La tassazione dei dividendi provenienti da paesi black list

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La tassazione dei dividendi provenienti da paesi black list
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APPROFONDIMENTI E PROCEDURE
La tassazione dei dividendi
provenienti da paesi black list
A cura di
Marco Bargagli
Dottore in economia
e giurisprudenza,
esperto di fiscalità
internazionale
Premessa
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Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto recante le misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese che contiene
una rilevante modifica alla disciplina impositiva degli utili provenienti da
Stati o territori a regime fiscale privilegiato. In particolare, la disposizione antielusiva sarà applicata solo in caso in cui il socio italiano detenga
una partecipazione diretta in una società residente o localizzata in Stati
o territori a fiscalità privilegiata di cui al nuovo D.M. 21/11/2001. In caso
di partecipazione indiretta il socio residente deve essere titolare di una
partecipazione di controllo in una società intermedia white list (italiana
o estera) che consegue, a sua volta, utili da partecipate – anche non di
controllo – in Stati o territori a fiscalità privilegiata.
Il 21 aprile 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo
schema di Decreto legislativo recante le misure per la
crescita e la internazionalizzazione delle imprese che
ha introdotto importanti modifiche alla normativa prevista in materia di tassazione integrale dei dividendi di
provenienza black list. L’art. 47, co. 4, TUIR, nella versione attualmente vigente, dispone che in caso di distribuzione di utili
da parte di soggetti residenti o localizzati in paradisi fiscali, gli stessi
concorrono integralmente alla formazione del reddito del socio residente. La locuzione “provenienti”, reintrodotta nel nostro ordinamento
dall’art. 36, D.L. 04/07/2006, n. 223, intende porre freno ai fenomeni di
triangolazione sugli utili, che consentirebbero ai soci residenti in Italia
di percepire dividendi provenienti da paradisi fiscali attraverso società
conduit, meramente interposte, localizzate in Stati o territori a fiscalità
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ordinaria (cd. white-list). Tuttavia la disposizione in commento, soprattutto nei casi di catene partecipative particolarmente articolate,
ha creato in questi anni numerose difficoltà applicative in quanto nelle
ipotesi di partecipazioni indirettamente detenute nei paradisi fiscali, il
socio residente in Italia non dispone di tutte le necessarie informazioni per ricostruire il flusso reddituale.
L’attuale contesto
normativo di riferimento
Prima dell’entrata in vigore del “correttivo Ires”, l’art. 47, co. 4, TUIR
(dividendi percepiti da persone fisiche), prevedeva la concorrenza integrale alla formazione del reddito imponibile degli utili “provenienti”
da società residenti in Paesi o territori a regime fiscale privilegiato1.
Il D.Lgs. 247/2005 (cd. “correttivo Ires”) è intervenuto novellando l’art.
47, co. 4, TUIR, sostituendo la parola “provenienti” con “corrisposti”.
Quindi, a seguito della modifica normativa i dividendi provenienti (indirettamente tramite la conduit figlia ubicata in Paese a tassazione
ordinaria) da un soggetto “black list” non avrebbero comportato la
tassazione piena in capo al percettore residente.
Tuttavia, il D.L. 223/06 ha reintrodotto sia all’art. 47, co. 4, sia all’art. 89, co. 3, la parola “provenienti”, assoggettando a tassazione integrale anche gli utili indirettamente percepiti da paradisi fiscali.
Tale finalità è espressamente affermata nella relazione illustrativa al
provvedimento ove viene posto in evidenza come attraverso anelli intermedi della catena fosse possibile sfuggire alla tassazione integrale
per dividendi provenienti da Paesi “black list”.
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In materia di tassazione di dividendi “black list” si rinvia ai seguenti interventi della dottrina, dal
più recente: M. Thione e M. Bargagli «Disciplina impositiva delle operazioni transfrontaliere: le
numerose problematiche sul tavolo del Legislatore delegato», Giugno 2012 Speciale La Delega fiscale. M. Bargagli, M. Thione, Tassabilità dei dividendi provenienti indirettamente da “black
list”: problematiche applicative, in “il fisco” n. 23 del 06/06/2011, pag. 1-3656; E. Mignarri, Trattamento fiscale dei dividendi di fonte estera, in “il fisco” n. 40 dell’1 novembre 2010, pag. 1-6490;
A. Mastroberti, Circolare 06/10/2010, n. 51/E - Tassazione dei dividendi distribuiti da Cfc, in “Il
fisco” n. 39 del 25/10/2010, pag. 2-6381; E. Mignarri, Trattamento fiscale dei dividendi di fonte
estera: la disciplina in vigore e le problematiche interpretative e applicative, in “Il fisco” n. 37 del
2007, pag. 1-5448; F. Ghiselli, Gli utili “provenienti” da società residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, in “il fisco” n. 44 del 27/11/2006, pag. 1-6829. In altre Riviste, dal più recente: M. Giaconia, A. Pregaglia, L’Agenzia delle entrate illustra la disciplina dei dividendi da stati o territori
«black-list», in “Corriere tributario” n. 42 del 2010, pag. 3466; G. Committeri, Dividendi «black
list» tra tutele antielusive e rischi di penalizzazioni, in “Fiscalità Internazionale” n. 3 del 2010;
A. Raffaele, Utili distribuiti da società residenti in Paesi black list, in “Pratica contabile” n. 10 del
2007, pag. 13.
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Nella richiamata relazione, infatti, si pone in evidenza che le nuove
disposizioni hanno la finalità di contrastare le operazioni di aggiramento “del regime di tassazione integrale degli utili provenienti da
partecipate situate in Paesi a fiscalità privilegiata, interponendo nella
catena societaria un altro soggetto estero residente in un Paese a regime fiscale non privilegiato”.
Conseguentemente, attualmente il regime di tassazione integrale si
rende applicabile non solo agli utili e ai proventi equiparati distribuiti
direttamente dai soggetti residenti nel paradiso fiscale, ma anche a
quelli generati in paesi a fiscalità privilegiata che vengono percepiti
dalla casa madre italiana, tramite società intermedie mere conduit
companies.
Anche l’Agenzia delle Entrate ha considerato la novella normativa
come una vera e propria “clausola antielusiva” introdotta dal legislatore, come esplicitato chiaramente nei documenti di prassi emanati
sullo specifico tema2.
Decorrenza
La disposizione antielusiva de qua trova applicazione a partire dal
periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto (4
luglio 2006) ovvero, per la generalità dei soggetti con “anno solare”,
dall’esercizio 2006.
Con riferimento alle riserve di utili formatesi prima del 4 luglio 2006,
distribuite successivamente a tale data l’Agenzia delle Entrate, con
la C.M. 51/E/10 ha chiarito che è irrilevante la circostanza che gli utili
che il soggetto intermedio residente in un Paese a fiscalità ordinaria
attribuisce al percettore residente possano essere formati in periodi
d’imposta precedenti a quello di decorrenza delle nuove disposizioni.
Conseguentemente, le nuove regole di tassazione dei dividendi trovano applicazione anche per le distribuzioni di riserve formatesi in
esercizi precedenti.
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In particolare, nella Circolare 06/10/2010, n. 51/E, viene evidenziato che l’utilizzo del termine
“provenienti”, introdotto nei menzionati artt. 47 e 89, D.L. 223/2006, risponde all’esigenza di evitare triangolazioni sui dividendi che consentano ai soci residenti in Italia di percepire utili provenienti dai paradisi fiscali attraverso società intermedie (cd. conduit companies), sostanzialmente
interposte, localizzate in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata. Appare evidente
l’intenzione del legislatore nazionale di comprendere nell’ambito applicativo degli artt. 47, co.
4 e 89, co. 3, TUIR, anche gli utili distribuiti da una società conduit europea, ma provenienti da
Paesi o territori a fiscalità privilegiata.
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Deroghe
Il regime integrale di tassazione sui dividendi di provenienza black
list, non opera:
• nel caso in cui gli utili distribuiti sono già stati imputati per trasparenza in ossequio alla disciplina prevista in materia di Controlled Foreign Companies, in quanto tale disposizione prevale
rispetto a quella prevista per i dividendi;
• qualora il contribuente abbia ottenuto un parere favorevole
dall’Amministrazione finanziaria mediante interpello preventivo, presentato secondo le modalità del comma 5, lett. b),
dell’art. 167, D.P.R. 917/1986.
In merito, infatti, l’art. 89, co. 4, D.P.R. 917/1986 prevede che si applicano le disposizioni di cui all’art. 47, ove compatibili.
L’art. 47, co. 4, del citato decreto stabilisce che l’integrale tassazione
degli utili provenienti da società “black list” opera solo nel caso in cui
gli stessi utili non siano stati già imputati al socio residente per trasparenza e, conseguentemente, assoggettati a tassazione separata
CFC con le modalità previste dagli artt. 167, co. 1, e 168, TUIR.
I chiarimenti
ministeriali
In via preliminare la C.M. 28/E aveva chiarito che la nuova disposizione svolge, fondamentalmente, una funzione di chiusura del sistema
contro le triangolazioni sui dividendi che consentano ai soci di percepire utili provenienti dai paradisi fiscali attraverso società intermedie
interposte.
Quindi, in presenza di partecipazioni in società residenti in Paesi a fiscalità privilegiata indirettamente detenute da un soggetto residente,
il regime di integrale tassazione si rende applicabile ai soli utili che
provengono da Paesi black list. Analogamente, nelle ipotesi di subholding intermedie qualificabili come mere conduit company, l’intero
utile da esse distribuito potrà ritenersi generato nel paradiso fiscale in
cui è localizzata la società operativa.
Successivamente, la C.M. 51/E, l’Agenzia delle Entrate ha posto in
evidenza che, con l’introduzione del termine “provenienti” negli artt.
47, co. 4 e 89, co. 3, D.P.R. 917/1986, il legislatore ha voluto evitare
artificiose triangolazioni sui dividendi, finalizzate a consentire ai soci
residenti in Italia di percepire utili provenienti dai paradisi fiscali, attraverso una o più società intermedie, mere conduit companies sostan-
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zialmente interposte, localizzate in Stati o territori diversi da quelli a
fiscalità privilegiata.
Il regime di imposizione integrale dei dividendi si applica anche nel
caso di dividendi distribuiti alla casa madre italiana, da parte di società conduit “figlie”, ciò in quanto la Direttiva “madri e figlie” (Direttiva n.
90/435/CE) non pregiudica l’applicazione delle disposizioni nazionali
o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi. Inoltre, la
citata Circolare 51/E ha affermato che l’esame del flusso dei dividendi
intercorso tra la casa madre italiana e la società figlia estera non può
essere limitato all’applicazione di criteri generali e predeterminati, ma
deve essere concretamente effettuato caso per caso, in base ad “elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi” (effettuando la cd. case
by case analysis).
L’Agenzia ha, in particolare, sottolineato che l’approccio ispettivo non
dovrà essere basato su semplici quantificazioni del carico fiscale subito dagli utili percepiti dalla casa madre italiana, bensì sulla circostanza che la partecipazione nel soggetto localizzato nel Paese a fiscalità privilegiata non sia detenuta tramite la società figlia allo scopo
di evitare artificiosamente che i redditi siano tassati in maniera congrua.
Le problematiche
applicative
Come detto, la disposizione in commento ha creato, nella pratica
operativa, numerose difficoltà applicative.
Nello specifico, soprattutto nelle frequenti ipotesi di lunghe ed articolate catene partecipative (tipiche dei grandi gruppi societari italiani), la maggiore criticità è rappresentata dalla difficoltà nel ricostruire
completamente le distribuzioni degli utili lungo tutta la catena societaria, al fine di individuare eventuali distribuzioni effettuate da soggetti
economici localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata.
In particolare, qualora il soggetto residente detenga una partecipazione in un paradiso fiscale, indirettamente, tramite una o più “società
intermedie”, residenti in Paesi white list, sarà molto complicato individuare esattamente l’importo e la natura dell’utile proveniente dall’impresa estera controllata3.
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Sul tema, l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 04/08/2006, n. 28/E, ha chiarito che “nelle ipotesi estreme di sub-holding intermedie qualificabili come mere conduit company, l’intero utile da
esse distribuito potrà infatti ritenersi generato nel paradiso fiscale in cui è localizzata la società
operativa. Del pari, sarà possibile individuare - ragionevolmente - la fonte degli utili erogati da
holding statiche o da società che non svolgono una effettiva attività economica, limitandosi alla
mera detenzione delle partecipazioni”.
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In merito, l’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 04/08/2006, n.
28/E, ha chiarito che “nelle ipotesi estreme di sub-holding intermedie qualificabili come mere conduit company, l’intero utile da esse
distribuito potrà infatti ritenersi generato nel paradiso fiscale in cui è
localizzata la società operativa. Del pari, sarà possibile individuare ragionevolmente - la fonte degli utili erogati da holding statiche o da
società che non svolgono una effettiva attività economica, limitandosi
alla mera detenzione delle partecipazioni”.
Infatti, la legal entity controllata potrebbe conseguire, oltre che proventi da partecipazione, anche ricavi di diversa natura (es. proventi
straordinari, finanziari, commerciali).
Quindi, si pone il problema di utilizzare un preciso criterio, che consenta di rilevare la natura dell’utile proveniente dall’impresa estera
controllata.
Sul tema, la dottrina4 ha prospettato l’adozione di un criterio proporzionale, da applicare sia in relazione alla formazione della provvista
(per determinare la quale le perdite decurterebbero proporzionalmente i risultati positivi derivanti dalle partecipazioni in soggetti di black
list e dagli altri investimenti produttivi), sia per l’identificazione della
provenienza degli utili, di volta in volta, distribuiti dalla società intermedia al socio italiano.
Tali utili si considererebbero attinti dai dividendi “black list” incassati
dalla società intermedia e dagli altri redditi da essa prodotti in proporzione alla loro entità.
In assenza di un criterio espresso previsto dal legislatore, l’Agenzia
delle Entrate, nella citata C.M. n. 51/E/10, ha chiarito che, qualora gli
utili siano formati con proventi di diversa natura e provenienza, la società intermedia conduit dovrà documentare di volta in volta la provenienza degli utili distribuiti al socio residente.
Il contribuente dovrà, altresì, fornire idoneo dettaglio anche nel caso
in cui le riserve di utile della legal entity estera intermedia, che vengono distribuiti alla casa madre italiana, si siano formate in differenti
esercizi d’imposta, sia con proventi derivanti da controllate residenti
in Paesi “black list”, sia in Paesi a fiscalità ordinaria.
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G. M. Committeri, Dividendi black list tra tutele antielusive e rischi di penalizzazioni, op. cit..
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In mancanza di adeguato supporto documentale che fornisca la provenienza dell’utile, nonché l’esercizio di formazione della provvista, si
ritengono distribuiti al socio italiano, in via prioritaria e fino a concorrenza, gli utili di provenienza dal Paese a fiscalità privilegiata.
In buona sostanza, considerata la necessità di individuare la “provenienza” dei dividendi, si rende indispensabile reperire tutta una serie
di informazioni relative alla natura, al Paese di provenienza ed alla
data di formazione delle riserve che vengono distribuite.
L’applicazione del regime di tassazione integrale dei dividendi provenienti da società localizzate in paradisi fiscali, distribuiti a soggetti residenti in Italia attraverso conduit companies, sostanzialmente interposte, non presenta particolari problemi applicativi nell’ipotesi in cui
le holding intermedie posseggono partecipazioni esclusivamente in
società localizzate nei Paesi “black list”, per le quali l’intero utile distribuito è generato nel paradiso fiscale in cui sono localizzate le partecipate. In questo caso, infatti, il necessario patrimonio informativo potrà
essere facilmente acquisito nell’ambito di catene partecipative molto
semplici e lineari, nell’ambito delle quali le imprese del gruppo svolgono attività omogenee, che si concretizzano nella detenzione di partecipazioni, nell’incasso e nel successivo pagamento dei dividendi.
Di contro, ossia nel caso di strutture partecipative molto articolate,
l’analisi potrebbe rivelarsi complessa5. Inoltre, nell’ipotesi in cui il soggetto residente in Italia detenga una minima partecipazione agli utili
dell’impresa estera, l’Amministrazione finanziaria avrà indubbie difficoltà a individuare la reale provenienza degli utili. Nel caso di catene
partecipative molto complesse, caratterizzate dalla presenza di numerose holding intermedie ubicate in Paesi “white list”, sorgeranno
ostacoli anche in capo al contribuente nazionale destinatario ultimo
dei dividendi, il quale potrebbe trovare difficoltà a superare tutti gli
oneri di carattere documentale.
Ulteriore profilo di complessità potrebbe essere rappresentato dall’ipotesi in cui una società italiana detenga, anche indirettamente, numerose partecipazioni in imprese estere che svolgono, nel contempo, attività economiche differenti tra di loro. Nel caso considerato,
l’utile d’esercizio conseguito dall’impresa estera potrebbe essere formato da componenti positivi di reddito eterogenei tra di loro (proventi
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Sul punto cfr. G. Vasapolli, A. Vasapolli, Dal bilancio d’esercizio al reddito d’impresa, IPSOA Editore Edizione XVIII, paragrafo 3.15.1, pagina n. 2068.
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da partecipazione, proventi della gestione caratteristica, finanziaria,
straordinaria, ecc...).
In merito, la C.M. 51/E ha chiarito che: “nel caso in cui la società conduit distribuisca poste del suo patrimonio netto formate anche con
utili provenienti da partecipate non black list ovvero da utili conseguiti mediante lo svolgimento della propria attività economica, diversa
dalla mera detenzione di partecipazioni, (..) ai fini dell’individuazione
della quota parte di utili provenienti da paradisi fiscali, nell’ordinamento tributario nazionale manca un principio di carattere generale che
regoli la distribuzione, l’utilizzo, la ricostituzione o la ripartizione delle
riserve”. L’Agenzia, in particolare, ritiene che “la società conduit debba documentare di volta in volta la provenienza degli utili (se da Stati
o territori a fiscalità privilegiata, o meno) distribuiti al socio residente.
In altri termini, in base ad una ricostruzione analitica della provenienza degli utili distribuiti al socio residente dalla conduit “white”, si renderà applicabile il regime di imposizione integrale nel caso di utili di
provenienza black list, ovvero di parziale imponibilità per gli utili non
provenienti da territori o Stati a fiscalità privilegiata. Resta inteso che
la provenienza dell’utile percepito deve essere adeguatamente documentata dal contribuente. In mancanza di adeguato supporto documentale, si ritengono distribuiti al socio italiano, in via prioritaria e fino
a concorrenza, gli utili di provenienza black list”.
Quindi, anche in tale circostanza, l’onere documentale viene posto a
carico del contribuente, che sarà chiamato a ricostruire la genesi del
dividendo distribuito al soggetto residente.
Natura della società
interposta
Ulteriore problematica da affrontare riguarda le caratteristiche soggettive della società interposta, ai fini dell’applicabilità della normativa
antielusiva ex art. 89, comma 3, del Tuir.
Nello specifico occorre comprendere se ai fini del disconoscimento
del vantaggio dell’esenzione al 95% dei dividendi in entrata, la società interposta debba necessariamente essere una mera conduit company (ossia una “scatola vuota”), ossia una “ordinaria” holding partecipata dal socio italiano.
In merito, la Circolare 17/07/2007, n. 38, di Assonime critica la “generica formulazione” adottata dal legislatore, in quanto ne derivano
“problemi interpretativi di vario ordine e di non facile soluzione”.
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Il citato documento in particolare, solleva proprio la questione attinente al rapporto partecipativo che deve intercorrere tra il socio residente nel nostro Stato percettore degli utili provenienti dall’impresa
black list e la società intermedia con la quale viene attuata la triangolazione di tali utili, affermando che: “emerge chiaramente come la società intermedia in parola dovrebbe avere le tipiche caratteristiche di
una società conduit - di una società, cioè, “scatola vuota” interamente
partecipata dal socio italiano e finalizzata alla mera detenzione delle partecipazioni della società del paradiso fiscale - o, quantomeno,
essere una società sottoposta ad un effettivo controllo da parte del
socio italiano”.
A parere di chi scrive limitarsi a considerare, ai fini della tassazione
integrale, le mere conduit companies interposte, rende inefficace la
disposizione antielusiva, la quale, rischia di essere, così, vanificata.
Infatti, anche nella relazione al D.L. 04/07/2006, n. 223, appare evidente la ratio della disposizione, ossia evitare che sia facilmente aggirabile il regime di tassazione integrale degli utili provenienti da partecipate situate in Paesi a fiscalità privilegiata, interponendo nella catena societaria un qualunque altro soggetto estero white list residente
in un Paese a regime fiscale non privilegiato6.
Ad ulteriore sostegno di una tesi interpretativa che garantisca la giusta efficacia alla disposizione antielusiva occorre, altresì, evidenziare
quanto sostenuto sul tema da autorevole dottrina. Secondo quest’ultima: “nella speciale disciplina qui in esame il richiamo alle c.d. conduit
companies si risolve nel ritenere tali non solo le sub-holding meramente interposte rispetto al paradiso fiscale, ma tutte le sub-holding
intermedie partecipanti – direttamente o indirettamente – nel paradisco fiscale, ancorchè non meramente interposte e quindi beneficiarie effettive dei dividendi che provengono dal paradiso fiscale”. E
ancora: “la regola di “provenienza” sembra imporre, difatti, di ricostruire in ogni caso, una relazione fra la distribuzione dei dividendi fatta
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Si legge espressamente nella citata relazione: “la modifica legislativa si è resa necessaria in
quanto, in base alla precedente formulazione, “la tassazione integrale dei dividendi provenienti
dai paesi a fiscalità privilegiata” riguardava “solo quelli corrisposti” direttamente dalla partecipata
estera situata in detti paesi e non anche quelli percepiti indirettamente in quanto “provenienti”
dalla partecipata estera per il tramite di altra partecipata situata in Paesi diversi da quelli a fiscalità privilegiata”. Nella stessa direzione anche il punto 24 della C.M. 04/08/2006, n, 28/E, dove
è stato precisato che, “per effetto di tale modifica, il regime di tassazione integrale riguarderà
non solo gli utili ed i proventi equiparati distribuiti direttamente dai soggetti residenti nel paradiso
fiscale, ma anche quelli da essi generati che confluiscono tramite società intermedie” (in modo
analogo punto 3.2. della C.M. 21/11/2006, n. 34/E).
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dalla conduit company e l’origine degli utili ricevuti (direttamente o
indirettamente)”7.
La necessità di un
intervento legislativo
L’art. 1, co. 680, L. 190/2014 (Legge di Stabilità 2015) ha novellato
l’art. 167, co. 4, D.P.R. n. 917/1986 variando i criteri di individuazione
degli Stati o territori da inserire nella black list ai fini CFC e della tassazione degli utili.
In particolare, attualmente, si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori in ragione del livello di tassazione sensibilmente
inferiore a quello applicato in Italia e della mancanza di un adeguato
scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti. A tale fine si
considera sensibilmente inferiore un livello di tassazione al di sotto
del 50 per cento rispetto a quello applicato in Italia.
Per tale motivo il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il 30 marzo
2015, ha siglato un nuovo decreto che modifica il precedente D.M.
21/11/2001, con conseguente eliminazione dalla black list di 3 Paesi
(Filippine, Malesia e Singapore), che presentavano un livello di tassazione (cd. tax rate) superiore al 50% rispetto a quello italiano.
Parimenti, lo schema di Decreto legislativo ha introdotto rilevanti proposte di modifica anche alla tassazione integrale dei dividendi di provenienza black list.
Come rilevabile dalla relazione illustrativa al provvedimento normativo, viene limitata l’applicazione di tassazione integrale dei dividendi
provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata alle sole situazioni in cui il socio italiano detenga una partecipazione diretta in una società residente o localizzata in Stati o territori a
fiscalità privilegiata di cui al nuovo D.M. 21/11/2001.
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Così M. Leo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Giuffrè Editore, 2011, pag. 368. Nella medesima direzione cfr. G.M. Committeri, P. Alonzo, Dividendi «black list» tra tutele antielusive e
rischi di penalizzazioni, in “Fiscalità Internazionale” n. 3 del 2010, secondo cui “sarebbe riduttivo ritenere che la disciplina trovi applicazione per le sole holding statiche ossia per quelle subholding qualificabili come mere conduit company (…). Non è isolato il caso di più livelli di subholding nonché di utili stratificatisi nel corso di più periodi di imposta ovvero l’ipotesi di società
intermedie che esercitino un’effettiva attività economica”.
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In caso di partecipazione indiretta il socio residente deve essere titolare di una partecipazione di controllo8 in una società intermedia white list (italiana o estera) che consegue, a sua volta, utili da partecipate – anche non di controllo – in Stati o territori a fiscalità privilegiata.
Diversamente il soggetto controllante italiano non disporrebbe delle
informazioni sufficienti a ricostruire l’intera catena societaria e, conseguentemente, individuare correttamente la provenienza degli utili.
Inoltre, qualora il soggetto controllante residente in Italia ottenga la disapplicazione della normativa CFC ai sensi dell’art. 167, co. 5, lett. a),
D.P.R. 917/1986 dando la prova che la società non residente svolge
una effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale
attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento, si verificherebbe un effetto distorsivo determinato dal mancato riconoscimento al socio di controllo residente nel territorio dello Stato – ovvero
alle sue controllate residenti che percepiscono gli utili – di un credito per le imposte assolte dal soggetto partecipato estero nello Stato
o territorio di localizzazione, da detrarre dall’imposta italiana dovuta
sull’utile percepito.
Infatti, il soggetto controllante che ha ottenuto la disapplicazione della
normativa CFC sulla base della prima esimente subisce una tassazione, qualora decida di far rientrare in Italia gli utili, più onerosa di
quella che avrebbe subito qualora avesse tassato per trasparenza il
reddito della partecipata black list.
In quest’ultima ipotesi, infatti, dall’imposta italiana dovuta su reddito della CFC avrebbe potuto dedurre le imposte pagate nello Stato
estero dal soggetto controllato e, in caso di distribuzione, i relativi utili non avrebbero concorso alla formazione del suo reddito complessivo. Analogo effetto si verifica in caso di realizzo della plusvalenza
derivante dalla cessione della partecipazione, che non godendo della
participation exemption, concorre alla formazione del reddito complessivo del socio italiano per l’intero importo, senza usufruire di alcun credito a fronte delle imposte assolte dal soggetto partecipato
black list.
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Art. 2359, c.c.. Società controllate e società collegate. Sono considerate società controllate: 1)
le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea
ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza
dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra
società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
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Al fine di ovviare a tali fenomeni distorsivi, le norme proposte riconoscono al socio di controllo residente nel territorio dello Stato – ovvero alle sue controllate residenti – un credito d’imposta ai sensi dell’art. 165, TUIR, sugli utili percepiti e sulle plusvalenze realizzate. Resta inteso che il credito d’imposta spetta al socio in proporzione alla
sua quota di partecipazione e al periodo di detenzione9. Infine, a differenza della disciplina CFC, con riferimento alla presentazione dell’interpello presentato al fine di ottenere la disapplicazione della tassazione integrale dei dividendi lo schema di decreto non prevede l’introduzione di particolari novità.
In definitiva, il socio residente nel territorio dello Stato (anche non titolare di una partecipazione di controllo), dovrà sempre dimostrare la
sussistenza «sin dall’inizio del periodo di possesso» dell’esimente di
cui all’art.167, co. 5, lett. b), D.P.R. n. 917/1986.
La prova in esame, come rilevato nella relazione illustrativa al provvedimento che contiene le proposte di modifica, può essere data anche mediante la presentazione di apposito interpello, confermando
la facoltà di presentazione dell’istanza tesa alla disaplicazione della
normativa de qua.
Qualora il contribuente intenda far valere la sussistenza delle condizioni che consentono la disapplicazione della tassazione integrale
ma non abbia presentato l’istanza di interpello prevista dall’art. 167,
co. 5, lett. b), D.P.R. 917/1986 ovvero, avendola presentata, non abbia ricevuto risposta favorevole, la percezione di utili o il realizzo di
plusvalenze derivanti da imprese o enti esteri localizzati in paradisi
fiscali deve essere indicata nella dichiarazione dei redditi, in quanto
l’eventuale omissione degli obblighi dichiarativi comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pari al 10% dei dividendi e delle
plusvalenze conseguiti dal soggetto residente e non indicati in dichiarazione, con un minimo di 1.000 euro ed un massimo di 50.000 euro.
Conclusioni
Come è stato illustrato, la Legge di Stabilità 2015 ha modificato il criterio di individuazione dei paradisi fiscali rilevanti ai fini della tassazione per trasparenza CFC e dei dividendi di provenienza black list,
tenuto conto che attualmente si considerano privilegiati i regimi fiscali
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Cfr. pag. n. 9 della nota di aggiornamento di Confindustria del 28 aprile 2015 Prime osservazioni
allo Schema di decreto legislativo recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle
imprese.
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La tassazione dei dividendi provenienti
da paesi black list
APPROFONDIMENTI E PROCEDURE
A cura di Marco Bargagli
di Stati o territori in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia e della mancanza di un adeguato
scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti.
Inoltre, nello spirito di semplificare l’individuazione della provenienza
dei dividendi black list lo schema di decreto recante le misure per la
crescita e l’internazionalizzazione delle imprese ha proposto di introdurre rilevanti modifiche alla disciplina impositiva degli utili provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato.
Infatti, attualmente, la norma impone la necessità di individuare la
«provenienza» dei dividendi, costringendo la casa madre residente
in Italia a reperire una serie di dati e notizie da parte della partecipata
estera residente o localizzata in un paradiso fiscale.
L’applicazione del regime di tassazione integrale dei dividendi provenienti da società localizzate in paradisi fiscali, non presenta particolari problemi applicativi nell’ipotesi di partecipazioni dirette in società
localizzate nei Paesi black list.
Di contro, in ipotesi di strutture partecipative molto articolate, risulta
particolarmente complesso ricostruire la provenienza dell’utile percepito, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia attraverso
conduit companies white list, sostanzialmente interposte.
In definitiva, l’intervento legislativo si pone il dichiarato obiettivo di
semplificare l’individuazione degli utili black list, nelle sole ipotesi in
cui il soggetto residente in Italia agisca come dominus dell’investimento partecipativo nella società black list.
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