può fallire anche il socio accomandante se si ingerisce nell

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può fallire anche il socio accomandante se si ingerisce nell
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PUÒ FALLIRE ANCHE IL SOCIO ACCOMANDANTE SE SI INGERISCE
NELL’AMMINISTRAZIONE DELLA SOCIETA’
La società in accomandita semplice è caratterizzata dalla presenza di due categorie di soci
(accomandatari ed accomandanti) ai quali competono poteri e responsabilità ben differenti.
In forza dell’art. 2320 cod. civ. ai soci accomandanti è preclusa la partecipazione all'amministrazione
della società, nonché la possibilità di agire nei rapporti esterni concludendo affari e (se non in forza
di speciale procura) spendendo il nome della società.
A tale limitato potere gestorio, corrisponde una responsabilità limitata all’apporto effettuato.
In forza dello stesso art. 2320 cod. civ. l'eventuale violazione del divieto di ingerenza nella gestione
della società è sanzionata con la perdita del beneficio della limitazione di responsabilità. Certo non
è sufficiente il compimento di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della
società, ma se il socio accomandante svolge attività gestoria, che si concreti nella direzione degli
affari sociali ed implicante scelte che sono proprie del titolare dell’impresa (Cass. Civ. 172/87)
diviene anch’egli, al pari del socio accomandatario, passibile di responsabilità illimitata e solidale
verso i terzi, non solo per le operazioni da lui direttamente compiute, ma anche per tutte le
obbligazioni sociali sorte precedentemente alla propria indebita ingerenza.
Non solo. Con sentenza n. 22256 del 7.12.2012 la Corte di Cassazione ha stabilito che “anche il
socio accomandante che si è ingerito nell’amministrazione dell’azienda è un soggetto fallibile.
L’estensione della procedura concorsuale al manager va confermata anche dopo la riforma del
diritto societario. Infatti le norme contenute nella legge fallimentare non implicano l’esclusione del
socio accomandante che si sia ingerito nell’amministrazione della società. Nelle società di persone
la fallibilità del socio è la regola e la limitazione della responsabilità del socio accomandante
un’eccezione, la quale suppone il rispetto della rigida distinzione tra titolarità e gestione dell’impresa
in conformità alla disciplina legale”.
La tesi trae spunto dall’insegnamento della giurisprudenza che ritiene che, nelle società di capitali,
l’impossibilità del socio di fallire derivi dalla limitazione della sua responsabilità. Per questo motivo
se il socio accomandante che si sia ingerito nell’amministrazione della società diviene, ex art. 2320
cod. civ., illimitatamente responsabile, ben potrà essere, allora, anche assoggettabile a fallimento.
Effettivamente la diversa responsabilità dei soci accomandatario ed accomandante origina dalla
titolarità e gestione dell’impresa, affidata per legge solo al primo. Ove il secondo violi questa rigida
distinzione di ruoli non si giustifica, quindi, più la sua limitazione di responsabilità alla quota conferita.
La ratio del divieto e della relativa sanzione, ad opinione di autorevole dottrina, è da individuarsi
infatti nella stessa struttura tipologica della società in accomandita semplice, e mira ad evitare che
la società in accomandita si snaturi e perda i suoi lineamenti essenziali, trasformandosi in una
società in nome collettivo.
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Premesso che il divieto di immistione riguarda tanto gli atti a carattere interno, quanto gli atti di c.d.
amministrazione esterna (rapporti con soggetti terzi), diventa essenziale il ruolo della
giurisprudenza, alla quale spetta chiarire quali siano gli atti effettivamente riconducibili all’attività
gestoria, ai quali ricondurre le gravi conseguenze sopra descritte.
Costituiscono atti di amministrazione, la stipulazione, effettuata dell'accomandante, del contratto di
locazione relativo alla sede sociale (Cass. Civ. Sez. Lavoro, 1974/92 ), mentre dovrebbero esulare
dal divieto, dovendo pertanto considerarsi atti consentiti, il pagamento di assegni, cambiali tratte
della società o l'effettuazione di operazioni di sconto (Cass. Civ. Sez. I, 3563/79). Controversa è
invece l'ipotesi del rilascio da parte del socio accomandante di fidejussioni o, in generale, di garanzie
per debiti della società. Una parte della giurisprudenza (in particolare Cass. Civ. Sez. I, 2854/98) ha
affermato che il rilascio sistematico, da parte dell'accomandante, di fidejussioni omnibus a garanzia
dei debiti societari costituisce un grave indizio di ingerenza nella gestione. La Cassazione, con sent.
13468/10 ha però precisato, al contrario, che in tale ultimo caso non si ravvisa, in realtà, alcun atto
di amministrazione e di ingerenza nell'amministrazione, costituendosi solo un vincolo di natura
obbligatorio e personale in capo all'accomandante.
In conclusione la sentenza della Corte di Cassazione, nell’affermare la possibile fallibilità del socio
accomandatario, ha specificato che, in forza dell’art 147 L. F., la fallibilità di quest’ultimo non è
soggetta ad altro termine di decadenza che non sia quello generale di un anno dall’iscrizione nel
registro delle imprese dello scioglimento del rapporto sociale, o della trasformazione che comporti
la perdita per i soci della responsabilità illimitata.
Avv. Simona Cardillo
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