israele: una settimana da sionisti vecchio stampo

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israele: una settimana da sionisti vecchio stampo
ISRAELE: UNA SETTIMANA DA SIONISTI VECCHIO STAMPO
Lunedì 06 Aprile 2009 01:05
di Eugenio Roscini Vitali
Non era difficile prevedere che dalla nascita di questo nuovo governo la svolta a destra sarebbe
stata assoluta, come assoluto sarebbe stato il silenzio di Benyamin Netanyahu sul processo di
pace israelo-palestinese e sulla teoria del doppio Stato. Un silenzio al quale ha invece dato
voce il nuovo ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, che non ha esitato a riaffermare quanto
già sostenuto in campagna elettorale, cioè che Israele non è assolutamente legato alle intese
sottoscritte da Ehud Olmenrt ad Annapolis e che nel vicino Medio Oriente non c’è spazio per
uno Stato palestinese: “Anche se dovessimo ripetere la parola pace venti volte al giorno non
avremo la pace, più faremo rinunce e più la situazione peggiorerà”. Una destra sorda quindi, sia
all’appello del presidente Shimon Peres, che ha chiesto a Netanyahu i massimi sforzi per
continuare il progetto di stabilizzazione sostenuto da Usa ed Europa, sia alle proteste
dell’Autorità palestinese che, per bocca di Mahmoud Abbas, ha denunciato le affermazioni di
Lieberman come una sfida agli Stati Uniti: “La comunità internazionale dovrebbe rispondere a
queste provocazioni che minacciano la sicurezza e la stabilità della regione”. Netanyahu, che
si è insediato ottenendo la fiducia del parlamento con 69 deputati a favore e 45 contrari, non ha
comunque finito di allargare la sua coalizione. Per consolidare la maggioranza e contenere le
quattro defezioni derivanti dalla spaccatura avvenuta all’interne del Partito laburista, che
partecipa a questa insolita alleanza, il neo insediato primo ministro ha aperto le porte all'Unione
della Torah, partito ortodosso che con i suoi cinque deputati aveva già contribuito al voto di
fiducia del nuovo gabinetto.
In questo modo Netanyahu, che ha raggiunto l’intesa concedendo alla formazione askhenazita
due posti di vice ministro e la presidenza della commissione finanze della Knesset, ha però
spostato l’asse della maggioranza ancora più a destra di quanto lo fosse. Una decisione che
potrebbe incidere sulle scelte dei laburisti che ora si ritrovano in una coalizione che oltre al
Likud e alla formazione ultranazionalista dell’Yisrael Beitenu, comprende il partito
ultraortodosso sefardita Shas, i sionisti del Focolare ebraico e l’Unione della Torah.
Per ora, senza rompere platealmente con il gruppo, i quattro dissidenti del Partito laburista si
sono limitati ad uscire dall’aula, ma il fatto di dover appoggiare scelte estreme, come quelle
espresse da Lieberman sul piano di pace internazionale tracciato dal Quartetto e rilanciato ad
Annapolis, potrebbe però portare la formazione guidata da Ehud Barak ad ulteriori forme di
protesta e ad una reale scissione. Ma i laburisti disobbedienti non sono gli unici a nutrire forti
dubbi sul futuro politico di Israele. Da un sondaggio fatto dal quotidiano Haaretz, il 54% degli
israeliani non è assolutamente convinto sulle reali possibilità di successo dell’attuale
maggioranza; al contrario sono in molti a pensare che l’esecutivo guidato da Benjamin
Netanyahu sia destinato a non durare molto, viste le identità ideologiche troppo diverse e la
presenza di troppi ministri, molti dei quali senza portafoglio, che gran parte degli intervistati non
reputa all’altezza di affrontare le difficili sfide a cui è chiamato il paese. Sul piano
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socio-economico i dubbi deriverebbero soprattutto dal fatto che il premier avrebbe riservato il
dicastero dell’Economia a Yuval Steinitz, un ministro senza esperienza che non sarebbe in
grado di dare risposte convincenti ai problemi del paese.
Ancora più duro il giudizio su Lieberman che raccoglie solo il 25% dei consensi e risulta
essere considerato non all’altezza di guidare il ministero degli Esteri. Colmo dell’ironia,
nonostante il difficile momento politico attraversato dal Partito laburista, Barak rimane il membro
del governo più amato e, per la quasi totalità del campione preso in esame, il ministro della
Difesa ideale. Al severo verdetto delle statiche, cosa alla quale Netanyahu è tra l’altro
estremamente sensibile, si aggiungono poi i problemi dalla piazza, dove le frange estremiste,
approfittando dell’ascesa politica dei partiti dell’ultradestra, stanno lanciando una forte
campagna anti-araba, azione che potrebbe innescare la reazione dei palestinesi e dar vita ad
una nuova escalation di violenza. Abbas, che considera Lieberman un concreto ostacolo alla
pace, ritiene che per evitare che le cose peggiorino, ed al tempo stesso salvare il processo di
pace, gli Stati Uniti devono assolutamente intervenire e prendere una posizione contro le idee
espresse dal ministro degli Esteri israeliano sullo Stato palestinese.
A rincarare la dose arrivano poi le dichiarazioni dei leader di Hamas, che definiscono il
governo Netanyahu espressione della forte componente razzista che anima la società
israeliana; i vertici di Fatah iniziano invece a considerare un serio pericolo la nascita di una
Stato arabo ed incominciano a vedere nell’isolamento del movimento islamico voluto da
Mahmoud Abbas un grosso errore. Ma Lieberman non gela solo i palestinesi: durante
un’intervista rilasciata al quotidiano Haaretz, oltre a riaffermare che prima di parlare di pace è
necessario che l’Autorità palestinese prenda il controllo della Striscia di Gaza e disarmi Hamas,
il neo ministro degli Esteri ha detto di essere nettamente contrario al ritiro di Israele dalle alture
siriane del Golan occupate nel 1967 ed ha chiarito che la politica delle concessioni fino ad ora
intrapresa da Olmert - offrire territori in cambio di pace - rischia di causare solo nuove pressioni
e portare a nuove guerre.
Una svolta politico-culturale quindi, una “nouvelle vague” tutta israeliana che da un taglia
netto con il passato e che potrebbe ben presto dare vita alla sua prima creatura: un’operazione
preventiva contro Teheran che Netanyahu non ha mai escluso e che Lieberman probabilmente
auspica. Secondo il commentatore militare di Haaretz, Aluf Ben, ci sarebbero buone probabilità
che il neo premier decida di attaccare gli impianti nucleari iraniani, un’ipotesi confermata da
personalità politiche vicine al governo e da fonti di stampa internazionale che parlano di governi
europei che avrebbero già cominciato ad attuare esercitazioni di sgombero dei loro cittadini
dall’Iran.
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