in another country

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in another country
La Tucker Film presenta:
IN ANOTHER COUNTRY
un film scritto e diretto da
HONG SANG-SOO
con ISABELLE HUPPERT
e YU JUN-SANG, JUNG YU-MI
Titolo originale
DA-REUN NA-RA-E-SEO
International sales
FINECUT
Ufficio Stampa
TUCKER FILM
[email protected]
www.tuckerfilm.com
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Cast tecnico
Una produzione: JEONWONSA FILM CO.
Prodotto da: KIM KYOUNG-HEE
Fotografia: PARK HONG-YEOL, JEE YUNE-JEONG
Luci: YI YUI-HEANG
Registrazione suono: YOON JONG-MIN
Musiche: JEONG YONG-JIN
Disegno suono: KIM MIR
Ufficio Stampa
TUCKER FILM
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www.tuckerfilm.com
Tel. [+39] 0432 299545
GIANMATTEO PELLIZZARI
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Tel. [+39] 347 960 4930
JENNIFER BARACETTI
[email protected]
Tel. [+39] 335 5665589
Paese
COREA DEL SUD
Anno
2012
Durata
89’
© Tucker Film, 2013
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Trama
Una giovane studentessa di cinema e la madre giungono nella piccola Mohang (Corea), in
riva al mare. La ragazza, un po’ annoiata dal quel luogo isolato e lontano, comincia a
fantasticare e a inventarsi, scrivendole, delle storie che prenderanno la forma di una bizzarra
e vivace sceneggiatura. Come già in altre occasioni, Hong Sang-soo lavora e gioca sulla
struttura del suo cinema, costruendo un film nel film, tra divertissement e allegra, intelligente,
riflessione teorica. Lasciandosi ispirare e guidare con libertà e leggerezza, il regista celebra
le vaghezze, gli imprevisti e le bizzarrie che sono insiti nel processo di scrittura e confeziona
un film brillante, originale e lieve. Per fare un film Hong Sang-soo sceglie prima di tutto il
luogo. Solo successivamente riempie la location prescelta con una storia e dei personaggi
ispirati dal luogo stesso. Questo avviene anche, e soprattutto, nel caso di In Another Country.
Isabelle Huppert ha accettato di recitare nel film praticamente a scatola chiusa, dopo un
pranzo con il regista. L’attrice, che poi ha tenuto un diario sul set, racconta di come non
sapesse quasi niente della sceneggiatura (e nemmeno del soggetto) perfino una volta
arrivata in Corea! Il regista consegnava i dialoghi la mattina, solo poco tempo prima che si
cominciasse a girare, se non addirittura durante il giorno stesso. Hong, del resto, si ispira
molto alle improvvisazioni degli attori e coglie, a loro insaputa, numerosi dettagli quotidiani
che vengono poi re-inseriti nei film.
Immagine di Guido Scarabottolo
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Hong Sang-soo
Nato nel 1960, Hong Sang-soo ha studiato cinema alla Chung-Ang University, al California
College of Arts and Crafts di Los Angeles e al School of the Art Institute di Chicago. Dopo
aver passato qualche mese a Parigi per studiare alla Cinémathèque Française, è rientrato in
Corea, dove ha trovato lavoro nella Seoul Broadcasting Station. Nel 1996 esce il suo primo
lungometraggio, The Day a Pig Fell Into the Well, che ottiene uno straordinario successo di
critica in patria e all’estero e lo impone come uno dei più importanti registi coreani. Solo due
anni dopo, il suo The Power of Kangwon Province, girato in bianco e nero, viene presentato
al Festival di Cannes nella sezione Un certain regard e viene premiato con la menzione
speciale della giuria. Hong insegna anche sceneggiatura alla Korean National University of
Arts e nel 2004 fonda la propria casa di produzione Jeonwonsa. Molti suoi film ricordano, per
l’esplorazione dell’alienazione urbana contemporanea, il lavoro dei registi taiwanesi Edward
Yang e Tsai Ming-Liang, ma lo innervano di una lieve e ambigua ironia, per la quale è spesso
stato accostato a due grandi maestri come Eric Rohmer e Luis Buñuel. Tematicamente Hong
si è a lungo concentrato sulle relazioni umane, viste alla luce di una pervasiva solitudine,
dell’impossibilità e della rassegnazione nel comunicare, della meccanicità dei rapporti (in
particolar modo di quelli sessuali). Il suo lavoro ha un senso di giocosità che lo porta a
condurre un’indagine penetrante della società contemporanea con delle immagini che sono
apparentemente prive di ogni calcolo intellettuale.
Tratto da Cahiers du Cinéma ottobre 2012
Filmografia
2013 - OUR SUNHI (in post production)
2013 - NOBODY'S DAUGHTER HAEWON In Concorso, 63° Festival Internazionale di Berlino
2012 - IN ANOTHER COUNTRY In Concorso, 65° Festival di Cannes
2011 - THE DAY HE ARRIVES - Un Certain Regard, 64° Festival di Cannes
2010 - OKI’S MOVIE Orizzonti – Film di chiusura, 67° Festival di Venezia
2010 - HAHAHA Premio Un Certain Regard, 63° Festival di Cannes
2009 - LIKE YOU KNOW IT ALL Quinzaine des Réalisateur, 62° Festival di Cannes
2008 - NIGHT AND DAY In Concorso, 58° Festival Internazionale di Berlino
2006 - WOMAN ON THE BEACH Panorama, 57° Festival Internazionale di Berlino
2005 - A TALE OF CINEMA In concorso, 58° Festival di Cannes
2004 - WOMAN IS THE FUTURE OF MAN In Concorso, 57° Festival di Cannes
2002 - TURNING GATE 40° New York Film Festival
2000 - VIRGIN STRIPPED BARE BY HER BACHELORS Un Certain Regard, 53° Festival di Cannes
1998 - THE POWER OF KANGWON PROVINCE Un Certain Regard, 51° Festival di Cannes
1996 - THE DAY A PIG FELL INTO THE WELL Tiger Award, 26° Festival di Rotterdam
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Hong Sang-soo in tredici film
The Day a Pig Fell into the Well, 1996 – Le avventure sentimentali e velleitarie di
due uomini e di due donne di Seul, raccontate da quattro punti di vista. Hong Sang-soo
stabilisce il suo stile: Osservazione insolita della quotidianità, sguardo allo stesso tempo
empatico e bizzarro sul successo sociale, l’amore, la seduzione e la gelosia, rete segreta di
rapporti tra i diversi racconti.
The Power of Kangwon Province, 1998 – Una ragazza va in vacanza con alcune
amiche in una regione montagnosa per dimenticare la fine di un rapporto con il suo
professore universitario. Anche quest’ultimo si reca nello stesso posto con un amico e per gli
stessi motivi. I tormenti delle pene d’amore e della consolazione di donne e di uomini,
attraverso due viaggi simultanei, ma mostrati in due episodi successivi. Come il film
seguente, The Power of Kangwon Province sarà presentato a Cannes (Un certain regard),
ma per vederlo da noi [in Francia] bisognerà aspettare l’uscita contemporanea nel 2003 dei
suoi tre primi lavori.
Virgin Stripped Bare by Her Bachelors, 2000 – La rivalità sessuale di due ex
compagni di liceo, un regista indipendente e un gallerista arricchito, che amano la stessa
ragazza, l’assistente del regista. Come in Tropical Malady che uscirà quattro anni dopo, il film
è brutalmente tagliato a metà per ripetere la stessa storia ma con un punto di vista più
crudele. Incastonato in un bianco e nero magnifico, il più impressionante e rigoroso dei primi
HSS, è allo stesso tempo sensibile e lucido sulla forza libidica e sulla creazione.
Turning Gate, 2002 – Un attore in declino va a trovare un suo amico scrittore. Lì, non sa
che fare dell’amica del suo amico che gli ha messo gli occhi addosso. Nel viaggio di ritorno,
sul treno, sarà lui a soccombere al fascino di una sconosciuta che seguirà fino a
innamorarsene perdutamente. Con questa favola reversibile sulle trappole dell’amore, HSS
attua pienamente il suo stile: allo stesso tempo divertente, triviale, struggente e erotico.
Woman Is the Future of Man, 2004 – La rimpatriata di due vecchi amici, un
professore di arti plastiche e un regista squattrinato, che ricordano una donna che entrambi
hanno amato e che quindi decidono di andare alla sua ricerca. HSS è ormai un regista
riconosciuto (prima selezione in competizione a Cannes, coproduzione francese con MK2) e
dipinge la sua narrazione con tinte di nostalgia vaporosa.
Tale of Cinema, 2005 – Sdoppiamento della finzione a tutti i livelli, o come lo spettatore
di un dramma (sull’orgoglio, l’amore e il suicidio) finisce per rivivere alcuni aspetti della storia
che ha appena visto al cinema. È uno dei film più ludici di HSS sulle infinite porosità tra la
vita e la settima arte e uno dei più tragici sull’atonia, quasi fatale, abitata dai suoi protagonisti.
Evento estetico! Hong Sang-soo ha il coraggio di utilizzare la figura più criticata dal buon
gusto internazionale: lo zoom, che diventerà il suo nuovo marchio di fabbrica.
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Woman on the Beach, 2006 – In una stazione balneare dove si è recato per finire una
sceneggiatura, un regista si innamora di una giovane compositrice che sparisce dopo aver
ceduto alle sue avances. Incontra in seguito un’altra donna ma i ricordi della precedente
rimangono sempre vivi. Questo dittico, più rifinito e più vivace dei precedenti, è bagnato da
una bella luce di mezza stagione.
Night and Day, 2008 – Due mesi d’estate nella vita di un giovane pittore coreano
costretto a rimanere a Parigi per sfuggire a un arresto nel suo paese (lo sciagurato si era
fatto una canna). Presentato sotto forma di diario, questo Signe du lion degli anni 2000
coniuga i conflitti sentimentali (dilemma tra due ragazze e una terza, la sua compagna, al
telefono da Seul) con uno studio comportamentale sull’esilio forzato, arricchito da episodi
tragicomici e da “cose viste” nel quattordicesimo arrondissement.
Like You Know It All, 2009 – HSS prosegue la sua galleria di eroi-artisti che alzano il
gomito per compensare la loro mancanza di ispirazione. Qui, ad essere narrate, sono le
avventure mondane e sentimentali di un regista, preso tra la giuria di un festival, la conferenza
in una scuola di cinema e una rimpatriata con un vecchio professore e la sua giovane moglie di
cui, a sua volta, si innamora. Una combinazione di comicità, romanticismo e di acidità.
Ha ha ha, 2010 – Due amici, un regista che vorrebbe andare in Canada e un critico,
bevono e parlano del loro amore estivo senza rendersi conto che stanno parlando della
stessa ragazza. HSS avvia qui una fase più minimalista, leggi “spoglia” del suo cinema
(scene di bevute limitate a poche foto in bianco e nero, dialoghi off). Che non significa che
sia più arida. È perfino l’opposto, tanto il racconto, apparentemente semplice, prepara
biforcazioni inattese verso il romantico o il burlesco.
Oki’s Movie, 2010 – Per la prima volta in HSS, il suo eroe tipo, il regista, non è un uomo
velleitario, ma una giovane fiduciosa soprannominata Oki. È attorno a lei che si intrecciano
quattro storie sulla gelosia e sulle complicazioni amorose e che mettono in scena uomini più
anziani ma non per questo più decisi. Girato in una decina di giorni, questo film quasi
improvvisato sprigiona una densità particolare da una sovrapposizione quasi selvaggia dei
suoi quattro frammenti, producendo delle eco più ambigue di quanto sembra.
The Day He Arrives, 2011 – Dopo Virgin Stripped Bare by Her Bachelors, HSS ritorna
al bianco e nero invernale per dipingere alcuni giorni di vagabondaggio di un regista di
passaggio a Seul. Girato in tempo record (sette giorni), è una miniatura delicata e spassosa
sull’amore e sull’amnesia affettiva.
In Another Country, 2012 – Tre Isabelle Huppert. Tre passeggiate al faro. Tre
variazioni sulla seduzione in spiaggia, collegate in un’infinità di sfumature e di risvolti. E tre
buone ragioni per ammirare la grandezza di Hong Sang-soo.
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Intervista con Hong Sang-soo
Come ha incontrato Isabelle Huppert?
Tutto è cominciato durante una retrospettiva dei miei film alla Cinémathèque française. Ho
incontrato Isabelle Huppert in quell’occasione, durante un pranzo. Più tardi è venuta a Seul e
ho letto sui giornali che le sarebbe piaciuto lavorare con qualche regista coreano, tra i quali
c’ero anch’io. L’ho chiamata, ci siamo incontrati per un pranzo informale. Dovevo girare poco
tempo dopo, senza la minima idea di quello di cui il film avrebbe parlato. Le ho chiesto se era
disposta ad unirsi a noi, ha accettato. È una delle mie attrici preferite e questo mi ha dato il
coraggio di contattarla. È abbastanza difficile girare con uno straniero, anche per la barriera
linguistica. Ma ho interpretato tutto questo come un segno del destino.
In Another Country ha il colore dei capelli di Isabelle Huppert: è un film rossiccio, con
colori molto saturi, molto arancione. Si tratta di colori abituali nel suo cinema?
Si tratta sicuramente di un effetto del mio inconscio... In genere faccio delle scelte molto
chiare, per le inquadrature per esempio, ma non cerco sempre di capire il perché di questa
scelta. Preferiscio rimanga nel fondo della mia coscienza.
Sceglie anche i luoghi incosciamente? Per esempio, la scena in cui Isabelle Huppert
deve decidere se seguire o meno la freccia che le indica la direzione.
Ho visto il faro, la freccia per terra. Non sapevo ancora che uso ne avrei fatto, ma sapevo
che quegli elementi sarebbero stati al centro del film. La stessa cosa per il luogo in cui
Isabelle Huppert vede le capre. La precisione o piuttosto il senso del dettaglio per me è
primordiale. Bisognava che fosse quel luogo e non un altro. Quando scelgo gli attori, la prima
volta che li vedo scorgo un certo numero di informazioni che li concernono. È questa fusione
di percezione e di intuito a proposito degli attori, e d’altra parte dei dettagli trovati nei luoghi,
che mi fanno decidere per quel luogo e non per un altro in cui girare. È un’alchimia un po’
bizzarra e indefinibile ad ispirarmi. Ciò che è bello è che tutto parte dal caso. Il caso di
trovare quei luoghi, quegli attori. Non capisco mai quello che mi spinge ad amare un luogo.
Quella strada con quella freccia, è banale, si potrebbe perfino non notarla. Eppure mi ricordo
che aveva immediatamente attirato il mio sguardo. Come se fosse stata una cosa che non
aspettava altro che essere notata da qualcuno.
Nell’inquadratura di lei sulla spiaggia che guarda l’orizzonte, quell’orizzonte è in qualche
modo respingente, come se fosse la fine del paesaggio. Vi è qualcosa di quasi tragico,
come se i personaggi non potessero uscire dai luoghi che attraversano e fossero
continuamente obbligati a ritornarci. Verso la fine, è suggerita anche l’idea del suicidio.
Infatti si può anche interpretarla così. Ma ancora una volta non è voluto. Mi ricordo di essermi
detto che quello che volevo raccontare sarebbe stato difficile da esprimere. Sono molto
sorpreso quando alcuni spettatori arrivano a stanare nel mio film cose inconsce.
Quando guardiamo il mare, abbiamo di fronte l’orizzonte che si apre. Ma mi piace questo
modo di vedere i personaggi, come dei topi di laboratorio che vanno a sbattere contro un
muro. Questo genere di paradosso mi interessa.
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Forse si ha quest’impressione perché è sempre ripresa di spalle. Non si capisce mai
quello che pensa.
[Sorriso malizioso di Hong Sang-soo che annuisce ma non dirà altro]
Tutto questo sembra tragico, ma tutto il film è molto divertente. Forse è uno dei suoi
film più leggeri.
All’inizio non sapevo esattamente che tipo di film volevo realizzare. Tutte le scelte sono
ancora una volta il risultato del caso, per me è una cosa molto importante. Al punto che si
possono dare interpretazioni differenti. Niente è fissato. Il mio film può essere visto come più
o meno comico, o più o meno tragico, in funzione del vostro stato d’animo del momento.
Le interessa fare dei film che non siano immediatamente identificabili come comici o
melanconici?
Sì, assolutamente. Non cerco mai un effetto specifico. Ho diversi soggetti e elementi che provo
a sistemare, ma senza una visione preconcetta dell’insieme. È l’associazione degli attori, dei
testi, dei luoghi che darà un colore che non è realmente previsto in partenza. Gli spettatori
reagiscono in modo totalmente opposto. Alcuni mi hanno detto che il film era talmente triste che
era loro venuta voglia di andare a bere. Altri ridono a crepapelle. Non c’è una verità ferma.
Ma quando dirige gli attori, date loro delle indicazioni precise in modo che la loro
interpretazione si colori di comico o di tragico?
Questo, comunque, non si trasmette mai con la parola. Ho una rapporto di fiducia con gli
attori. Quello che cerco è un’alchimia indefinibile tra loro e me. Scrivo spesso i dialoghi in
funzione dell’impressione che ho avuto durante l’incontro con loro. Quest’incontro è
fondamentale nel mio processo di scrittura. Scrivo dei dialoghi che possano assimilare
naturalmente, senza che questo sembri forzato. Se mi sembra che suoni bene, mi accontento
di dire “Motore!”. A volte mi capita di chiedere di equilibrare un po’, ma è molto raro.
Isabelle Huppert che fa la capra: da chi dei due è venuta quest’idea?
Durante i sopralluoghi ho visto delle capre e ho fatto la stessa cosa che fa Isabelle. È una
cosa che esprime bene la noia, credo.
Durante una conferenza stampa, un giornalista le ha chiesto quando la smetterà di
fare dei cortometraggi. L’osservazione era idiota. Nondimeno, da dove viene la sua
ossessione per la ripetizione o per l’aggrovigliarsi di storie brevi?
Nella vita ho un’incresciosa tendenza a notare le similitudini e le differenze, le ripetizioni che
ci succedono ogni giorno. Ne ho tratto una concezione della vita che mi libera dall’obbligo di
fare grandi interpretazioni o grandi narrazioni a messaggio.
A causa della nostra educazione, siamo portati a vedere le cose, la nostra vita, ciò che ci
circonda, in modo lineare. Pensiamo in maniera cronologica, come si pensa la Storia. È una
sorta di riflesso. Quello che è interessante, è ciò che rompe completamente questa propensione
alla cronologia. Permette di liberarsi dallo sguardo sul mondo sempre identico e previsto.
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A Cannes, In Another Country spiccava sui numerosi film zavorrati dal modo di
ostentare le loro intenzioni, dal loro “voler dire”. Lei direbbe che con la ripetizione c’è
qualcosa di utopico nel modo di reinventare le cose, anche se in fin dei conti il reale è
sempre un po’ deludente? Per esempio, alla fine, la ragazza non viene mai baciata!
Grazie! Sottoscrivo completamente quello che ha detto. Sa, l’interpretazione della vita
dipende solo da noi. E la società cerca spesso di dominarci forzandoci a interpretare le cose
in questa o in quest’altra maniera. Quando ero più giovane volevo riuscire in una vita
coronata da soldi e da grandi successi. Poi mi sono accorto che quella vita non era conforme
ai miei desideri profondi, che non era una buona cornice per me. Ho cercato
un’interpretazione personale della vita, della mia propria vita. È importante che questa
interpretazione non sia la stessa per tutti. È la stessa cosa con i film e con i modi di
narrazione che utilizzo. Credo che la pesantezza di certe intenzioni e di certe descrizioni ci
stanchino di una vita che, in realtà, non è così tragica. Basta poco per vedere la vita sotto un
aspetto allegro. Ma con l’ideologia che domina il cinema attuale, questa allegria finisce a
pezzi e resta solo un’angoscia di cui non si sa più che fare. Per finire non è certo che si
riesca a vedere veramente quel che abbiamo davanti agli occhi.
Nel film ci sono molte cattive interpretazioni o incomprensioni legate al linguaggio, per
esempio attraverso l’uso dell’inglese (come sulla parola “lighthouse”). Ma è la stessa
cosa in tutti i suoi film, con dei personaggi coreani. In The Day He Arrives, per
esempio, un personaggio afferma che basta dire a una ragazza che ha una qualità e il
suo contrario perchè si riconosca immediatamente e cada nella trappola.
Noi, umani, siamo limitati dalla lingua. Dobbiamo trovare altre strade per comunicare. Credo
che non dobbiamo essere ossessionati dalla lingua. Siamo talmente dipendenti dalla lingua
che diventiamo subito tesi per paura di non essere capiti. Sono seduto davanti a lei per un
incontro e mi dico che devo assolutamente riuscire in questo incontro ed essere
comprensibile, altrimenti sarà compromettente per i miei prossimi film. Costruisco una
narrazione che mi stacca un po’ dalla realtà. Ma quando vado al fondo di questa narrazione e
tolgo ad uno ad uno gli strati rappresentati da questa paura, mi dico che, alla fine, la
situazione è più semplice di quel che sembrava. Il mio film, per esempio, potrebbe essere
riassunto con una sorta di proverbio: “Viviamo una sola vita, dunque se questa vita la
manchiamo siamo fregati”. Ma soprattutto, se mi rilasso un po’, posso finalmente trovare il
tempo per scoprire come siete, scorgo la gente che passa dietro la tenda, riesco finalmente a
provare delle sensazioni piuttosto che essere ossessionato da questa intervista.
Intervista realizzata da Jean-Sébastien Chauvins a Cannes, il 24 maggio
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Il diario di Isabelle Huppert
Cahiers du Cinéma, ottobre 2012
Isabelle Huppert ha tenuto un diario sul set di In Another Country.
Isolamento, surrealismo, makkoli, lavoro sfrenato... Dei giorni e delle notti per un film desiderato.
Dal 29 giugno al 13 luglio 2011, Isabelle Huppert gira In Another Country in una piccola
stazione balneare della costa coreana. È la prima volta che durante la lavorazione di un film,
registra su un dittafono le sue impressioni. La ringraziamo per averci affidato questo diario di
bordo, documento prezioso tanto sulla sua esperienza di attrice (e di straniera, isolata
all’altro capo del mondo) quanto sul metodo così singolare di Hong Sang-soo.
IN TERRA STRANIERA
di Isabelle Huppert
1 - Sono sull’aereo per Seul, dove mi aspetta Hong Sang-soo. Al mio arrivo, andremo in quella
stazione balneare a quattro ore di strada di Seul, dove gireremo per 15 giorni.
Ho già incontrato Hong tre volte. La prima volta brevemente, in compagnia di Claire Denis
poi, più a lungo durante una cena organizzata alla Cinémathèque. Alla fine, durante un
pranzo a Seul, mi ha subito detto che generalmente, per fare un film, sceglieva prima di tutto
il luogo. Ha scelto quindi questa stazione balneare. È stato durante quello stesso pranzo che
mi ha proposto di recitare nel suo prossimo film. Ho accettato subito. Senza sapere di cosa si
trattava. Mi è piaciuto che me lo abbia proposto in quel modo, che mi abbia parlato della
location prima della storia. Tutto questo era di buon augurio.
2 - Eccomi arrivata in questo posto molto strano. Una piccola stazione balneare, cioè piuttosto
un villaggio di pescatori completamente perduto. Una pensione in cui le camere sono come
degli chalet di montagna in legno. Abbastanza rudimentali. C’è la televisione ma non ho
nemmeno guardato se c’erano i canali stranieri. Abbiamo cenato in un piccolo ristorante lì
vicino, accanto ad un piccolo porto, dove non c’era praticamente anima viva, in un posto
totalmente fuori mano. Abbiamo cenato con tutta la troupe che è più numerosa di quello che
immaginavo. Si sono presentati tutti e per finire ognuno è ritornato nella sua camera.
È un posto molto strano ma tutto sembra molto ben organizzato. Non so ancora assolutamente
niente della sceneggiatura e nemmeno del soggetto. Vedo solo che per ora ci sono due attrici e
un attore. E mi piace non sapere niente. È piuttosto eccitante. Meno si sa e meno si ha voglia
di sapere. Il principio di base di quest’avventura è scoprire le cose giorno dopo giorno. Ciò non
mi impedisce però di fare qualche domandina. “Dove si trova il set? A che ora giriamo?”, cose
così. Mi piace l’idea di essere nell’ignoranza più totale.
Hong scrive lo script di notte, da quello che ho capito. Già durante il tragitto che abbiamo
fatto insieme in macchina prendeva molti appunti. Ci consegna quello che lui chiama lo
script, cioè la sceneggiatura, al mattino verso le otto, lo impariamo, ci prepariamo, poi
giriamo a cominciare dalle dieci, dieci e mezza. Per ora è tutto quello che so. Domani
vedremo i costumi, faremo un po’ di prove di ripresa. Si inizierà a girare solo il giorno
seguente..
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3 - Questa mattina c’è stata una piccola cerimonia per allontanare gli spiriti cattivi dal set.
Tutti si inchinano davanti a un tavolo pieno di offerte, frutta, piccoli piatti, dolci e una testa di
pesce con un biglietto dentro. Abitualmente si utilizza una testa di maiale, ma non ce n’erano,
allora hanno messo un pesce. E poi tutti, gruppo dopo gruppo – gli addetti alle luci, quelli al
suono, gli attori, etc. – si inchinano, e bevono un sorso di makkoli, una specie di saké
coreano, assai delizioso tra l’altro.
Ho appena provato i costumi. Ha scelto una sorta di camicetta totalmente informe che ho
preso così all’ultimo momento e che avevo recuperato sul set di Captive (Brillante Mendoza)
nelle Filippine. Ho deciso di dargli fiducia. E poi un paio di jeans, un paio di infradito. All’inizio
aveva scelto un paio di sandali arancio e, infine, a scelto delle infradito beige. Quello sarà il
primo costume. Poi ha scelto alcune foto che gli avevo portato da Parigi. Voleva delle mie
foto in riva al mare, quando ero molto più giovane. Poi delle foto di famiglia con i miei figli.
Per ora aspetto. Tra poco sarà ora di pranzo. Poi faremo un test di ripresa. Gli ho chiesto di
poter vedere i miei test. Mi ha detto “va bene, sul monitor”, ma dal momento che è
piccolissimo, spero di riuscire lo stesso a vedere qualcosa.
4 - Vado a dormire. Domani sarà il primo giorno di ripresa. Oggi abbiamo fatto delle prove.
Soprattutto delle improvvisazioni, delle piccole scene molto divertenti che mi danno
l’impressione che il mio personaggio sia un po’ ossessivo. In particolare una scena con Junsang, l’attore che ha già recitato in Ha ha ha, dentro una tenda – una piccola tenda che
d’altra parte ha deciso di regalarmi perché quando si getta si apre miracolosamente. Hong si
è piazzato all’interno di questa piccola tenda ed è incredibile vedere in che modo utilizza gli
oggetti. Questa piccola tenda sembra un’inquadratura. Ad un tratto la mia testa appare
all’entrata della tenda in cui Jun-sang suona la chitarra. Dice di avere scritto una canzone per
me e io non la smetto di fargli domande sulla tenda. Sono solo improvvisazioni ma mi sono
chiesta se avrebbe utilizzato quelle piccole scene perché le trovavo niente male.
Credo di non avere mai girato con una squadra così leggera (NDR. poco invadente), non mi
sono mai resa conto dei suoi benefici. C’è una tale leggerezza che le cose si fanno con
facilità, con ancora maggiore leggerezza del solito. Poi siamo andati a cena. Si mangia
sempre. I coreani mangiano sempre, ovunque. Non avevamo ancora finito il pranzo che già
sul set circolava della frutta. Dopo ha voluto che ci trovassimo io, Jun-sang, So-ri e Yumi nella
mia camera per una chiacchierata. Poi ci risiamo. Abbiamo bevuto della birra, avevano portato
pasticcini, panini, insomma tanta roba da mangiare. E poi, una mezz’ora dopo, alle 19.00,
siamo andati a cena. Questo pomeriggio avevo iniziato a leggere un libro su Hong Sang-soo
scritto da un cinefilo coreano. Dentro c’è un testo di Claire Denis in cui dice che si tratta di un
“cinema del confinamento”. In ogni modo è vero, a cominciare dai luoghi... Perché qui, per
essere confinati si è confinati. Da due giorni a questa parte, da quando siamo arrivati, si ha
l’impressione di essere in una balla di cotone. Non c’è un raggio di sole, non c’è anima viva. È
tutto vuoto, tranne due, tre uomini che cucinano e che mangiano nel ristorante. D’altra parte si
mangia molto, molto bene. È speciale perché a colazione, abbiamo cominciato con del
porridge alle ostriche e spinaci, ma ho deciso che mangerò solo cucina coreana. Hong Sangsoo, per accogliermi, mi aveva dato due libri di Gide, uno di questi era Isabelle, e poi un libro
di memorie di Buñuel, Dei miei sospiri estremi, che ho cominciato a leggere e che mi sembra
fantastico. Mi addormenterò, spero, leggendolo. Domani giorno G 1.
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5 - Ieri, era il primo giorno di lavorazione. Hong consegna i dialoghi il mattino solo poco
tempo prima che si cominci a girare. In genere li imparo all’ultimo momento ma c’è
veramente poco tempo. L’assistente è venuta a tradurmi i dialoghi e le situazioni perché ci
sono molte scene in cui gli attori parlano tra di loro in coreano. Dovrò cercare di identificare le
parole per poter intervenire in quei dialoghi. Non è sempre facile. Abbiamo girato cinque
scene, una scena in un parcheggio, una scena su una spiaggia, una scena in un piccolo
supermercato, una scena nell’hotel dove alloggiamo e poi un’ultima scena in una camera,
che si trovava tra l’altro proprio accanto alla mia. Hong è molto meticoloso e fa molti, molti
ciak, un numero enorme.
Questa mattina piove a dirotto. Non so come faremo a girare. Tutto va molto velocemente,
tutto è molto facile. La truccatrice e la parrucchiera sono molto brave, anche se sono alla loro
prima esperienza in un film. Le ho incontrate al mio arrivo a Seul, in un salone di bellezza. Mi
sono meravigliata di trovarle lì. La sera, abbiamo cenato di nuovo tutti assieme. Era il
compleanno di Moon So-ri. Le cene, i pranzi, qui sono rapidi, tutti mangiano in un modo
molto particolare. Sono molto concentrati su quello che si mangia, dunque ci sono pochi
scambi e poca conversazione. Si fa in fretta, e una volta finito, tutti si alzano e se ne vanno.
Ieri, Hong ci ha dato dei dettagli sulle nostre rispettive situazioni nel film. Io sono una
documentarista famosa che va in Corea perché è stata invitata, da un documentarista che ha
incontrato a Berlino per una conferenza. Lui la invita a fare un breve soggiorno in riva al mare
assieme a sua moglie incinta. A un certo punto c’è una scena abbastanza divertente dove lui
mi dice: “Ti ricordi del nostro bacio?” E mi fa capire che si era trattato solo di un bacio perché
ora sua moglie è incinta. Dunque, la situazione che si viene a creare tra di noi è un po’
ambigua, mentre io appena mi ricordo di lui. Ecco, questa era un po’ l’ossatura delle scene e
il tenore dei nostri personaggi.
6 - Sono le venti e trenta. Seconda giornata di lavorazione. Domenica. Una giornata molto,
molto piena. Grande quantità di scene, di testi da imparare. Ora giriamo l’ultima scena. Ci
troviamo su un terrazzino di una camera. Mi sono alzata alle sette. Abbiamo cominciato a
girare alle undici perché prima Hong Sang-soo non aveva le pagine della sceneggiatura. Non
abbiamo pranzato e abbiamo girato tutto il giorno. Hanno portato sul set della patate bollite
dei piccoli piatti di minestra e del caffè. Poi è cominciato a piovere a catinelle e ci siamo
dovuti fermare. Hong ha deciso che saremmo andati a cena e che, se avesse smesso di
piovere avremmo girato quella scena di notte perché era meglio girarla nella continuità.
Abbiamo girato in una spiaggia, sulla strada, un po’ ovunque e io c’ero in ogni inquadratura.
Una scena era particolarmente deliziosa, dentro una tenda con un finale piuttosto
improvvisato: ci siamo messi a cantare io e Jun-sang. Credo che sia un po’ l’attore feticcio di
Hong Sang-soo. È un po’ farsesco, è anche un attore di music-hall. È molto, molto gentile.
Canta e balla. E lì, sotto la tenda, ha improvvisato una canzoncina. Lo aveva fatto anche
durante le prove. In realtà, Hong si è ispirato interamente alle nostre improvvisazioni. Coglie
dei dettagli: a un certo punto fa dire a un attore che dormo come un neonato. È quello che mi
aveva detto sulla strada da Seul: “In macchina dormivi come un neonato”.
7 - Oggi ho visitato un tempio, il tempio di Nesosa con Moon So-ri e Jun-sang. La donna che
gestiva il caffè era la madre o la zia di un calciatore famosissimo, ha riconosciuto Jun-sang,
anche lui è molto famoso in Corea. Si sono scambiati degli autografi. Poi sono andata in
piscina con Jun-sang. C’è una specie di improbabile parco acquatico vicino all’hotel.
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8 - È un po’ di tempo che non scrivo sul mio diario. Non è così semplice. Abbiamo delle
giornate molto lunghe. Ci si alza all’alba. Non abbiamo orari. Si lavora e basta.
Abbiamo iniziato a girare la seconda storia. Hong l’altro giorno mi ha spiegato che i
personaggi del film sono allo stesso tempo gli stessi e diversi. Tutto è giocato sulle
similitudini. Per esempio, nella prima storia incontro una capra e parlo con lei imitandola e,
nella seconda storia, rifaccio la stessa cosa. Mi fa incontrare gli stessi personaggi, per
esempio il bagnino, e ci diciamo pressappoco le stesse cose. Intravvedo quello che vorrà
dire nel film. A volte le situazioni nella vita si ripetono allo stesso modo, all’infinito.
Mi ero immaginata che il secondo personaggio avrebbe avuto i capelli lunghi e sciolti ma ha
voluto che mi facessi una coda di cavallo abbastanza stretta. Da un aspetto piuttosto
divertente perché nel film sono spesso ripresa mentre cammino sola per strada. Mi riprende
spesso in marcia, un po’ persa. Con questo abito rosso e questa coda di cavallo che dondola
a destra e a sinistra al ritmo della camminata.
Non ho ancora visto com’ero illuminata. È la prima volta che sono così fiduciosa. Un po’ per
fiducia, un po’ per stanchezza. C’è qualcosa di abbastanza resistente in Hong Sang-soo.
Tende a mantenere il controllo e il potere su tutto quello che fa. Cosa che non mi dispiace
ma, allo stesso tempo, avrei voluto verificare un po’ la luce su un altro schermo diverso da
quel combo minuscolo. Ma tendo a dargli fiducia, perché quello che vedo è piuttosto bello.
C’è questa luce aureolata, un po’ filtrata che ritroviamo in molti suoi film. Una luce poco
trapuntata. L’altro ieri mi ha detto: “Se vuoi ti faccio vedere i tuoi primissimi piani sul grande
schermo”. E per finire non gliel’ho più richiesto e ovviamente non me lo ha più proposto. Di
sera, dalla mia camera che si trova accanto alla sua, ho sentito attraverso il muro che stava
visionando quello che avevamo girato, perché d’un tratto, ho sentito la mia voce che imitava
la capra. Avrei potuto chiamarlo ma ero troppo stanca e non ne avevo il coraggio.
9 - Non dimenticherò mai il fatto che sto leggendo Dei miei sospiri estremi di Buñuel mentre
sono in Corea a girare un film con Hong Sang-soo. Leggendo questo libro trovo qualche
richiamo. Buñuel parla della poesia, dei racconti senza capo né coda, delle fughe poetiche e
irrazionali nei film senza alcuna spiegazione psicologica e, evidentemente, siamo nel cuore
del cinema di Hong Sang-soo, in cui d’un tratto salta fuori una capra a cui parlo. Non c’è un
perché. Mi ha detto a proposito di una certa parte della seconda storia: “Ma questo, capisci, è
un sogno”. Mi era sfuggito, che quella determinata parte fosse un sogno più di un’altra...
Buñuel descrive nel suo libro il suo amore per i sogni e le immagini insolite messe sullo
schermo senza una spiegazione, segnate dal suo trascorso surrealista. È divertente leggere
questo ora, perché c’è qualcosa di assolutamente surrealista nel cinema di Hong Sang-soo,
nell’avventura che sto vivendo e in questo film, con le sue tre storie e i tre personaggi
differenti che incarno in situazioni che si ripetono. Mi chiedo per esempio se mi farà parlare
con la capra una terza volta nella terza storia.
10 - Ieri non abbiamo cenato. Abbiamo pranzato alle 16.00, a grande velocità – io morivo di
fame. Avevo iniziato a mangiare un po’ prima approfittando del fatto che si girava nel
ristorante. Mi sono innervosita perché ho notato che riprendeva più l’attore di me. Va bene.
Credo che a lui piaccia filmare gli attori e identificarsi nel personaggio maschile. L’altro ieri
sera, abbiamo cenato in un piccolo ristorante lì vicino. Hong ha suonato la chitarra. Sembra
che sappia un po’ suonare, non è niente male. Era molto bello.
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Passando da una storia all’altra, troviamo sempre gli stessi personaggi e gli stessi elementi,
come il faro che cerco nelle prime due storie. Anche la tenda, dove il bagnino m’invita nella
prima storia e dove mi canta una canzone che ha composto per me. Nella seconda storia
perdo il mio cellulare che il bagnino ritrova. Ci sono dei riferimenti visivi attorno ai quali si
articolano le storie: la tenda, il faro, l’ombrello, etc. Attorno a tutto questo costruisce delle
situazioni in cui gli oggetti giocano un ruolo differente. Tutto cambia e nulla cambia. Forse è
questo che vuole dire. Vedremo. Vedremo più avanti cosa vuol dire, quando vedremo il film.
11 - Oggi è una strana giornata. Non si gira. Piove a catinelle. Ha piovuto tutta la notte, a
dirotto. Aspetto che passi la giornata. Abbiamo finito di girare la seconda storia e ora sta
scrivendo la terza.
Ieri sera siamo andati a mangiare dei granchi in un ristorante con due attrici, Yumi e Moon
So-ri, e i due manager delle due attrici. È strano, qui tutti gli attori hanno una macchina nuova
di zecca, delle grosse 4x4, e hanno tutti il loro manager, e tutto questo assegnato dalle
società per le quali lavorano. Darò questa idea a Bertrand de Labbé! È incredibile che per
film così piccoli e modesti, ogni attore abbia il suo manager e la sua macchina.
Siamo rientrati e lì, di colpo, Hong Sang-soo ha chiesto che facessimo quel famoso gioco
che avevamo già fatto a Seul con lui, Jun-sang e il compositore della musica che era lì anche
ieri sera. Il gioco consiste nel fare delle domande strane e rispondere subito. E lì, tutti mi
facevano delle domande. “Chi sposeresti dei membri della squadra?” Ho subito detto il
direttore della fotografia; il direttore della fotografia è sempre il più importante per un’attrice.
E ogni volta che uno fa una domanda, deve bere. In realtà, è un gioco che consiste nel far
bere e a terminare la serata ubriachi fradici. Ma non è durato a lungo. Dopo di che ha voluto
assolutamente che cantassi delle canzoni di Edith Piaf. Credo voglia farmi cantare nel film.
12 - Mi piace la storia dei costumi. Per la prima storia ho una camicia che viene dalle
Filippine, degli orecchini che vengono dalla Cina, delle infradito che vengono dal Brasile e il
resto da Parigi, per esempio la borsa arancione, di un colore molto bello, che conferisce tutta
la sua forza poetica all’insieme. E mi piace la storia di quegli orecchini, che ho rischiato di
perdere non so più quante volte e che ho comperato in una piccola strada turistica di
Pechino. Le infradito brasiliane che avevo comperato vicino al mio hotel di Sao Paulo mentre
recitavo in Quartett. E poi questa camicia filippina, che tra l’altro non ho indossato in Captive,
che faceva parte di una serie di costumi ammucchiati per me. È la camicetta blu che Hong
aveva scelto.
Il secondo costume, è un abito rosso che viene da Las Vegas, degli orecchini color turchese
che si sposano benissimo con l’abito color corallo che avevo comperato a Madrid – non in
Spagna ma una piccolissima città del Nuovo Messico -, durante un viaggio che ho fatto con i
miei figli, l’anno scorso negli Stati Uniti. Le scarpe sono delle piccole Louboutin che ho
recuperato sul set di My Little Princess di Eva Ionesco, delle scarpe in satin con un piccolo
nodo sopra. Le sono piaciute. E poi una borsa di cuoio che viene da Sao Paulo – avevo idea
che le sarebbe piaciuta. Dunque: primo costume: Filippine, Francia, Cina per gli orecchini e
Sao Paulo per le infradito. Secondo costume: Las Vegas, Nuovo Messico, Parigi per le
scarpette e di nuovo Sao Paulo per la borsa! Mi piace molto questa storia allo stesso tempo
geografica e temporale dei costumi. Mi piace anche molto l’idea che le cose abbiano l’aria
molto dettagliata, molto preparata mentre in fondo tutto questo è solo il risultato del caso.
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13 - È incredibile! Ieri abbiamo girato tutto il giorno fino all’una e mezza del mattino e ora ci
svegliano alle quattro e mezza, tre ore dopo. Sono sfinita. Abbiamo girato una scena di
barbecue che è come una replica della scena di barbecue che abbiamo già girato
precedentemente.
Penso che il film sarà finito prima di quanto credessi. Infatti, la seconda storia dura sei giorni.
Gira veramente molto alla svelta e fa molti ciak.
14 - Abbiamo appena finito di girare una lunghissima scena. È mercoledì. Ieri ero sul punto di
crollare per una scena che abbiamo ripetuto e interpretato non so quante volte. Una scena in
cui sono di fronte a un monaco interpretato da un filosofo molto famoso, a quanto pare, qui in
Corea, che si chiama Kim Young-oak. È specializzato nello studio di testi antichi e parla
correntemente il greco, il latino, l’egiziano antico, il copto. È anche un personaggio mediatico
perché ha avuto un programma televisivo, credo di divulgazione della filosofia. Sembra che il
programma sia stato interrotto per ragioni politiche, ma dovrebbe riprendere. È anche
sceneggiatore del film di Im Kwon-taek Ebbro di donne e di pittura. È un uomo abbastanza
vanitoso che si incipria ad ogni ripresa. Ha voluto incontrare Hong dopo aver visto Ha ha ha.
Hong, allora, ha avuto l’idea di proporgli questo ruolo. Ma la scena era lunghissima. C’erano
molti dialoghi e finirla è stato un inferno. Alla fine del pomeriggio, Hong ha detto che la luce
non era più buona. Dunque bisognava ricominciare. Abbiamo finito di girare alle 19.00 e
abbiamo ricominciato alle 9.00. Abbiamo fatto non so più quanti ciak tra le volte in cui
sbagliava lui, le volte in cui suonava il cellulare dell’attrice nella sua borsa e le volte in cui mi
sono sbagliata io quando ho dimenticato due battute importanti. Spero che la sequenza
venga bene comunque.
Ho la sensazione che presto arriveremo alla fine perché corrono voci – è una troupe molto
piccola – che riguardano sempre questa famosa sceneggiatura, oggetto di tutti gli
interrogativi, di tutte le attese, di tutte le sorprese, la voce sarebbe che stiamo girando le
ultime pagine della sceneggiatura. Ci sarà un’altra scena sulla strada con la piccola
cameriera interpretata da Yumi, sempre intorno all’ombrello, dopo, di nuovo, la ricerca del
faro e, per finire, una grande scena d’amore sotto la tenda con il bagnino, e sembrerebbe
che sia finita. Oggi è mercoledì e non so se avremo il tempo di girare tutto questo oggi. Tanto
più che ha deciso di girare nuovamente una piccola scena sulla strada con Yumi in cui
questa vuole comperarmi un sandwich al tonno, replica di un’altra scena. Ogni scena riposa
su un principio di ripetizione: la tenda, il sandwich, il barbecue si ripetono in modo diverso da
una scena all’altra.
15 - Non so se ho commentato tutto quello che è successo l’altro ieri. Ci siamo ritrovati alle
7.00, nel fango e sotto la pioggia, in quella spiaggia, di fronte all’albergo. Tutto iniziava con la
scena del barbecue, sempre sotto la pioggia e con il vento. Poi siamo andati a dormire, poi ci
hanno svegliato alle quattro per andare avanti con quella scena completamente demenziale in
cui il documentarista vuole baciarmi. Sua moglie, incinta, diventa isterica e urla a suo marito
prima che arrivi la mia amica anziana. Abbiamo girato fino a mezzogiorno perché Jun-sang
doveva andare di corsa a Seul per girare una serie televisiva. E alla sera, Moon So-ri è venuta
a salutarmi perché lasciava il set. Partorirà tra quindici giorni. Questo per dire quanto siano
particolari i ritmi di lavorazione. A volte non si gira per due giorni, a volte si gira per 24 ore.
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Mi viene in mente quel che disse Godard, quella volta che si era rotta la macchina da presa
sul set di Passion e che lui stesso non voleva più andare avanti: “Conta anche il mio
desiderio”. È una frase che non ho mai dimenticato. Come se alla fine, quando si fanno i film,
fossimo legati ad ogni sorta di imperativi, il suono, la luce, ma si dimentichi l’essenziale. Il più
delle volte, non si tiene conto dei desideri degli attori per quel che riguarda l’interpretazione.
Si dice “Svelti, si gira!”, mentre per quanto riguarda suono e luce si aspetta a lungo, ma gli
attori a volte hanno appena il tempo di fare un ritocco al trucco. Quando Godard disse quella
frase, voleva esprimere questo: Conta anche il mio desiderio, e non solo quella della nuvola
che passa quando vuole o della macchina che passa quando non deve. E penso che Hong
Sang-soo, da come organizza il lavoro e da come si svolgono le cose, tenga conto prima di
tutto del suo desiderio, del suo bisogno o della sua disponibilità. La sceneggiatura arriva
quando decide lui che arrivi. Ieri, per esempio, sebbene mi fossi alzata molto presto,
abbiamo ricevuto la sceneggiatura solo a mezzogiorno.
All’inizio, quando mi ha detto che avrebbe scelto questo posto, mi era piaciuta l’idea di
costruire la storia a partire dal luogo. È un piccolo villaggio ma funziona anche come un
grande studio. Ci si sposta in un modo incredibilmente rapido; per andare dall’albergo alla
spiaggia si impiegano quattro minuti. Quindi tutto è estremamente semplice. Dove ci
vorrebbero due ore, qui bastano quindici minuti. Si capisce come riesca a fare i film in 15
giorni. In cambio si prende tutto il tempo che vuole per le scene e può fare molti ciak, come
nel caso della scena interminabile con il monaco. Stavo male perché mi ero dimenticata due
frasi in una ripresa che era eccezionalmente buona, ovviamente, è sempre così. Ma
altrimenti era abbastanza difficile. Come mantenere la fluidità, l’energia? Avevo già notato
che quando si fanno moltissimi ciak, d’un tratto, arrivati alla trentesima, si ritrova una
naturalezza che alle volte, man mano, si era persa. Le cose tendono a solidificarsi.
16 - Ecco, è finito, sto facendo le valigie. Sono un po’ triste di partire perché mi ero legata a
questo posto che è così tranquillo. E queste camerette sono molto piacevoli, molto semplici,
con il cucinino, il ballatoio che dà sul mare, tutto questo è molto rilassante. Mi sono anche
chiesta perché non rimanere un giorno in più, ma credo si tratti di un momento di malinconia
e di nostalgia perché sto partendo. Sono quasi le sette e stiamo per fare questa foto con il
costume numero 3 per il manifesto. Poi vuole che facciamo delle cose buffe con Jun-sang, il
suo caro Jun-sang che sembra voler portare su un piatto d’argento. Bisogna dire che è molto
gentile, ma sembra essere molto sedotto da lui, voglio dire sul piano artistico, sembra che lo
apprezzi molto. L’altro giorno, dopo cena, aveva comperato dei piccoli fuochi d’artificio che
agitavamo nel buio, ora vuol fare la stessa cosa e farci fare delle piccole cose del genere.
È un finale che non finisce mai di finire. Facciamo foto e film per la promozione tutto il
pomeriggio dopo aver girato quei piccoli remake. Hong non era presente. Era occupato a
scrivere il cortometraggio che girerà con Yumi, Jun-sang e l’attrice che interpreta la mia
amica nella terza storia.
17 - Ecco, è finito. Sono rientrata. La giornata di ieri era tutta dedicata a fare foto sulla strada,
davanti all’albergo e sulla spiaggia, con Jun-sang; foto che forse serviranno per il manifesto.
Ho fatto il bagno. Volevo assolutamente fare il bagno una volta prima di partire e non lasciare
la Corea prima di aver fatto una nuotata. Mi hanno ripreso da lontano mentre nuotavo con
Jun-sang. Poi ho organizzato un piccolo rinfresco. La produttrice Tchoy era andata a
comperare dello champagne e del makkoli.
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Ho saputo in quell’occasione che esiste del makkoli alla fragola e alla clementina. Poi ha
comperato dei dolci, tutto nello stesso posto in cui avevamo fatto la cerimonia religiosa
all’inizio del film. Assumeva dunque un carattere un po’ solenne. Tutto questo era allo stesso
tempo molto delicato, molto modesto, molto carino e un po’ commovente. Dopo aver dormito
due ore mi sono alzata alle 2 e 30 e sono andata a prendere il mio volo alle 9 a Seul. I
manager di Jun-sang e di Yumi mi hanno accompagnata con Stéphanie.
Sono un po’ frastornata, lo confesso. Era talmente incredibile quella situazione, talmente
corta e densa. Penso con nostalgia a dov’ero alloggiata. Quella camera era molto tranquilla.
Lì, leggere era gradevole, non fare null’altro che guardare il paesaggio, il mare. Non c’era
musica ma non ne sentivo la mancanza. Non c’era né musica, né televisione. Mi sono
divertita a guardare i film che Moon So-ri e suo marito mi hanno portato. Altrimenti non
facevo nient’altro che leggere. Non so se un giorno ritornerò sulla spiaggia di Muang nella
contea di Buan.
Sono piena di ammirazione. Per i suoi film Hong Sang-soo ha fatto delle scelte deliberate e
molto sofisticate. Quello che vuol dire e come ha voglia di dirlo si esprime sicuramente
meglio in questo modo piuttosto che in un modo più classico e con un altro budget. Mi ha
detto: “Capisci, altrimenti bisognerebbe aspettare che arrivino i soldi, ci vuole troppo tempo,
mi secca”. È incredibile. Mi ricorda come girava Godard. Non c’era sceneggiatura, ci
consegnava le scene il mattino. Anche Godard si serviva degli attori ma lo faceva in un modo
più imposto, come si danno i compiti per le vacanze. Mentre Hong si nutriva dei gesti che
osservava, delle frasi che dicevo, senza che me ne accorgessi. Ha utilizzato varie volte delle
piccole cose per la sua scrittura che ha colto nella realtà... Per esempio quando, nel tempio
dove abbiamo girato, ho scritto quella cosa sulla pietra. Una scena che ha ripreso tale quale.
Sono probabilmente le ragazze che mi accompagnavano che glielo hanno riferito. “Ho le mie
spie” mi ha risposto.
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Recensioni
LIBÉRATION – 16 ottobre 2012
Huppert, l’asia davanti a sé
di Olivier Séguret
Musa. Il coreano Hong Sang-soo trascina l’attrice francese in una commedia balneare dal
fascino irresistibile.
Con una media di un film l’anno, la piccola impresa di Hong Sang-soo da una quindicina
d’anni offre alle tribù mondiali di cinefili, film sensibili, moderni e divertenti.
Frequentatore di bar e di festival, Hong prosegue dai tempi del suo primo film, The Day a Pig
Fell into the Well, una traiettoria singolare e dinamica che nulla riesce a fermare né a
perturbare.
Con In Another Country, il sud-coreano suggerisce la formula del lungometraggio falsamente
frazionato in tre storie corte, i cui racconti si concatenano senza un legame ma con svariati
andirivieni e intrecci. Al centro di questo dispositivo esotico che si sviluppa in una stazione
balneare del suo lontano paese, egli colloca un’attrice che ammira e che ci è eccessivamente
familiare: Isabelle Huppert.
In questo “paese altro”, i tre personaggi interpretati dalla Huppert hanno le caratteristiche
della straniera. All’inizio è una “celebre regista francese”, in seguito la moglie sfaccendata di
un ricco industriale del luogo, per finire l’amante abbandonata di un coreano. Ogni volta,
incrocerà gli stessi personaggi, tra cui un bagnino molto attraente ma un po’ tordo, attorno al
quale gira come una ragazzina attorno a un vasetto di miele.
Animale rosso. La scenografia è sempre la stessa: la spiaggia di Mohang e i suoi immediati
dintorni, in cui la triplice eroina soggiorna accidentalmente. Se i suoi personaggi vengono
d’altrove, l’attrice, lei, sembra comunque a casa sua in questo paese simbolico e non
territorializzato che si chiama cinema. Da questo punto di vista, la cosmopolita Isabelle
Huppert che salta da un Mendoza a un Haneke, è la miglior scelta possibile per Hong Sangsoo che in questo film segue meno il suo status di straniera che la sua insondabile
singolarità, incredibile piccolo animale rosso dal viso di donna e dal corpo di adolescente.
Nell’albergo West Blue in cui la triplice eroina alloggia, la padrona ha una figlia che vuole
diventare sceneggiatrice: quello che scribacchia seduta su un angolo del tavolo potrebbe
benissimo rappresentare quell’energia misteriosa e un po’ stregonesca attraverso cui si
animano i personaggi e le situazioni di In Another Country...
Se questo dispositivo fragile non crolla sotto i nostri occhi come un castello di carte, è solo
grazie alla precisione e allo humour della regia di Hong. Difficile, quando si cerca di definire
quest’arte scenografica, non pensare, per esempio, a una sorta di Rohmer d’Oriente, a un
profumo di Reinette et Mirabelle o dei Rendez-vous de Paris. Hong sviluppa comunque un
gusto del cinema allo stesso modo leggero, ludico e delicato. Un cinema, soprattutto, che
non cerca mai l’abbellimento. Hong, in questo, è vicino ad una certa fotografia moderna: non
traffica la luce piatta e lattiginosa di quella spiaggia, e non teme gli spazi vuoti nei quali i corpi
hanno sempre qualche difficoltà ad articolarsi.
Baratto. Nella terza parte, In Another Country Isabelle Huppert è alle prese con un monaco
buddista e si intrattiene sul tema della menzogna e della paura. Mentre lui la disegna con la
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sua stilografica Montblanc, lei gli confessa di non essere mai cambiata da quando era
bambina e gli chiede se è una buona cosa. A questo punto, non si capisce esattamente dove
Hong Sang-soo voglia arrivare. Anne chiede allora al monaco di offrirle la sua preziosa
stilografica. Non si tratta solo di un capriccio materialistico e nemmeno la constatazione di
un’impossibile redenzione spirituale, è l’inizio, forse, di un baratto inventivo tra le due civiltà.
Perché ciò che presuppone un tale film, un progetto del genere, è l’idea che il cinema
coreano e francese hanno delle cose da dirsi e da mostrarsi. Non si assomigliano per forza
ma si riuniscono idealmente. È come se, tra queste cinematografie, si fosse installato un
dialogo nel tempo: nato ai tempi della nouvelle vague coreana, da allora non è mai cessato. Il
film di Hong Sang-soo è un gesto chiarissimo di questo: non si tratta assolutamente di un
omaggio, anche sincero, al cinema francese più moderno e persistente. Si tratta di
amalgamarlo con un’altra anima, un altro paese... ma in uno stesso mondo.
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THE NEW YORK TIMES – Pubblicato on line 18 maggio 2012
Una versione di questo articolo è stata stampata nell’International Herald Tribune del 19 maggio 2012.
Festival di Cannes – Le avventure sudcoreane di Isabelle Huppert
di Joan Dupont
Il regista Hong Sang-soo, che è stato definito il Rohmer del cinema coreano, confeziona
molto velocemente le sue enigmatiche commedie umane. Due anni fa, con Hahaha ha vinto
la sezione “Un Certain Regard”. Il suo ultimo film, In Another Country, in concorso qui al
Festival, ti porta in un’altra dimensione.
Per la prima volta ha realizzato un film in inglese e ha lasciato il suo paese per scegliere
come protagonista l’attrice francese Isabelle Huppert.
Isabelle Huppert, che iniziò a recitare, ancora adolescente, negli anni Settanta, è stata una
figura chiave per il lavoro di molti registi. Ha vinto per la prima volta come miglior attrice a
Cannes con il suo ruolo in Violette Nozière di Claude Chabrol (1978), ed è accaduto altre
volte, come quest’anno, che fosse presente al Festival con più film contemporaneamente.
Nel film di Hong Sang-soo, che sarà proiettato sabato, recita nei panni di tre donne diverse
chiamate Anne. «Mi è piaciuto molto l’aspetto avventuroso nella realizzazione di questo
film», ha detto l’attrice. «E l’avventura rappresenta il centro pulsante della storia».
L’attrice ha incontrato per la prima volta Hong alla Cinémathèque di Parigi a una retrospettiva
dei film del regista. «Credo che avesse già un’idea in testa, il desiderio, forse, di lavorare
insieme. E poi ci siamo visti di nuovo a Seul per una mostra di foto che mi ritraevano al lavoro».
Ha raccontato che si è lasciata trasportare da un progetto ancora privo di script e che era
stata felice di lanciarsi nel gioco, spostandosi in una città di mare (Mohang, nella Corea del
Sud) durante una stagione molto piovosa.
«Non conosco tutta la sua filmografia, ma credo che lavori sempre nello stesso modo», ha
detto Huppert. Inizia da un luogo, trova le persone e solo allora scrive la sceneggiatura.
Questo dona un tocco misterioso a tutto, e al modo in cui lavoriamo sul set. Ha un legame
curioso e inusuale con il suo film. È molto esigente e preciso, e fa molte riprese, senza mai
lavorare di corsa».
La prima Anne del film è una regista, la seconda una donna che incontra in segreto il suo
amante, e la terza è sul punto di tradire per ripicca il marito, fuggito con una donna coreana.
Le tre donne incontrano un personaggio ricorrente, un bagnino interpretato da Yu Jun-Sang.
«Anne comincia da lui e con lui finisce la sua avventura, sulla spiaggia».
Crede che il suo personaggio rappresenti diverse versioni della stessa donna. «La prima
Anne incontra un uomo che le dice che si sono baciati tempo prima e lei non lo ricorda; è
preoccupata ma non perde il controllo», ha detto Huppert. «La seconda dipende dal suo
amante che non si prende molta cura di lei; e la terza è un po’ trascurata dalla sua famiglia
ed è, forse, alla ricerca di qualcosa di spirituale».
L’attrice aveva precedentemente inviato via e-mail alcune foto di se stessa per suggerire i
costumi dei personaggi che lui le descriveva. «E ogni mattina, veniva nella mia stanza per
scegliere gli abbinamenti in colori poetici», ha detto Huppert.
Quando le è stato chiesto se il modo di lavorare di Hong le ricordava Jean-Luc Godard che
l’aveva diretta nel ruolo di una prostituta in Sauve qui peut (la vie) (Si salvi chi può (la vita),
1980), ha risposto che non le piace fare confronti, «ma sì me lo ricorda molto – lo stesso
modo di scegliere i costumi».
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Girare il film in inglese faceva parte dell’avventura coreana. «Parlavano tutti coreano e
l’inglese era l’unica lingua con cui potevo comunicare con loro; questo si aggiungeva alla
stranezza del progetto», ha raccontato l’attrice.
Huppert ha recitato in inglese anche nel film Captive di Brillante Mendoza, girato l’anno
scorso nelle Filippine. «Adoro lavorare all’estero», ha detto l’attrice.
È stata in Africa per un lungo periodo di riprese per il film White Material (2008) di Claire
Denis e all’epoca portò con sé il suo figlio più giovane. «Ma in Corea, ero davvero sola, e
sono stata bene», ha detto. «Sono state delle riprese molto intime. È un regista a cui piace
girare primi piani. Le settimane di lavorazione sono state poche ma lui lavora sia
velocemente che lentamente, nel senso che fa molte riprese. Ogni regista ha un proprio
ritmo, eppure io ho avuto la sensazione che fosse molto sicuro.
Mi ha ripreso di profilo o da dietro, come una sagoma nel paesaggio. Ha piovuto molto e io
ho letto per giorni nella mia stanza. Non c’era niente da vedere, solo la spiaggia e templi in
lontananza».
Isabelle Huppert, che ha vinto come migliore attrice per la seconda volta a Cannes nel 2001
recitando il ruolo dell’insegnante di piano ne La pianista di Michael Haneke, ha una piccola
parte nel nuovo film del regista, Amour, anch’esso in concorso il 20 maggio.
«Sono la figlia di una coppia interpretata da Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva, ma
il film è proprio incentrato sulla coppia», ha detto l’attrice.
«Con Michael a volte sono la madre, a volte la figlia: ero una madre ne Il tempo dei lupi, e
una figlia ne La pianista. In questo film, sono una pianista molto diversa! Una donna che
vuole che tutto proceda in fretta e che ha genitori che vivono a un ritmo del tutto diverso».
È felice che Hong Sang-soo sia in concorso. Vuole competere con il suo diverso tipo di
musica, e amo il modo in cui mi ha filmato, proprio come io fossi una donna qualsiasi nel
paesaggio.
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POSITIF – n. 620, ottobre 2012
In Another Country - Triplo gioco
di Hubert Niogret
A partire dalla sua terza e quarta realizzazione (Virgin Stripped Bare by Her Bachelors, 2000;
Turning Gate, 2002), Hong Sang-soo è diventato autoreferenziale, contrariamente ai suoi
due primi lavori (The Day a Pig Fell into the Well, 1996; The Power of Kangwon Province,
1998). Tutti i suoi film costruiscono un territorio limitato, in genere fuori da Seul, su un’isola o
in riva al mare, a volte in una città straniera (Parigi, Night and Day, 2008): I personaggi sono
poco numerosi, tre o quattro, o funzionano a coppie, la cui unione si rompe per formare poi,
per un certo tempo, altre coppie. I luoghi, gli oggetti, sono quelli della quotidianità, mai
eccezionali. I mestieri dei personaggi sono legati all’ambiente del cineasta e in ogni film vi è
un regista, un critico di cinema o un’attrice (cf. Tale of Cinema, 2005). Certo, in In Another
Country i cineasti sono più numerosi: possiamo vedere una studentessa di cinema che
produce il soggetto stesso del film mentre scrive la sceneggiatura di un cortometraggio, e la
protagonista Anne, famosa regista francese (per lo meno nella prima versione, quella in cui
all’inizio la scopriamo), così come Jong-soo che vuole girare un film sul villaggio di Mohangni, e per finire Mun-soo, l’amante di Anne.
Lo humour crescente nei film di Hong Sang-soo è provocato dal divario tra le azioni e i
pensieri dei personaggi, dalla loro capacità o incapacità di affrontare le situazioni di ogni
giorno, dai loro commenti sulla vita, sulla loro vita, senza mai tralasciare l’autoironia. In In
Another Country, il divario è provocato dalle variazioni nello sviluppo della trama che il
cineasta mette in scena. Come in The Power of Kangwon Province (Gangwon-do ui him), la
storia si sviluppa in modo triplo: in The Power... da una variazione dei punti di vista su un
luogo segnato dalla storia recente, e nell’ultimo film da una semplice volontà di variazione,
fonte di humour e di interrogazione sulla natura del personaggio principale.
Ma l’autore non si scosta dall’autoironia, sull’amore smodato dei coreani per l’alcol (il soju) e
per loro spirito corteggiatore, due caratteristiche dei suoi personaggi a partire da Turning
Gate. La running gag del faro introvabile, che Anne cerca e che pare essere l’unico luogo da
visitare a Mohang-ni, viene utilizzato per più di tre volte: prima di tutto negli incontri tra Anne
e il bagnino, ma anche in modo minore con altri personaggi, ogni volta con un livello
differente di comunicabilità, a volte risolto in modo figurato con un linguaggio dei segni
improvvisato. I cocci di una bottiglia di soju si trovano nella sabbia fin dall’inizio del film, e
Anne beve soju nella sequenza finale sulla spiaggia, aspetto che potrebbe far supporre che il
film si srotoli al contrario. In ognuna delle tre storie, Anne incontra gli stessi personaggi, ma
la variazione del punto di vista conferisce loro caratteri un po’ diversi. La gelosia di Kum-hee
(Moon So-ri), la moglie incinta, varia da una storia all’altra, e il bagnino, che si occupa pure
del barbecue presso l’albergo, agisce anche diversamente passando da una storia all’altra.
Nella seconda storia, Anne, che non lo conosce (o non ancora), in spiaggia lo ignora
totalmente. Solo il personaggio del monaco scrittore che si è sbarazzato delle ricchezze del
mondo (tranne della sua stilografica Montblanc), compare soltanto della terza storia, forse
per concludere, quella che si interroga sul personaggio di Anne.
Il film naturalmente non darà nessuna risposta in questo gioco di ruoli, finendo con una
semplice inquadratura di Anne che cammina al centro dello schermo, di schiena, vestita con
il suo abito diritto, terzo costume del film per un’attrice che è stata completamente al gioco
del cineasta e della sua piccola musica così personale.
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In Another Country
di Maggie Lee
Incantevolmente semplice, allentato nella sua maestria e enfatizzato dalla compostezza
impeccabile di Isabelle Huppert, In Another Country, intitolato in maniera ambivalente, del
regista Hong Sang-soo, si presenta come il rovescio del suo Night and Day, ambientato a
Parigi. Mentre quel film del 2008 ironizzava sulle stranezze dei coreani all’estero, il nuovo
film fa della diversità della Huppert una calamita drammatica, osservando non solo come i
coreani trattano gli stranieri ma anche come si comportano tra di loro in compagnia di
sconosciuti; le loro divertenti e strane interazioni costituiscono una riflessione più profonda
sul concetto di prendere e dare in amore e nella vita. Con un grande nome, il film dovrebbe
andare più lontano della solita nicchia francese d’essai a cui è abituato Hong.
Strettamente simmetrico, come tutti i lavori di Hong, In Another Country adotta una triplice
struttura in cui Huppert interpreta tre diverse donne francesi, tutte di nome Anne, che fanno
una piccola sosta al West Blue Hotel nella cittadina di mare di Mohang. Le premessa metanarrativa è che le tre storie rappresentano differenti versioni di una sceneggiatura scritta da
una studentessa di cinema Wonju (Jung Yu-mi) come esercizio di gestione dello stress.
Nel primo episodio, Anne è una regista invitata per una vacanza a Mohang dal suo amico
regista Jongsoo (Kwon Hye-ho) e da sua moglie incinta, Humhee (Moon So-ri). Jongsoo
ricorda ad Anne di un bacio che si diedero a Berlino, interpretando questo gesto come il
segno di una futura più profonda intimità.
Nel secondo episodio, Anne arriva da sola come moglie di un ricco uomo d’affari, che si trova
a Mohang per un appuntamento segreto con un regista coreano Munsoo (Moon Sung-keun).
Durante il poco tempo che lui passa con lei, Munsoo diventa paranoico rispetto al fatto di
essere scoperto e rovinato da eventuali indiscrezioni, e alla fine fa incavolare Anne con la
sua immotivata gelosia.
Nel terzo episodio, Anne compare come una donna da poco divorziata, il cui matrimonio è
stato rovinato dalla relazione di suo marito con la sua segretaria coreana. È accompagnata
da Park Sook (Youn Yuh-jung), una docente. Alla richiesta di Anne di raggiungere
l’illuminazione, Park le presenta un monaco, le cui affermazioni criptiche hanno solo l’effetto
di confonderla di più.
Come nella maggior parte dei film di Hong, i diversi personaggi (interpretati sempre dagli
stessi attori) re-interpretano scene simili e ripetono le stesse battute. Qui, tuttavia, essi
riescono a creare dei momenti comici più che a diventare noiosi, eccessivamente autoreferenziali o formalmente troppo complessi. L’uso della ripetizione come espediente
riprende in maniera sarcastica la generica conversazione spicciola che i coreani e altri
asiatici tendono a fare nelle situazioni sociali che li mettono a disagio.
La goffaggine degli scambi interculturali del film è rafforzata dal fatto che i personaggi
parlano principalmente inglese, che non è la lingua madre di nessuno di loro; Hong dimostra
un udito fine per i loro impacciati schemi di discorso mentre cercano di dirsi a vicenda quello
che pensano di voler sentire. I gesti di ospitalità troppo zelanti dei personaggi coreani
rivelano, in particolare, come un paesaggio sociale cambia come reazione alla presenza di
uno straniero. Anne non è solamente in un’altra nazione in senso letterale, ma la Corea si
plasma in un’altra nazione a suo beneficio. Nel più ilare esempio di questo fenomeno, Anne
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continua a imbattersi nello stesso muscoloso bagnino (Yu Jun-sang), che la invita nella sua
tenda e le fa delle goffe avances.
In questo caso, In Another Country potrebbe essere il più monotono dei film di Hong.
L’ebbrezza ha luogo al di fuori dello schermo e non c’è un singolo istante di attività sessuale;
si palesa una scena stile “mattina del giorno dopo”, ma rimane ambigua. L’unica
dimostrazione di passione erotica avviene sottoforma di sequenze di fantasia che
ridicolizzano i pregiudizi coreani del romanticismo francese; confermando che la donna
straniera è un irraggiungibile e oscuro oggetto di desiderio.
La caratteristica preferenza di Hong per riprese medie e innaturali zoom bruschi, angolature
e stacchi crea ulteriormente distanza tra i suoi soggetti. Arrivati alla parte finale, si ha la
sensazione che Anne sia una persona piuttosto sola e il fatto che lei si trovi in una terra
straniera sia forse la metafora per un’alienazione di natura esistenziale, sottintesa dalla sua
noia, la sua ricerca di un inafferrabile faro, e il modo in cui lei si trova continuamente ad
aspettare, come un personaggio in uno spettacolo di Beckett.
In una situazione in cui tutto si basa su di lei, Huppert mantiene un’identità coerente e allo
stesso tempo calibra una serie di sentimenti espressi dai suoi tre diversi personaggi, tutti resi
con una forma attraente e con addosso rispettivamente un abito blu, rosso e verde. Il resto
del cast, la maggior parte di cui lavora regolarmente con Hong, fornisce dei solidi gruppetti di
supporto.
L’illuminazione più chiara e l’uso delle lenti di Park Hong-yeol producono una gamma di
colori più vibrante, rispetto alla maggior parte dei recenti lavori di Hong e fanno sì che
Mohang, con la sua estesa vegetazione e la lunga linea di costa, appaia meno monotona
che la tipica messa in scena al mare del regista. I crediti tecnici modesti e low budget ben si
abbinano con l’umile location.
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