animale guida per salire in cielo.
L'apprendista sciamano dovrà imparare a ritornare uccello per volare verso il sole. Anche il condor è sacro perché divora le carni del sacrificio. Il "tusu Guru" - lo
sciamano Ainu - impara dall'orso delle sconfinate foreste dell'Hokkaido una danza sacra e bioenergetica. Gli sciamani amazzonici imitano alla perfezione il canto dei
pappagalli e si adornano con i loro piumaggi colorati e con le orchidee della foresta. Usano la magia verde delle piante maestre. Per risvegliarsi e per curarsi gli indios
Yanomamo bevono il thé allucinogeno di Ayahuasca - Banisteriopsis Caapi - una liana cheè l'anima vegetale dell'Amazzonia e di Panche mama - la Madre Terra. Gli
sciamani amerindi usano il peyote - Lophophora Williamsi - un piccolo cactus psichedelico. In Asia visionari e sciamani fumano invece il polline della Cannabis Sativa
- l'Hashish - e il lattice del frutto del Papaver Sonniferum - l'oppio e gli sciamani siberiani mangiano l'Amanita Muscaria, un fungo allucinogeno.
Lo sciamano è anche un artista e un trasformista che conosce l'arte delle metamorfosi. Inventa psicodrammi e feste per scaricare le tensioni sociali, per rinsaldare il
gruppo e tramandare i miti del clan. E' un mago che pretende di regolare la meterologia per assicurare la caccia e i raccolti e un medico "ferito" che cura le malattie
dell'anima e del corpo. E' anche psicologo e veggente: i suoi occhi sfavillano nel buio per scrutare i segreti della vita. Libero e solo è un filosofo che ricerca senza
inibizioni e falsi pudori la verità e un "politico" coraggioso in lotta contro le ipocrisie e le violenze del potere politico e religioso - e per ridurre l'uomo in schiavitù si sono
sempre dovuti bruciare streghe e sciamani.
Lo sciamanesimo esprime la spiritualità e la cultura di classi sociali povere e emarginate e delle tribù indigene più deboli e lontane. Con la distruzione delle foreste
tropicali, della "wilderness" e delle popolazioni aborigene anche lo sciamanesimo è in crisi in tutto il mondo. Senza bibbie e monasteri e senza "mass media" lo
sciamano non riesce a raccontarsi e a difendersi. E i giovani del "terzo mondo" che inseguono i miti del consumismo e della vita facile non ne vogliono più sapere di
ridiventare sciamani.
Tra i kafiri - gli "infedeli" dell' Hindu Kush afgano - sono spariti i Dehar. I giovani non salgono più in montagna per diventare "batcha" - re - e "dehar" - sciamani, sedotti
dalle "suchi", le bellissime fate nude custodi dei monti sacri. Il kafiristan era un tempio dell'Asia dove si recavano in pellegrinaggio sufi e mistici famosi - tra questi il
russo Gurdijeff. Nel mio ultimo viaggio in Kafiristan sono ritornato sui monti afgani per raggiungere i "nidi d'aquila" dove gli sciamani vivevano con i pastori. Ho
incontrato un solo Dehar. Vent'anni prima ne avevo contati una dozzina.
In Nepal gli sciamani "Bon Po", accusati di stregoneria, sono stati decimati dai lama buddisti con una vera e propria caccia ai demoni, alle streghe e ai maghi neri che
ricorda la nostra medioevale santa inquisizione. In Nepal ci sono ottocento mila "Jhakri" - sciamani - ma i giovani preferiscono vendere cianfrusaglie nei negozietti
turistici di Katmandù. In Siberia gli sciamani sono finiti negli ospedali psichiatrici e nei gulag e nella Cina della così detta "rivoluzione culturale" sono stati rieducati e
costretti a tagliare i boschi sacri dello Yunnan e del Tibet. In Africa sono perseguitati dai missionari e nelle foreste tropicali dell'Amazzonia sono il bersaglio preferito
nei safari di "caccia grossa agli indios" sponsorizzati dai "garimperos" e dagli allevatori di bestiame.
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 3 di 15
Il "viaggio", l'arte e la scienza sciamanica hanno sempre attratto l'uomo occidentale, che ha perso da più di 500 anni stili di vita e quella religione - "religere" vuol dire
legare - che lo riunivano alla forza della natura.
Poeti come Rimbaud e Henry Miller, antropologi come Claude Lévi Strauss, esploratori della coscienza umana e della bioenergetica come Jung, Groddeck e Reich e
ancora artisti e attori come Picasso, Grotowski e Julian Beck hanno spiato gli sciamani.
Essi sono stati riconosciuti patriarchi dell'umanità e eletti maestri "psicosintetizzatori" in quanto sanno utilizzare nevrosi, catarsi e altri fenomeni parapsichici per
scoprire la causa del malessere umano e le sorgenti sacre del piacere e della vita.
Oggi nell'Italia delle cure naturali e del "New Age" sono proposti "worshops" per diventare apprendisti sciamani. Dopo aver incontrato nei miei viaggi gli sciamani
"veri" dell'Asia ero curioso di lavorare con i neosciamani "bianchi" europei e americani, interessati alla medicina sacra, al benessere e all'esplorazione dei misteri della
mente. Scrive poeticamente Claudine Brelet:"In termini occidentali la ricerca sciamanica può essere considerata un viaggio non dissimile alla fuga di bambini e di
adolescenti, o anche di adulti avidi di scoprire il mondo. Lasciano il campo ristretto delle loro città per aprirsi ai venti, impregnarsi di rugiada e lasciarsi trascinare dalla
sinfonia della natura che li strega e li affascina".
John Perkins ha cinquant'anni, è bello e biondo. E' stato un businessman di successo delle energie alternative e poi socio fondatore dell' "Earth Dream Alliance" - un
organismo senza fini di lucro che difende la foresta dell'Amazzonia. Si è messo in viaggio come volontario del "Peace Corps" e come antropologo delle Nazioni Unite.
Perkins si è fatto adottare dagli indios Quechua delle Ande e dai Shuara dell'Amazzonia e dalla tribù dei Bugis dell'Indonesia. Ha scritto due libri: "Psiconavigation" e
"The stress-free habit". Nel primo si insegna a "cambiare sogni ": l'uomo bianco, materialista e sprecone insegue i suoi sogni di conquista e con una voracità
insensata distrugge le risorse naturali. Dovrà imparare a psiconavigare. A viaggiare al di là del tempo per ritornare sano e armonico. Nel secondo libro si elencano
una serie di facili esercizi anti-stress per curare l'insonnia, gli stati depressivi ma anche le dipendenze da alcool e droga con i consigli degli uomini medicina delle
Ande, dello Yucatan e dell' Indonesia.
Perkins ha navigato negli oceani della Polinesia con i Bugi che seguono la rotta guardando le stelle, la forma delle nuvole, il volo degli uccelli marini, il colore del
mare. Cullati dalle onde questi mistici del mare diventano silenziosi. Quando navigano pregano e nutrono Tuaraati - il signore degli oceani - versando in mare latte di
cocco. Sembrano in trance, posseduti dal magnetismo del mare, e le loro canoe seguono l'ago di una bussola invisibile che le conduce fino all'approdo. Qualche cosa
di simile avviene anche agli Indios Shuares quando per settimane intere vagabondano nei labirinti verdi dell'Amazzonia per cacciare e per trovare le loro piante
"maestre" e agli sciamani Quechua in pellegrinaggio verso i vulcani sacri delle Ande. Perkins sostiene che anche Beethoven, Jung e Einstein e altri artisti e mistici
nostrani erano abili psiconavigatori.
Nei suoi workshops Perkins suona il tamburo e brucia incensi sacri di semi di Datura - Datura Stramonium. Guida un rilassamento profondo suggerendo
visualizzazioni e frasi chiave dirette al proprio inconscio. Un esercizio che ricorda la tecnica di rilassamento del "traning autogeno" di Schultz. Quando si ritrova il
proprio "pilota interiore" si dovrà proseguire da soli: c'é allora chi si sentirà sprofondare in un buio caldo e nero e chi si sentirà morire. C'é chi diventa un rettile che
striscia lungo un tunnel utero. C'é chi invece si risveglia in un giardino segreto dove si incontra l'animale totem o la dea nutrice.
L'"Earth Dream Alliance" - l'EDA - e Jhon Perkins ci invitano a seguirli in tours pellegrinaggio nella foresta amazzonica e in cima alle Ande dove si vivrà a contatto con
la natura, con le popolazioni indigene e dove si potrà studiare con curanderos, erbalisti e sciamani. Con una parte dei soldi che guadagna e con le donazioni all' EDA
John Perkins compera ettari di foresta che restituisce agli indios.
Frank Natale mi racconta una storia straodinaria. E' nato cieco e ha riacquistato la vista da un occhio vent'anni fa. Ha sempre lottato con quella sua cecità ma
considera l'occhio buio che gli è rimasto come un prezioso strumento per scrutare nei misteri dell'esistenza. E' nato a New York cinquant'anni fa e ha seguito santi e
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 4 di 15
guaritori famosi - Muktananda, Krishnamurti, Maslow e Rogers - prima di fondare la "Phoenix House", il più grande centro americano per il recupero dei tossici. Ci
dice: "La maggior parte di noi conosce lo sciamanesimo dai libri o per aver partecipato a un fine settimana di "iniziazione sciamanica". Ma per sperimentare
veramente il potere dello sciamanesimo ci vuole tempo e coraggio. Vi invito a sperimentare la nostra via neo sciamanica - la via degli Energetizzatori - e a lavorare
assieme nella "Crystal Cave" di Ibiza. Ibiza è famosa per le sue notti, le sue discoteche frequentate dal jet set internazionale ma io l'ho scelta per la magia e la
bellezza della sua natura. Ci sono voluti tre anni per scegliere il posto dove erigere la "Crystal Cave". Il nostro santuario è sul cocuzzolo della montagna più alta
dell'isola, con una vista stupenda sull' isoletta mistica di Es Vedra dove le streghe chiamavano Ulisse. Di giorno ci riuniamo per rilassarci, tuffarci in mare, per suonare
i tamburi e per far danze sciamaniche. Celebriamo le notti di luna piena con i rituali del Yag è e dell'Ayahuasca. Si danza sotto le stelle e si beve l'antica bevanda
degli immortali
Nella danza del fuoco si brucia il passato e ci si rinnova, nella danza dell'uccisione del fantasma si colpisce il lato oscuro e passivo della nostra personalità. Nella
danza delle donne ringraziamo e celebriamo la donna che ci ha scelto. Poi facciamo anche incontri di "caccia all'anima" e di trance dance, altri viaggi per contattare i
nostri animali di potere e molti altri esperimenti per rivelare l'attitudine sciamanica che è nascosta in ognuno di noi".
Frank Natale assomiglia a un hippy impenitente. Ci dice ancora: "Noi ridiamo, danziamo e gioiamo della vita senza chiedere a nessuno il permesso di farlo. Non
esistono peccati mortali, non esiste morale. L'unico atto immorale è danneggiarsi così profondamente da privarsi dell'autostima, dell'amore per se stessi e della
coscienza della propria libertà e del proprio Sé".
Rolando Toro è cileno, antropologo e poeta, ha inventato il sistema "Biodanza" per star bene e per liberare gli individui dalle gabbie emozionali e dalle abitudini
insane che li hanno dissociati dalla vita. Toro è convinto che oggi ci sia un ritorno al sacro, un bisogno di tribalismo e di contatto col cosmico e col primordiale. Nei
suoi seminari di " Biodanza e sciamanesimo " si abbandona il mondo della logica e della razionalità per sviluppare l'intuizione e l'istintività. Ci si esercita con il "koan" la poesia giapponese che non si può capire razionalmente ma che attiva risonanze interne e flash di consapevolezza.
Toro porta i suoi allievi nella natura alla ricerca di un "nido ecologico" dove regredire ed entrare in contatto con gli elementi della natura: terra, acqua, fiori e piante.
Negli esercizi di "trance dance" si lascia andare il corpo per permettere alla forza biologica che organizza l'universo di muoversi e danzare in noi. Nella danza con il
viso e il corpo dipinto si mette in scena il mistero della nostra identità. Alcuni si danno aspetti zoomorfi, altri di grande vitalità, sensualità e spiritualità. Nella danza di
contatto e di cura - una specie di iniziazione alle arti dei "curanderos"- si accarezzano le zone del corpo malate e in tensione.
Nella danza tantrica, ispirata alle dottrine indù, si regredisce al primordiale e si condivide una danza "telepatica" d'amore e di sincronicità, in coppia e uniti da un
profondo contatto mentale e bioenergetico. Nel "sogno di smembramento" invece ci si sdraia e ci si concentra sulla propria sofferenza. Si viene prima sconnessi con
energici strattoni per far così morire il passato nevrotico e alienato e poi si viene integrati con carezze e altri massaggi per rinascere più sani e più consapevoli.
Nell'esercizio della "ricerca degli antenati" si dovrà ricordare chi ha più influenzato la nostra crescita culturale e spirituale. Poi lo si associa a un animale e alla fine si
danza questo nostro animale totemico che sarà anche il nostro angelo custode. Ci spiega Rolando Toro: "Bisogna stimolare la creatività, il coraggio e il senso di
responsabilità dei nuovi sciamani che rifiutando ogni superstizione e ogni vincolo ristabiliscono l'armonia e la sensibilità nel mondo. Con la fragranza del loro amore,
la delicatezza del loro tocco magico e con la maestà delle loro visioni".
Winterhawk è un "Iciasckae" - un saggio e uno sciamano - del clan della Farfalla delle tribù Apache che vivono tra Arizona e Nuovo Messico. Il nonno paterno Falling
Tree gli ha insegnato la via del "cerchio sacro" e della "ruota della medicina", i canti e i riti apache. Winterhawk è diventato così un uomo medicina e un "portatore di
pipa" - un capo. Dal 1987 insegna anche in Italia le tecniche apache per l'autoguarigione e la consapevolezza in seminari che chiama "La Via del Guerriero". Ogni
estate lo sciamano apache e Adriana Kassuhn - un'apprendista sciamana che dirige il centro "Ohenyan"- organizzano tra le colline di Assisi, nella natura e nel bosco,
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 5 di 15
seminari settimanali dove si praticano le cerimonie degli indiani del Nord America. Si insegna a "essere presenti nella vita, a danzare il canto che nasce dal proprio
sentire, dal conoscersi in profondità e dal vivere in modo armonioso".
Per morire simbolicamente, per curarsi, per ricevere visioni e per sentirsi rinascere i nativi americani praticano la via della "rivelazione involontaria". Gli indiani Lakota
nella "danza del sole" si appendono agli alberi con degli uncini e donano il sangue che cola dal corpo trafitto all'astro divino. Gli Apache con la sauna bollente nella
"Sweat Lodge" - la tenda del sudore - si scottano con vapori bollenti e offrono canti e preghiere e quel loro sudore agli antenati e alla Madre Terra. Nei worshops
Winterhawk insegna a costruire con rami di salice, pianta sacra e medicinale, la cupola tempio del sudore. Al centro del cerchio sacro - ombelico del mondo - si scava
la buca dove verranno posate le pietre roventi. Ci spiega Adriana: "Con il rito della sweat Lodge si rigenera il corpo e ci si apre alle visioni. L'interno della capanna è
un microcosmo accogliente simbolo dell'universo che nutre tutte le sue creature. E' il grembo fertile della Madre Terra nella cui oscurità si può percepire "Wakan
Tanka"- il Grande Mistero. Sulle pietre roventi si gettano erbe medicinali e acqua che diventa vapore urticante e taumaturgico. Si fuma la pipa sacra, si offre tabacco
e si bruciano le erbe sacre: la salvia, le foglie del cedro e la lavanda. Si pronuncia l'invocazione "Omatquiasen" - porto la mia benedizione a tutti gli antenati e alle
energie spirito della terra - e poi si entra nel ventre caldo e buio del tempio del sudore. Lo sciamano suona il tamburo e tutti cantano e pregano. Per quattro volte
l'energia dell'acqua e quella del fuoco si incontrano sprigionando vapore e per quattro volte si apre la tenda e ci si lascia accarezzare dall'aria fresca. Poi si esce
pronunciando ancora l'augurale "Omataquiasen". Ci si sente leggeri, puri e carichi di energia.Ci spiega ancora Winterhawk: "Cerca il tuo nutrimento nel fuoco sacro.
Ascolta ogni giorno la voce della Grande Madre Terra e generosamente percorri i sentieri del cuore e la "via del guerriero". Porta con te alcuni carboni accesi di
questo fuoco e ritorna al tuo villaggio affinché tutti si possano riunire intorno al fuoco di una nuova vita, in un mondo cambiato".
________________________________________________________________________________________________________________
I Jhakri - gli sciamani del Nepal e l'alta montagna
di Italo Bertolasi
"Janai Purnima" - luna piena d'agosto. Piogge torrenziali e un vento freddo ci tormentano mentre saliamo al lago sacro di Gosaikunda assieme a centinaia di
pellegrini indù e a un gruppo di tamang guidati dai loro sciamani. Con il "doko" - la gerla nepalese - in spalla carica di riso, patate, zucchero e tè. Unti con dell'olio
salato per difenderci da fameliche sanguisughe che ci cadono addosso dagli alberi e si infilano dappertutto. Attraversiamo le foreste del Langtang National Park piene
di animali selvatici e rifugio d'asceti in quest'era infausta di kali yuga; ogni tanto incontriamo i pastori tamang con mandrie di "tsauries" - metà vacche e metà yak. Nel
santuario di Sing Gompa gli sciamani suonano il tamburo e danzano per tutta la notte e all'alba si riparte per raggiungere finalmente i "kunda", i laghi sacri.
Il mese di luglio-agosto "saun" è infausto: i "deuta" gli dei si sono nascosti nel ventre della terra e l'essere umano è solo e indifeso. La terra è martoriata da piogge,
alluvioni e frane ma al chiaror di luna piena gli dei ritornano nei loro troni di pietra, i "dharma-sala" d'alta montagna che si specchiano nel lago. E nel "jatra" - il festival
pellegrinaggio - si sale a Gosaikunda ( 4500 metri d'altezza) per adorare la dea madre Kali e il dio androgino Shiva che quando danza in estasi crea e distrugge la
vita. Dio forte e selvaggio che vive nelle foreste e che è il maestro degli sciamani. Il lingam, ovvero il suo fallo eretto, è simbolo dell' energia fertilizzante ed è adorato
in ogni angolo del Nepal.
Si sale in montagna guidati dagli sciamani vestiti di bianco. Impugnano armi liturgiche antidemoni: il "trisuli", il tridente, il "furpa", il pugnale, le collane di "rudraksha",
semi sacri e medicinali dell'albero della vita, l' Elaecarpus.
Sbronzi di "raksi", un alcool di riso, si canta: " bal magnu parcha - colmaci di forza e potere" e si suona il tamburo sciamanico detto "jangro". Alcuni Yogi, gli asceti
indiani, salgono scalzi, in preghiera e in digiuno. All'alba il lago di Gosaikunda è una specie di magnete caricato a orologeria che attrae una folla seminuda che si tuffa
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 6 di 15
in quell'acqua gelida e taumaturgica per rinascere e per purificarsi - rito e medicina delle acque sante.
In Nepal il pellegrinaggio in alta montagna è un percorso d'autoguarigione. Si sale per confondersi - fondersi con gli dei celesti- ma anche per tonificarsi e curarsi con
gli elementi e con la metereologia dell'alta quota. Per nutrirsi di prana, di cibi cosmici ma anche semplicemente per "giocare", per danzare e provare l'ebbrezza del
trance. Il trance è uno stato alterato di coscienza definito dallo studioso francese Lapassade "un godimento del sé e del mondo in modo indistinto", un flash d'energia,
una vera illuminazione in cui si riacquista un sentimento di infinita potenza, di gioia e di liberazione.
I Jhakri, gli sciamani del Nepal, sfruttano allora l'alta quota e lo stress dell'acclimatamento per stimolare sogni e visioni. Per accendersi, sincronizzare la mente e
armonizzarsi con il ritmo del mondo; uno stato di grazia che è chiamato kamnu e che si manifesta con sussulti, tremori e stati di catalessi.
Lo sciamano è "medicine-man", guaritore e specialista dell'anima umana che riesce a comunicare coi morti, coi demoni e con gli spiriti della natura. Con il volo
magico, stimolato dal rombo del tamburo, con la danza ma anche con droghe come la psilocibina contenuta nel fungo allucinogeno Ammanita Muscaria, può
allontanarsi dal corpo e unirsi alle divinità. Nella possessione divina gli dei scendono dal cielo e lo "cavalcano".
Il Jhakri è un "medico ferito" che è riuscito a curarsi da una dolorosa malattia iniziatica simile a una morte rituale. All'inizio ci si sentirà smembrati e fatti a pezzi tra
atroci sofferenze: "si resta senza respirare, come un morto abbandonato in un luogo solitario" per poi ricomporsi grazie a una forza calda e misteriosa. Si è allora
"coperti dalle divinità". Lo sciamano diventa così un maestro dell'anima che potrà curare le malattie provocate dai boksi - streghe e maghi neri - o dall' intrusione di
"ombre" e altre negatività, o ancora dalla perdita dell'anima -le malattie più gravi non hanno mai una pura e semplice origine microbiologica.
Il Nepal è terra di magia e di sciamanesimo: si è calcolato che in tutto ci sono ottocentomila sciamani Jhakri - uno ogni 20 abitanti - ma solo cinquecento medici - uno
ogni trentamila. L'assistenza fornita dagli sciamani è preferita di gran lunga a quella invece fornita dalle strutture sanitarie del governo ed è a più a buon prezzo.
Riconoscendone il carisma il ministero della sanità nepalese ha deciso di trasformare alcuni sciamani in veri e propri operatori sanitari insegnandoli a fare soluzioni
reidratanti antidiarrea e a propagandare i sistemi contraccettivi. "Jhakri" vuol dire spettinato, ribelle e sguardo limpido, intenso, che curiosa nei misteri della vita. Il
Jhakri è uno psichiatra contadino, un prete e un un artista rispettato e benvoluto per quella abilità di mediare tra individui e comunità e tra il mondo umano e quello
divino.
Nelle loro attente diagnosi bioenergetiche - come fanno i nostri migliori naturopati - leggono l'aura, l'alone magnetico e colorato che irradia il corpo umano - e le
disarmonie energetiche che curano col suono del tamburo. Sono dei grandi viaggiatori: econauti - scienziati che s'avventurano nelle foreste e nei deserti d'alta
montagna alla ricerca di erbe medicinali e di esperienze "off limits" - e entronauti - esploratori dei misteri dell'anima, della morte e del mondo ultraterreno.
Nimba Bo San è un "lawa" - così sono chiamati gli sciamani dell' etnia sherpa. Lo incontro nell'alta valle di Khumbu ai piedi dell'Everest. Mi racconta che da bimbo è
stato rapito da un "Bo Jhakri" una specie di yeti della foresta nepalese, piccolo e verde, che è il gran maestro degli sciamani. Nimba è trascinato nella selva dove
impara la "lingua degli uccelli" e il "dharma"- la legge universale che governa il mondo. Si nutre per un anno di funghi, erbe e selvaggina e dopo questo lungo training
nella foresta ritorna al suo villaggio dove è accolto come un vero e proprio sciamano.
Mi invita a casa sua e davanti a un bel piatto caldo di "dhalbat", riso e ceci e di formaggio affumicato, il "churpee", mi racconta che tra i ghiacci dell' Everest, detto
Chomlungma, del Gauri Shanker e dell'Ama Dablam si nascondono i Lu, spiriti guardiani cacciati dalle foreste. Oggi i boschi spariscono anche in Himalaya per i tagli
selvaggi, gli incendi e le frane e spariscono le "foreste tempio" che erano farmacie viventi e dispense dei mille cibi di quelle montagne.
Nimba ci dice angosciato: "Spariranno allora i Bo-jakri che si nutrono degli elisir della foresta e altri magici protettori: i Chuti e gli Yeti. E la montagna nuda morirà:
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 7 di 15
anche noi sciamani spariremo".
A Godawari, dove un bel giardino botanico confina con una famigerata distilleria di wiskhy, incontro Kanche Kami che è fabbro e sciamano. Nella società indù i Kami
sono discriminati come i dami - i sarti - e i sudra impoveriti e emarginati che vivono in fetide baraccopoli sulle rive del Bagmati, il fiume sacro di Katmandù. Kanche
Kami è magro e spiritato. Ha 65 anni, una moglie che l'assiste e due figli che non hanno la vocazione di diventar sciamani. Mi mostra con orgoglio la sua fornace e mi
invita a star con lui qualche giorno per assistere alla forgiatura del "kukuri" il pugnale curvo usato dai Gurka, i famosi soldati mercenari del Nepal.
Ci vuole un giorno intera di duro lavoro per trasformare un pezzo di rotaia d'acciaio della ferrovie delle Indie in un'arma affilata e brillante con il manico in corno di
bufalo e il fodero in legno di rododendro. Kanche Kami mi vende il pugnale a 6 dollari e poi mi mostra il suo Jangro, il tamburo sciamanico a cornice cilindrica e a
doppia membrana. Mi spiega che è fatto di un legno "vivo", scelto a caso e con l'aiuto divino dallo sciamano che entrerà nella foresta purificato e a occhi chiusi. Altri
legni adatti sono quelli carichi di prana e di magnetismi degli alberi colpiti dalle folgori o di quei pini che "tremano" quando il Jhakri li benedice con aksata - riso santo
integrale. Il legno è poi sotterrato, seccato al sole e piegato col fuoco e le due "facce" del tamburo sono ricoperte con pelle di goral - uno stambecco himalayano.
Sulla parte maschile è dipinto con argilla rossa il tridente di Shiva e su quella femminile una luna piena scintillante. Dopo questa "gestazione" il tamburo potrà
finalmente "nascere". Allora con una "puja" lo si anima e lo si nutre innaffiandolo d'alcool di riso e di latte mischiato a polveri colorate.
Il suono del tamburo diventa così la voce del tuono e degli spiriti e il jangro un'arma per una magia del rumore antidemoni. Uno strumento sofisticato con il quale lo
sciamano potrà controllare il battito cardiaco e le emozioni pilotando così il viaggio mistico e le sue estasi. Il manico del jangro è un pugnale di legno tricipite che ha
inciso dei serpenti intrecciati, simbolo del risveglio della coscienza e di "kundalini" - l'energia sacra della vita.
Kanche Kami è anche un "baidia" un erborista. Tra i suoi rimedi il decotto di ciraito (Sivertia Chirata) un'erba che cresce sopra i 2000 metri e che stimola l'appetito, gli
impacchi di titepati (Artemisia Vulgaris) e banmara (Eupatorium Odoratum) per cicatrizzare ferite e bloccare le emorragie, e il te' di datura (Datura Stramonium)
antidolore ed efficace per curare la dissenteria.
Indra Badur ha solo 25 anni; è figlio di uno sciamano tamang che in punto di morte gli ha passato quel "brutto" mestiere. Indra è fuggito dal lontano "far west" del
Nepal per cercar fortuna a Katmandù e oggi fa il minatore in una cava di marmi pregiati. Mi invita a seguirlo in un villaggio per assister ad una terapia. Mi spiega che
la malattia, preceduta sempre da malesseri, sfortune e disarmonie, è causata da forze invisibili: da bhut -spiriti maligni- da bir - incubi - e da bayu -venti e umori
maligni che penetrano nel corpo indebolito. Per curare lega il suo paziente con un filo di lana colorata ad una palma. Poi canta dei mantra e con grida e minacce
costringe i demoni ad abbandonare il corpo malato e a rifugiarsi, seguendo il filo, nella palma "trappola" che è tagliata con una sciabolata di kukuri. Al rito partecipa
una folla di bimbi, di mamme che allattano e di sfaccendati: in Nepal la malattia non è mai un fatto privato e chi si ammala è preso in cura dalla comunità.
Per raggiungere la Jhakrini Budhi Lama mi perdo con Carlos, la mia guida tamang, nel labirinto di casupole, fabbriche di tappeti tibetani, e ristorantini che circondano
la stupa di Bodhnath. Budhi Lama è una sciamana di 50 anni grossa e sorridente che mi accoglie con simpatia. Starò con lei tre giorni incollato al suo scanno a
riprendere con la mia "Sony" la fila di malate, depresse e possedute che le si avvicinano per farsi curare. E' uno squarcio nell'invisibile mondo della sofferenza delle
donne del Nepal sfiancate da una miseria atavica e dalle discriminazioni sancite dal "Mulaki Ain" - il codice indù.
La sciamana canta il suo mantra, sfiora con la lama del coltello sacro e palpa delicatamente schiene dolenti, seni colpiti dal malocchio e che non danno più latte,
ferite infette, occhi spenti dal dolore. E a suon di ceffoni e strattoni espelle dai corpi martoriati delle indemoniate quelle "ombre" che le streghe le hanno gettato
dentro.
Bhudi Lama ha avuto un gran coraggio. Mi racconta che a vent'anni il suo guru le lancia la sfida di trascorrere tre notti vicino alle pire funerarie dove si radunano gli
infidi sijo, ovvero le ombre vendicative di chi muore male e in disgrazia, e i massans, le anime che appartengono invece ai fuori casta suicidi e che possono
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 8 di 15
provocare diarree e infarti mortali. E' una lotta drammatica contro paure antiche e contro l'angoscia della morte. Ma Bhudi Lama è protetta dal suo guru e da
muscolosi angeli custodi. Si siede allora a gambe incrociate e in posizione del loto sfida i sijo alla lotta ed è subito avvolta da nebbie e ombre.
Il suo corpo suda e trema e la mente vacilla nella vertigine del caos e della follia. Ma con uno sforzo enorme, con preghiere e offerte di cibi raffinati pacifica gli spiriti,
vince la sua sfida e diventa sciamana.
L'iniziazione sciamanica è un incontro coraggioso con la morte: gli sciamani yakuti si distendono e si lasciano morire per tre giorni di fila nella loro yurta senza
mangiare ne' bere. Gli sciamani tungusi e buriati si ammalano e in punto di morte sognano d'esser fatti a pezzi mentre attorno le donne cantano:"il nostro sciamano
risusciterà e ci aiuterà".
Ma si può diventar sciamani anche vincendo la follia come ha fatto Sakyapa Dolkar, una schizofrenica tibetana che il Dalai Lama ha affidato alle cure di potenti
monaci stregoni. Tsetrul Rinpoche, un famoso lama esorcista, la visita ma scorge in quel malessere anche la presenza di Dorje Yudonma, una manifestazione della
forza cosmica. Com'è diverso il destino di uno schizofrenico in Italia e in Nepal! Il lama non solo la guarisce ma le insegna a sfruttare quel dono divino che ha in lei
iniziandola alle arti dell'esorcismo e alle cure magiche tibetane e tantriche.
Sakyapa Dolkar è diventata così una delle più famose guaritrici del Nepal con un seguito anche di malati occidentali che giurano d'esser stati miracolati. Mi invita ad
una puja di guarigione: la Jhakrini tibetana si nasconde il viso con una seta rossa, si cinge il capo con una specie di corona e grida e si contorce per entrare in trance.
Poi si assopisce, prega e alla fine con le mani scaldate dalla fiamma viva di un braciere massaggia e picchia con violenza i petti e i ventri tesi e malati dei suoi
pazienti.
Ma perché si va ancora a cercare lo sciamano? Qualcuno è spinto dall'inquietante curiosità dell'uomo della "New Age" che vuol vivere in modo più armonico e
naturale, altri dalla speranza di poter guarire anche quando la scienza medica si è arresa, altri ancora per fuggire dai deserti emozionali delle metropoli e alla ricerca
disperata di nuovi valori.
Mi chiedevo tutto questo mentre filmavo quella antica magia del fuoco riproposta da Sakyapa Dolkar a un gruppo nutrito di "kuire" - di " bianchi" - provenienti da ogni
parte del mondo e arrivati a Katmandù non per visitare i templi o per fare del trekking ma per curarsi da una sciamana.
Mircea Eliade nel suo saggio Lo Sciamanesimo scrive: "Le prodezze magiche degli sciamani svelano l'altro mondo - quello degli dei e dei maghi - in cui tutto sembra
possibile. I morti tornano in vita e i vivi muoiono per risuscitare. E dove si può sparire e riapparire e in cui le leggi di natura sono abolite sconfitte da una libertà
sovraumana. Lo sciamano difende la vita, la salute, la fecondità e il mondo della luce contro la morte, la sterilità, e contro il mondo delle tenebre".
Claudine Brelet nel suo saggio Le arti mediche sacre ci ricorda che lo sciamano è un uomo dal "corpo aperto" in cui albergano spiriti e divinità e che si è addestrato
con esercizi straodinari: "L'apprendista sciamano si apparta nel folto di una foresta o nella solitudine delle montagne, vivendo con gli animali. Si fortifica
immergendosi nell'acqua ghiacciata dei torrenti e si abitua a sconfiggere il dolore flagellandosi con ramoscelli, amputandosi una o più falangi o praticandosi profonde
scarificazioni; cammina a gran velocità, sale, scende, risale e si precipita nuovamente giù dai pendii delle montagne desertiche.Giunge così al parossismo dello
sfinimento fisico e nervoso, che di colpo, lo farà cadere nello stato estatico, nel trance e nelle visioni tanto agognate". Le sue intuizioni e il suo "linguaggio segreto"
sono le sorgenti d'ogni arte e d'ogni medicina.
L'uomo moderno fugge dal suo mondo inquinato, da modi di vivere frigidi e meccanici per ritrovare salute e libertà. Ma per stare bene dovrà recuperare istinti e
animalità, dovrà inventare nuove e gioiose preghiere fatte di danza, dovrà ritrovare il sentiero nella "foresta" per ritornare a scuola dallo sciamano.
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 9 di 15
Lo sciamano è una biblioteca e un "tesoro vivente" che ha conservato un prezioso patrimonio di conoscenze per la sopravvivenza della vita su questo pianeta sempre
più inquinato. Ha studiato nei boschi: è un esploratore e un maratoneta sempre in viaggio e anche uno scienziato che finalmente si è deciso di proteggere.
________________________________________________________________________________________________________________
L' UTA - Urgent Tribal Assistance
L’UTA è un progetto internazionale a tutela della "cultura sciamanica" nelle aree tribali a rischio promosso da una fondazione americana per gli studi sciamanici. Si
vogliono abbattere quelle barriere culturali e finanziarie e quella "congiura di silenzio" che ci ha allontanati dallo sciamanesimo e che ancor oggi rende difficile il
contatto transculturale tra medici, antropologi, artisti e sciamani. Si vorrebbe da una parte insegnare la "scienza" e la nostra tecnologia agli sciamani e dall'altra le arti
e le terapie olistiche più antiche del mondo ai nostri cervelloni e agli psichiatri.
La fondazione sta pagando dei vitalizi a vecchi e famosi sciamani che sono stati eletti "patriarchi dell'umanità " e organizza di "volo magico" e iniziazione al tamburo.
Tra i beneficiari di questa specie di pensione c'è un'anziana "mamas" - sciamana della tribù Kogi (Colombia) - un'altra sciamana della Siberia e il "lapa" Wangchuk un esorcista tibetano che risiede nel campo profughi di Tashi Palkhiel in Nepal.
________________________________________________________________________________________________________________
Ainu, il popolo dell'orso. Antica spiritualità giapponese
di Italo Bertolasi
Il genocidio. Mi hanno accolto nei loro "kotan", i villaggi fatti di baracchette coi tetti di latta e il nylon al posto delle finestre, mostrandomi le loro ferite: le terre rubate, i boschi tagliati.
Ma anche la loro ricchezza: l' "Ainu Moshir", una terra ancora in gran parte selvaggia che venerano come Dio e Madre. Per cinque volte sono stato tra gli Ainu, aborigeni del Giappone,
che una volta abitavano il nord del Tohoku, l'isola d'Hokkaido e l'isola di Sakhalin. Oggi di quest'antica e popolosa tribù non rimane che la minoranza discriminata di diecimila Ainu "full
blooded". Purosangue.
La storia del loro genocidio ricorda quello degli Indiani d'America. Lo sterminio inizia cinque secoli fa per mano di sanguinari samurai. Dal 1822 al 1854 la popolazione Ainu si dimezza
falcidiata dal colera, dalla sifilide e dalla tubercolosi importata dai "repunkun", gli odiati nemici che venivano dai mari del nord, e dai "shamo", i giapponesi. Alla fine dell'ottocento,
nell'era Meji, decolla il capitalismo industriale e i sentimenti nazionalistici: la terra degli Ainu è confiscata come "terra di nessuno" e gran parte delle foreste è distrutta per il profitto
dell'impero del Giappone. Nel 1899 è promulgato l' "Aborigenes Protection Act" e inizia una violenta campagna di acculturazione. Agli Ainu è proibito l'uso della lingua natale. E'
stravolta la toponomastica. Si costruiscono strade militari costringendo i giovani Ainu ai lavori forzati. Una perfetta operazione di "pulizia etnica" conclusa solo pochi decenni fa. Nel
1955 solo 20 vecchi ricordano l' "Ainu itak" - l'antica lingua.
Un inatteso "rinascimento Ainu" esplode alla fine degli anni '60 quando in Giappone nasce l'arte moderna del gruppo "Gutai", la controcultura e la ribellione degli studenti di Tokyo e
Osaka nel "magico 68". Finalmente una stampa libera e insolente mostra al mondo l'altra faccia del "civilissimo" Giappone. Paese del miracolo economico, dei ciliegi sempre in fiore e
dello zen che nasconde però nei suoi "slum" di Kobe e Osaka tre milioni di fuoricasta. I "burakumin", eredi di una discriminazione feudale contro chi praticava mestieri "impuri", come
macellai e conciatori di pelle. Invisibili e discriminati razzialmente sono anche quelle migliaia di "giapponesi" che appartengono alle minoranze degli Ainu e della popolazione d'Okinawa.
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 10 di 15
A difendere gli Ainu c'é lo scrittore Ryu Ota, "guru" del movimento dei verdi giapponesi. Nel suo libro "Ainu Kakomei Ron" incita apertamente gli Ainu alla rivolta per fondare una
repubblica indipendente. Lo incontro la prima volta in una "scuola di selvaggità" che ad ogni estate si inaugura nel cuore segreto della foresta di Shizunai. Qui si ritrovano ecologi
giapponesi, ambientalisti provenienti da ogni parte del mondo e giovani ainu guidati dai loro sciamani - i mitici Tusu Guru. Ryu Ota è ottimista: il messaggio degli Ainu è universale e
straodinariamente moderno. Questo popolo conserva ancora la purezza e la forza dell'uomo selvaggio. "Ainu puri" - la "Via" degli Ainu - proclama quell' "egualitarismo biosferico" che è
anche l'idea fissa dell'ecologia profonda, che afferma il diritto di ogni creatura a vivere secondo i propri fini. Per gli Ainu non c'é nessuna differenza tra uomini e animali e piante che
diventano nostri "maestri" quando ci insegnano a vivere in modo più libero, spontaneo, estatico e armonico.
Ryu Ota è convinto che gli Ainu sono un "patrimonio dell'umanità " che il governo giapponese dovrebbe tutelare. Oggi il 70% degli Ainu è povero e l'altro 30%è indigente. Gli Ainu
controllano solo lo 0,15% del territorio natale. Il reddito annuo di un capofamiglia Ainu è inferiore di duemila dollari a quello di un giapponese che lavora in Hokkaido. Per queste
ingiustizie è nato negli anni '70 un "braccio armato" che si è scagliato contro i bersagli simbolici della colonizzazione giapponese. All'università di Sapporo salta in aria il dipartimento
d'antropologia. Si accusano gli antropologi d'aver rapinato oggetti rituali, d'aver dissepolto nei cimiteri i crani degli avi per folli misurazioni. Gridano gli Ainu: "Siamo vivi e non finiremo
imbalsamati nei vostri musei". Poi salta in aria il quartier generale della polizia e un tempio scinto. E a Asahikawa è distrutta la statua che raffigura un Ainu schiavizzato che si
inginocchia ai piedi di un "eroe" giapponese.
Ryu Ota mi ricorda che proprio da Shizunai era partita una folla di ecologi e ainu per la prima "Marcia per la Sopravvivenza: Seizo E - No - Koshin". Un pellegrinaggio a piedi attraverso
tutto il Giappone che riuniva simbolicamente due popoli "schiavi": gli Ainu e il popolo di Okinawa. Una svolta politica si ha solo nel 1994 con l'elezione al parlamento dell'ainu Shigeru
Kayano, animatore del museo di Nibutani e autore del libro: "Our Land was a Forest". E finalmente nel 1997 viene proposto al parlamento giapponese il primo progetto legge per la
tutela della "minoranza" Ainu.
A scuola di selvaggità
Nel bosco scuola incontro anche Pon Fuchi, attivista dell' "Ainu Culture Association" di Shizunai. Mi dice: "Questa gente ci insegna a vivere in modo meno consumista e distruttivo. Il
patrimonio culturale degli Ainu, come quello delle altre popolazioni aborigene ha un valore tremendo per tutta l'umanità". Le chiedo di spiegarmi l'idea di questa scuola nella natura. Mi
risponde che tutto è nato quando il bosco è stato restituito alla sciamana ainu Kohana, dopo una lunga battaglia legale finita su tutti i giornali giapponesi. Una vittoria simbolica,
estremamente importante perché ha indicato a tutti gli Ainu la via legale per riacquistare la propria terra. Nel bosco si è voluto ricreare un "kotan" scuola, fatto di capanne di paglia
tradizionali, per rieducare gli Ainu alla selvaggità, lontano da turisti e giornalisti che li fotografano come "animali da zoo". Un ritorno alla vita com'era una volta ma anche una nuovissima
idea di ecologia esperenziale. L'uomo d'oggi - Ainu compresi -è disorientato: ha perso le sue radici e per curarsi ha bisogno di selvaggità. Ridiventando "non concimato, non potato,
forte, elastico e ad ogni primavera fiorente di una bellezza selvaggia" come "canta" il poeta della natura Gary Schneider che ha avuto come compagni di viaggio "Budda Maratoneti" e
asceti delle Alpi giapponesi.
Prima di essere ammesso alla scuola dove si insegna il "galateo della selvaggità " vengo messo alla prova con un po' di sveglie all'alba e faticose giornate di lavoro. Finalmente vengo
accettato dal "capo" Fukushima San, figlio adottivo della famosa sciamana Kohana. La mia giornata tipo inizia all'alba con un bagno ghiacciato di torrente. La colazione è servita alle
sette: zuppa di erbe selvatiche condita con "miso" e un buon te' di "kumasasa" - l' "erba dell'orso" - un bambù nano che cresce in montagna. Lavoro con gli uomini che costruiscono una
"ciset", la capanna tradizionale fatta di paglia e di bambù, mentre le donne gironzolano nel bosco a "caccia" di funghi e gustose radici selvatiche. A mezzogiorno ci si ritrova tutti
assieme a tavola davanti a una tazza di brodo caldo in cui galleggiano dei gnocchi di farina integrale. Poi si fatica ancora fino al tramonto. Prima di cena si fa il canonico bagno caldo - l'
"ofuru" - tutti nella stessa tinozza: prima le donne con i bambini. Il menù serale si arricchisce di riso, tofu e alghe. Poi davanti al fuoco inizia la "classe" di danza. Un vecchi Tusu Guru
dalla barba bianca, uno sciamano, ci insegna a danzare e a "volare" come aironi, a saltare come orsi. La danza è un "viaggio", una metamorfosi sacra, un orgasmo del corpo e
dell'anima; il ritmo è scandito dal canto di vecchie patriarche, le "fuchi". Qualcuna ha ancora i "baffi" tatuaggio attorno alla bocca e al collo indossa preziosi gioielli a specchio - gli antichi
"tamasai". Le donne danzano scuotendo la testa e le lunghe chiome nere. Muovono le braccia come fossero ali, i loro corpi ondeggiano con eleganza e fluidità. La danza dell'orso è più
energica: mima il " respiro della terra", il ritmo di vita e morte. Inspirando si espande il corpo che salta e "vola" verso il cielo, espirando invece ci si piega su sé stessi come embrioni,
ritornando così nella culla accogliente della nostra "notte uterina" prenatale.
Per gli Ainu il bosco è vivo. Le betulle col loro tronco lucente sono corpi adolescenti di fate. Le rocce antropomorfe sono troni dei "Kamui" - le energie spirito che popolano l'universo.
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 11 di 15
L'intera montagna è una madre: i suoi seni sono i suoi boschi gonfi di "Qi". Energia cosmica e "latte" verde, che si può "ciucciare" dai pini centenari con una "danza" di abbracci e
strusciamenti che assomiglia a un "massaggio arboreo". Si avvicina il viso al tronco per ascoltarne il "respiro". Lo si accarezza con le mani e poi con il corpo. Con la sensualità di un
amante.
Mi insegna Fukushima che tutte le creature del bosco sono "Kamui", sacre, perché "l'animale selvaggio è puro, intuitivo e ha una forza tremenda. L'orso non può essere che un Dio
incarnato per sopportare il gelo degli inverni d'Hokkaido. E' Kimmun Kamui, il Dio della Montagna, che quando fa visita a noi mortali indossa una pelle d'orso trasformandosi
nell'animale più forte della foresta". La caccia dell'orso è per gli Ainu un rito magico per conquistare carne e pelo che gli dei ci regalano in cambio di saké e dolci di riso. L'orso sacro
sceglierà il suo killer tra gli uomini più generosi. Dopo l'uccisione rituale il dio dei monti può uscire dalla scomoda pelliccia per ubriacarsi e ritornare ai suoi cieli. Perciò la "festa" del
sacrificio dell'orso è chiamata "Iyomande". Che vuol dire scambiarsi doni.
Monti sacri, monti "fallo" e "vagina"
Dopo due mesi di vita nei boschi sono pronto all'esame finale: la scalata del monte Horoshiridake, ombelico del "Kamui Moshir" - la terra degli Dei. Horoshiri, la Grande Montagna,
svetta sola in mezzo a un oceano verde di foreste: per gli Ainu è un "paradiso" e il luogo archetipo di apprendimento e di sfida, dove si sprigionano vortici d'energia mistica. Ma prima
del "Viaggio", Fukushima San ci prepara il nostro "tempio del sudore": una capanna di frasche che assomiglia a un "taipé" indiano con al centro un buco-cratere che verrà riempito con
pietre roventi. E' così magicamente riprodotto l' "utero cosmico" e il fuoco al centro della terra. Il nostro bagno di vapore inizia con la svestizione rituale: nudi si entra nel "tempio" da una
fessura "vulva" e quando si è dentro ci si dispone in cerchio. E' buio pesto. Si getta acqua ghiacciata sulle pietre roventi: l'aria satura di vapore bollente è irrespirabile. Osamu suona il
tamburo:è un giramondo giapponese che ha vissuto con gli Apaches ed è considerato un mezzo sciamano. Nel suo zaino, che ha sempre con sé, nasconde un armamentario di pipe
sacre, nastri colorati, foglie di tabacco e penne d'aquila. Il caldo diventa ben presto insopportabile: c'é chi grida dal dolore e chi invece "muore" e cade in trance. Una ad una cascano le
nostre inibizioni:è il momento del coraggio e della verità. Il tamburo passa di mano in mano: ognuno si "confessa". C'é anche chi parla con voce angelica regalando le sue visioni. Poi si
esce alla luce:è una vera rinascita. Puri, sensibili e più consapevoli siamo così pronti a scalare il monte sacro. Per raggiungere le falde di Horoshiridake risaliamo la valle del fiume Saru
fino al villaggio di Nukibetsu e poi il corso del freddissimo rio Nukapia. Adesso non ci sono più sentieri. Si cammina nell'acqua gelida risalendo il fiume che taglia in due la foresta. E'
una specie di alpinismo acquatico: anch'io calzo le "cikatabi", una pantofola a zampa d'anitra usate dai carpentieri giapponesi, con sopra un sandalo di paglia antisdrucciolo. Salgo
vestito di bianco - il colore della purezza - e in digiuno. Dopo qualche ora di marcia siamo rimasti in tre: con me c'é Fukushima San e la fortissima Fusako Nogami, piccola e battagliera
ecologa di Tokyo. Finalmente in cima a Horoshiri ammiro un oceano verde e infinito di foreste che ondeggia ai venti. Non si vedono case, strade: tutto è natura e silenzio. Fukushima mi
dice che i laghi, i boschi che ci circondano sono occhi, peli e capelli e il corpo del Dio Madre e Terra. Poi accendiamo un fuoco e preghiamo in silenzio.
Dopo questo "bagno di foresta" voglio visitare l'Akan National Park con i suoi laghi: Akan-ko, Kusharo e Mashu-ko. Ho una lettera di presentazione per l' "Ekashi" Nukanno Akibe,
capovillaggio dell'Akan Kotan. E' un omone barbuto che mi accoglie con gran sorrisi: mi invita alla festa del "Marimo Mazuri" per onorare l'alga sferica Marimo che cresce solo nelle
acque limpidissime dell'Akanko. Poi mi invita a scalare i due "monti amanti" che si riflettono nel lago: uno di questi è il monte "maschio" e l'altro è il monte "femmina". Salgo allora in
cima al virile e solitario "O - Akan". Un vulcano spento che si drizza in alto come un fallo. Poi scendo a valle, attraverso una bella foresta e risalgo il cratere profumato di zolfo della
vulcanessa "Me - Akan". "Vagina" del mondo che sprigiona fuoco e calore fecondante. Mi spiega Nukanno che con quel mio salire, scendere e risalire ho creato un "sentiero vivente" e
una magia d'amore che riunisce due monti "amanti", crea pace e armonizza l'energia del mondo.
Hokkaido: l'ultima terra degli Ainu.
Hokkaido, chiamata anticamente "Ezo" - la terra dei barbari -è l'isola più settentrionale del Giappone. E' una terra di frontiera, ricca di foreste e di wilderness montane, che occupa un
quinto dell'intera superficie del Giappone, ma che ospita solo il 5% dell'intera popolazione giapponese. Qui vivono gli ultimi Ainu nei "kotan" di Asahikawa, Kamikawa, Shiraoi, Akanko e
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 12 di 15
Kushiro. Dopo i disboscamenti e la trasformazione di migliaia di ettari di bosco in terreni agricoli Hokkaido e, frutta. L' "oro verde" è costituito dal legname pregiato e dai prodotti della
pesca: tra questi i pregiatissimi salmoni e le alghe.
Hokkaido è la mecca del turismo "verde" giapponese che attrae ogni anno milioni di trekkisti e campeggiatori. I periodi migliori per visitare l'isola sono da giugno ad ottobre, e per gli
amanti degli sports invernali da dicembre a gennaio. Per saperne di più del "Popolo dell'Orso" si può visitare l' "Ainu Materials Display Room" presso il giardino botanico di Sapporo, il
"Kawamura Ainu Memorial Museum" di Asahikawa e gli "Ainu Kotan" di Shiraoi e di Akanko, dove di sera si può assistere a performance di danze tradizionali. Il turista occidentale è
accolto dagli Ainu con gran simpatia e generosa ospitalità specialmente durante i festival che si celebrano nella stagione del "koyo" - delle metamorfosi - quando le foreste si tingono coi
caldi colori autunnali. A fine settembre si celebra il "mazuri" per onorare Samkusayun, un capo ribelle che combattuto con gran coraggio contro le armate mercenarie di Matsumae nel
1669. E' un festival "politico" promosso dagli Ainu di Shizunai che si radunano davanti alla statua bronzea del loro eroe per danzare, ricordare i soprusi e il genocidio della loro tribù, e
inviare doni e preghiere agli avi. All'inizio di ottobre all'Akan Kotan, che è anche un famoso centro termale, si celebra il "Marimo Mazuri". Questa volta tutti i clan Ainu d'Hokkaido si
ritrovano per tre giorni di feste dedicati all'alga "marimo", che per loro è "Kamui" - dio - e un miracolo di Madre Natura.
________________________________________________________________________________________________________________
Il " volo magico " dei Jhakri, gli sciamani del Nepal.
di Italo Bertolasi
Li ho incontrati la prima volta in Nepal trent'anni fa. Allora ero anch'io un pellegrino diretto ad Oriente e a mete che non erano luoghi precisi. Mie le parole di Hermann Hesse: " quel
viaggio non era solo mio e del mio tempo: quella colonna di devoti in cammino non era che un'onda nella perpetua corrente delle anime verso il mattino. Il nostro oriente non era
soltanto un paese, ma era la patria, la giovinezza dell'anima. Era il Dappertutto e l'In-Nessun-Luogo ".
Viaggiavo a piedi - allora era di moda - assieme ad altri nomadi ribelli. Ci proteggevano angeli, dakini e quegli eroi che prima di noi avevano esplorato la "via". Sulla strada dell'India ho
incontrato baba indù, sufi di Allah e sciamani che ci accompagnavano entusiasti nei loro eden: templi, tombe di santi e altri piccoli paradisi. Ogni tanto dormivo sotto le stelle. Quei nostri
maestri di strada amavano la libertà e ci insegnavano a camminare e a "danzare nel mondo" per sciogliere ogni legame. Tra di noi, i più "deboli", parcheggiavano ogni tanto in un
ashram dove c'era sempre una zuppa calda condita con un po' di nirvana, ma i più "forti" camminavano sempre. Ogni tanto si giocava a perdersi lungo il sentiero maestro per stare soli
a godere il silenzio inebriante dell'Himalaya. "Dove andavamo? Sempre a casa!".
Così un bel giorno, senza cercarli, ho trovato i "miei" Jhakri sciamani. In Nepal buddhismo e induismo si mescolano alla "religione" più diffusa e segreta: il "jhakrismo" - la "via" degli
sciamani. Gli studiosi che gli hanno contati ne hanno trovati ottocentomila - uno ogni venti abitanti - i medici del Nepal sono solo un migliaio. Ma i jhakri sono invisibili: con la furbizia dei
maestri taoisti si nascondono tra la gente qualunque. Sono dei ricercatori "free lance" sempre in odor d'eresia che ho subito amato per il loro "free style" devozionale. Per avvicinarsi
agli dei non si rinchiudono in monasteri, danzano e suonano il tamburo nei loro villaggi, scalano monti sacri e esplorano la natura selvaggia convinti di avvicinarsi a forze segrete. Nei
loro visi scavati c'é la bellezza tragica delle montagne dell'Himalaya.
"Jhaknu" nella lingua nepali vuol dire sbirciare, spiare. "Jhakro"è la capigliatura lunga e spettinata ma anche il cespuglio incolto. Jhakri - lo sciamano -è allora un uomo selvaggio,
curioso e potente. In Nepal è il medico dell'anima umana, il ponte tra vivi e morti, tra uomini e dei. Con il battito del suo tamburo "jhangro", il canto ipnotico e ripetitivo "jagar" e il ballo e i
salti vola dritto in Cielo. Il corpo è scosso da tremori e convulsioni - kamnu - e la coscienza "esplosa" fa ritorno alla sua natura celeste. Con il trance estatico il jhakri si trasforma in uno
"psicopompo" - che guida l'anima verso il cielo e il regno dei morti - e in un "disincarnato" che può realizzare quaggiù e tutte le volte che vuole l'uscita dal corpo.
Questa "piccola morte" ci riporta alla nostra vera patria: un oceano scintillante e amniotico, un nulla caldo e magnetico chiamato nirvana. La preghiera dei Jhakri è un godimento di sé e
del mondo:è un "orgasmo cosmico". Con la danza sacra il corpo dello sciamano, giovane o vecchio che sia, acquista movimenti agili e polimorfi. Gira come una trottola mimando la
rotazione dei pianeti attorno al sole, il volo degli uccelli, le contorsioni degli amanti. Ogni tanto si rannicchia come un feto per riposarsi un po' ma poi "riprende il volo" allargando le
braccia come una nuvola spinta dal vento.
Ci sono due modi per diventare jhakri. Il primo con una "chiamata" da parte di dei e antenati, con sogni e dolorose malattie iniziatiche, il secondo invece per trasmissione ereditaria: Ma
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 13 di 15
chi riceve in dono la "professione sciamanica" è considerato niente di più che un semplice medico. Nel Nepal d'oggi devastato dalla corruzione politica, dai disastri ecologici e dal
turismo selvaggio le vocazioni sciamaniche sono in crisi. Ma anche lì sta nascendo una terza e nuova via di iniziazione. Quella di chi vuol diventare sciamano per sua volontà e paga
una guida alla via dei poteri sciamanici. Tra questi ci sono i figli della Psichedelia e della New Age, risorti dalle ceneri degli Hippie anni '60, che si sentono orfani di quel corpo ecologico
e "sciamanico" che l'occidente così materiale non può più restituirci. Nei villaggi di montagna più sperduti si racconta anche la favola del "sacro rapimento": bimbi predestinati che si
perdono nei boschi sono accolti e istruiti dai "Ban Jhakri" - elfi, maghi e orchi - che li restituiscono a papà e mamma dopo un anno di " scuola di selvaggità e sciamanesimo".
La gente dell'Himalaya sa che le foreste sono abitate da uomini selvaggi. Ci sono le tribù aborigene dei Kusunda e dei Chepang, scoperte dagli antropologi pochi anni fa, ma anche
"Ritte Jhakri", neri e pelosi che vivono con i "Suna Jhakri" dal pelo fulvo e dorato. I "Jala Jhakri", acquanauti che vivono nelle paludi. Consiglia di evitare i "Latho Jhakri", muti e pazzi,
mentre è un dono divino l'incontro con i "Bon Jahkri", nani vegetariani, verdi e caritatevoli, che ci insegneranno le arti sciamaniche.
Di notte, vicino al fuoco e ai monti più alti della terra, ho incontrato più volte chi mi giurava d'esser stato educato da queste creature dei boschi e come prova mi mostrava i regali
ricevuti: pietre sonanti, cristalli e strane reliquie antropomorfe fatte di pelo e radici intrecciate.
Per sopravvivere allo sterminio e a una caccia a streghe e stregoni che mi ricorda quella della nostra inquisizione molti sciamani si sono dovuti mascherare con liturgie indù e buddiste.
Per incontrare i jhakri più "puri" del Nepal ho trascinato Santos, la mia guida tamang, sui monti Mahabharata che confinano con il Terai, nella giungla tropicale del Terai assieme a tigri
e a branchi di rinoceronti unicorno vivono gli ultimi "Kusunda". Aborigeni, nudi e irraggiungibili, odiano l'agricoltura e si dedicano a caccia, pesca e raccolta di "kandamuls" - frutta, foglie
e radici selvatiche. Su giardini pensili a strapiombo vivono gli ultimi "Chepang" che ho deciso di visitare. Usciti poco anni da dalla giungla oggi si autoproclamano "Chyobang", il popolo
della montagna. Kusunda e Chepang sono le due ultime "broken tribes" - tribù disgregate - del Nepal.
Dopo aver perso per strada cuoco e portatore con tutte le nostre provviste arriviamo finalmente al villaggio chepang che cercavo. Ci accoglie un "pande", uno sciamano vestito solo con
un perizoma. Il corpo del vecchio, smagrito dalla miseria,è in mezzo al suo harem di mogli, figli e nipoti. Ha l'aria altera di un re che sa d'essere un prezioso tesoro vivente. Le donne
vestono stracci e girano a seni nudi. I bimbi fumano tabacco con le pipe dei nonni e bevono "jand" e "raksi", alcool di mais. Vivono assieme a caprette, maiali e polli in un'allegra e non
igenica promiscuità.
C'é molta povertà nel villaggio ma devo accettare la loro ospitalità, il nostro riso prezioso è sparito col cuoco in quelle giungle. Per tre giorni assaggio il piatto locale: un po' di "tarkari",
verdura bollita e una tazza di "raksi" , "vino" di miglio e di mais. Ma prima di ripartire, in una notte di luna piena, il pande ci regala una "puja" propiziatoria. Batte il "rin", un tamburo
speciale a una sola faccia che è ornato di sonagli zoomorfi. Ad ogni respiro e ad ogni tremore fa eco un suono ritmato dai tintinnii, dal "rombo" del tamburo e dai mantra devozionali.
Potente medicina sonora.
Il mese di "saun", luglio – agosto, è infausto: le valli del Nepal sono martoriate da diluvi monsonici e da frane. Anche gli dei si spaventano nascondendosi nelle viscere della terra e
l'uomo rimane solo e indifeso. Ma nella magica notte della luna piena di agosto, il Janai Purnima, gli dei ritornano nei "dharma sala", i loro troni in cima ai nevai e tutto ritorna come
prima. Per ringraziarli una lunga processione di fedeli, con gli sciamani in testa, salgono in montagna per raggiungere i laghi sacri di Gosaikunda. I Jhakri che partecipano al "jatra", il
sacro pellegrinaggio, sono vestiti a festa. In testa hanno un turbante fatto con sete intrecciate rosse e bianche simbolo della armonica unione del maschile e del femminile. In mano
hanno armi scacciademoni: i "mala", lunghi rosari fatti con semi di "rudrasksha" (Elaocarpus ganitrus), i "furpa", pugnali rituali di legno, il "trisuli", tridente di Shiva e l'immancabile
"jangro", il tamburo sciamanico. Indossano lunghe tuniche bianche e i più "forti", che sono i più vecchi, salgono scalzi. Le fanciulle più belle sono invece agghindate come "dakini", fate
e angeli dai seni "profumati di fiori" che i tibetani raffigurano nude e deliranti e che simbolizzano la scoperta della verità rivelata dal Buddha.
Dopo una notte di danze e sbornie passata a Sing Gompa con i Jhakri che fanno i loro miracoli salgo anch'io, di primo mattino, verso i 108 sacri laghi a quattromila metri d'altezza.
Arrivati finalmente in cima i pellegrini si spogliano e si tuffano nelle acque gelide del lago di Gosaikunda, dimora di Shiva. Il dio delle vette è venerato come "Pasupati": protettore
dell'Himalaya, degli asceti e degli animali selvaggi. E' androgino e ambiguo: è "fausto e propizio" ma ha un alter ego - Rudra - terribile e distruttivo.
Nelle estasi Shiva appare ai suoi devoti come uno yogi nudo, metà donna e metà uomo, con una lunga criniera di capelli intrecciati a velenosi cobra. Ha due braccia che afferrano una
gazzella e un'ascia paurosa e altre due con le mani impegnate in mudra di pace e di offerta. Il suo fallo rosso è venerato a Gosaikunda come simbolo della potenza generativa. E' un
lingam, una pietra che spunta dall'acqua simbolo della yoni, la "vulva" della creazione divina. Quando lingam e yoni si incontrano nasce il "brahman": si crea la vita e finisce ogni
dualismo.
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 14 di 15
Qualche sciamano sale in montagna in digiuno. Altri sfruttano l'alta quota e lo stress dell'acclimatamento per "sballare" e avere sogni e visioni. Il sentiero che ci conduce a Gosaikunda
nasconde tesori: "rocce madri" che i devoti fecondano con la preghiera e che penetrano come spermatozi. Strisciano attraverso crepe vagina fin dentro il "ventre della montagna". I
Jahkri venerano altre "pietre insanguinate" come quelle che raffigurano il sesso di Kali, dispotica dea del tempo e della distruzione. Kali è una strega affascinante ornata di teschi. Coi
capelli corvini, gli occhi scintillanti, i seni e la lingua penzolanti.
In un tiepido inverno nepalese mi trovavo nella valle di Khumbu, ai piedi del Chomlungna, l'Everest, a "caccia" di "lawa", gli ultimi sciamani sherpa. Un giorno, con la speranza di curare
la mia guida Kagi Sherpa tormentata da incubi e tremori ho fatto visita a Nimba Bo San. Il lawa dopo aver suonato il tamburo, danzato e offerto incensi ai guru e agli dei della montagna
mi conferma una diagnosi infausta: Kagi Sherpa dovrà far ritorno a Katmandù. Perdo così in un sol colpo un amico, il mio traduttore e la mia guida. Alla fine del consulto chiaccheriamo
un po': anche lui da bambino è stato rapito da un Bo Jhakri. Mi vuol convincere che tra quei monti si nascondono gli ultimi spiriti guardiani dell'Himalaya - i "Lu" - scacciati dalle foreste
disboscate. Nelle valli sherpa ogni inverno si riversa un esercito di trekkisti e di alpinisti che deposita mucchi di dollari e spazzatura. Nimba con un espressione stanca e sconsolata mi
dice: "quando la foresta che vedi sarà distrutta, fuggiranno gli animali e i nostri Bon Jhakri. Allora la montagna ferita morirà e anche noi lawa spariremo".
Il villaggio di Godawari, a pochi chilometri da Katmandù, è famoso per le orchidee del suo orto botanico e per un wiskhy locale spaccafegato. A Godawari ritorno ogni volta che volo in
Nepal anche per ritrovare il mio amico Ritte Kami, bravo fabbro e famoso sciamano. I "kami" appartengono alla casta discriminata dei fabbri assieme a "dami", i sarti, e "sudra", gli
intoccabili. Ritte Kami è stato il primo jhakri ad avere un allievo occidentale: il padre gesuita Casper Miller autore del saggio "Faith Healers in the Himalayas". Padre Miller ha il corpo
asciutto e lo sguardo "dritto" di uno sciamano. Quando lo incontro mi dice che Ritte Kami gli ha insegnato ad usare la bibbia come un tamburo e il canto gregoriano come un magico
"mantra", a scrutare la profondità dell'anima umana e a vedere le auree energetiche che circondano il corpo umano.
Il vecchio sciamano forgia ancor oggi zappe e "kukuri", i pugnali dalla lama ricurva dei leggendari Gurka. Ci vuole un'intera giornata di lavoro per trasformare un pezzo di rotaia
d'acciaio della ferrovia delle Indie in quell'arma affilata e brillante. Ritte Kami mi mostra orgogliosamente il suo jangri, il tamburo cilindrico a doppia membrana fatto di pelle di "goral",
uno stambecco himalayano. Sul lato maschio e solare del tamburo è dipinto il tridente di Shiva e su quello femminile un quarto di luna scintillante.
Per lo sciamano il tamburo è uno strumento da "biofeedback spirituale": il suo battito stimola e guida il ritmo del cuore, la respirazione e le nostre emozioni per condurci al trance e al
"viaggio". Sul manico sono incisi due serpenti intrecciati ed eretti che simboleggiano la Kundalini, energia spirituale che ognuno di noi ha depositata nel suo fondo schiena. Quando è
risvegliata sale lungo la colonna dorsale e i sette chakra sviluppando stati di benessere e di illuminazione. Ritte Kami è un guaritore che invita alla sua puja Bir Masani, un demone
terrifico causa di malattie. Bir Masan è attirato nella trappola di un mandala ragnatela, fatto di disegni colorati, fiori, e altre offerte di riso, monete e lumini.
Il mandala è un disegno che rappresenta l'ordine del mondo. Uno psicogramma che serve a yogi e a lama esperti a comprendere l'intima struttura e il mistero dell'anima. Ma è anche un
labirinto pericoloso per sciocchi e demoni malintenzionati che si perdono e si "indeboliscono" in mezzo a una babele di segni magici e misteriosi. Nel mandala Bir Masani è sedotto e
pacificato con i doni, poi è ubriacato col sangue di un pollo sacrificale perché mai più possa ritrovare la strada per Godawari.
Per incontrare la jhakrini Bhudi Lama - una sciamana tamang - mi avventuro invece con l'amico Santos in un dedalo di baracche, fabbrichette di tappeti tibetani e "chiai shops" che
assediano e soffocano la stupenda stupa di Bodnath. Bhudi Lama è ha curato la famiglia reale del Nepal ed è diventata leggendaria. Mi accoglie con simpatia e mi lascia appiccicarmi
con la mia Sony per spiare i suoi segreti. Davanti alla sciamana ogni giorno sfilano donne depresse, spose sterili, madri infelici con bimbi malati, pazze e vittime di malocchi e fatture.
Si apre un velo sull'invisibile sofferenza della donna nepalese, obbligata a ubbidire sempre, a sposarsi bambina, ad accettare la poligamia e a lavorare sempre. Schiava della casa,
ancor oggi subisce le discriminazioni di una società misogena e patriarcale - la vita domestica è chiamata ancor oggi "homa", cioè sacrificio. Bhudi Lama va in trance con un mantra
ipnotico e poi sfiora con una lama schiene curve e dolenti, ventri gonfi, ferite infette e seni vuoti che non vogliono dare più latte. E nei casi più gravi "cura" donne stregate che si
divincolano a terra come serpi con potenti ceffoni.
Bhudi Lama ha sempre dimostrato un gran coraggio:è diventata sciamana a vent'anni dopo una guarigione miracolosa e dopo una sfida di tre lunghe notti trascorse alle pire funerarie.
Nei crematori si addensano le ombre vendicative dei "sijo" e dei "massans", anime inquiete di suicidi e morti ammazzati. La giovane si offre in pasto a quei demoni protetta dai suoi guru
e da schiere di dakini. La lotta è tremenda: seduta sulle pire, a gambe incrociate, Bhudi Lama è assalita da paure ancestrali, dall'angoscia della morte, da odori nauseabondi e da
energie velenose che la scuotono da testa a piedi. La mente vacilla al limite della follia. Ma i demoni rimbalzano sulla sua anima protetta e Bhudi vince la sua battaglia diventando
"lama", "jhakrini" e sciamana.
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012
LE SCUOLE CONTEMPORANEE
Pagina 15 di 15
Questa storia mi ricorda la sfida dei tibetani - il chod - che si isolano nei cimiteri per offrirsi in offerta agli spiriti e vedere la morte e degli sciamani yakuti che si " lasciano morire" tre
giorni di fila nelle loro yurte, senza mangiare e bere. O le visioni iniziatiche degli sciamani tungusi e buriati dove si vedono fatti a pezzi, riempiti di cristalli e poi ricuciti, con fate splendide
che cantano: " il nostro eroe diventerà un grande sciamano"
I Jhakri ci mostrano che la vera forza non è nei muscoli ma in una condizione di purezza e fragilità emotiva che ci trasforma in "occhi di Dio" che sanno riconoscere i veleni del mondo.
Qualche volta follia e poteri sciamanici si mischiano come nella vita drammatica della sciamana tibetana Sakyapa Dolkar di Bodnath. Mi racconta che da giovane, pazza e
schizofrenica, si era affidata alle cure del Dalai Lama e del suo esorcista Tsetrul Rinpoche. Questi medici dell'anima avevano intuito il potenziale spirituale nascosto in quel disagio e
con esorcismi avevano trasformato la sua pazzia in una forza tremenda al servizio dei Budda. Sakyapa Dolkar diventa così una potente sciamana protetta da Dorje Yudonma, suo guru
che incarna l'energia del cosmo. Mi invita a cena e dopo un bel piatto di ravioloni imbottiti di verdure vuole che assisti a una puja di guarigione "sponsorizzata" da un gruppo di malati
occidentali e di Sick benestanti. I Sick sono indiani fedeli al credo monoteista di guru Nanak famosi per la capigliatura intonsa "kesh" raccolta sotto il turbante.
Col viso nascosto da una seta rossa e col capo incoronato da una tiara la jhakrini entra in trance: lamenti, contorsioni animalesche, risa isteriche stimolate da suo "damaru", un
tamburello tibetano. Poi accende il fuoco: sposta le braci ardenti a mani nude, ci sputa dentro raksi puro e poi inizia la "cura". I malati dopo una veloce diagnosi, uno per uno, sono
massaggiati, picchiati e ciucciati nelle parti del corpo malate. La sciamana dimostra l'abilità di un prestigiatore. Sputa in una bacinella ogni tipo di sozzura: piccoli calcoli di pietra, peli,
piccoli tumori, sangue marcio. Strilla, pianti strazianti e canti soavi di ringraziamento accompagnano queste suzioni.
Per il suicidio di un sarto vengo richiamato a Godawari. L'anima dell' impiccato vaga senza pace sopra il villaggio perseguitando i due figli: uno trema come una foglia e l'altro è
impazzito e farfuglia parole insensate. In Nepal non c'é disgrazia peggiore che il suicidio. Ognuno si sente colpevole, ha rimorsi, qualcosa da farsi perdonare e teme tremenda vendetta
dai "morti che camminano", i morti suicidi.
Con gran sacrificio si assoldano molti Jhakri: i figli sono tartassati di cure e dopo ore e ore di tamburo esplodono in trance violenti. Tra la sorpresa di tutti il più giovane, con il tono di
voce del morto, racconta i particolari di quell'ultima notte. I vecchi annotano ogni parola e decidono di ripercorrere il sentiero che conduce al luogo del suicidio. Qua e là ritrovano, su
indicazione del figlio, le cicche fumate dal morto, la corda in più che non era stata usata ed era abbandonata nel bosco e i suoi sandali di gomma.
Nella notte della "guarigione di gruppo" si accende un grande falò. I Jhakri nutrono l'anima errante spargendo sulle braci ardenti burro, latte e il sangue dei polli sacrificati. Tutto il
villaggio è intorno al fuoco. I tamburi battono all'unisono, gli sciamani e i figli del sarto si buttano tra le ceneri ardenti. E' un bagno di fuoco e di cenere liberatorio, un'orgia di odori di
incenso e sangue bruciato, in mezzo a boati di grida. I Jhakri dopo un po’ sono d'accordo: l'anima del suicida è soddisfatta da quell'offerta. E' ritornata in cielo e gli abitanti di Godawari
potranno dormire sonni tranquilli.
NATIVI AMERICANI,
ABORIGENI AUSTRALIANI.
http://www.enciclopediaolistica.com/enciclopedia/spi/spi06.htm
21/05/2012