DEF.TESTI CANZONI E RELATIVI

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DEF.TESTI CANZONI E RELATIVI
DONNA AFRICANA
Se per caso soffri di claustrofobia, amico mio, non ascoltare quello
che sto per dire. Se non puoi sopportare l’idea di immaginarti in un
luogo stretto e chiuso, senza luce e senza un filo d’aria per ore ed
ore, tappati le orecchie, perché la mia storia ti farà stare male.
Ero su un camion con Amadou, il mio fratellino di sette anni.
Cercavamo di arrivare al mare attraversando il deserto del Sahara,
insieme a decine e decine di persone ammassate come bestie sui
sacchi di canapa. Erano migranti clandestini, come noi, o immigrati
espulsi dai Paesi d’origine... gente disperata, senza scelta.
C’erano donne senza più latte al seno per nutrire i neonati... li
tenevano attaccati a sé, così, con delle stoffe, per paura che
cadessero fuori nel sonno. C’erano tanti altri bambini e ragazzi e
giovani uomini allo stremo delle loro forze e della loro dignità. Tutti
stretti l’uno all’altra, respiro contro respiro, in quei giorni di viaggio
tra scosse e sobbalzi, nel caldo terribile del deserto, nel freddo
pungente della notte. I miei miserabili compagni di sventura in
cerca di una minima sopravvivenza, con poca acqua e pochi
viveri... e con molta paura. Paura dei ginn, gli spiriti maligni del
deserto. Ma più che altro, paura dei banditi e della polizia.
Se ti dà fastidio anche solo l’idea del sangue, io ti devo avvertire,
adesso sto per raccontare la cosa più terribile. Quasi mi
impazzisce il cuore a ricordare.
Era notte, la carovana si era fermata nei pressi di un vecchio
pozzo di un fortino abbandonato. Mio fratello aveva sete, e nel
camion non c’era più acqua. Io gli avevo ordinato di non
allontanarsi mai da me. Glielo avevo detto tante volte: «Amadou,
mi raccomando, mai!». Ma se hai sete e hai sette anni, se tutti
dormono, anche la tua sorella più grande, e fuori c’è un pozzo,
forse ti viene spontaneo scendere dal camion e andarti a prendere
un po’ d’acqua.
Tappati le orecchie per non soffrire. E chiudi gli occhi per non
vedere, adesso. Io cerco di tenere a bada il cuore per ricordare...
Fu la rabbia dei cani affamati a svegliarci tutti, quella notte. Mi
alzai di soprassalto, e Amadou non era più vicino a me. Amadou,
no, no!
Lo avevano aggredito alla gola, erano giorni che quelle bestie non
mangiavano. Succede spesso, in quella zona.
Non bisogna mai allontanarsi dai camion nel deserto. Il deserto ha
le sue leggi, e i clandestini lo sanno. E sanno che nessuno si
occuperà più di loro, né da vivi... né da morti.
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OLTRE IL DESERTO
Testo: F. Baggio, G. Beltrami, A. Mattei
Musica: E. Selleri
Qèltif, kìd hèdem, kìd tafaè.
Qèltif, kìd hèdem, kìd tafaè.
Qèltif, kìd hèdem, kìd tafaè.
Qèltif, kìd hèdem, kìd tafaè.
Oltre il deserto, la felicità,
è la promessa, un’opportunità.
Tutti i miei sogni, come per magia,
sono già veri: è ora di andar via!
Qèltif, kìd hèdem, kìd tafaè...
Oltre il deserto, la felicità,
ma il primo passo è senza umanità!
Un’alba scura dentro il cuore mio:
non c’è più tempo, resto sola io!
Qèltif, kìd hèdem, kìd tafaè...
Oltre il deserto, la felicità.
Il viaggio è duro, quando finirà?
La morte è pronta, ha colpito già
e poi la sabbia tutto coprirà.
Qèltif, kìd hèdem, kìd tafaè...
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COPPIA ARGENTINA
UOMO ARGENTINO: Chissà se in questo momento stai pensando
a me… io sì. Sto pensando a te e mi succede sempre, tutti i giorni,
tutte le ore. È come avere la febbre senza poter prendere una
medicina.
Ogni sera guardo fuori dalla finestra della mia misera stanza, e
immagino di vederti camminare in giardino… Certe volte è come
se ti vedessi in casa, mentre metti a dormire la nostra piccola
Sarah. Sarah, piccolina… È diventata bella, ma l’ho vista solo in
fotografia, l’ultima volta che ci siamo abbracciati aveva due
settimane.
MOGLIE: È difficile, amore mio, vivere qui senza di te. Ci manchi
tanto. Sarah cresce, ha sempre più esigenze, chiede sempre di
te… dice… «ma perché papà non è con noi?»
UOMO ARGENTINO: Dio, se potessi lascerei tutto in questo
istante e correrei da voi! Un muro di migliaia di chilometri ci divide,
sono ore di viaggio, e tanti soldi… e col telefono non ci si può
toccare, non ci si può abbracciare… Quando ci siamo sposati, un
lavoro ce l’avevo, e credevo fosse un posto sicuro. Ma la società
dichiarò fallimento mentre tu aspettavi un bambino, e col tuo
lavoro non avremmo potuto tirare avanti per molto. A trovare un
altro posto decente ci ho provato, ti ricordi? Eccome se ci ho
provato. Ma erano tutti posti precari, mal pagati, certe volte anche
pericolosi. Non potevo rischiare la vita, dovevo pensare anche a
te… e al figlio in arrivo.
MOGLIE: Un figlio, un bambino… l’avevamo desiderato tanto! Ma
tu la notte non riuscivi più a dormire, me ne accorgevo, anche se
non ti dicevo niente… ti giravi e rigiravi…
UOMO ARGENTINO: La notte non ci dormivo, mi giravo e rigiravo
nel letto, e neanche tu riuscivi a chiudere occhio… ma lo so, facevi
finta di dormire, amore mio, per non preoccuparmi. Un giorno
arrivò quella lettera da Singapore. Ecco, è questa, la conservo
ancora. Una buona notizia, un’occasione, un impiego vero,
stavolta… l’unica buona occasione che mi fosse mai capitata. Ma
Singapore era molto lontano, e tu non avresti potuto lasciare il tuo
lavoro per venire con me.
MOGLIE: Cosa dovevamo scegliere? Separarci per sopravvivere?
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O vivere insieme per morire di fame?
UOMO ARGENTINO: Ci siamo concessi solo due notti d’insonnia,
di pensieri, di occhi spalancati al buio… Poi basta, deciso: devo
andare, non c’è altra scelta. Il giorno della partenza ci siamo
abbracciati così stretti da soffocare, come se fosse l’ultima volta…
proprio come se fosse l’ultima volta.
MOGLIE: Poi è arrivato quell’annuncio, il volo per Singapore in
partenza… i passeggeri all’imbarco…
UOMO ARGENTINO: Siamo scoppiati a piangere, tutti e due,
anch’io che sono un uomo forte e non piango mai.
MOGLIE: Mi manchi da morire, amore mio.
UOMO ARGENTINO: Sono due anni che non ci vediamo, e mi
manchi sempre da morire.
MOGLIE: Ci manchi da morire, a me e a Sarah.
UOMO ARGENTINO: Ti vedo come quel giorno all’aeroporto,
bella, coi capelli lunghi raccolti con un fiore. Ancora non conosco il
profumo dei capelli della mia bambina, non l’ho mai vista ridere.
MOGLIE: Mi sento sola, qui, senza di te.
UOMO ARGENTINO: E anche tu, amore mio, sei sempre sola,
senza qualcuno vicino. Lo so che è dura, e che da sola certe volte
non ce la fai più. Ma è il nostro prezzo da pagare... solo per
riuscire a sopravvivere.
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TU SARAI CON ME
Testo e musica: F. Baggio
Di nascosto mi asciugo una lacrima.
Ho promesso che non piangerò,
però io sento ancora il profumo di te
e ogni giorno, ogni istante, sempre,
tu sarai con me.
Nelle notti più oscure dell’anima
la mia stella, la luce sei tu,
perché ho inciso nel cuore il ricordo di te
e ogni giorno, ogni istante, sempre,
tu sarai con me.
E ogni sera io volo da te sulle ali della fantasia;
accarezzo il tuo cuore, solo un bacio e poi
chiudo gli occhi e mi addormento accanto a te,
chiudo gli occhi e mi addormento accanto a te.
Ogni volta che squilla il telefono
il mio cuore sussulta, lo sai.
Mentre conto i minuti, so che tu tornerai,
e ogni giorno, ogni istante, sempre,
tu sarai con me.
Solo un mese, ma mi sembra un secolo;
senza te il tempo non passa mai.
E la vita qui è dura, ma lo faccio per noi
e ogni giorno, ogni istante, sempre,
tu sarai con me.
E ogni sera io volo da te sulle ali della fantasia...
Nel buio cercami,
più forte abbracciami.
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Non posso vivere senza te.
Accarezzo il tuo cuore, solo un bacio e poi
chiudo gli occhi e mi addormento accanto a te.
Chiudo gli occhi e mi addormento accanto a te.
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UOMO DEL SALVADOR
Avevo una capanna, là nella mia terra, in Salvador. L’avevo
costruita io, io l’ho messa su. Non era una bella casa, questo lo so.
Non era neanche una capanna vera e propria. Neanche una casa
vera e propria. Era una baracca. Sì, più che altro una baracca,
fatta con le lastre di lamiera che avevo rimediato in una discarica.
Ma quello era il nostro tetto, il nostro rifugio. L’unica cosa che
avevamo. Oh, ma dentro era comoda, noi ci stavamo bene...
Dentro c’era un mobiletto per la cucina, con uno sportello per le
pentole, e i piatti, e le posate... c’era un tavolo quadrato, due
sedie. La sera io e mia moglie ci mettevamo fuori a parlare seduti
su quelle sedie, mentre i bambini già dormivano. C’era il letto per
me e mia moglie, e un altro per i miei tre figli. Tre. Erano tre, le mie
creature... La nostra casa era proprio sulla riva del fiume. Quel
fiume... Ma come facevo a saperlo? A immaginare quello che
sarebbe successo? A pensare che poteva diventare così gonfio
d’acqua, e uscire fuori così... così cattivo... Colpa dell’uragano, il
maledetto uragano! Quando ho cominciato a capire che eravamo
in pericolo, ho subito pensato: sono un bravo nuotatore. Farò in
tempo a portarli uno per uno dall’altra parte, sulla riva asciutta
dove vive mia madre, in salvo. Non mi sono tolto neanche la
camicia e ho preso la figlia più piccola. Mi sono buttato in acqua e
ho nuotato velocemente, come un disperato, mentre il fiume
continuava a ingrossarsi e la corrente si faceva sempre più forte,
mi tirava giù. Ero stremato ma non mi fermavo.
Veloce, veloce, vai, vai, ce la puoi fare, sei un bravo nuotatore,
vai... Raggiungo la riva opposta e quasi getto la piccola in braccio
a mia madre. In quel momento mi giro per buttarmi di nuovo in
acqua a prendere gli altri, per fare segno che è tutto a posto, sono
arrivato, eccomi, adesso vi vengo a prendere, state tranquilli... Mi
giro verso la mia casa ma...
Ma vedo un’onda più alta, grigia, che si allunga sulla casa e in un
colpo si porta via mia moglie e gli altri due figli. Un attimo
interminabile, la mia vita andata in pezzi, come lavata via così,
d’un colpo.
Nemmeno il tempo per piangere, per urlare. L’acqua si portò via la
mia famiglia. Non avevo più niente, volevo annegare anch’io con
mia moglie e i miei figli. Stavo per buttarmi in acqua, mia madre
gridò: Figlio mio! Pensa a questa creatura!
Sono caduto in ginocchio e ho cominciato a piangere come un
bambino. Ho preso la mia piccola, ho venduto il vecchio televisore
di mia madre, e sono venuto qua, nel vostro paese, lontano dal
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mio villaggio…
… Avevo una capanna, là nella mia terra, in Salvador. Non era
proprio una capanna, era una baracca. Ma ci vivevo con dignità e
avevo una bella famiglia. Non sono partito per dimenticare, no.
Solo per dare un futuro senza uragani e senza più tragedie a
quest’ultima figlia rimasta. Lì, nella mia terra, ormai non avevo più
niente.
Vivo in una grande città da tanti anni, ormai. Una città moderna,
piena di automobili, di negozi, di grandi palazzi. La vostra bella
città. Ma la mia casa… è sempre una baracca.
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VERSO IL NORD
Testo e musica: F. Baggio
Sulla sponda del fiume in piena io
ho perduto la mia speranza.
In un mare di fango è andato via
tutto quello che ho sempre amato.
Solo il silenzio, nulla di più.
Nel cuore è scesa l’oscurità.
Non so cosa fare, forse è meglio lasciarsi andare
e la corrente porterà via anche me.
Non so cosa fare, forse è meglio emigrare al nord.
Ricominciare certo costa di più.
E non capisco perché Dio
mi abbia lasciato in vita.
Guardo la gente andare via
senza voltarsi indietro.
Non più ricordi, meglio l’oblio.
Il cuore a pezzi, tanti perché.
Non so cosa fare, forse è meglio lasciarsi andare...
Guardo le stelle in cielo, cerco la via.
Quella più chiara segna il nord.
Non so cosa fare, forse è meglio lasciarsi andare...
Di più, di più. Di più.
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RAGAZZA MOLDAVA
Tu mi chiedi di ricordare com'è iniziato tutto. Non è una cosa facile.
No no, non è che non me lo ricordo più, anzi... è che non mi fa
piacere per niente.
Ok, ascolta. Prova a immaginare una famiglia numerosa che vive
in una povera casa in un paesino in collina, un paesino sperduto in
Moldavia, fuori dal mondo. Se vuoi sapere il nome del paese, è
inutile: non l'hai mai sentito in vita tua. Un posto abbandonato da
Dio, senza niente. D'inverno un freddo da morire e certe volte una
pioggia che non finisce mai. Solo un bar dove gli uomini vanno a
bere. E la scuola lontana. Una vita a svegliarsi presto, ancora col
buio, per andare a scuola e vivere con niente. Quando avevo delle
gomme da masticare prima le masticavo e poi le usavo per
tappare i buchi sotto le scarpe. Sissignore. Non posso dire che mi
mancava da mangiare... certo... ma... è vita quella? Tu la vorresti
una vita così? No vero? Ma tu non sai nemmeno che significa... E
allora si stava tutti a sognare davanti alla televisione, ai vostri
canali, ai vostri programmi, alle immagini piene di luci, di
divertimenti, di bella vita. Perché no? Perché io no? Un amico un
giorno mi dice: forza, vieni con me, partiamo! Guadagnerai soldi,
troverai un lavoro, ti comprerai dei bei vestiti e la sera andremo a
ballare. E i miei tutti contenti, vai, vai, perché così potevo mandare
i soldi anche a loro. Sì, certo... come no... Siamo arrivati qui... lui, il
mio “amico”, mi diceva che ero la sua ragazza... pensa che io mi
ero innamorata per davvero... Dio che scema... E poi lo sai tu qual
è il lavoro che dovevo fare? Sì che l'hai capito... Credimi, io non
volevo... mi faceva schifo a me... ma lui poi ha cominciato a
picchiarmi, a controllarmi, come una prigioniera... ero senza
documenti, senza niente. E quando tornava a prendermi, la notte,
voleva tutti i miei soldi. Mi ha fatto diventare... sì che l'hai capito.
Una schiava. Una schiava! La sera per strada al freddo con la
minigonna e i tacchi, anche quando stavo male, anche con la
febbre, con tutti i dolori... «Ciao bella, vieni con me?» Sì, certo,
come no. Ci vengo. Non ho scelta. Ma tanto mi fai schifo. Però...
non sarà così per sempre. Io ho trovato una via d'uscita. Ho deciso
di parlare.
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NON SMETTO DI SPERARE
Testo: A. Mattei - Musica: E. Selleri
Qualcuno mi ha detto attenta, c’è gente che sa odiare.
Qualcuno mi ha detto vedi, siamo fatti per amare.
Ma l’odio e l’amore, in fondo, sono forti sentimenti
che devi saper scegliere stringendo a volte i denti.
Se l’odio un brutto giorno prendesse il sopravvento
e portasse via da te tutto l’amore che hai dentro,
ti sentiresti vuota come pozzo senz’acqua
e tentando di specchiarti non rivedresti la tua faccia.
Ma io vivo ogni giorno come un dono,
respiro la bellezza del perdono
e so di essere una goccia in mezzo al mare che,
insieme a te, no, non smette di sperare,
che, insieme a te, no, non smette di sperare.
Così fai un giro in bici guardando la città;
metti l’anima in vetrina e compri la pubblicità.
Un uomo si avvicina per qualche moneta
e una donna lo fa per raccontarti la sua vita.
Vivo ogni giorno come un dono...
Ed ho toccato il fondo con le dita perché
vivevo ogni secondo pensando solo a me,
ma poi ho detto “Basta!”, oggi ho capito che
l’amore che ho dentro
spinge fuori tutto l’odio che c’è.
Perché vivo ogni giorno come un dono...
Io vivo ogni giorno come un dono...
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Qualcuno mi ha detto attenta c’è gente che sa odiare.
Qualcuno mi ha detto vedi, siamo fatti per amare,
ma l’odio e l’amore in fondo sono forti sentimenti:
ho scelto il perdono e non ho pentimenti
… non ho pentimenti.
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RAGAZZA DELL’HONDURAS
Io vengo dall’Honduras. Al mio Paese un tempo approdavano le
navi negriere che vendevano i loro schiavi nelle piantagioni di
canna da zucchero o caffè. Qualche mese fa sono partita
dall’Honduras per arrivare negli Stati Uniti. Dovevo farlo... per
trovare un lavoro, un po’ di soldi, quel tanto che basta per
mantenere i miei figli. Sono giovane, ho ventidue anni, ma ne ho
tre, di figli, una femmina e due maschi, che Dio li benedica. Mio
marito... ah, quello, se n’è andato, chi l’ha più visto... un giorno è
sparito e poi più niente. Ma forse è stato meglio così. A quel punto
partire era la mia ultima possibilità, non avevo scelta. E così mi
sono fatta da sola il viaggio lungo il Messico. Faticoso, sì, tanto...
ma io ho passato di peggio nella vita. Fino a quando non sono
arrivata in Nuevo Laredo, poi fino alla sponda del Rio Bravo. E lì
bisognava attraversare per forza. Durante la notte sono riuscita a
passare all’altra sponda del fiume sopra un gommone. Era buio, le
acque mi facevano una paura terribile, ma mi sono fatta forza, ce
l’ho fatta. Appena ho toccato terra mi sono inginocchiata e ho
alzato le mani al cielo: grazie, Signore, Padre mio misericordioso,
grazie... e intanto piangevo. Pregavo e piangevo. All’improvviso...
ho sentito una voce. La voce di un uomo. Mi ha gridato: «Mani in
alto… e voltati lentamente».
Lui è un agente della Migra, la polizia americana di confine. Mi
punta addosso la sua pistola. Mi mette le manette e m’invita a
salire sul jeeppone con tutti gli altri. Ma io non posso... «Signor
ufficiale, fammi un favore: uccidimi, qui, ora. Voglio che i miei figli
là in Honduras dicano “nostra madre è morta in terra americana”.
Spara, signor ufficiale... tanto io… sono un fantasma che
cammina».
Adesso spara, penso. Adesso spara, è finita. In un attimo dico
dentro di me addio alle mie creature, prego per loro, e per la mia
anima.
Ancora niente, respiro ancora...
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OMBRE NASCOSTE
Testo: G. Beltrami, A. Mattei
Musica: E. Selleri
Ombre nascoste in questa notte, istanti di follia.
Alla frontiera che non perdona, echi di polizia.
A pochi metri, un po’ più in là forse la libertà!
Ho camminato, spesso da sola, dentro l’oscurità.
Nella mia mente solo quel tempo
che più non tornerà
e passo dopo passo aspetto il giorno che verrà.
Quando troverò una terra che potrò sentire mia,
senza più scappare via.
Dove troverò quella forza per ricominciare e poi,
ritornare a vivere, cambiare questa storia
che forse, ancora, chiederà qualcosa in più.
Poco lontano vedo le luci della periferia
o forse solo spari nel buio, oltre la ferrovia.
E la mia mente corre ancora, vuole fuggire via.
Quando troverò una terra che potrò sentire mia,
senza più scappare via.
Dove troverò quella forza per ricominciare e poi,
ritornare a vivere, cambiare questa storia...
E sperare ancora,
contro ogni disperazione adesso che
non smetterò di vivere,
di spingere lo sguardo un po’ più in là.
Quando troverò una terra che potrò sentire mia...
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