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I REGIMI DI PROTEZIONE DELL'IMPIEGO Valentina Tiecco ABSTRACT La presente rassegna si propone di fornire un quadro generale dei regimi di protezione dell'impiego (RPI) articolato in tre parti. La prima parte è dedicata all’analisi dei principali modelli teorici di riferimento che ne descrivono i risultati attesi. La seconda affronta i problemi di misurazione legati alla costruzione di indicatori statistici appropriati e la loro effettiva adeguatezza nel misurare il grado di severità dei diversi regimi RPI. La terza, infine, esamina la vasta letteratura empirica che ne studia gli effetti, con particolare riferimento a tre aspetti: flussi occupazionali, elementi di dualismo nel mercato del lavoro, crescita dell’efficienza produttiva. Dalla rassegna svolta emerge, quale risultato consolidato in letteratura, che un maggior grado di rigidità rende costoso il licenziamento e riduce i flussi occupazionali, determinando un mercato del lavoro più stagnante. Inoltre, gli RPI rafforzano gli elementi di dualismo tra la fascia di lavoratori protetti e non protetti, la cui linea di demarcazione è generazionale e di genere. Emerge, tuttavia, quale risultato più ambiguo, che il legame degli RPI con la crescita della produttività è più complesso e collegato alle esigenze formative e di innovazione, al sistema di contrattazione salariale, all'impegno del lavoratore. Infine, le indicazioni di politica economica che prevalgono da letteratura teorica e studi empirici sono che ‘riforme al margine’, volte solo ad agevolare tipologie contrattuali che consentono la diffusione di lavori temporanei, hanno effetti talvolta ambigui e comunque non duraturi su occupazione ed efficienza produttiva. JEL Classification: J28; J65. Keywords: protezione dell’impiego, riforme del mercato del lavoro. 1 1. Introduzione 1 La rigidità che caratterizza il mercato del lavoro europeo è da sempre vista come una possibile causa dell'alta e persistente disoccupazione del vecchio continente. Le linee guida elaborate dall'OECD nei primi anni ’90 includono, tra gli obiettivi da perseguire per ridurre la disoccupazione, quello di "riformare i regimi di protezione dell'impiego che inibiscono l'espansione dell'occupazione nel settore privato" (OECD, 1994). Da circa venti anni si assiste infatti ad un processo di riforme teso a ridurre la rigidità dei regimi di protezione dell'impiego (RPI), soprattutto in quei paesi dell'Europa storicamente caratterizzati da un sistema di tutele più marcato. Si tratta di un cambiamento di rotta importante, rispetto alla tendenza storica che aveva visto un progressivo consolidamento ed una graduale espansione della protezione dell'impiego come strumento per tutelare i diritti del lavoratore. Tale strumento varia da paese a paese e si sostanzia in tutto il sistema di norme e previsioni che proteggono il posto di lavoro, sia in entrata che in uscita, e si traduce in ogni caso in un costo che l'azienda deve affrontare qualora voglia ricorrere ad un licenziamento. Rientrano in tale tutela tutte le restrizioni all'uso di contratti a tempo determinato, così come tutta la regolamentazione relativa ai licenziamenti. Le fonti che disciplinano la tutela dell'impiego possono avere diversa natura: leggi dello stato, contrattazione individuale e collettiva e giurisprudenza dei tribunali. La sua stessa natura fa della protezione dell'impiego, un'istituzione che si oppone alla filosofia economica del laissez faire tentando di porre rimedio a determinate imperfezioni del mercato. La sua presenza non avrebbe giustificazione in un mercato del lavoro perfetto che riuscisse a massimizzare al contempo il welfare dei lavoratori e i profitti delle imprese. In particolar modo con gli RPI si intende sostituire un mercato assicurativo, non idoneo a coprire adeguatamente l'esigenza di tutela del lavoratore rispetto ad un eventuale licenziamento. È un sistema che impedisce alle imprese di agire in senso opportunistico, obbligandole ad internalizzare i costi che un licenziamento produce, non solo a livello individuale, ma anche sulla società nel suo complesso. La teoria economica si è concentrata sullo studio delle conseguenze che l'introduzione di un 1 La presente rassegna è tratta dalla tesi di laurea, della stessa autrice, dal titolo “I regimi di protezione dell’impiego”, Università degli Studi di Perugia, relatore Mirella Damiani. La tesi ha vinto il premio Riccarda Nicolini bandito da Obiettivo Lavoro e Legacoop Emilia-Romagna, in collaborazione con la Scuola internazionale di alta formazione in relazioni industriali e di lavoro ADAPT – Fondazione Marco Biagi dell'Università di Modena e Reggio Emilia. 2 regime di protezione ha sulle performance occupazionali. I modelli teorici sono generalmente strutturati in modo tale da evidenziare come cambia il comportamento di un'economia dopo l'introduzione di un certo grado di rigidità. Non è facile, nella vasta mole di modellistica riguardante gli RPI, selezionare i contributi teorici di riferimento. In questa rassegna si è scelto di presentare una gamma di modelli, distinti per la diversità delle ipotesi adottate in ciascuno di essi. Ciò consente di mostrare come i diversi risultati ottenuti dipendono dalle diverse ipotesi teoriche introdotte. Si ottiene, in particolare, che gli effetti derivanti dall'introduzione di un regime di protezione dell'impiego sono condizionati da alcuni principali fattori: specifica composizione degli RPI ed avversione al rischio dei lavoratori (Garibaldi, 2005a); grado di flessibilità salariale, che consente alle imprese di compensare il costo legato alla tutela dell'impiego (Lazear, 1990; Schivardi, 1999); possibilità di ricorrere a strumenti di flessibilità alternativi, come i temporary works (Boeri e Garibaldi, 2007). Gli studi passati in rassegna permettono di affermare che gli RPI, se da un lato non hanno conseguenze di rilievo sul tasso di disoccupazione medio, dall’altro incidono negativamente sui flussi del mercato del lavoro, rendendolo più statico. Le imprese, gravate dal costo imposto dal sistema di tutela, tendono a non aggiustare il livello di manodopera alle mutevoli esigenze del mercato, venendo così a determinarsi un impatto negativo sulla produttività. L’evidenza empirica permette di verificare e, in parte contraddire, i risultati dei modelli teorici. È tuttavia d'obbligo fare una premessa relativa ai criteri di misurazione degli RPI su cui gli studi empirici basano i loro risultati, criteri che non possono dirsi esenti da limiti e problematicità. La tutela dell'impiego è infatti determinata principalmente da grandezze non direttamente quantificabili ed una sua misurazione sottende sempre un certo grado di arbitrarietà legato alla valutazione della legislazione, alle variabili considerate e al processo di aggregazione dei dati. Molti autori si sono confrontati con il problema della costruzione di un indicatore il più oggettivo possibile e, ad oggi, quello maggiormente utilizzato è fornito dall’OECD (1999). In questo contributo se ne analizzano le proprietà (criteri di valutazione e di aggregazione delle variabili considerate), così come i maggiori limiti e lacunosità. Proprio tali difficoltà di misurazione rendono lo studio e il confronto dei molteplici lavori empirici, prodotti a tutt'oggi, particolarmente complesso. Inoltre ci si sofferma su due principali problematiche emerse dagli studi empirici: gli effetti differenziati che gli RPI hanno sui diversi gruppi di lavoratori, distinti per sesso, età, precedenti esperienze lavorative, e conseguenze sulla produttività. Su questo ultimo tema, la 3 letteratura empirica mostra risultati ambigui, poiché l'impatto, positivo o negativo, della tutela dell'impiego è strettamente correlato alle tipologie di innovazione produttiva perseguite, al sistema di contrattazione salariale e all'impegno del lavoratore. Infine, viene data una valutazione dei processi di riforma degli RPI, fino ad oggi centrati prevalentemente sulla sola liberalizzazione dei contratti a tempo determinato, e non rivolti a rimuovere le rigidità in uscita. Si mostra, a tale proposito, come il dualismo prodotto dai RPI permane come risultato di queste riforme, spesso denominate come ‘riforme al margine’, ed ambigui sono gli effetti empirici sulla crescita della produttività. In definitiva, tali riforme, seppure di successo sul piano dell'obiettivo dell'aumento occupazionale, non sembrano altrettanto vincenti sul piano dell’obiettivo della crescita di efficienza. Il presente contributo è organizzato in 6 sezioni. La sezione 2 definisce gli RPI ed espone una selezione dei modelli teorici. La sezione 3 si occupa della misurazione degli RPI e illustra la costruzione dell'indicatore dell'OECD. La sezione 4 espone i risultati degli studi empirici. La sezione 5 esamina i processi di riforma dei regimi di protezione dell’impiego. La sezione 6 conclude. 2. La teoria La severità dei regimi di protezione dell’impiego permette di distinguere tra paesi rigidi, in cui è estremamente difficile licenziare, e paesi flessibili, in cui porre fine ad un rapporto di lavoro è relativamente semplice e dove quindi le esigenze dei lavoratori sono subordinate a quelle dei datori di lavoro. A seconda della rigidità, saranno diverse le modalità attraverso le quali un'azienda risponde ad eventuali shock esogeni di produttività. Mentre in contesti flessibili si agisce sul livello occupazionale, in contesti rigidi la strategia aziendale dipende in larga misura dalla modalità con cui i salari vengono determinati, dalla possibilità di ricorrere a manodopera a tempo determinato e dalla natura stessa degli RPI. La natura del costo che le imprese devono affrontare qualora vogliano intraprendere un licenziamento può comprendere infatti due principali componenti (nella maggior parte dei casi coesistenti) che influiscono in maniera differente sul comportamento dell'impresa (Garibaldi e Violante, 1999). La prima componente annovera tutti i costi, pecuniari e non, che possono essere ricondotti ad un trasferimento che l'impresa è costretta a pagare al lavoratore in caso di interruzione del rapporto di lavoro. Vi rientrano una liquidazione in caso di licenziamento senza colpa, altri tipi di rimborso imposti all’azienda dal giudice in caso di licenziamento ingiusto nonché 4 l’obbligo di fornire al lavoratore una notifica anticipata. La seconda componente ha gli stessi effetti di una "tassa sul licenziamento" ed è pagata dall'impresa al di fuori del rapporto con il lavoratore; si sostanzia in costi burocratici, spese legali in caso di processo per licenziamento ingiusto, eventuali sanzioni predisposte dal giudice in caso di pronuncia sfavorevole. Per indagare le conseguenze che gli RPI hanno sul mercato del lavoro è indispensabile quindi non prescindere dall'analisi di questo costo (e delle sue componenti), nonché dalla possibilità per le imprese di compensarlo attraverso una struttura salariale ad hoc o tramite il ricorso a contratti meno tutelati. La rassegna teorica proposta si prefigge l'obiettivo di capire le conseguenze sul mercato del lavoro che genera l’introduzione di un regime di protezione dell’impiego in contesti caratterizzati da assunzioni differenti in materia di natura degli RPI e di determinazione salariale. 2.1. RPI come trasferimento I modelli di seguito proposti partono dalla premessa che gli RPI siano composti dalla sola componente di trasferimento, e quindi le imprese paghino il costo del licenziamento direttamente al lavoratore, senza incorrere in costi ulteriori da pagare a soggetti terzi. Si vedrà che, mentre in un contesto di flessibilità salariale, il costo derivante dall'introduzione di un regime di protezione dell'impiego può essere compensato da una struttura salariale ad hoc, in contesti di rigidità salariale esso avrà un impatto negativo sui flussi occupazionali e sulla produttività. Il terzo modello dimostrerà tuttavia che le riforme intraprese per ovviare a tali problematiche hanno un effetto positivo sull'occupazione solo transitorio. 2.1.1. RPI e flessibilità salariale Lo studio di Lazear (1990) dimostra che, in un contesto di flessibilità salariale e di lavoratori neutrali rispetto al rischio, l'introduzione di un regime di protezione dell'impiego non ha alcun effetto sul mercato del lavoro. L'autore considera un mercato del lavoro e due periodi: nel periodo 1 viene firmato il contratto, nel periodo 2 avviene la presa di servizio. L'introduzione di un regime di tutela dell'impiego ha l'effetto di spostare il salario che garantisce l'incontro tra domanda e offerta di lavoro dal suo punto di equilibrio (quello che eguaglia la produttività marginale dell'impresa e il salario di riserva del lavoratore) di una 5 quantità pari all'ammontare del trasferimento che il datore di lavoro sarà costretto a pagare al lavoratore nel caso decida di ricorrere al suo licenziamento. Tuttavia ciò rende la firma del contratto più attraente per il lavoratore piuttosto che per l’azienda. Per compensare questa condizione, il lavoratore dovrà pagare all’azienda una tassa in modo tale che il compenso atteso, data la firma del contratto, rimanga inalterato. Si ha quindi: pW * Fee pW (1 p)Q dove p è la probabilità che nel periodo 2 il posto di lavoro venga mantenuto; W * è il salario di equilibrio; Fee è la tassa che il lavoratore deve corrispondere all’azienda; W è il salario dopo l’introduzione dell’indennizzo ed è dato da: W W * Q , dove Q è l'ammontare del trasferimento; (1 p) , è la probabilità che nel periodo 2 il posto di lavoro non venga mantenuto. Si avrà quindi che: Fee Q Nel periodo 1 il lavoratore dovrà cedere all’azienda l’ammontare del trasferimento di fine rapporto, per essere certo di riceverlo nel periodo 2. Quindi in un’economia di questo tipo l’introduzione di un indennizzo obbligatorio di licenziamento da parte dell’azienda determina una modifica della struttura salariale che compensa il costo che l’azienda dovrà affrontare in caso di interruzione del rapporto di lavoro. Nel primo periodo del suo contratto, il lavoratore percepirà un salario inferiore a quello di equilibrio che si avrebbe in assenza di indennizzo: la somma mantenuta dall’azienda (in termini di minor salario) sarà esattamente pari all’ammontare del trasferimento di fine rapporto. Tale quantità maturerà degli utili che verranno corrisposti al lavoratore nel secondo periodo del contratto di lavoro. In quest’ultimo intervallo di tempo egli percepirà quindi un salario maggiore a quello di equilibrio. Tale modello dimostra come, se rispettate le condizioni sopra esposte, l’introduzione di un’indennità di licenziamento non ha alcun effetto sul mercato del lavoro: il lavoratore ottiene lo stesso stipendio che percepirebbe in assenza di trasferimento ed essendo neutrale rispetto al rischio, non ha alcuno svantaggio nel ricevere, nel periodo iniziale del contratto, uno stipendio minore di quello di equilibrio. L’azienda non sostiene alcuna spesa aggiuntiva in quanto il costo del trasferimento è già stato pagato dal lavoratore in termini di minor salario. 6 2.1.2. RPI e rigidità salariale Il modello di Schivardi (1999) 2 dimostra che il risultato di neutralità a cui giunge Lazear (1990) viene meno se non sussistono le condizioni di perfetta flessibilità salariale e neutralità rispetto al rischio del lavoratore. Lo studio dimostra infatti che le performance occupazionali e produttive di due paesi, uno flessibile F, in cui è sempre possibile licenziare e dove la forza lavoro si aggiusta automaticamente al variare delle condizioni del mercato e uno rigido R, dove licenziare è impossibile ed è quindi impossibile modificare lo stock di occupati, sono diverse. Per comparare gli effetti dell’introduzione del trasferimento obbligatorio si esamina il comportamento dei due paesi separatamente, posto che essi hanno lo stesso livello salariale che è fisso ed assume il valore W e la medesima funzione di produzione data da: Y Ai log L dove L è il lavoro impiegato; Y il prodotto; Ai il livello della produttività che può assumere valori compresi nell'intervallo Al Ai Ah . La probabilità che la produttività sia Ah è p mentre la probabilità che sia Al è 1 p . Si analizza in primo luogo il paese F. L'impresa rappresentativa di tale economia ha sempre la possibilità di ovviare a possibili cambiamenti della produttività attraverso una modifica del livello occupazionale. L’azienda sceglie quindi di volta in volta, a seconda del livello della produttività, il livello ottimale dell’occupazione e massimizza i profitti semplicemente massimizzando la sua funzione di produzione in ogni dato livello della produttività: F max Ai log L WL L La quantità di lavoro che massimizza i profitti è quindi: Ai W L f ( L ) Il valore di L che si ottiene è pari a: LF Ai / W Dato che il livello della produttività varia tra il valore massimo h e il valore minimo l , l’impresa modifica il livello dell’occupazione di una quantità massima L ( Ah Al ) / W e, date le probabilità delle rispettive produttività, si ha: 2 Il modello di Schivardi (1999) rappresenta una versione semplificata di quello di Bentolila e Bertola (1990). 7 F L (1 p ) Al pAh W Non potendo modificare a piacimento il livello dell’occupazione, il comportamento dell'impresa del paese rigido R si discosta da quello descritto in precedenza in quanto, dovrà deciderlo sul valore atteso dei profitti, dato a sua volta dal valore atteso della produttività: R max (1 p) Al pAh log L WL L Da cui si ottiene un livello di occupazione che assume un valore intermedio tra quello che si avrebbe in caso di massima produttività e quello che si avrebbe in caso di minima produttività: R L (1 p ) Al pAh W con Al / W LR Ah / W . Dall’analisi dei due contesti si può dedurre che, mentre l’occupazione e la disoccupazione media sono uguali nei due paesi, i flussi in entrata e in uscita dal lavoro sono maggiori nel paese flessibile, mentre sono nulli in quello rigido. D’altra parte, la durata della disoccupazione è più bassa nel paese flessibile, dove per un disoccupato la probabilità di uscire dallo stato di disoccupazione è legata ai cambiamenti della produttività: se questa passa da Al a Ah , il che avviene con probabilità p , il disoccupato ha probabilità 1 di essere assunto. Quindi la durata della disoccupazione è pari a 1 / p . Inoltre si può affermare che l’economia del paese flessibile è più efficiente in quanto alloca meglio le forze lavorative. Mentre il paese rigido utilizza sempre la stessa quantità di lavoro, quello flessibile utilizzerà più lavoro nei periodi in cui la produttività è alta, massimizzando la produzione e quindi i profitti medi. 2.1.3. RPI in un contesto two tier I modelli precedenti studiano l’impatto che gli RPI hanno in un contesto statico, e analizzano il ruolo dell’introduzione di un certo livello di rigidità. Tuttavia la rigidità dei regimi di protezione dell'impiego, soprattutto negli ultimi venti anni, ha subito e sta tuttora subendo profonde variazioni, come risultato di un processo teso a flessibilizzare il mercato del lavoro attraverso la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato. Tale processo ha reso necessario, secondo Boeri e Garibaldi (2007) lo studio degli effetti di riforma al margine dei 8 regimi di protezione dell'impiego. Una riforma al margine (two tier reform) può essere definita come una riforma del mercato del lavoro che lascia inalterata la protezione dei contratti permanenti mentre riduce quella dei contratti a tempo determinato. I due autori dimostrano che l'effetto positivo sull'occupazione che una riforma al margine comporta è solo temporaneo e collegato ad un effetto negativo sulla produttività. Un intervento two tier permette all'impresa di godere di una flessibilità parziale, lasciandola libera di assumere e licenziare con contratti temporanei, senza però intaccare una certa quantità stabilita di contratti permanenti che non possono essere sciolti. Partendo da un regime rigido nel quale il livello occupazionale è determinato come nel modello di Schivardi (1999) 3 e potendo inaspettatamente godere di una flessibilità al margine, l'impresa deciderà di assumere con contratto temporaneo la manodopera aggiuntiva necessaria in caso di periodo favorevole, lasciando inalterato lo stock di lavoratori permanenti in caso di bassa produttività. L'occupazione ottimale del regime two tier sarà quindi: LTwoTier LR LTemp dove LR è il livello dell'occupazione permanente e LTemp è la quantità di occupati con contratto temporaneo. Temp L (1 p)( A h A l ) W 0 seAi A h seAi A l Una riforma siffatta comporta un aumento permanente dell'occupazione media rispetto al regime rigido. Dal momento che in ogni dato momento una frazione p di imprese si trova in condizioni favorevoli e una frazione (1 p) di imprese si trova in condizioni sfavorevoli, si avrà che l'occupazione media è data da: L L Quindi, si avrà che L TwoTier TwoTier TwoTier LR LTemp (1 p )( A h Al ) LR p W LR per p 0 . Questo è quello che i due autori chiamano honeymoon effect: un eterno effetto "luna di miele" sull'occupazione. 3 Si rimanda al precedente paragrafo 2.1.2. 9 Tuttavia, in base alla legge della produttività marginale, la produttività media diminuisce nel passaggio da un regime rigido ad un regime two tier. Al contrario, aumentano i profitti medi in quanto in un regime two tier le imprese godono degli stessi profitti del regime rigido durante i periodi sfavorevoli, ma di profitti first best in periodi favorevoli, quando si può aumentare l'occupazione fino al livello ottimale attraverso l'uso di contratti temporanei. Il modello fin qui esposto ha come presupposto che i contratti permanenti non possono essere sciolti. Tuttavia, pur ammettendo che non sia possibile ricorrere a licenziamenti, è necessario considerare la possibilità che un lavoratore assunto con contratto permanente lasci il suo posto di lavoro volontariamente o in seguito al pensionamento. Tale possibilità è chiamata "tasso di attrition" ( ). Considerando la politica occupazionale dell'impresa si modificherà quindi, sia in regime rigido che in regime two tier. Nel regime rigido l'impresa avrà un livello occupazionale obiettivo ( Lu ) che raggiungerà tramite nuove assunzioni con contratti permanenti durante i periodi favorevoli. Nel caso di cattiva congiuntura economica invece l'impresa lascerà che l'occupazione diminuisca al tasso di . La dinamica occupazionale sarà data da: Lu Lt (1 ) Lt 1 seAi A h seAi A l Minore è l'attrito, più il livello occupazionale tende, nei periodi favorevoli, ad essere uguale a quello dei periodi sfavorevoli. Nel regime two tier l'impresa, durante i periodi favorevoli, assumerà lavoratori temporanei fintanto che il prodotto marginale dell'ultimo lavoratore uguaglia il salario. In caso di congiuntura sfavorevole l'impresa non utilizzerà alcun lavoratore temporaneo e lascerà declinare l'occupazione al tasso di . Il livello occupazionale totale, al tempo t , sarà dato da: Lt Lt Temp Lt Perm dove: Lt Lt Temp Perm (1 ) Lt 1 A h / W Lt 1 Perm 0 Perm seAi A h seAi A l Tale politica occupazionale fa sì che tutte le nuove assunzioni avvengano con contratto a tempo determinato: ciò produce una riduzione costante dello stock di lavoratori permanenti. 10 Quindi l'aumento occupazionale che comporta l'introduzione di un regime two tier è via via eroso dal declino dei lavoratori insider. 2.3. RPI come tassa I modelli precedenti si basano sull'assunto che il costo che comporta un regime di protezione dell'impiego abbia un'unica natura, ovvero quella di un trasferimento diretto di denaro dal datore di lavoro al lavoratore che viene licenziato. Tuttavia esiste, come specificato precedentemente, una seconda componente di questo costo che coinvolge soggetti terzi rispetto al rapporto bilaterale tra i firmatari del contratto di lavoro e che si sostanzia in costi burocratici, come ad esempio le spese sostenute per affrontare un processo in caso di licenziamento ritenuto ingiustificato. Garibaldi (2005a) dimostra che, mentre il solo trasferimento non ha alcun effetto sui profitti dell'impresa, la componente di tassa non è mai neutrale, anche in presenza di salari flessibili e determina un aumento del potere contrattuale dei lavoratori insiders a discapito degli outsiders. Il modello di Garibaldi (2005a) è un modello di matching a due periodi. In entrambi i periodi il salario da corrispondere al lavoratore è negoziato attraverso una suddivisione della rendita e il lavoratore ottiene una frazione del surplus totale. La restante parte di surplus spetta invece all'impresa. La quota del surplus che spetta al lavoratore è il risultato di un processo di contrattazione tra le due parti e sarà crescente al crescere del potere contrattuale del lavoratore e decrescente con la sua opzione esterna, che è il valore netto scontato ottenuto quando si è disoccupati (Boeri e Van Ours, 2008). Intuitivamente si può affermare che l'introduzione di un costo di licenziamento aumenta il potere contrattuale del lavoratore e quindi la sua quota di surplus. Nel periodo 1 al lavoratore non viene applicato il regime di protezione dell'impiego e per tale motivo questo primo periodo è chiamato "fase da outsider". La produttività del suo lavoro è data e pari a Ah ; il suo salario, derivante dall'accordo tra impresa e lavoratore, è W0 . La produzione ha luogo e il lavoratore alla fine del periodo 1 diventa un insider. Nel periodo 2 il lavoratore beneficia del regime di protezione dell'impiego e per tale motivo questo secondo periodo è chiamato "fase da insider". Come nel modello con salari rigidi, la produttività può assumere, in questo secondo periodo, due valori: rispettivamente Ah con probabilità p , e Al con probabilità (1 p) , e si assume, come in precedenza, che Al Ah e 11 Al 0 . All'inizio del periodo 2 se il valore della produttività è Al , il posto di lavoro viene soppresso e il datore di lavoro deve pagare al lavoratore (che è già diventato insider) le due componenti di RPI di tassa e trasferimento. Se invece il valore della produttività è Ah il posto di lavoro viene mantenuto e le due parti si accordano per un livello salariale Wi . Ovviamente la presenza del costo di licenziamento aumenta il potere contrattuale del lavoratore nel secondo periodo e quindi la sua quota di surplus. Il salario da insider sarà maggiore di quello da outsider. In modo similare al modello di Lazear (1990), in Garibaldi (2005a) l'aumento salariale, nel caso sia composto dalla sola componente del trasferimento, è completamente pagato dal lavoratore outsider, il cui salario è decurtato di una quota pari all'ammontare del trasferimento. Tale quota verrà utilizzata dall'azienda per pagare il lavoratore in caso di licenziamento nel secondo periodo. Quindi la presenza del trasferimento non ha alcun impatto sui profitti dell'impresa. Vediamo ora come si determina il salario in presenza della sola componente di tassa ( F ) tendendo in considerazione che: S IMP = surplus dell'impresa; S LAV = surplus del lavoratore; S TOT = surplus totale; = profitti; Wa = opzione esterna del lavoratore. Nel periodo 2, nel caso in cui la produttività sia Ah , il posto di lavoro viene mantenuto e le quote di surplus che spettano alle due parti e il surplus totale sono dati da: S IMP Ah Wi ( F ) S LAV Wi Wa S TOT Ah Wa F Dove S LAV è una quota di S TOT , il cui ammontare, come detto precedentemente, è legato al potere contrattuale ( ) del lavoratore stesso. S LAV S TOT Wi (1 )Wa Ah F Come si può vedere il salario del lavoratore insider è aumentato di un ammontare pari ad una quota della tassa che il datore di lavoro deve pagare in caso di licenziamento. Tale quota sarà tanto più alta quanto maggiore è il potere contrattuale del lavoratore stesso. Nel periodo 1 l'incontro tra lavoratore e datore di lavoro avviene sulla base dei valori attesi di salario e profitto, dati rispettivamente da: 12 W1 W0 pWi (1 p)Wa 1 Ah W0 p( Ah Wi ) (1 p ) F I surplus che spettano alle due parti sono così determinati: S IMP 1 S LAV W1 2Wa S TOT Ah Wa p( Ah Wa ) (1 p ) F Si vede come in questo caso la tassa rientra nel surplus totale: essendo una componente che il datore di lavoro deve pagare al di fuori del rapporto con il lavoratore, non potrà essere compensata da una struttura salariale ad hoc. Anche in questo caso, per determinare il salario che verrà corrisposto al lavoratore outsider si deve tenere in considerazione che il suo surplus è una quota del surplus totale: S LAV S TOT W0 Wa (1 ) Ah F Come si può vedere il salario del lavoratore nel primo periodo è decurtato di una quota della tassa che il datore di lavoro deve pagare in caso di licenziamento. La restante parte di tassa andrà necessariamente ad incidere sui profitti dell'impresa (sostituendo il valore del salario nel primo periodo ai profitti attesi si vede che F compare). Quindi la componente di tassa non è mai neutrale, anche in presenza di salari flessibili. Il modello descritto dimostra come la presenza degli RPI beneficia in particolar modo i lavoratori insider, i quali, sia in caso di trasferimento che in caso di tassa, vedono accresciuto il loro potere contrattuale e quindi il loro salario. I lavoratori outsider sono invece sempre svantaggiati dall'introduzione del regime di protezione in quanto l'impresa farà gravare su di loro il costo che ne deriva. 3. Misurazione degli RPI I risultati dei modelli teorici sopra esposti sono approfonditi da un'ampia letteratura empirica non sempre unanime nella valutazione delle problematicità e dei benefici connessi con i regimi di protezione dell'impiego. Prima di passare all'esame di tali lavori è tuttavia necessario affrontare il problema della misurazione degli RPI, legato al carattere molteplice ed eterogeneo di tali regimi. Per ottenere un indicatore è necessario infatti confrontare ed aggregare grandezze tra loro non omogenee e in gran parte non misurabili quantitativamente. 13 Molti autori hanno affrontato tale problema e hanno avanzato soluzioni molto diverse tra loro. In particolare Salvatori (2003) sottolinea che si devono affrontare quattro step per giungere ad una misura dell’intensità della regolamentazione: definizione delle informazioni rilevanti; reperimento delle informazioni; misurazione delle informazioni; aggregazione delle informazioni 4 . L’indicatore costruito dall'OECD (1999) che utilizza il metodo di aggregazione dei valori fornito da Grubb e Wells (1993), è basato sulla tecnica rank-average-rank. Se ne descrivono di seguito i passi fondamentali. 3.1. La costruzione dell'indicatore OECD Come si può vedere dalla tabella 1, l'indicatore OECD (si veda OECD, 1999) è calcolato attraverso quattro livelli gerarchici tramite i quali, ad ogni singolo aspetto del regime di protezione dell'impiego, viene assegnato un valore compreso tra 0 e 6, dove 0 è il minimo grado di rigidità e 6 il massimo. Tabella 1: Indicatore complessivo della rigidità degli RPI per livelli di aggregazione successivi con specificazione dei valori di ponderazione Livello 4 Livello 3 Contratti regolari Peso Licenziamenti collettivi Peso (1/3) Notifica e liquidazione per licenziamenti senza (1/3) (5/12) colpa Indicatore complessivo della rigidità degli RPI Forme di lavo ro a tempo determinato Livello 2 Inconvenienti procedurali Difficoltà di licenziamento (1/3) Contratti a tempo determinato (1/2) Agenzie del lavoro interinale (1/2) (5/12) (2/12) Livello 1 1. Proced ure di notifica 2. Ritardo co n cui la notifica può partire 3. Periodo di notifica dopo 9 mesi 4 anni 20 anni 9 mesi 4. Liquidazione dopo 4 anni 20 anni 5. Definizione di licenziamento 6. Lunghezza d el periodo di prova 7. Compenso statuito dalla corte 8. Reintegro statuito dalla corte 9. Casi di validità 10. Massimo numero di contratti successivi 11. Massima durata cumulativa 12. Casi di validità 13. Restrizioni al numero di rinnovi 14. Massima durata cumulativa 15. Definizione di licenziamento collettivo 16. Procedure di notifica addizionali 17. Ritardi addizionali 18. Altri costi a carico del datore di lavoro Peso (1/2) (1/2) (3/21) (3/21) (3/21) (4/21) (4/21) (4/21) (1/4) (1/4) (1/4) (1/4) (1/2) (1/4) (1/4) (1/2) (1/4) (1/4) (1/4) (1/4) (1/4) (1/4) Fonte: OECD (2004) 4 Per una panoramica dei principali indicatori proposti in letteratura nel corso degli ultimi anni, e dei relativi limiti, si veda Salvatori (2003). 14 Come si mostra in Tabella, il valore dell'indicatore, che corrisponde all'ultimo livello di aggregazione, il livello 4, è dato dalla media ponderata dei tre sottoindicatori ottenuti al livello 3. Questi riguardano rispettivamente: la protezione dei lavoratori con contratto di lavoro regolare contro i licenziamenti individuali; la regolazione delle forme di lavoro temporaneo ed infine la disciplina dei licenziamenti collettivi 5 . La rigidità di questi tre macro-aspetti è calcolata sulla base della media ponderata delle variabili considerate al livello 2, a loro volta determinate dai 18 indicatori specifici del livello 16. Tutte le variabili del livello 1 sono espresse in unità di tempo o in punteggi in scala ordinale, a seconda delle caratteristiche. Il primo passo da fare è quindi quello di stimare tutte queste variabili attraverso un'unità di misura univoca. A tal fine esse sono state convertite in scala cardinale e classificate in base ai valori nell'intervallo 0-6. La Tabella 1 indica, a fianco di ogni variabile, il rispettivo peso, da usare per calcolare, attraverso una media ponderata, il successivo livello di aggregazione dell'indicatore. L'OECD (1999) ammette che l'assegnazione dei pesi e la scala di convertibilità dei valori rappresenti un'ulteriore dimensione soggettiva, che si aggiunge a quella imprescindibile della scelta delle 18 variabili specifiche del livello 1. Tuttavia afferma che, avendo effettuato sperimentazioni con ponderazioni alternative delle variabili del primo livello, si è potuto constatare che è improbabile che le conclusioni raggiunte dall'analisi siano eccessivamente influenzate dall'arbitrarietà che caratterizza questa fase. Stabiliti i pesi, il passo successivo consiste nell'aggregare i valori delle variabili del primo livello, attraverso appunto medie ponderate, per ottenere i punteggi del livello 2. Come si può vedere, nella maggior parte dei casi si utilizzano medie semplici, mentre si ricorre a medie ponderate per calcolare solo tre variabili del livello 2, rispettivamente : notifica e liquidazione per licenziamenti senza colpa; contratti a tempo determinato; agenzie del lavoro interinale. Una volta stabiliti i valori delle variabili del livello 2, si passa alla loro aggregazione, attraverso medie semplici, per ottenere i tre sottoindicatori del livello 3. 5 La direttiva 75/129/CEE del Consiglio, del 17 febbraio 1975, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di licenziamenti collettivi, definisce licenziamento collettivo “ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore se il numero dei licenziamenti effettuati è, a scelta degli Stati membri”, e a seconda della durata del periodo, pari ad una certa percentuale di occupati. 6 Per la descrizione dettagliata degli indicatori specifici si rimanda all'Appendice. 15 L'ultimo passo del procedimento, stima il valore finale dell'indicatore attraverso la media ponderata dei tre elementi del livello 3: rigidità della regolazione per i contratti regolari, per i contratti temporanei e per i licenziamenti collettivi. Il peso attribuito all'aspetto dei licenziamenti collettivi è solo il 40% di quello assegnato alle altre due variabili in quanto esso normalmente rappresenta un piccolo incremento della rigidità complessiva. Inoltre, le misurazioni dell'indicatore dei licenziamenti collettivi sono disponibili solo dalla fine degli anni '90. L'indicatore è infatti espresso in due versioni. La versione 1 tiene conto degli indicatori relativi a lavoro regolare e temporaneo, per tre serie temporali: la fine degli anni '80, la fine degli anni '90 e il 2003. La versione 2 aggiunge l'indicatore dei licenziamenti collettivi e si riferisce alle sole due serie temporali per cui sono disponibili i dati relativi a tale disciplina: la fine degli anni '90 e il 2003. 3.2. La rigidità degli RPI nei paesi OECD L'OECD (1999) calcola l'indicatore della rigidità degli RPI per 27 paesi tutti facenti parte dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. In questo studio si utilizzeranno i dati aggiornati al 2003 (OECD, 2004) che sono calcolati anche per la Repubblica Slovacca, così da portare il totale dei paesi analizzati a 28. Le figure che seguono mostrano la classifica dei paesi in base alla rigidità dell'indicatore complessivo e delle sue tre principali componenti. 16 Figura 1: Rigidità complessiva degli RPI, versione 2, ordinato per valori decrescenti della rigidità nel 2003 Come si può vedere dalla Figura 1, è netta la suddivisione tra paesi di flessibili, quali Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Nuova Zelanda e Australia che si trovano sulla parte meno rigida della classifica, e rigidi: Turchia, Portogallo, Messico, Spagna, Grecia e Francia. Per la rigidità del lavoro regolare si ha invece quanto riportato in Figura 2. 17 Figura 2: Rigidità del lavoro regolare, ordinato per valori decrescenti della rigidità nel 2003 La Figura 2 mostra come gli Stati Uniti siano il paese con le più basse tutele dei contratti regolari, con un distacco significativo dal resto dei paesi caratterizzati da bassa rigidità. Al lato opposto dello spettro si trovano paesi per la maggior parte europei, fra cui il Portogallo che resta il più rigido, nonostante una diminuzione costante della rigidità negli ultimi anni. Dalla Figura si può altresì dedurre che il livello di rigidità è pressoché rimasto inalterato in quasi tutti i paesi presi in esame, nel corso del periodo considerato. Eccezioni importanti rimangono il Portogallo, la Spagna, l'Austria e la Finlandia. Nel leggere questi dati è necessaria una precisazione: la percentuale della forza lavoro impiegata con contratti di lavoro regolari non è la stessa in tutti i paesi e a volte, per far fronte ad esigenze di flessibilità, sono proprio i paesi nei quali la protezione per i contratti regolari è più alta, a fare un uso maggiore di contratti atipici o a tempo determinato. È quindi utile tenere in considerazione questo aspetto in quanto un alto valore della rigidità per i contratti regolari non è molto indicativo di per sé e non fornisce, se preso isolatamente, la visione esatta della rigidità di un mercato del lavoro; è necessario considerare anche l'effettiva percentuale di lavoratori che sono coperti da questa tipologia contrattuale. Boeri e Van Ours (2008) si occupano di questo aspetto e ricalcolano l'indicatore di rigidità per i contratti regolari, tenendo in considerazione il loro tasso di applicazione. 18 Figura 3: Rigidità del lavoro regolare: indicatore OECD assoluto e relativo, anno 2003, ordinato per valori decrescenti dell'indicatore ricalcolato in base alla copertura (senza lavoro temporaneo e autonomo) Dalla Figura si può vedere che il valore dell'indicatore così calcolato diminuisce in tutti i paesi. In particolare molti paesi dell'Europa meridionale, quali Spagna, Grecia e Italia, appaiono molto meno rigidi, rispetto a quanto risulterebbe sulla base dell'indicatore dell'OECD; ciò proprio perché tali economie hanno un'ampia percentuale della forza lavoro impiegata in contratti non regolari ma invece temporanei. 19 Figura 4: Rigidità del lavoro temporaneo, ordinato per valori decrescenti della rigidità nel 2003 La Figura 4 mostra come la rigidità dei contratti a tempo determinato assume valori nettamente differenti rispetto a quella dei contratti regolari. La prima caratteristica che si evidenzia è la forte variabilità tra paesi e nel corso del periodo esaminato, del valore della rigidità dei contratti temporanei. Stati Uniti, Canada e Regno Unito si confermano tra i paesi meno rigidi, mentre allo spettro opposto si collocano Turchia e Messico, seguiti dai paesi dell'Europa mediterranea. La tendenza alla liberalizzazione dell’uso di contratti a tempo determinato è evidente per paesi quali Olanda, Danimarca, Svezia, Germania, Italia, Belgio e Grecia. 20 Figura 5: Rigidità dei licenziamenti collettivi, ordinato per valori decrescenti della rigidità nel 2003 La classifica dei paesi per quanto riguarda quest’ultimo parametro è abbastanza diversa da quella basata sugli altri due indicatori visti precedentemente. In questo caso il paese in assoluto meno rigido è la Nuova Zelanda, seguito da paesi asiatici come Giappone o Corea. L’Italia è allo spettro opposto della graduatoria, mentre i paesi anglosassoni si trovano in posizione intermedia. 3.3. Limiti dell'indicatore OECD degli RPI La descrizione dell'indicatore OECD non può prescindere dall'analisi dei limiti di tale processo di valutazione quantitativa del fenomeno degli RPI 7 . Pur essendo classificato da Salvatori (2003) come indicatore oggettivo, l’indicatore OECD mantiene comunque un certo grado di arbitrarietà, sia nella scelta dell'algoritmo utilizzato per convertire i dati nella scala da 0 a 6, che misura la rigidità dei regimi a protezione dell'impiego, sia nella scelta dei pesi per la ponderazione dei valori che formano i quattro livelli di aggregazione dell'indicatore stesso. Inoltre, il valore dell’indicatore è determinato in base ad una valutazione delle norme che regolano le variabili prese in considerazione e non dà quindi adeguatamente conto di alcuni 7 Per un'analisi dettagliata dei limiti dell'indicatore OECD soprattutto in riferimento all'Italia, si veda Del Conte et al. (2004). 21 aspetti rilevanti della tutela dell’impiego che sfuggono a quanto previsto dal puro e semplice testo legislativo. Infatti l'esistenza di una legge in un ordinamento non garantisce di per sé la sua puntuale applicazione. In primo luogo perché spesso l'applicazione della legge può essere disattesa e questo accade tanto più frequentemente quanto più deboli sono i controlli e più elevata è la disoccupazione; inoltre quello che l'indicatore non può cogliere è il cosiddetto enforcement della norma: le modalità reali con cui essa viene applicata. Da questo punto di vista l'aspetto maggiormente problematico è la disciplina del licenziamento senza giusta causa. Di fronte a tale eventualità, gli organi ai quali il lavoratore può ricorrere sono differenziati da paese a paese (organi amministrativi, tribunali, arbitri privati) e gli unici dati certi a disposizione sono solo quelli che riguardano le cause portate davanti ad una corte. Inoltre le decisioni dei giudici possono essere influenzate dal contesto socio economico nel quale si trovano ad operare: è molto probabile infatti che i tribunali tendano ad essere più bendisposti verso il lavoratore nei casi di crisi economica o di alta disoccupazione. Il lavoro di Ichino et al. (2004) mostra questa tendenza prendendo ad esempio il caso di una grande impresa operante su tutto il territorio italiano. Inoltre alcuni aspetti dei regimi di protezione dell'impiego non sono previsti da norme, ma dai contratti collettivi e individuali di lavoro (OECD, 2004), come ad esempio tutto ciò che attiene al periodo di prova che spesso è consentito, ma non esplicitamente previsto dalla legge; o ancora ciò che riguarda la soglia delle indennità di licenziamento, che a volte viene stabilita a livello di contrattazione. Il problema è che non è possibile avere informazioni dettagliate circa le specifiche clausole contrattuali e che, sebbene si applichino solo ad una parte della forza lavoro e quindi non siano generalizzabili, restano comunque non misurabili con l'indicatore della rigidità del regime di protezione. Infine resta il problema dei contratti a tempo determinato: nella maggior parte dei casi non c'è un'autorità incaricata di controllare il rispetto de parametri necessari per poter ricorrere ad un contratto di questo tipo e i lavoratori a tempo determinato hanno sicuramente meno possibilità dei loro colleghi a tempo indeterminato di portare un eventuale caso di licenziamento davanti ad un giudice, anche perché probabilmente essi non beneficiano dello stesso supporto dato dai sindacati ai lavoratori con contratto regolare. Inoltre va rilevata la mancanza di serie storiche: l'indicatore OECD elaborato nel 1999 ed aggiornato nel 2004, mette a confronto il valore della rigidità dei regimi di protezione 22 dell'impiego di tre periodi diversi, rispettivamente la fine degli anni '80, la fine degli anni '90 e il 2003; tuttavia esso non dà conto della variazione della rigidità negli intervalli di tempo compresi tra gli anni considerati. Questa difficoltà riflette, secondo Salvatori (2003), la natura stessa dell'oggetto da misurare che, essendo multiforme e previsto da molteplici fonti, è difficile da aggiornare costantemente 8 . Infine l'indicatore non considera la possibilità che la tutela dell'impiego abbia un campo di applicazione limitato ai lavoratori di imprese che hanno alla propria dipendenza un numero di occupati maggiore di una certa soglia. L'Italia, da questo punto di vista, è un caso esemplare in quanto la tutela reale contro i licenziamenti garantisce solo i lavoratori di imprese con più di 15 dipendenti. I lavoratori impiegati in imprese di piccole dimensioni godono di una protezione minore; tuttavia l'indicatore non registra questa differenza. La tabella 2 ricalcola il valore della rigidità dei contratti regolari e dei licenziamenti collettivi in Italia in base al grado di copertura, quindi escludendo la percentuale dei lavoratori impiegati in imprese con meno di 15 dipendenti. Tabella 2: Indicatore della rigidità dei contratti regolari e dei licenziamenti collettivi ricalcolato in base al grado di copertura Contratti regolari Rigidità indicatore OECD Copertura % (al netto degli occupati in imprese sotto i 15 dipendenti) Indicatore ricalcolato 1,8 61,6 1,1 Licenziamenti 4,9 61,6 collettivi Fonte: nostre rielaborazioni su dati OECD (2004a) e ISTAT 3,0 Quanto detto permette di affermare che nello studio degli effetti delle tutele sul mercato del lavoro, è bene valutare i risultati con molta prudenza, tenendo in considerazione il margine di arbitrarietà necessariamente sotteso alla misurazione del fenomeno. 4. Letteratura empirica 8 Allard (2005) si propone di colmare questa lacuna e sviluppa, partendo dall'indicatore OECD, una misura time varying dei regimi di protezione dell'impiego che copre 21 paesi e 50 anni (dal 1950 al 2003). 23 La letteratura che studia gli effetti degli RPI sul mercato del lavoro ha prodotto un'ampia mole di studi empirici che si sono mossi su quattro principali linee di indagine: gli effetti che i regimi di protezione hanno sulle grandezze stock e flusso di occupazione e disoccupazione; sulle tipologie lavorative e sulla produttività. Ci si soffermerà quindi sulle problematiche più rilevanti che lo studio di questa istituzione lascia aperte: le conseguenze differenziate che gli RPI hanno sulle diverse fasce demografiche e gli effetti controversi che producono sulla produttività e sull'innovazione aziendale. La tabella che segue offre una selezione di questi studi mettendo in evidenza i risultati più significativi. 24 25 Occupazione temporanea e permanente Impegno del lavoratore Incidenza del lavoro temporaneo Produttività, innnovazione e contrattazione salariale Ichino e Riphan (2001) OECD (2004) Bartelsman et al. (2004) Burgess et al. (2000) Nunziata e Staffolani (2001) Occupazione e produttività Nickell e Layard (1999) Tasso di disoccupazione e occupazione (per genere ed età) Produttività Job turnover Boeri (1999) OECD (1999) Job e labour turnover; durata OECD (1994) della disoccupazione Blanchard e Portugal (1998) OECD (1999) OECD (1999) * OECD (1999); Belot e Van Ours (2000); Blanchard e Wolfers (2000) Bertola (1990) OECD (1999) OECD (1994) OECD (1994) OECD (1994) Job turnover Bertola e Rogerson (1997) Indicatore utilizzato Tema Studio Tabella 3: Studi empirici 17 industrie manifatturiere di 18 paesi OECD 28 paesi OECD Italia Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Spagna, Uk 7 maggiori paesi OECD 27 paesi OECD Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Giappone, Lussemburgo, Olanda, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia, Repubblica Ceca, Uk, Usa 20 paesi OECD 21 paesi Italia, Germania, Francia, Canada, Uk, Usa Paesi, settori Correlazione negativa tra rigidi RPI e job turnover e labour turnover; correlazione positiva tra RPI e durata della disoccupazione. Nonostante la differenza di RPI i mercati del lavoro europei e Usa hanno tassi di job turnover molto simili. Questo è possibile perché altre istituzioni del mercato del lavoro, come la compressione salariale, compensano la riduzione del job turnover causato dagli RPI. Risultati La riduzione degli RPI porta alla sostituzione di lavoratori permanenti con lavoratori temporanei. In particolare ridurre la rigidità dei contratti temporanei ha un effetto positivo sull'occupazione, sia permanente che temporanea dei giovani; ridurre invece la rigidità delle agenzie del lavoro interinale ha un effetto positivo solo sull'occupazione temporanea, mentre riduce quella permanente, soprattutto tra i giovani. Rigidi RPI hanno un effetto negativo sull'impegno del lavoratore. 1984-1998 Gli effetti degli RPI sull'innovazione e la produttività sono correlati al sistema di contrattazione salariale. La combinazione di una forte compressione salariale e di alti costi di licenziamento tende a favorire la formazione all'interno dell'impresa. fine anni '80; Differenze nella rigidità degli RPI per i lavori temporanei e regolari possono essere fine anni '90; un elemento importante per spiegare l'aumento dell'incidenza di lavori temporanei per 2003 giovani e poco qualificati. 1993-1995 1983-1999 Correlazione positiva tra RPI e tasso di occupazione maschile; negativa con il tasso di occupazione femminile. Effetto negativo sulla produttività perché scoraggia la cooperazione dei lavoratori e la loro formazione. fine anni '80; Correlazione negativa tra rigidi RPI e flussi occupazionali; assenza di correlazione fine anni '90 con il tasso di disoccupazione totale ma non con quello dei differenti gruppi demografici. Correlazione positiva tra rigidi RPI e bassa velocità di aggiustamento a shock esogeni. Anni '80 Fine anni '80, Rigidi RPI comportano che un'alta percentuale del job turnover sia formato da job-toprima metà job shift piuttosto che da flussi in uscita dalla disoccupazione. La probabilità per un anni '90 disoccupato di uscire dalla disoccupazione è negativamente correlata al tasso di impiego con contratti temporanei. L'effetto è più forte per i disoccupati dai 25 anni in su. 1985-1994 Fine anni '80 Tempo 26 Flussi occupazionali e produttività Tema Lavoro temporaneo, occupazione, produttività Disoccupazione e lavoro temporaneo (per genere ed età) Produttività Occupazione e produttività Total Factor Productivity (TFP) Boeri e Garibaldi (2007) Kahn (2007) OECD (2007) Dew-Becker e Gordon (2008) Bassanini et al (2009) OECD (2004) OECD (1999) OECD (1999) OECD (1999) OECD (2004) Due gruppi rispettivamente composti di 11 e 16 paesi 14 paesi europei 18 paesi OECD Canada, Finlandia, Italia, Olanda, Svizzera, Uk, Usa Italia 21 paesi 13 paesi membri dell'UE OECD (1999) Allard (2005) 23 paesi OECD 18 paesi (11 paesi industrializzati e 7 paesi in via di sviluppo) Paesi, settori OECD (1999) Botero (2003); Heckman e Pages (2003), OECD (1999) Indicatore utilizzato 1982-2003 1978-1995 1995-2003 1982-2003 1994-1998 1995-2000 1980-2001 1992-2002 Fine anni '90 Anni '80 e '90 Tempo * I due autori analizzano come varia l'impegno del lavoratore, prima e dopo l'introduzione della protezione dell'impiego. Occupazione e produttività Allard e Lindert (2006) Insicurezza percepita Postel-Vinay e Saint-Martin (2004) Auer et al. (2005) Durata dell'impiego e produttività Micco e Pages (2004) Studio Tabella 3 (cont.): Studi empirici Rigidi RPI per i contratti regolari sono negativamente correlati con la crescita della TFP in settori che tendono ad innovare attraverso cambiamenti del personale (EPLbinding industries ). Restrizioni all'uso dei contratti temporanei hanno un impatto nullo (o leggermente positivo) sulla crescita della TFP. Le riforme che riducono la rigidità degli RPI hanno un effetto di breve periodo positivo sull'occupazione e negativo sulla produttività. Infatti gli RPI sono positivamente correlati con la produttività pro capite. La diminuzione della produttività causata dalla riduzione degli RPI è parzialmente compensata dall'aumento occupazionale che tali riforme comportano. Rigidi RPI per i contratti regolari hanno un basso effetto negativo sulla produttività (e soprattutto sulla TFP). Tuttavia la diminuzione della rigidità per i contratti temporanei (risultato delle riforme al margine) ha un impatto sulla produttività ambiguo. Correlazione positiva tra rigidità degli RPI e tasso di disoccupazione di giovani, immigrati e donne. Rigidi RPI accrescono l'incidenza di lavori a tempo determinato per i lavoratori con bassa qualifica, giovani, donne e specialmente donne immigrate. Questo effetto è maggiore nei paesi con un alto livello di contrattazione collettiva. Una riforma two tier aumenta la possibilità, per le imprese, di rispondere velocemente a shock esogeni di produttività; aumenta temporaneamente l'occupazione; è correlata negativamente con la produttività. Rigidi RPI aumentano il capitale umano degli insiders e possono quindi accrescere il PIL pro capite e per ora. Tuttavia, diminuendo nuove assunzioni degli outsiders, deteriorano il loro capitale umano, riducendo la loro futura produttività. Per questo motivo l'introduzione di un regime di protezione ha un effetto positivo sulla produttività nel breve periodo e negativo nel lungo periodo. Correlazione positiva tra rigidi RPI e una lunga durata dell'impiego. La durata dell'impiego è positivamente correlata con la produttività. Correlazione positiva tra rigidità degli RPI e livello di insicurezza percepito dai lavoratori. Rigidi RPI sono correlati a bassi flussi occupazionali. Questo effetto ha maggiori implicazioni sulla produttività di quei settori che richiedono frequenti aggiustamenti della forza lavoro. Risultati 4.1. RPI e dualismo del mercato del lavoro La letteratura è abbastanza concorde nel confermare i risultati ipotizzati da Lazear (1990) e Schivardi (1999) di un impatto nullo degli RPI sul tasso medio di disoccupazione. Tuttavia gli studi empirici mostrano anche che è negativo l'impatto degli RPI sul tasso di disoccupazione degli uomini adulti, mentre è positivo sulla disoccupazione dei giovani e delle donne (OECD, 1999). Questi risultati confermano che gli RPI sono un'istituzione che va a vantaggio dei lavoratori insiders, provocando ricadute negative sugli outsiders. È vero infatti che la diminuzione dei flussi occupazionali che un regime di protezione dell'impiego comporta (Schivardi, 1999) non è distribuita uniformemente sulla forza lavoro e colpisce in misura maggiore chi, come i giovani, fa il suo primo ingresso nel mercato del lavoro o chi, come le donne, ha una partecipazione intermittente a causa dei periodi di maternità (Kahn, 2007). Queste due categorie non godranno del basso tasso di licenziamenti che gli RPI assicurano, ma saranno piuttosto colpiti dalla bassa propensione delle imprese ad assumere. Tendenza tanto maggiore in un mercato del lavoro caratterizzato da scarsa informazione, dove l'incertezza circa le qualità professionali di persone senza esperienza lavorativa o di disoccupati di lunga durata, unita all'onerosità di un eventuale licenziamento, scoraggiano l'azienda dal puntare su nuovi rapporti di impiego (Scarpetta, 1996). Inoltre gli RPI proteggono i lavoratori già occupati per l'effetto che essi hanno sul potere contrattuale dei lavoratori. I costi legati alla tutela dell'impiego rientrano infatti in quelli che Lindbeck e Snower (1988) chiamano i labour turnover costs (LTC) e che comprendono tutti i costi di licenziamento, assunzione e formazione che un’azienda si trova a sostenere per l'avvio di ogni contratto di lavoro. Ovviamente più prolungata è la permanenza nella stessa occupazione, maggiore è l’accumulazione da parte del lavoratore di esperienza e più alti sono gli investimenti che l’azienda decide di intraprendere per la sua formazione; quindi tanto più importanti saranno gli LTC associati alla sua posizione in quanto un eventuale turnover avrebbe un duplice costo per l’azienda in termini di mancata produttività aggiuntiva attesa dall’investimento in formazione e per la necessità di intraprendere un nuovo percorso di formazione con un neo assunto. Lindbeck e Snower dimostrano che la presenza degli LTC dà agli insider il potere di negoziare un salario maggiore, diminuendo la spinta dei disoccupati, i cosiddetti outsider che rimangono necessariamente fuori dal processo di contrattazione. Questi lavoratori non protetti saranno coloro che maggiormente verranno assunti attraverso contratti a tempo determinato; infatti l'incidenza di questa tipologia contrattuale non è distribuita a caso tra la forza lavoro (Kahn, 2007). In particolare, più un regime di protezione è rigido, maggiore è l'incidenza relativa, tra i lavoratori salariati, di lavori a tempo 27 determinato per giovani, donne e specialmente donne immigrate, così come per le persone con basse qualifiche professionali. In questi contesti i contratti temporanei, piuttosto che come filtro di selezione della forza lavoro, vengono utilizzati come quantità cuscinetto (buffer stock) a disposizione delle esigenze di produttività dei datori di lavoro (Garibaldi, 2005b) 9 . Questa tendenza riveste un ruolo importante nel peggioramento del welfare del lavoratore medio, in quanto i contratti temporanei sono tendenzialmente meno pagati e meno formativi (Kahn, 2007). 4.2. RPI e produttività Le evidenze sulla relazione tra RPI e produttività sono non conclusive (OECD, 2007) in quanto la presenza di un regime di protezione condiziona il comportamento delle imprese attraverso molteplici canali quali: l'aggiustamento della manodopera a seconda delle esigenze produttive; l'investimento in attività di formazione; il processo di selezione del personale 10 . Come si assume sul modello di Schivardi (1999), l'economia flessibile è più efficiente di quella rigida in quanto alloca meglio le forze lavorative, utilizzando il fattore produttivo lavoro nella quantità esatta richiesta dalle mutevoli esigenze di produttività. L’esistenza di un costo associato al licenziamento distorce il comportamento economico che un’impresa adotta nell’eventualità di uno shock: essa sarà meno incline a licenziare in caso di shock negativo e d’altra parte sarà meno propizia ad assumere in caso di shock positivo, in quanto si troverebbe nella necessità di assicurarsi della persistenza o meno della nuova situazione. In questo modo però, trovandosi sempre con un livello occupazionale non ottimale, non massimizza i profitti (Hopenhayn e Rogerson, 1993). Tuttavia le ricadute di tale comportamento imprenditoriale in termini di produttività, non sono le stesse in tutti i settori produttivi. Sono infatti correlate al tipo di innovazione perseguito, alla volatilità della domanda e alla specificità dei fattori produttivi utilizzati. Ampia parte della letteratura sottolinea come la riallocazione dei lavoratori da settori meno produttivi a settori in crescita, favorisca la produttività e la progressiva uscita dal mercato delle aziende meno efficienti. Tuttavia non tutti i settori industriali richiedono lo stesso grado di flessibilità del fattore produttivo lavoro. In particolare i settori che necessitano di un alto livello di specializzazione del capitale umano sono meno inclini a distruggere posti di lavoro 9 L'OECD (2004) verifica che c'è una relazione positiva tra la rigidità dei contratti regolari e la propensione delle aziende a ricorrere a forme di lavoro non standard che sono più flessibili e comportano costi minori. Inoltre, maggiore è la differenza tra la rigidità del lavoro regolare e temporaneo, più alta è l'incidenza del lavoro a tempo determinato per i giovani e i meno qualificati e minore è la probabilità di transizione da una tipologia contrattuale temporanea ad una a tempo indeterminato. 10 Per una panoramica sulla letteratura che si è occupata della relazione tra regimi di protezione dell’impiego e produttività, si rimanda a Bassanini, Nunziata, Venn (2009). 28 in quanto la loro sostituzione presuppone alti costi di formazione. Si può quindi sostenere che rigidi regimi di protezione, correlati a bassi flussi occupazionali, limitano maggiormente la produttività in quei settori che richiedono capitale umano generico e frequenti cambiamenti nella composizione della forza lavoro (Micco e Pages, 2004). La produzione di nuovi beni per i quali non si ha ancora una domanda certa e stabile nel tempo, sarà effettuata nei paesi con mercati del lavoro più deregolamentati e caratterizzati da costi inferiori. Invece la produzione di beni cosiddetti "maturi", ovvero quei beni che si producono da un tempo relativamente lungo e per i quali si ha una domanda certa e stabile nel tempo, rappresenta una scelta "sicura" ed è preferita in quei paesi con un mercato del lavoro particolarmente rigido. I paesi hanno quindi incentivi ad innovare nei beni nei quali hanno un vantaggio comparato: le economie flessibili tendono ad intraprendere innovazioni "primarie", ovvero puntano all'introduzione di beni nuovi, le economie rigide adottano piuttosto innovazioni "secondarie" grazie alle quali si limitano a ridurre il costo di produzione dei prodotti già esistenti e maturi. È intuibile che l'attività di innovazione "primaria" è quella tecnologicamente più avanzata e che richiede un maggior grado di specializzazione. Ciò spiega perché l'Europa, con il suo mercato del lavoro rigido, sembra essere meno specializzata nei settori high tech rispetto agli Usa (Saint-Paul, 2002). Anche lo studio di Bartelsman et al. (2004) mostra che la presenza di RPI influenza il processo di innovazione, ma evidenzia che il legame è molto complesso e influenzato dal sistema delle relazioni industriali. In particolare si sottolinea l'importanza del sistema di contrattazione salariale nella determinazione delle modalità attraverso le quali l'innovazione viene perseguita. Nei paesi dove la negoziazione salariale è decentrata, le imprese tendono ad innovare aggiustando con maggiore frequenza la propria manodopera attraverso nuove assunzioni di personale competente. Al contrario, nei paesi con una contrattazione salariale centralizzata, nei quali il livello salariale è molto più compresso e uniforme all’interno del settore, le imprese intraprendono relazioni di lungo periodo e tendono ad innovare attraverso l'investimento in capitale umano specifico, con la formazione continua del proprio personale già assunto. Tale investimento è sicuro in quanto la compressione salariale, ostacolando la concorrenza delle retribuzioni, non permette alle aziende di sottrarsi a vicenda personale già formato. La combinazione di una forte compressione salariale e di alti costi di licenziamento tende quindi a favorire la formazione continua all'interno dell'impresa e l'apprendimento sul posto di lavoro, oltre che l'investimento in capitale umano specifico (Belot et al., 2002; Wasmer, 29 2006). In un contesto simile si viene a creare un rapporto di fiducia e di mutua cooperazione tra lavoratore e datore di lavoro (Nickell e Layard, 1999) che favorisce la produttività. In particolare l'investimento in capitale umano specifico è molto utile in quei settori dove il progresso è cumulativo (ovvero formato da innovazioni successive lungo la stessa traiettoria), ma risulta inadatto per quei settori (più tecnologicamente avanzati) che richiedono frequenti cambiamenti di capitale umano e fisico. Questo spiega perché molti paesi europei hanno una posizione forte in industrie a tecnologia cumulativa, come per esempio quello delle automobili, mentre hanno uno sviluppo più lento nei settori ICT (Bartelsman et al., 2004). D'altra parte, in generale rigidi RPI sono correlati positivamente con una lunga durata dell'impiego, a sua volta necessaria sia per la sicurezza del lavoratore che per la produttività dell'impresa, qualunque sia il settore di appartenenza (Auer et al., 2005). Infine un'ultima considerazione riguarda il rapporto tra rigidi sistemi di tutela dell'impiego e processo di selezione del personale da parte dell'azienda. In presenza di alti costi di licenziamento, l'impresa è meno incline ad assumere personale nuovo, per cui ogni nuovo incontro tra domanda e offerta di lavoro sarà caratterizzato da alti standard qualitativi richiesti dall'impresa e da un accurato processo di selezione della forza lavoro. D'altra parte in un contesto di bassi sistemi di tutela, l'impresa può, in caso di shock esogeni, aggiustare la propria manodopera liberamente. Questo comporta un tasso occupazionale specifico per ogni determinato livello di produttività. L'effetto netto sulla produttività sarà quindi legato all'importanza relativa che, in ogni determinato contesto, assumono i fattori match-specific o quelli job-specific (Pinoli, 2007). La rassegna proposta mostra l'eterogeneità degli effetti dei regimi di protezione dell'impiego sul mercato del lavoro. I maggiori beneficiari di quest'istituzione sono gli occupati adulti già inseriti stabilmente, mentre i costi, in termini di qualità e quantità occupazionale, sono invece per lo più pagati da coloro che fanno il loro primo ingresso nel mercato del lavoro, da coloro che sono meno qualificati e da chi, come le donne, si trova nella condizione di uscire dal mercato del lavoro per poi rientrarvi. Le imprese, dal canto loro, se da un lato sono aggravate dai costi che gli RPI comportano, dall'altro si avvantaggiano dei benefici che un rapporto di lavoro a lunga durata apporta in termini di capitale umano specifico. 5. Riformare gli RPI I regimi di protezione dell'impiego sono oggi spesso ritenuti un'istituzione inadeguata alle attuali peculiarità del mercato del lavoro. La globalizzazione e l'aumento della concorrenza internazionale ad essa collegata, i progressi tecnologici, la differenziazione della domanda di 30 consumo e dei servizi, così come l'aumento del grado di istruzione dei lavoratori, ha reso infatti necessario un maggior grado di flessibilità. I paesi europei, su invito espresso dell'Unione Europea 11 , hanno risposto a questa esigenza attraverso una proliferazione di forme contrattuali atipiche che si differenziano notevolmente dal tradizionale rapporto di lavoro in termini di sicurezza di reddito e di stabilità, sia di lavoro che di vita. Tuttavia, mentre i paesi caratterizzati storicamente da una bassa rigidità, hanno potuto facilmente rispondere a queste nuove esigenze attraverso un processo di riforme generalizzato, teso ad estendere la flessibilità al'intero spettro occupazionale, i paesi nei quali invece era forte la protezione dell'impiego hanno dovuto intraprendere riforme al margine. Riforme di questo tipo comportano però la formazione di un mercato del lavoro duale, nel quale una classe di lavoratori altamente protetta convive con un'ampia fascia di lavoratori precari, dove la precarietà è intesa non soltanto come temporaneità dell'impiego, ma soprattutto come assenza di tutele, sia nel corso del rapporto di lavoro, sia alla sua conclusione. Senza contare che si tratta di un dualismo specifico, la cui linea di demarcazione è spesso generazionale o di genere. Il dualismo del mercato del lavoro che i rigidi sistemi di tutela dell'impiego determinano, tende ad essere riproposto, sotto altre sembianze, come risultato delle riforme poste in essere. L’analisi dei dati, ripresa dall'OECD (2004), mostra le peculiarità di questa tendenza riformatrice. 11 "Libro Verde: Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo", COM(2006) 708 31 Figura 6: Cambiamento della rigidità degli RPI Nel complesso la tendenza individuata è caratterizzata da un costante avvicinamento dei paesi presi in esame, in termini di rigidità dei regimi di protezione dell’impiego. L’avvicinamento è dato prevalentemente da una riduzione degli RPI dei paesi meno rigidi all’inizio del periodo considerato; tale riduzione è determinata quasi completamente dalla flessibilizzazione della legislazione sui contratti a tempo determinato che ha portato ad un aumento del loro utilizzo. La Figura 8 mostra l'andamento della percentuale di occupati a tempo determinato sul totale dell'occupazione dipendente nei paesi OECD e in Europa. Come si può vedere tale percentuale cresce costantemente, soprattutto se si prende in considerazione il contesto europeo. Inoltre risulta chiaro che la componente di occupazione temporanea giovanile (classe di età 15-24) è la componente maggioritaria del tasso occupazionale temporaneo totale. 32 40 % 35 30 25 20 15 10 5 Europa (occupazione totale) OECD (occupazione totale) Europa (classe di età: 15-24) 20 08 20 07 20 06 20 05 20 04 20 03 20 02 20 01 20 00 19 99 19 98 19 97 19 96 19 95 19 94 19 93 19 92 19 91 19 90 19 89 19 88 0 OECD (classe di età: 15-24) Fonte: nostre rielaborazioni su dati OECD.stat Figura 7: Percentuale degli occupati con contratto temporaneo sul totale dell'occupazione dipendente L'Unione Europea, nel valutare positivamente l'introduzione nei mercati del lavoro europei di tipologie contrattuali flessibili, mette tuttavia in guardia sulla possibilità che questi nuovi contratti atipici possano avere effetti negativi sul benessere dei lavoratori. Infatti in molti paesi le riforme volte a realizzare la flessibilità contrattuale hanno spesso determinato una situazione per cui chi viene assunto con un contratto temporaneo si trova intrappolato in questa condizione lavorativa non protetta, con poche speranze di uscirne e d'altra parte con un basso sostegno da parte delle istituzioni. È interessante notare a questo proposito quello che l'Employment in Europe (2006) definisce come "il paradosso dell'insicurezza percepita". Ci si riferisce all'evidenza, confermata dai lavori di Postel-Vinay e Saint Martin (2004) e di Clark e Postel-Vinay (2004), per cui i lavoratori sembrano avere una maggiore percezione di insicurezza nei paesi con più rigidi regimi di protezione dell'impiego. Tale evidenza risulta tuttavia meno paradossale di quello che può sembrare a prima vista, se si prende in considerazione il fatto che i paesi più rigidi sono anche i contesti nei quali si è operato maggiormente tramite riforme al margine e nei quali perdere un lavoro permanente significa entrare in uno status di disoccupazione probabilmente di lunga durata, con una bassa possibilità di reimpiego e, nel caso di riassunzione, con un un'alta probabilità di essere reimpiegati in occupazioni temporanee. Le imprese infatti spesso preferiscono assumere con una serie di contratti a tempo determinato, piuttosto che convertire in permanente un contratto temporaneo. Il presupposto alla base di questo strumento viene quindi snaturato: piuttosto che servire al lavoratore come 33 ponte verso tipologie contrattuali più stabili e all'azienda per verificare la convenienza di un eventuale rapporto di impiego, esso è utilizzato dalle imprese come risorsa aggiuntiva di manodopera da adoperare a seconda delle esigenze di produttività (Garibaldi, 2005b). Il risultato di questa politica occupazionale è però quello di trovarsi con rapporti di impiego a bassa produttività, senza avvenire e senza stimoli per l'azienda ad accrescere il capitale specifico del lavoratore (Blanchard e Tirole, 2003) e a creare quel rapporto di fiducia e di collaborazione fondamentale per la crescita produttiva. L'effetto positivo sull'occupazione, che si intendeva raggiungere attraverso le riforme, è quindi mitigato dalla caduta di produttività data da lavori meno formativi e produttivi e da lavoratori più insicuri. Conclusioni La rassegna teorica ed empirica proposta mette in luce come gli effetti che gli RPI producono sul mercato del lavoro dipendono dalla flessibilità salariale, dalla propensione al rischio del lavoratore e della natura stessa degli RPI. I modelli teorici dimostrano che, in un mercato del lavoro completamente flessibile e con lavoratori neutrali rispetto al rischio, l'introduzione di un regime di protezione dell'impiego non ha nessuna conseguenza di rilievo sulle variabili più significative del mercato del lavoro in quanto il costo associato alla tutela del lavoratore è compensato grazie ad una struttura salariale ad hoc. Tuttavia tale risultato di neutralità non è confermato nell'ipotesi in cui i regimi di protezione dell'impiego siano costituiti non solo dalla componente di trasferimento, ma anche dalla componente di tassa. In tal caso l'introduzione degli RPI avrà sempre un impatto sui profitti dell'impresa, anche nell'ipotesi di un mercato del lavoro perfettamente flessibile. Se il contesto è invece caratterizzato da salari rigidi e lavoratori avversi al rischio, l'introduzione di un regime di protezione dell'impiego, pur non avendo conseguenze sul tasso di occupazione e disoccupazione medio, influenza negativamente i flussi occupazionali e comporta un'inefficiente allocazione della forza lavoro, con carenza di occupazione nei periodi di alta produttività ed eccesso di manodopera durante le fasi di contrazione produttiva. Quindi, in presenza di forti RPI, la produttività e i profitti non sono massimizzati. Recenti modelli teorici analizzano la tendenza ad ovviare tale problematica attraverso una liberalizzazione dei contratti a tempo determinato e dimostrano che queste riforme portano un effetto positivo in termini occupazionali solo temporaneo, avendo invece ricadute negative 34 sulla produttività in quanto i nuovi posti di lavoro, creati grazie al ricorso ai contratti a tempo determinato, implicheranno effetti di selezione e di incentivazione negativi. Le evidenze empiriche confermano i risultati dei modelli per ciò che attiene agli effetti degli RPI sulle grandezze flusso e stock di occupazione e disoccupazione, tuttavia è necessario sottolineare che, costi e benefici della tutela dell'impiego non sono distribuiti uniformemente su tutta la forza lavoro. In particolare si dimostra che gli RPI tendono a creare un mercato del lavoro duale, dove una fascia di lavoratori altamente protetta, formata in prevalenza da uomini adulti, convive con un gruppo di lavoratori poco tutelati costituito principalmente da giovani, che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro e da donne che hanno una partecipazione discontinua a causa dei periodi di maternità. C'è invece meno unanimità, fra i risultati dei lavori empirici, in merito alla produttività. Se da un lato è vero che il sistema di tutele diminuisce la propensione delle aziende ad aggiustare la manodopera a fronte di qualsiasi, anche minimo, cambiamento di produttività, è vero altresì che la previsione di un impiego a lungo termine, incentiva le imprese ad investire in capitale umano specifico. Tale investimento è particolarmente vantaggioso, soprattutto in un contesto di forte compressione salariale. Infatti, solo in questo caso le aziende si sentono tutelate rispetto alla possibilità che, altre imprese, offrendo salari maggiori, possano "rubare" il loro personale già formato. Infine, è necessario sottolineare che l'investimento in capitale umano specifico risulta indispensabile per determinati settori, in particolar modo quelli caratterizzati da un processo di crescita cumulativo. Il discorso cambia per quei settori più tecnologicamente avanzati, che richiedono nuove professionalità o tempestive variazioni di manodopera specializzata, anche in risposta ai progressi della tecnica. Quindi, si può affermare che, l'effetto sull'innovazione non è univoco: può essere positivo o negativo, a seconda del tipo di innovazione perseguito e quindi del settore industriale di riferimento. Alla luce dei risultati descritti, appare opportuno segnalare che le attuali riforme degli RPI tese a diminuire la rigidità della tutela solo per ciò che attiene ai contratti a tempo determinato, tendono a riproporre il dualismo del mercato del lavoro, aumentando l'insicurezza del lavoratore e le diseguaglianze in termini di tutele. Il tutto senza garantire effetti duraturi né sull'aumento occupazionale né sulla produttività che risulta svantaggiata in quanto l'uso ripetuto di contratti temporanei non incentiva la formazione e la creazione di un proficuo rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro. È opportuno infine segnalare che le comparazioni internazionali e lo studio degli effetti imposti dai regimi di protezione all’impiego si basano su misurazioni che, come si è visto, non possono dirsi esenti da problematicità, è quindi sempre necessario mantenere una 35 particolare prudenza nell'interpretazione dei risultati, non potendo prescindere dalla valutazione critica degli strumenti utilizzati. 36 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ALLARD G. (2005), "Measuring job security over time: in search of a historical indicator for EPL", Instituto de Empresa, Area of Economic Environment, Working Papers Economia, n. WP05-17. ALLARD, G.J., LINDERT, P.H. (2006), "Euro-productivity and euro-job since the 1960s: which institutions really mattered?", NBER Working Paper, n. 12460 AUER, P., BERG, J., COULIBALY, I. (2005), “Is a stable workforce good for productivity?”, International Labour Review, vol. 144, n. 3. BARTELSMAN, E., BASSANINI, A., HALTIWANGER, J., JARMIN, R., SCARPETTA, S., SCHANK, T. 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(2006), “General versus specific skills in labor markets with search frictions and firing costs”, American Economic Review, vol. 96, n. 3, pp. 811-831. 40 APPENDICE Tabella A2: Descrizione degli indicatori specifici - Contratti regolari Descrizione Indicatore specifico 1. Procedure di notifica Ad esempio la necessità che la notifica di licenziamento venga preceduta da una previa sequenza di avvertimenti, o che debba essere notificata o addirittura approvata da una parte terza. 2. Ritardo con cui la notifica può partire Tempo necessario alla notifica per pervenire al lavoratore, che dipende a sua volta dalle modalità di consegna della notifica stessa: può bastare una notifica orale o una lettera consegnata a mano o per e-mail o ancora è possibile che sia necessaria una lettera raccomandata. 3. Periodo di notifica dopo… Il periodo di notifica è il periodo di tempo, previsto dal contratto di impiego o dai contratti collettivi, che va dalla notifica di licenziamento all’effettiva rottura del rapporto di lavoro, durante il quale le reciproche obbligazioni derivanti dal contratto continuano a persistere. La liquidazione (severance pay) è la somma che il datore di lavoro deve cedere al lavoratore in caso di licenziamento. 4. Liquidazione dopo… 9 mesi 4 anni 20 anni 9 mesi 4 anni 20 anni 5. Definizione di licenziamento ingiustificato La definizione di licenziamento ingiustificato può essere più o meno restrittiva. Ad esempio le capacità del lavoratore o un esubero possono essere motivi validi per un licenziamento; o è invece possibile che il datore di lavoro debba necessariamente tenere in considerazione le condizioni sociali o di età del lavoratore; o ancora debba garantire al lavoratore un trasferimento o una possibilità di riqualifica. 6. Lunghezza del periodo di prova Il periodo di prova è un lasso di tempo, normalmente previsto da una clausola del contratto, durante il quale il datore di lavoro e il lavoratore possono liberamente decidere di recedere dal contratto senza incorrere nelle disposizioni relative alla protezione dell'impiego. L'interesse ritenuto dominante durante tale periodo è quello del datore di lavoro che deve accertare l'idoneità fisica e attitudinale del lavoratore all'impiego previsto dal contratto. Al termine del periodo di prova il datore di lavoro potrà esercitare la sua facoltà di recesso ovvero, se ritiene che la prova sia stata superata, assumere definitivamente il lavoratore. 7. Compenso statuito dalla corte Ammontare che il datore di lavoro deve pagare al lavoratore in caso di licenziamento giudicato ingiustificato Obbligo per il datore di lavoro di reintegrare il lavoratore in caso di licenziamento giudicato ingiustificato. 8. Reintegro statuito dalla corte Tabella A3: Descrizione degli indicatori specifici - Contratti a tempo determinato Indicatore specifico 9. Casi di validità (temporary work) Descrizione Tutti i paesi riconoscono la validità del ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato in caso di ragioni oggettive, quali progetti specifici, lavori stagionali, rimpiazzo temporaneo di un lavoratore assente e così via. Tuttavia nel corso degli anni ’90 nella maggior parte dei paesi si assiste ad un ampliamento dei casi nei quali viene ammesso il ricorso a queste tipologie contrattuali. 10. Massimo numero di contratti successivi Si riferisce al numero massimo di contratti successivi che è possibile stipulare: è anche possibile che non ci siano limiti a tale numero. (temporary work) 11. Massima durata cumulativa (temporary Si riferisce alla massima durata cumulativa di un lavoro a tempo determinato, a prescindere dal numero di contratti rinnovati. work) 12. Casi di validità (TWAs) La regolamentazione riguardo al ricorso al lavoro interinale è molto differenziata: può essere vietato, permesso solo in determinate circostanze o consentito senza alcuna restrizione. 13. Restrizioni al numero di rinnovi (TWAs) Si riferisce al numero massimo di contratti successivi che è possibile stipulare: è anche possibile che non ci siano limiti a tale numero. 14. Massima durata cumulativa (TWAs) Si riferisce alla massima durata cumulativa di un lavoro a tempo determinato, a prescindere dal numero di contratti rinnovati. 41 Tabella A4: Descrizione degli indicatori specifici - Licenziamenti collettivi Descrizione Indicatore specifico 15. Definizione di licenziamento collettivo L’ampiezza dell’esubero richiesto per dar via all’applicazione delle regole sui licenziamenti collettivi. 16. Procedure di notifica addizionali Procedure di notifica addizionali rispetto a quelle richieste per i licenziamenti individuali: può ad esempio essere prevista la notifica ad uno o più attori esterni, quali consigli del lavoro o autorità governative. 17. Ritardi addizionali Sempre rispetto a quelli previsti per i licenziamenti individuali. 18. Altri costi a carico del datore di lavoro Si riferisce alla presenza di costi di liquidazione magiori rispetto a quelli previsti per i licenziamenti individuali, o ancora all'obbligo, o comunque alla prassi, di predisporre piani di compensazione sociale. 42 ISSN 1825-0211 QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA, FINANZA E STATISTICA Università degli Studi di Perugia 1 Gennaio 2005 Giuseppe CALZONI Valentina BACCHETTINI 2 Marzo 2005 3 Aprile 2005 Fabrizio LUCIANI Marilena MIRONIUC Mirella DAMIANI 4 Aprile 2005 Mirella DAMIANI 5 Aprile 2005 Marcello SIGNORELLI 6 Maggio 2005 7 Maggio 2005 Cristiano PERUGINI Paolo POLINORI Marcello SIGNORELLI Cristiano PERUGINI Marcello SIGNORELLI 8 Maggio 2005 Marcello SIGNORELLI 9 Maggio 2005 10 Giugno 2005 Flavio ANGELINI Stefano HERZEL Slawomir BUKOWSKI 11 Giugno 2005 Luca PIERONI Matteo RICCIARELLI 12 Giugno 2005 Luca PIERONI Fabrizio POMPEI 13 Giugno 2005 14 Giugno 2005 15 Giugno 2005 16 Giugno 2005 David ARISTEI Luca PIERONI Luca PIERONI Fabrizio POMPEI Carlo Andrea BOLLINO Paolo POLINORI Carlo Andrea BOLLINO Paolo POLINORI I Il concetto di competitività tra approccio classico e teorie evolutive. Caratteristiche e aspetti della sua determinazione Ambiental policies in Romania. Tendencies and perspectives Costi di agenzia e diritti di proprietà: una premessa al problema del governo societario Proprietà, accesso e controllo: nuovi sviluppi nella teoria dell’impresa ed implicazioni di corporate governance Employment and policies in Europe: a regional perspective An empirical analysis of employment and growth dynamics in the italian and polish regions Employment differences, convergences and similarities in italian provinces Growth and employment: comparative performance, convergences and comovements Implied volatilities of caps: a gaussian approach EMU – Fiscal challenges: conclusions for the new EU members Modelling dynamic storage function in commodity markets: theory and evidence Innovations and labour market institutions: an empirical analysis of the Italian case in the middle 90’s Estimating the role of government expenditure in long-run consumption Investimenti diretti esteri e innovazione in Umbria Il valore aggiunto su scala comunale: la Regione Umbria 2001-2003 Gli incentivi agli investimenti: un’analisi dell’efficienza industriale su scala geografica regionale e sub regionale 17 Giugno 2005 18 Agosto 2005 Antonella FINIZIA Riccardo MAGNANI Federico PERALI Paolo POLINORI Cristina SALVIONI Elżbieta KOMOSA Construction and simulation of the general economic equilibrium model Meg-Ismea for the italian economy 19 Settembre 2005 Barbara MROCZKOWSKA 20 Ottobre 2005 Luca SCRUCCA 21 Febbraio 2006 Marco BOCCACCIO 22 Settembre 2006 23 Settembre 2006 Mirko ABBRITTI Andrea BOITANI Mirella DAMIANI Luca SCRUCCA 24 Ottobre 2006 Sławomir I. BUKOWSKI 25 Ottobre 2006 Jan L. BEDNARCZYK 26 Dicembre 2006 Fabrizio LUCIANI 27 Dicembre 2006 Elvira LUSSANA 28 Marzo 2007 29 Marzo 2007 Luca PIERONI Fabrizio POMPEI David ARISTEI Luca PIERONI 30 Aprile 2007 31 Luglio 2007 32 Luglio 2007 33 Agosto 2007 David ARISTEI Federico PERALI Luca PIERONI Roberto BASILE Roberto BASILE Davide CASTELLANI Antonello ZANFEI Flavio ANGELINI Stefano HERZEL II Problems of financing small and medium-sized enterprises. Selected methods of financing innovative ventures Regional policy of supporting small and medium-sized businesses Clustering multivariate spatial data based on local measures of spatial autocorrelation Crisi del welfare e nuove proposte: il caso dell’unconditional basic income Unemployment, inflation and monetary policy in a dynamic New Keynesian model with hiring costs Subset selection in dimension reduction methods The Maastricht convergence criteria and economic growth in the EMU The concept of neutral inflation and its application to the EU economic growth analyses Sinossi dell’approccio teorico alle problematiche ambientali in campo agricolo e naturalistico; il progetto di ricerca nazionale F.I.S.R. – M.I.C.E.N.A. Mediterraneo: una storia incompleta Evaluating innovation and labour market relationships: the case of Italy A double-hurdle approach to modelling tobacco consumption in Italy Cohort, age and time effects in alcohol consumption by Italian households: a double-hurdle approach Productivity polarization across regions in Europe Location choices of multinational firms in Europe: the role of EU cohesion policy Measuring the error of dynamic hedging: a Laplace transform approach 34 Agosto 2007 Stefano HERZEL Cătălin STĂRICĂ Thomas NORD Flavio ANGELINI Stefano HERZEL 35 Agosto 2007 36 Agosto 2007 Giovanni BIGAZZI 37 Settembre 2007 Enrico MARELLI Marcello SIGNORELLI 38 Ottobre 2007 39 Novembre 2007 40 Dicembre 2007 41 Dicembre 2007 Paolo NATICCHIONI Andrea RICCI Emiliano RUSTICHELLI The International Study Group on Exports and Productivity Gaetano MARTINO Paolo POLINORI Floro Ernesto CAROLEO Francesco PASTORE 42 Gennaio 2008 43 Febbraio 2008 44 Febbraio 2008 45 Febbraio 2008 46 Marzo 2008 47 Marzo 2008 48 Marzo 2008 49 Marzo 2008 Bruno BRACALENTE Cristiano PERUGINI Cristiano PERUGINI Fabrizio POMPEI Marcello SIGNORELLI Cristiano PERUGINI 50 Marzo 2008 Sławomir I. BUKOWSKI 51 Aprile 2008 Bruno BRACALENTE Cristiano PERUGINI Fabrizio POMPEI Melisso BOSCHI Luca PIERONI Flavio ANGELINI Marco NICOLOSI Luca PIERONI Giorgio d’AGOSTINO Marco LORUSSO Pierluigi GRASSELLI Cristina MONTESI Paola IANNONE Mirella DAMIANI Fabrizio POMPEI III The IGARCH effect: consequences on volatility forecasting and option trading Explicit formulas for the minimal variance hedging strategy in a martingale case The role of agriculture in the development of the people’s Republic of China Institutional change, regional features and aggregate performance in eight EU’s transition countries Wage structure, inequality and skillbiased change: is Italy an outlier? Exports and productivity. Comparable evidence for 14 countries Contracting food safety strategies in hybrid governance structures The youth experience gap: explaining differences across EU countries Aluminium market and the macroeconomy Hedging error in Lévy models with a fast Fourier Transform approach Can we declare military Keynesianism dead? Mediterranean models of Welfare towards families and women Mergers, acquisitions and technological regimes: the European experience over the period 2002-2005 The Components of Regional Disparities in Europe FDI, R&D and Human Capital in Central and Eastern European Countries Employment and Unemployment in the Italian Provinces On the road to the euro zone. Currency rate stabilization: experiences of the selected EU countries Homogeneous, Urban Heterogeneous, or both? External Economies and Regional Manufacturing Productivity in Europe 52 Aprile 2008 Gaetano MARTINO Cristiano PERUGINI 53 Aprile 2008 Jan L. BEDNARCZYK 54 Aprile 2008 Bruno BRACALENTE Cristiano PERUGINI 55 Aprile 2008 Cristiano PERUGINI 56 Aprile 2008 Cristiano PERUGINI Fabrizio POMPEI 57 Aprile 2008 Simona BIGERNA Paolo POLINORI 58 Maggio 2008 Simona BIGERNA Paolo POLINORI 59 Giugno 2008 Simona BIGERNA Paolo POLINORI 60 Ottobre 2008 61 Novembre 2008 62 Novembre 2008 63 Dicembre 2008 Pierluigi GRASSELLI Cristina MONTESI Roberto VIRDI Antonio BOGGIA Fabrizio LUCIANI Gianluca MASSEI Luisa PAOLOTTI Elena STANGHELLINI Francesco Claudio STINGO Rosa CAPOBIANCO Gianna FIGÀ-TALAMANCA 64 Maggio 2009 65 Giugno 2009 66 Settembre 2009 Fabrizio LUCIANI 67 Settembre 2009 Valentina TIECCO Mirella DAMIANI Andrea RICCI Alessandra RIGHI Dario SCIULLI IV Income inequality within European regions: determinants and effects on growth Controversy over the interest rate theory and policy. Classical approach to interest rate and its continuations Factor decomposition of crosscountry income inequality with interaction effects Employment Intensity of Growth in Italy. A Note Using Regional Data Technological Change, Labour Demand and Income Distribution in European Union Countries L’analisi delle determinanti della domanda di trasporto pubblico nella città di Perugia The willingness to pay for Renewable Energy Sources (RES): the case of Italy with different survey approaches and under different EU “climate vision”. First results Ambiente operativo ed efficienza nel settore del Trasporto Pubblico Locale in Italia L’interpretazione dello spirito del dono L’impatto ambientale ed economico del cambiamento climatico sull’agricoltura On the estimation of a binary response model in a selected population Limit results for discretely observed stochastic volatility models with leverage effect Factors behind performance-related pay: evidence from Italy The Timing of the School-toPermanent Work Transition: a Comparison across Ten European Countries Economia agraria e pianificazione economica territoriale nel Parco nazionale del Sagarmatha (Everest, Nepal) I regimi di protezione dell’impiego ISSN 1722-618X I QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA Università degli Studi di Perugia 1 Dicembre 2002 Luca PIERONI: Further evidence of dynamic demand systems in three european countries Il valore economico del paesaggio: un'indagine microeconomica A note on internal rate of return 2 Dicembre 2002 3 Dicembre 2002 4 Marzo 2004 Luca PIERONI Paolo POLINORI: Luca PIERONI Paolo POLINORI: Sara BIAGINI: 5 Aprile 2004 Cristiano PERUGINI: 6 Maggio 2004 Mirella DAMIANI: 7 Maggio 2004 Mauro VISAGGIO: 8 Maggio 2004 Mauro VISAGGIO: 9 Giugno 2004 10 Giugno 2004 Elisabetta CROCI ANGELINI Francesco FARINA: Marco BOCCACCIO: 11 Giugno 2004 12 Luglio 2004 13 Luglio 2004 14 Ottobre 2004 15 Novembre 2004 Gaetano MARTINO Cristiano PERUGINI 16 Dicembre 2004 Federico PERALI Paolo POLINORI Cristina SALVIONI Nicola TOMMASI Marcella VERONESI Cristiano PERUGINI Marcello SIGNORELLI: Cristiano PERUGINI Marcello SIGNORELLI: Cristiano PERUGINI Marcello SIGNORELLI: Cristiano PERUGINI: V A new class of strategies and application to utility maximization for unbounded processes La dipendenza dell'agricoltura italiana dal sostegno pubblico: un'analisi a livello regionale Nuova macroeconomia keynesiana e quasi razionalità Dimensione e persistenza degli aggiustamenti fiscali in presenza di debito pubblico elevato Does the growth stability pact provide an adequate and consistent fiscal rule? Redistribution and labour market institutions in OECD countries Tra regolamentazione settoriale e antitrust: il caso delle telecomunicazioni Labour market performance in central european countries Labour market structure in the italian provinces: a cluster analysis I flussi in entrata nei mercati del lavoro umbri: un’analisi di cluster Una valutazione a livello microeconomico del sostegno pubblico di breve periodo all’agricoltura. Il caso dell’Umbria attraverso i dati RICA-INEA Economic inequality and rural systems: empirical evidence and interpretative attempts Bilancio ambientale delle imprese agricole italiane: stima dell’inquinamento effettivo