guarire dopo il parto, il parto come guarigione percorsi di guarigione
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guarire dopo il parto, il parto come guarigione percorsi di guarigione
Claudia Sfetez GUARIRE DOPO IL PARTO, IL PARTO COME GUARIGIONE Percorsi di guarigione fisica, emozionale, relazionale dopo parti e nascite traumatici. PERCORSI DI GUARIGIONE Dopo una nascita percepita come disturbata, inconsapevole o addirittura violenta, il compagno quotidiano della donna è il dolore. Un dolore talvolta subdolo, come uno spiacevole retrogusto cattivo, o come una malattia o un disturbo fisico che non accenna a passare e del quale non si capisce la causa. Oppure, al contrario, un dolore acuto, che grida prepotente, come una disperazione, come un pianto per qualcosa che si desiderava tanto e non c’è stato o per qualcosa che non si sapeva nemmeno di volere e che ci è stato comunque portato via. A volte, le donne che hanno partorito con taglio cesareo o con parto vaginale particolarmente violento, si sentono emotivamente e fisicamente dissezionate. Ad ogni modo, emozioni e pensieri hanno effetti davvero importanti su di noi, poiché sono fisicamente ed energeticamente connessi al nostro corpo tramite i sistemi immunitario, endocrino e nervoso centrale; inoltre, è cruciale imparare ad apprezzare la capacità del proprio corpo di comunicare: i sintomi sono parte della nostra guida interiore, hanno messaggi per noi. Ascoltiamoli! Ad ogni modo, come si diceva, ciò che accompagna la donna è il dolore: il malessere, il malumore o la depressione, la malattia, il fastidio, il sassolino nella scarpa. Diverse entità, diverse modalità. E ciò che accomuna ogni donna con questo tipo di esperienza è il bisogno (e talvolta, ma non sempre, anche il desiderio) di stare bene, di ritornare in salute, di ritrovare il benessere. Ovvero, di guarire. Come spiega chiaramente Nancy Cohen nel suo bestseller “Silent Knife”, ciò che troppo spesso viene indicato come obiettivo è l’adattamento piuttosto che la guarigione. Adattarsi, in questo specifico contesto*, significa che la persona diventa più attrezzata per gestire il dolore e le difficoltà: ovvero, il dolore rimane mentre tu sei semplicemente più equipaggiata a conviverci. Non è ciò che vogliamo. Puntiamo alla guarigione, dove guarire implica che il dolore se n’è andato lasciando il posto al benessere e quindi alla salute. In altre parole, abbiamo bisogno di riconoscere quel malumore, quel mal di schiena, quel pianto immotivato (“ah, gli ormoni!”) come reazioni alla nostra esperienza di parto. Il parto e la nascita riguardano la trasformazione, sempre. In particolare per chi è passata attraverso una nascita traumatica, la trasformazione che ne segue richiede che i sintomi vengano chiamati per nome e ricondotti all’esperienza vissuta. Ovvero, che il dolore venga riconosciuto e autorizzato; solo a quel punto sarà possibile iniziare un percorso di guarigione. Il “Tempo Zero”: stai con quello che c’è Nella nostra società fast food, si sa, il tempo è denaro. Non solo: nell’ultimo secolo, abbiamo assistito ad un vero e proprio trasferimento di eventi cruciali come la nascita e la morte all’interno della struttura ospedaliera, che è diventata l’unico luogo dove l’espressione del dolore (per lo più fisico) sia più o meno autorizzata. A dirla tutta, negli ultimi decenni numerosi ospedali si sono prodigati a sostenere progetti nobili e apprezzabili a sostegno delle cure palliative, commettendo tuttavia il pesante errore di chiamarli ad esempio “Liberi dal dolore” o “Lotta contro il dolore”, nomi che tendono a illudere e confondere. Il dolore è parte della nostra vita, è parte di questo mondo fatto di opposti e alternanze. È un’emozione travolgente, una carica energetica imponente che, se ignorata, spingerà per uscire in altre forme. Fingere che il dolore non ci sia, sottovalutarlo, reprimerlo, non chiamarlo con il suo nome, ovvero non collegarlo con la sua fonte d’origine (l’esperienza nascita), sono tutte azioni-non azioni con effetti a volte devastanti sulla nostra salute fisica, psichica, emozionale e relazionale. Le emozioni inespresse tendono a stare nel corpo come piccole bombe ad orologeria: sono malattie in incubazione (Northrup). Come un fiume in piena, il dolore ha bisogno di essere lasciato libero di scorrere. Stai male? La pacca sulla spalla accompagnata dall’infelice frase “su, su, è ora di voltare pagina; ormai è andata, almeno il bimbo sta bene” non è inutile, è dannosa, perché portatrice di un messaggio pericoloso: “vai avanti e non ti guardare indietro, non stare male, il passato è passato”. Gibran, nella sua opera principale, “Il Profeta”, parla così del dolore: E parlò una donna e disse: Parlaci del Dolore. Ed egli disse: Dolore è il rompersi del guscio che racchiude la vostra intelligenza. Così come il nocciolo del frutto deve rompersi perché il suo cuore possa esporsi nel sole, così dovete voi conoscere il dolore. E se voi sapeste tenere il cuore in stato di meraviglia di fronte ai quotidiani miracoli della vita, il dolore vi apparirebbe non meno mirabile della gioia. E voi accogliereste le stagioni del vostro cuore, così come sempre avete accolto le stagioni che si susseguono sui vostri campi. E vegliereste sereni durante gli inverni del vostro dolore. Molto del vostro dolore è scelto da voi stessi. È l'amara pozione con la quale il medico che è dentro di voi guarisce il vostro io malato. Confidate perciò nel medico e bevete il suo rimedio in silenzio e tranquillità. Poiché la sua mano, benché grossa e rude, è guidata dalla tenera mano di Chi non è visibile, e la coppa che vi porge, benché vi bruci le labbra, è stata ricavata dalla creta che il Vasaio ha inumidito di lacrime sacre. Il paradosso: il dolore, secondo Gibran, già racchiude dentro di sé il seme della guarigione. Il dolore non richiede guarigione, ma è l’inizio della guarigione stessa. Non è facile, non è semplice. È scomodo, fastidioso, pesante, gravoso, ma ha un suo significato. Il dolore però diventa accettabile qualora ci sia una connessione umana: ognuno di noi ha bisogno di qualcuno che scenda con noi nel baratro e che non cerchi di portarci fuori o distrarci, bensì che si sieda al buio con noi e che provi a sentire ciò che stiamo sentendo. Che, appunto, crei una connessione con noi e la nostra emozione. (continuare, aggiungere brenè brown?) Agg. Il 13 –rosaspina Gibran continua: Quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potrete contenere. La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa bruciata nel forno del vasaio? E il liuto che rasserena il vostro spirito non è forse lo stesso legno scavato dal coltello? Quando siete felici, guardate nel fondo del vostro cuore e scoprirete che è proprio ciò che vi ha dato dolore a darvi ora gioia. E quando siete tristi, guardate ancora nel vostro cuore e saprete di piangere per ciò che ieri è stato il vostro godimento. Alcuni di voi dicono: "La gioia è più grande del dolore", e altri dicono: "No, è più grande il dolore". Ma io vi dico che sono inseparabili. Giungono insieme, e se l'una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l'altro è addormentato nel vostro letto. In verità voi siete bilance che oscillano tra il dolore e la gioia. Soltanto quando siete vuoti, siete equilibrati e saldi. Ho letto Il Profeta per la prima volta tanti anni prima della nascita di Gioele, ma quando ho riletto questo paragrafo dopo il suo arrivo, ho pianto. I miei occhi bagnati non riuscivano a scollarsi dalla parola “coltello”. E poi ritornavano veloci indietro e rileggevano allo sfinimento sempre la stessa parte di verso: “lo stesso legno scavato dal coltello”. Legno, scavato, coltello. Coltello. Mi sentivo come se quel coltello, il bisturi, mi stesse incidendo di nuovo, proprio in quel momento. Ci tornai su nei giorni successivi, e poi ancora e ancora. Finalmente, un giorno riuscii ad accorgermi che c’era anche una prima parte: “E il liuto che rasserena il vostro spirito non è forse lo stesso legno scavato dal coltello?”. Rilessi tutto il paragrafo e mi resi conto di quanto sorda ero alle parole del poeta: mi stava parlando proprio di questo, di quanto gioia e dolore siano intimamente connessi, ma io riuscivo a sentire solo il dolore. Ero come un liuto, capace di gioire e rasserenare me stessa e gli altri, nonostante il cesareo e grazie al cesareo. Questa piccola scoperta non mi fece stare meno male, ma diede un significato a ciò che stavo vivendo. Avevo la sensazione quasi fisica di essere stata a lungo nel buio più nero e corposo, ma di aver avvistato finalmente, in lontananza, una minuscola luce che mi avrebbe guidato fuori da lì. Non riuscivo ancora a muovermi, un’altra sensazione che provavo era quella di essere rannicchiata sopra una piccola zattera nel mezzo di un oceano in tempesta; era impossibile alzarsi in piedi, sapevo che sarei caduta. L’istinto mi diceva di rimanere lì, lasciarmi trasportare dalle onde, cercare di gestire quelle più violente e sperare di non essere trascinata giù. La piccola luce era una fonte di speranza. Stare nel dolore sembrava l’unica cosa sensata da fare. Inoltre, l’arrivo di un neonato porta subbuglio e necessita di un tempo di adattamento; non è certo questo il momento di fare grandi filosofie. Occuparsi amorevolmente del proprio piccolo non è solo un’esigenza quotidiana, ma è fisiologicamente cosa sana: l’atteggiamento di accudimento è stimolato e stimola a sua volta l’aumento di prolattina, un ormone in grado di attivare il sistema nervoso parasimpatico (quello deputato a promuovere la quiete, il rilassamento, il riposo, la digestione e l'immagazzinamento di energia) e migliorare la tollerabilità allo stress. C’è un passo del Qoelet che ci “autorizza” a dare tempo al tempo, a vivere appieno tutte le onde della nostra esistenza, a prendere coscienza dell’alternanza della vita e di come questo sia sempre e comunque un mondo di opposti. Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato. Un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttar via. Un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Che guadagno ha chi si dà da fare con fatica? Diamo valore al tempo del lutto, della guerra, dell’odio, del pianto, della morte; aggrappiamoci alla certezza che il tempo della danza, della pace, dell’amore, delle risa, della ri-nascita arriverà, e potremo goderne appieno proprio perché avremo vissuto integralmente anche l’altra faccia della vita. In conclusione, stare con quello che c’è, senza fretta né pressioni interne o esterne, è il più grande dono che possiamo farci dopo l’esperienza nascita. L’immediato post parto è il tempo dell’acqua, sotto forma di latte e di lacrime. Le tre strade low-cost verso la guarigione Nancy Cohen, ancora in Silent Knife, suggerisce le tre forme di guarigione più economiche e efficaci: pensare, respirare, toccare. Pensare aiuta a dare voce a quell’osservatore interno che ognuno di noi ha, quel testimone lucido ed imparziale che può accompagnarci per mano, lentamente, verso un atteggiamento oggettivo nei confronti dell’esperienza che abbiamo vissuto. Respirare è il modo più valido per rilasciare tensione e dolore fisico ed emozionale. Nella nostra società occidentale (leggi: stressata), la maggior parte di noi non respira in modo adeguato, ma inspira superficialmente ed espira trattenendo (aria, emozioni, contratture). Soffiare via l’accumulo di “ciò che non ci serve” a fine giornata è una delle strade verso il benessere. Inoltre, una respirazione diaframmatica lenta e profonda è come un massaggio interno agli organi e promuove il rilassamento di tutto il sistema muscolo-scheletrico. A volte abbiamo bisogno di apprendere come farlo, la buona notizia è che ci sono due modi molto famosi e semplici per respirare via dolori ed emozioni: piangere e ridere. ϑ Terza strada: il tocco. Ora, bene per tutti è capire quanto le donne nel post partum abbiano disperatamente bisogno di essere toccate. Nelle culture dove questo è routine accettata e condivisa, l’incidenza di depressione post parto e disordini simili è incredibilmente (ma neanche tanto) bassa. Tocco significa semplice contenimento, frizionamento di schiena e piedi o massaggio a piene mani; in realtà, ogni tocco amorevole contribuisce a guarire dall’esperienza nascita in un modo che pensieri e parole non potranno mai. Credo che come l’esperienza nascita sia diversa per ognuna di noi, e come lo sia anche il tipo di reazione ad essa, così avvenga anche per il percorso di guarigione. Il comun denominatore è la direzione del viaggio: verso il basso, verso la profondità. Abbiamo bisogno di una pala e della determinazione che ci spinga a cominciare a scavare, e scavare, e continuare, scavare… Solo scendendo sempre più in questo viaggio avremo modo di affrontare ogni singolo mostro, ogni singolo dettaglio, e guarirlo. Infatti, sebbene il punto di partenza sia a discrezione di chi compie il percorso, è fondamentale che ognuna di noi sia consapevole di come la guarigione totale sia un percorso a 360°, che include ogni nostro livello, corpo, mente, anima, relazioni. …Sta a te da dove iniziare! Se però sei persa, come spesso accade, ti suggerisco di partire dal corpo: molte volte è il primo a farsi sentire, o quello che grida più forte “aiuto!”, o più semplicemente la parte di te più tangibile e concreta. 1. Guarire il corpo Quando il parto e la nascita sono stati disturbati o addirittura violenti, la prima vittima è il corpo, sicuramente quello della madre, a volte anche quello del neonato. In questo capitolo vedremo insieme alcuni strumenti utili per prendersi cura del corpo ferito. Di ritorno dall’ospedale, mi guardo, guardo il mio corpo. Avevo salutato la casa qualche giorno prima, con la pancia grande e il mio corpo incinto; ora faccio ritorno con una cicatrice sulla pancia o sulla vagina, punti che tirano, gonfiore, mal di schiena. Sento che devo fare qualcosa, prendermi cura del mio corpo. “If you don’t love your body, then you don’t love yourself” (Sondra Ray, 1980). Parole pesanti, perché, in effetti, amo molto poco questo corpo traditore che non è stato capace di mettere al mondo un bambino o che si è lasciato aggredire. Eppure, l’energia di guarigione parte proprio da qui: dall’amore verso sé stesse, dall’amore verso il proprio corpo. Mentre ogni sentimento di rifiuto nei confronti del nostro corpo porta con sé energia negativa, al contrario, ogni pensiero positivo e amorevole è veicolo di energia di guarigione. Ed è proprio l’amore verso sé stesse la benzina che accende il motore del percorso da intraprendere gradualmente, è l’amore verso noi stesse che ci instilla nella mente un pensiero tanto semplice quanto non usuale (per la società in cui viviamo) come “devo chieder aiuto, devo fare qualcosa”. La prima volta che ho chiesto aiuto è stato a tre mesi dalla nascita di Gioele. Sono salita su un treno, con marito e neonato a seguito, per un viaggio di quattro ore che mi portò da quella che continuo a definire la mia guru ostetrica: molto di ciò che so e sono professionalmente, lo devo a lei. Ed è lei che ho pensato, nel panico, di contattare quando il dolore e la confusione raggiunsero un livello tale da togliere il fiato. Ho chiesto aiuto e lei mi ha risposto ospitandomi e regalandomi un pomeriggio di revisione del mio parto. Una chiacchierata di cui ricordo in modo cristallino soprattutto una, fondamentale, verità: onora la tua cicatrice, mi disse lei, perché è la porta attraverso la quale tuo figlio è venuto al mondo. Che suona ben diverso da “da sopra o da sotto, che importa? L’importante è che esca, vivo e sano”- glom. Sottili differenze, già. La porta attraverso la quale Gioele è venuto al mondo. Onorare la cicatrice, amarla, esserle riconoscente. Sono stata in grado di farlo solo tre anni più tardi, ma il mio viaggio è iniziato da qui, con questa indicazione, con questo obiettivo, con questo piccolo mantra. 1. Muoviti! A differenza dell’esercizio e della ginnastica, che mettono in moto solo quel preciso muscolo o gruppo di muscoli per i quali sono statai pensati, il movimento è un’azione fisica che ha effetti su tutto il nostro essere. Questo è il motivo per cui incoraggio sempre, qualunque persona, di qualunque età e stato di salute, in gravidanza o meno, a muoversi. Katy Bowman, biomeccanicista e direttrice del Restorative Excercise Institute, propone quest’analogia: il movimento, come il cibo, non è un optional. Abbiamo fame di movimento e possiamo soffrire di carenza di un dato tipo di movimento. Katy ci insegna la sostanziale differenza fra esercizio e movimento: fig Qui sopra, l’insieme “movimento” è vuoto: puoi riempirlo con tutto ciò che il corpo umano è in grado di fare: schioccare le dita, accovacciarsi, correre, respirare, tuffarsi, partorire, salutare con la mano, sorridere, allattare, andare in bicicletta, eccetera. Così: fig Visto quanti tipi di movimento? Nessuno di noi può rispondere negativamente alla domanda “hai fatto movimento oggi?”. Rispondiamo di no perché quando pensiamo al movimento pensiamo subito all’esercizio e alla ginnastica. Sfatiamo il mito: il primo passo per migliorare radicalmente la nostra salute è abbandonare l’equazione movimento=esercizio. Ecco l’insiemistica rivista e corretta: fig È necessario tener separati i concetti di movimento ed esercizio perché ci sono molti movimenti che non rientrano nella categoria “esercizi” che sono essenziali per il nostro corpo. Uno su tutti, il frequente cambio di posizione nell’arco della giornata: stare seduti al computer 8-10 ore al giorno è deleterio. 1.3.1 Cammina. Tanto. “Camminare è la grande avventura, la prima meditazione, una pratica di cuore e anima essenziale per il genere umano. Camminare è il perfetto equilibrio tra spirito e umiltà” (Gary Snider). Camminare è il regalo più grande che puoi fare al tuo corpo, sempre. Figuriamoci ad un corpo che ne ha viste di cotte e di crude e che è sopravvissuto a una guerra. Questo è un corpo che ha un bisogno impellente: quello di essere coccolato e riportato sulla strada della fisiologia. Qualunque sia stato l’esito del tuo parto, riprendi a camminare appena puoi. Dai tempo al tuo corpo e sii paziente con lui: inizia con pochi passi (anche il giro della casa va benissimo) e aumenta gradualmente fino ad arrivare a passeggiate più lunghe. L’azione di camminare promuove una buona circolazione sanguigna e linfatica, che nella pratica si traduce in più ossigeno e più nutrienti in giro per il corpo! Accelera quindi la ripresa e la guarigione delle ferite. Non dimentichiamo che camminare promuove anche una buona respirazione, rafforza il tono muscolare e favorisce la funzionalità gastrointestinale e urinaria. Last but not least – anche se siamo nel capitolo dedicato al corpo, camminare ti porta necessariamente fuori casa, all’aria aperta, all’incontro con altre persone, eventi, stimoli. Fa bene al cuore, cardiologicamente ed emotivamente parlando. ☺ 1.3.3 Release Lungi da me parlar male dello stretching (il prossimo paragrafo l’ho dedicato a lui, non è che non gli voglio bene), va precisato che non sempre costituisce la strada verso la salute del corpo. L’obiettivo resta sempre quello di trovare una soluzione per gli squilibri muscolari (come muscoli troppo contratti da un lato e muscoli troppo poco tonici dall’altro), riducendo ed eliminando il dolore, aumentando la mobilità e la forza. La proposta di questo paragrafo sono i rilasci (releases in inglese). omissis 1.3.6 Il Bacino Ci sono all’incirca 30 muscoli che si inseriscono ed entrano in relazione diretta con il bacino, il sacro, le ossa dell’anca: facile comprendere come ognuno di loro sia in grado di influire sull’equilibrio e l’armonia (o mancanza di essi) della pelvi. Per questi motivi, è difficile trovare degli esercizi per il bacino bypassando il lavoro sul resto del corpo coinvolto. Quindi, per avere dei benefici sulla pelvi, dobbiamo innanzi tutto metterci in testa che il lavoro è globale. La base del lavoro sul bacino sta nella postura corretta: vediamo come (ri)trovare la posizione neutra. La maggior parte di noi, quando sta in piedi, adotta una posizione in cui la pelvi è spinta in avanti; questo comporta un carico maggiore per i muscoli della gamba anteriore (quadricipiti, iliaco, psoas) rispetto a quelli della gamba posteriore. Quindi la prima correzione da fare, se anche tu rientri, come me, in questa fetta di popolazione, è riportare indietro il bacino, allineando le anche alle ginocchia e alle caviglie. (fig.) Aggiungiamo ancora una piccola modifica, che in realtà spesso giunge spontaneamente con la prima. Dopo aver sistemato verticalmente fianchi, ginocchia e caviglie, controlla di allineare i tre punti più sporgenti verso avanti del bacino: le due spine iliache e l'osso pubico. Le due prominenze dell'ileo sono facilmente reperibili: vengono spesso chiamate fianchi (“mani sui fianchi!”); il pube è l'osso trasverso che puoi sentire proprio sotto la parte più alta della vulva. È più facile vedere e sperimentare, che spiegarlo, me ne rendo conto! Dai un'occhiata alla figura di destra. Figure: 1 allineamento fianchi, ginocchia e caviglie; 2 allineamento spine e sinfisi Questi due piccoli aggiustamenti, già da soli, possono migliorare i carichi alla bassa schiena e al bacino in un istante: cerca di praticarli sempre, mentre sei in piedi. Non porta via tempo, non implica sforzo o dispendio di enegia. Ora che conosci la posizione neutra della pelvi, vediamo i tre fattori che influenzano maggiormente la salute del bacino. Sono: • camminare • l’estensione dell’anca mentre si cammina • la pratica della posizione accovacciata, o squat …o, ovviamente, la mancanza o riduzione di queste tre attività. Abbiamo già sottolineato come l'azione del camminare sia di grande aiuto nella guarigione del corpo (e dell'anima). Voglio aggiungere ancora un punto: i muscoli coinvolti nella camminata stabilizzano attivamente l'osso sacro nel bacino e procurano una sorta di contro-resistenza per il pavimento pelvico, incrementandone il tono. I muscoli dell'anca fanno tutto questo contemporaneamente: sostengono il peso del corpo, portano avanti il femore, stabilizzano il bacino e il sacro e supportano la funzionalità del pavimento pelvico. Camminare è un processo specifico per il perineo e per il bacino, che richiede decisamente meno tempo e meno energia di una qualunque sequenza di esercizi per il rafforzamento di ognuna di queste singole parti. L'anca è la più grande articolazione del nostro corpo, sia in dimensioni che in termini di complessità di composizione (dà un'occhiata a tutti quei muscoli che si inseriscono lì!). Il muscolo piriforme è uno dei più coinvolti nell'estensione e nella salute dell'anca; se contratto, può aggravare il dolore sciatico nella zona sacrale. Ecco un esercizio semplice che Katy Bowman ha battezzato “stretch numero 4” a causa della posizione che assumi quando lo pratichi (che ricorda proprio il numero 4): siediti su una sedia e appoggia la caviglia destra sulla coscia sinistra, subito sopra il ginocchio, sempre avendo cura che il bacino resti nella posizione neutra che già conosci. Tutto qui. Ora, se senti che la coscia sta beneficiando dell'esercizio, puoi, gradualmente, incrementare l'inclinazione del bacino verso avanti (con un piccolo rialzo, come ad esempio un asciugamano arrotolato) per incrementare lo stretching (vedi figura). Se invece il ginocchio grida vendetta, fai piuttosto la versione più tranquilla: mettiti a terra, supina, piega le ginocchia e porta una caviglia sulla coscia opposta, sempre subito sopra il ginocchio e sempre controllando che il bacino resti in posizione neutra. Aggiusta il carico all'articolazione dell'anca a seconda della tua flessibilità: se l'esercizio di dà fastidio, allontana il piede che sta a terra dal tuo sedere; se invece, vuoi incrementare la forza, alza dal pavimento la gamba che sta sotto portandola verso il torace. Infine, poche sono le attività così altamente benefiche per il bacino (e la bassa schiena, le anche, il pavimento pelvico, le ginocchia, la digestione...) come l’atto di accovacciarsi o, appunto, squat. I muscoli del polpaccio, dei glutei, i quadricipiti e gli psoas, se contratti e tesi, tirano verso il basso il sacro e quindi tutto il bacino, limitandone la mobilità. Praticare lo squat - correttamente e frequentemente - aiuta a rilasciare la tensione e a tonificare in modo appropriato i tutti questi muscoli. Come abbiamo già visto, per guarire, il nostro corpo necessita di una buona (se non ottima!) circolazione di tutti i nutrienti, affinché possano raggiungere le zone che si stanno ristabilendo. Questo implica che i muscoli, i legamenti e le articolazioni vicine all'area in ripresa siano mobili, elastici e rilassati. Alcuni accorgimenti sono necessari per accovacciarsi in modo tale che la posizione sia realmente efficace: 1) i talloni devo restare a terra. Facile, no? ☺ (se all’inizio non è poi così semplice, un asciugamano arrotolato sotto i calcagni aiuterà molto); 2) le tibie (ovvero le ossa che vanno dal ginocchio alla caviglia) devono rimanere il più perpendicolari possibili al pavimento; in altre parole, le ginocchia devono stare esattamente al di sopra delle caviglie, non più avanti; 3) il coccige (=il codino) deve essere LIBERO!, libero di muoversi e di non essere costretto verso avanti. Controlla quindi sempre che il coccige sia libero di salire verso l’alto e verso dietro; 4) il bacino è neutro (non retroverso) e quindi la curva lombare è rispettata (non arrotondata); 5) le punte dei piedi guardano in avanti (non verso fuori). Lo squat può essere inserito in una sequenza di lavoro corporeo (ad esempio, dopo aver fatto stretching ai polpacci) oppure sentitevi libere di praticarlo assiduamente durante le vostre attività quotidiane: nella strada dalla camera da letto alla cucina, tre squats andando e tre tornando, via! ☺ All’inizio ci potrà essere bisogno di qualche piccolo aiuto, come il sopraccitato asciugamano arrotolato sotto i talloni o accovacciarsi con la schiena contro la parete o aggrappandosi a una maniglia salda/un tavolo/un muretto (mi raccomando, fai attenzione). Inizia scendendo solo fino a quando riesci a mantenere i talloni sul pavimento (o sull’asciugamano) e il sedere libero e in fuori: non importa quanto scendi, importa cominciare. Subito. 1.3.7 Ricordati di avere un perineo ma dimenticati di Kegel Sì, il titolo già da solo accende la polemica. Capiamoci, non sto dicendo che i famosissimi esercizi di Kegel siano sbagliati, voglio solo riportare (ancora una volta!) l'attenzione sul nostro corpo come totalità di molte parti, tutte connesse l'una all'altra. In quest'ottica, per il benessere del perineo non posso lavorare solo sul perineo. Il rischio è quello di causare un'eccessiva tensione nel pavimento pelvico. La prescrizione di un singolo esercizio, per un'unica parte del corpo (come appunto i Kegels per il perineo), può essere dannosa esattamente come l'integrazione di una singola vitamina, che alla lunga risulta sbilanciare tutta la delicata armonia che i nutrienti creano l'uno con l'altro. Esattamente come per il cibo, anche per il movimento e la salute muscolo-scheletrica abbiamo bisogno di una “dieta bilanciata”, non riducibile ad un solo alimento (...esercizio). Il tuo pavimento pelvico ha una grande varietà di funzioni; certo “sostenere” - con la forza e il tono - è una di queste, ma sono sicura nessuna di noi vuole un perineo costantemente sbilanciato verso la forza e il tono, ovvero costantemente teso. L'obiettivo è un perineo in grado di svolgere brillantemente tutte le sue mansioni, incluse quelle divertenti! ☺ Questo implica la capacità di rilassarsi, ovviamente. Come per tutti i muscoli, la performance globale richiede una misurata quantità di forza per l'espletamento di ogni singola funzione: il solo modo per acquisire questo delicato controllo è usare quel muscolo regolarmente. Ciò significa, ancora, che dobbiamo muovere (tutto) il corpo, includendo nella nostra quotidianità quei movimenti che coinvolgono il perineo. Guarda caso, i più semplici da inserire nella nostra routine giornaliera sono sempre gli stessi: camminare e accovacciarsi. Una volta inglobate queste due attività nelle nostre abitudini spontanee, potremo parlare di ginnastica perineale. Il perineo è il centro del corpo, il nostro centro. Prendersene cura significa prendersi cura di noi stesse, della nostra salute e del nostro benessere. È la prima zona sensibile al senso del tatto nell’embrione: la prima percezione di sé arriva quindi da questa zona - per questo è considerato “sede” dell’autostima e del primo chakra, il quale definisce un particolare «centro energetico» del corpo. È qui che “abitano” l’energia sessuale, l’energia di ri-nascita. il principio-energia di radicamento. Diventa facilmente comprensibile come un perineo ignorato, maltrattato o tagliato, brami amore e guarigione. Un buono e bilanciato tono perineale non significa soltanto che il pavimento pelvico è in grado di espletare tutti i suoi compiti, ma anche avere meno paura di “perdere” in senso lato: il lavoro sul perineo promuove sentimenti di fiducia, coraggio e sicurezza. Gli esercizi appositi per il perineo sono tanti e meritano un'attenzione specifica che un libro, onestamente, non può dare. Indipendentemente dall'esito del tuo parto, cesareo o vaginale, il tuo pavimento pelvico ha bisogno di amorevoli cure. Se hai avuto un'episiotomia o una lacerazione, nella prossima sezione troverai delle indicazioni sulle prime attenzioni e sui primi trattamenti della cicatrice. Quanto prima, se già non ce l'hai, cerca un'ostetrica che possa guidarti negli esercizi per il perineo, sempre nell'ottica che muovere un muscolo equivale a portare nutrimento e guarigione a quella parte del corpo. omissis 1. La cura e il massaggio della cicatrice Qualora il parto sia avvenuto tramite taglio cesareo o per via vaginale con episiotomia, il corpo dovrà affrontare anche la guarigione della cicatrice. Per noi donne questo non è un tema semplice: il corpo tagliato causa dolore, non solo fisico. I suggerimenti dati in questa sezione spaziano dall’uso di olii e rimedi naturali per lenire l’infiammazione e favorire la cicatrizzazione al massaggio dei tessuti interessati allo scopo di guarire la parte dai punti di vista fisico, emozionale e energetico. 1.2.1 LA PELLE E LA CICATRICE Per comprendere a fondo come aiutare la pelle a guarire, dobbiamo essere a conoscenza di com’è fatta e come funziona. Sono tre gli strati che costituiscono la nostra pelle: l’epidermide (lo strato più sottile e più esterno), il derma (il tessuto connettivo dotato di collagene) e l’ipoderma (lo strato base). Di gran lunga il più esteso apparato del corpo, la pelle svolge quattro funzioni fisiologiche: • difesa del corpo da offese meccaniche, da radiazioni e dall’invasione di sostanze e organismi estranei; • organo di senso; • regolatore della temperatura; • organo del metabolismo e dell’immagazzinamento dei grassi, e del metabolismo dell’acqua e dei sali mediante la traspirazione. La pelle è inoltre un organo di relazione, in quanto collega e separa allo stesso tempo la persona dall’ambiente esterno. Analogamente, è un organo di coscienza, perché permette la percezione di me stesso e del diverso da me: so chi sono, so chi non sono, so chi è l’altro e riconosco l’aggressione. Quelle elencate sono tutte funzioni mancanti nella sede della cicatrice: se manca la sensibilità, manca la coscienza, se manca la coscienza, manca l'identità. Corpo, mente ed anima sono strettamente connessi e lo sono anche in presenza di un disturbo. Uno dei primi motivi per cui la donna si sente persa e confusa dopo un cesareo o dopo un’episiotomia è proprio la perdita di coscienza del proprio corpo, di identità e consapevolezza nel momento in cui il potenziamento di coscienza, identità e consapevolezza era l’aspettativa, più o meno conscia. L’annebbiamento mentale e la mancanza di sensibilità nella zona della cicatrice sono essenzialmente due modi del nostro essere di dire la stessa cosa. Il processo di cicatrizzazione è estremamente complesso, lento e richiede pazienza. Al tempo 0 avviene il taglio: il corpo vuole fermare l'emorragia perciò porta in quella zona tutti i liquidi e tutti i nutrienti, stabilendo una sorta di stato d’allerta: come la polizia in caso di incidente stradale che giunge rapida sul posto e blocca tutto, pulisce (porta via ciò che non serve o è pericoloso) e fa arrivare i soccorsi, così anche il corpo, grazie alle piastrine, forma un coagulo che blocca il sanguinamento. La seconda fase è caratterizzata dall’infiammazione, che si traduce in edema e che provvede alla circoscrizione e all’eliminazione dell'agente microbico, ma anche all'attivazione di quei fattori che sono alla base dei successivi processi proliferativi e quindi della riparazione o sostituzione del tessuto danneggiato. Qualche ora più tardi ha inizio la fase di granulazione, che ha come obiettivo la sostituzione del coagulo, temporaneo, con una struttura solida, definitiva. Il tessuto di granulazione è costituito da una ricca rete di vasi neoformati, dai macrofagi e dai fibroblasti, che iniziano a produrre fibre di collagene e di elastina. La formazione di tessuto di granulazione procede ancora per i primi 5-6 giorni seguenti al trauma, e poi, all'inizio della seconda settimana, decresce per essere sostituita dalla deposizione random di tessuto collagene. Entro 4-5 settimane la cicatrizzazione è ultimata, con la scomparsa pressoché completa dell'infiltrato infiammatorio, il perfezionamento della riepitelizzazione e l'organizzazione delle fibrille connettivali in senso trasversale, così da ricostituire una stabile continuità tissutale attraverso la lesione. Il processo di maturazione del tessuto cicatriziale prosegue tuttavia per almeno 2-3 mesi, più spesso per anni. Il risultato finale di questo complesso processo è la cicatrice, una zona di colorito pallido, liscia, anelastica, priva di annessi cutanei (peli e ghiandole sudoripare) e con irrorazione e innervazione ridotte, ovvero caratterizzata da iper- o iposensibilità (talvolta, paradossalmente, entrambe allo stesso tempo). Ruth Duncan, esperta di terapia del rilascio miofasciale, descrive così il tessuto cicatriziale: “Immagina di stendere un lenzuolo su un pavimento o un tavolo di legno. Se lo tiri da un angolo, puoi vedere chiaramente come si tende da un angolo all’altro e come sia in grado di muoversi in modo fluido. Ora immagina di piantare un grosso chiodo in un qualsiasi punto della stoffa, fissandola al legno sottostante, e prova a tirare nuovamente, sempre da un angolo. A causa del chiodo, il lenzuolo ha perso la sua fluidità di movimento e si tende solo intorno a quel punto. La stessa cosa accade ai tessuti molli del corpo quando si forma una cicatrice, che è una complessa struttura tridimensionale composta da strati multipli di tessuto, sia in senso verticale che orizzontale. Il tessuto cicatriziale e le aderenze sono molto più compatti e meno fluidi dei tessuti normali, perciò, come il chiodo, agiscono come un fulcro di resistenza al normale movimento” (Ruth Duncan, Massage World Aug-Sep 2011) La reazione del corpo al “chiodo” è una costante ricerca di compensare la mancanza di mobilità di quel punto, organo o struttura, raggiungendo però, presto o tardi, un punto di sovraccarico. Quando questo accade, il fisico non è più in grado di compensare: ce ne accorgiamo facilmente perché cominciamo a provare dolore o a sviluppare una malattia. omissis 1.1.3 PRENDERSI CURA DELLA CICATRICE Certamente l’alimentazione aiuta da dentro, ma la nostra cicatrice ha bisogno di essere coccolata anche da fuori. La cura topica della cicatrice inizia dalla sua completa cicatrizzazione, circa 6 settimane dopo l’intervento. A onor del vero, molte sono le fonti e i professionisti che incoraggiano la manipolazione della ferita e impacchi di vario genere già in epoca più precoce, anche immediatamente dopo la chirurgia; tuttavia, mi dissocio: le prime sei settimane sono un periodo a parte, tutto speciale. Non solo il corpo e i tessuti sono più delicati (stanno facendo un lavoro immenso di ricostruzione: non disturbiamoli!), ma non va dimenticato che contemporaneamente sta accadendo qualcosa di una portata immensa. È nato un bambino, è nata una mamma. Si stanno conoscendo, si osservano, bisticciano, non si capiscono, si ri-abbracciano: è la particolare danza simbiotica che ha inizio! La mia esperienza di mamma e di ostetrica vi dice dunque: prendetevi cura di voi stesse, imparate a prendervi cura del vostro piccolo, che per la cicatrice c’è sempre tempo! ☺ Tuttavia, se sentite che la cicatrice funge da ostacolo alla relazione con il vostro bambino o con le persone che vi stanno attorno o, semplicemtente, sentite il bisogno di “fare qualcosa subito”, non esitate a contattare un’ostetrica o un terapista preparato su questi argomenti. Potrà guidarvi immediatamente nel trattamento precoce della ferita, sia sul piano fisico, che emozionale o energetico. Ogni cicatrice è diversa: racconta una sua storia, si forma in un contesto definito, si sviluppa in base alle caratteristiche del nostro corpo in quel dato momento della nostra vita. La tua cicatrice potrà essere più o meno spessa, più o meno lunga, più o meno rossa, più o meno (o per niente) sensibile. Se senti del prurito nella zona della cicatrice, ricorda sempre che è segno di guarigione; cerca tuttavia di non grattarti direttamente nei primi periodi. Puoi provare invece a fare un po’ di pressione con le mani dove ti prude. Finché non si è completamente chiusa, non applicare nessuna lozione, olio o crema, ma piuttosto cerca di mantenerla asciutta (quindi se è una cicatrice da cesareo appena puoi togli il cerotto!). Puoi farti tranquillamente la doccia, semplicemente non metterci direttamente sopra il sapone o il getto d’acqua. Quando ti asciughi, fallo con un asciugamano apposito, tamponando e senza strofinare. Tieni conto che purtroppo ogni ferita corre il rischio di infettarsi, quindi cerca di curarla molto per evitarlo. L’igiene e l’alimentazione sono le prime componenti della prevenzione di infezioni. Controlla che non insorgano arrossamenti, gonfiori o fuoriuscite di pus intorno alla ferita (una piccola perdita di essudato inodore è da considerarsi normale). Se noti uno di questi segni, o addirittura febbre e altri sintomi, contatta immediatamente la tua ostetrica o il tuo medico di fiducia. Se la tua cicatrice è vaginale, dovuta quindi a lacerazione spontanea o episiotomia, sarà ovviamente impossibile mantenerla completamente asciutta. Va bene così, la mucosa vaginale saprà cosa fare; mantieni comunque una buona igiene intima evitando i saponi e i disinfettanti (seccano) e preferendo la tintura madre di calendula (è una pianta con grandi proprietà antibatteriche; diluisci 15-20 gocce in mezzo litro d’acqua sterile). Se la ferita è particolarmente estesa e dolorante potrai avere difficoltà nel mantenere alcune posizioni: ascolta il tuo corpo! Passa più tempo possibile distesa, evitando di stare in piedi o seduta a lungo. Il tuo motto dovrebbe essere “chi ben comincia è a metà dell’opera” ☺: investi qualche giorno in più nel riposo e vedrai che la tua ripresa sarà più veloce e sana. Entriamo ora nello specifico dei trattamenti per la cicatrice. Cercherò di procedere in modo graduale: i primi metodi proposti sono da preferire all’inizio, e così via; ovviamente, sentitevi più che libere a iniziare da ciò che, a istinto, vi attira di più. Dove non specificato, sono da intendere adeguati sia per cicatrici da cesareo che cicatrici vaginali. omissis • MESCOLA,MASSAGGIA&IMPASTA La cicatrice: segno indelebile dell’esperienza vissuta e della violenza subita oppure porta d’ingresso del tuo bambino in questo mondo? Se hai sognato e desiderato un parto naturale ma sei finita con un cesareo o con un’episiotomia, è possibile che ad un certo punto tu attraversi la fase delle emozioni negative nei confronti della tua cicatrice. Puoi odiarla, puoi volerla ignorare, puoi sentirti male al solo pensiero di averla lì sulla tua pancia o nella vagina, puoi essere arrabbiata con lei, puoi non volerla vedere né tanto meno toccare. È il tempo dell’odio, si diceva nel capitolo precedente, che ci chiede insistentemente di essere vissuto. Viviamolo, questo dolore, con ogni cellula; rotoliamoci nell’odio per quello che ci è accaduto e per la nostra cicatrice. Poiché siamo esseri che in modo innato anelano al benessere (e ad esso sempre tendiamo), arriverà il momento in cui sarai stufa di tutto questo nero. È il momento in cui –click– avverrà l’inversione di rotta e sentirai forte quel bisogno di prenderti cura di te stessa e di leccarti le ferite. Letteralmente ☺ Una via preferenziale per portare amore proprio in quelle parti di te che vorresti eliminare (ma che -ora te lo dico- non puoi eliminare!) è il tocco. Toccarsi ed essere toccati sono azioni di movimento: hai presente quando ti prepari un thè e ci metti dentro un cucchiaino di zucchero? Poi se non mescoli, lo zucchero resta sul fondo della tazza e non fa il suo lavoro di dolcificante, e il tuo thè resta amaro. Ecco, è la stessa cosa: il massaggio lavora su di te e sulle zone del tuo corpo che stanno imprigionando “zucchero”, in modo da liberarlo e permettergli di attenuare quel retrogusto amaro che hai della tua esperienza di parto. Quello che nella nostra immagine è lo zucchero, ovviamente, sono le nostre emozioni negative, le tensioni fisiche ed emotive, i ricordi e i flashback incistati nella cicatrice e che, quando lasciati andare, alleggeriscono il fardello. Quando ti senti pronta, puoi iniziare con qualche minuto di “specchio, specchio”: siediti, guardati, guardala. E manda tanto amore alla tua pancia e alla tua vagina. Poi, a seconda della sede della tua ferita, distenditi o siediti sul bordo del letto oppure accovacciati e, quando hai trovato una posizione comoda, appoggia una mano o due dita (possibilmente calde) sulla cicatrice. Aspetta un po’ di tempo, quanto ti è necessario per rilassarti e stare tranquilla. È possibile che le prime volte tu debba fermarti qui, alla mano ferma sulla pancia o nella vagina, e va davvero bene così. Brava, hai fatto tantissimo per te e per il tuo benessere! Con le tue tempistiche arriverà il momento in cui ti sentirai pronta per andare avanti, lì potrai iniziare un massaggio vero e proprio. A quel punto procedi con una delle modalità descritte qui sotto. omissis 1. Guarire la relazione Attaccamento e Danza Simbiotica Il termine “attaccamento” fu usato per la prima volta da John Bowlby, psichiatra e psicanalista, nel secolo scorso. Bowlby introdusse la teoria, poi rivelatasi più che azzeccata, che i bambini nascono con un bisogno biologico di attaccarsi ad una persona, solitamente la mamma, allo scopo di assicurarsi le cure essenziali per la sopravvivenza. Lo stile di attaccamento sicuro – caratterizzato, da parte del bambino, dalla fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri, fiducia nella disponibilità e nel supporto degli altri e intimità nelle relazioni e, da parte di chi si occupa di lui, disponibilità, empatia e accoglienza - favorisce lo sviluppo di personalità equilibrate e capaci di adattarsi, rispettose di sé e degli altri, responsabili e attente alle esigenze proprie e altrui. Al contrario, gli stili di attaccamento insicuro, pur essendosi sviluppati con lo scopo di mantenere l’attaccamento in situazioni pericolose o difficili, si rivelano restrittivi e disadattivi. È davvero toccante notare come questo bisogno innato del bambino sia del tutto condiviso dalla mamma, che necessita biologicamente lo stretto contatto con il suo piccolo. Questa connessione istintiva tra mamma e bimbo è garanzia di sopravvivenza e salute per entrambi. Infatti, un qualunque comportamento del bambino stimola nella mamma una risposta appropriata, alla quale seguirà una nuova reazione del neonato. Ad essa, seguirà un'emozione e una sensazione coerente in entrambi. Questo concetto, questa matrice relazionale, è chiamata danza simbiotica. I passi della danza: 1) stimolo del bambino 2) ascolto, comprensione dei bisogni e risposta specifica da parte della mamma 3) risposta alla risposta 4) gratificazione reciproca Esempio: 1) il bimbo piange; 2) la mamma osserva, ascolta il pianto del suo piccolo, cerca di interpretarlo e conclude che il bambino ha bisogno di coccole e contenimento. Perciò lo prende in braccio, lo tiene a contatto, lo culla, gli parla con tono rassicurante; 3) il bambino non solo sente che il suo bisogno viene accolto, rispettato e colmato, ma “mima” l'atteggiamento della mamma grazie ai suoi neuroni specchio (che si attivano appunto quando una persona osserva un'azione compiuta da un'altra ed è portata a simularne il comportamento). Il bambino si tranquillizza; 4) la mamma si sente competente e il bimbo contenuto. Sembra davvero semplice, vero? Beh, lo è. Lo è quando ci prendiamo il lusso di stare con i nostri cuccioli, quando le persone attorno a noi non interferiscono in questa delicata fase work in progress della relazione (con frasi del tipo “non vedi che ha fame?” o “lascialo piangere che poi lo vizi”), quando abbiamo fiducia in noi stesse come madri e nei nostri figli come, beh, come esseri competenti e puri. Già, i neonati non sono “furbetti”, sono...neonati. Sono bambini che esprimono i loro bisogni base: essere sfamati, dissetati, puliti, mossi, intrattenuti, coccolati e contenuti. Chiaro è che non nasciamo mamme, né tanto meno mamme-di-quel-bambino: la relazione è da costruire e segue tappe simili a quelle della gravidanza e del parto. Ci sarà di certo una prima fase conflittuale, fatta di alternanze che porteranno gradualmente verso l'adattamento. Ora, inutile nascondercelo: la danza simbiotica è facilitata e resa fluida dal parto rispettato e naturale. Ma sopra ogni cosa, è (positivamente) influenzata dalla relazione costruita in gravidanza. A fine gravidanza, infatti, si è perfezionata quella simbiosi endogena che permette il reciproco adattamento e l'armonia nelle prime settimane dopo il parto. Nelle ultime settimane avvengono numerose modifiche comportamentali e fisiche che avvicinano la mamma al bambino: il sonno è sempre più simile, la produzione di ormoni (soprattutto di ossitocina) è sincronizzata, la sensibilità della pelle è aumentata in entrambi (pronti a godere del contatto fisico), il seno materno è pronto per l'allattamento e acquisisce alcune competenze della placenta. Tutto si prepara, tutto porta ad un continuum nel dopo nascita: la relazione biologica è il continuum della simbiosi endogena, vero e proprio scudo protettivo per entrambi. La simbiosi endogena, è ovvio, va protetta e promossa, ma qualora questo non sia stato possibile, può essere recuperata. Tatuiamocelo in fronte. E nel cuore. omissis 1. Guarire le emozioni Nel capitolo dedicato al Tempo Zero, abbiamo visto l'importanza di concederci una pausa da tutto, un momento lungo attimi o mesi in cui l'unica cosa sensata da fare è stare con quello che c'è, con il dolore. Vivere un parto traumatico può essere più simile all'esperienza di essere un bambino, piuttosto che avere un bambino. Nessuno sembra rendersi conto come il trauma da parto sia reale e in grado di suscitare, nella donna, sensazioni di debolezza, incapacità, vulnerabilità, paura e fragilità – esattamente come un neonato lasciato solo la notte. Diciamolo forte e chiaro: troppo spesso le cicatrici emozionali guariscono molto più lentamente di quelle fisiche. Ognuna di noi è diversa, partorisce in modo diverso ed elabora in modo diverso. Ognuna di noi guarisce con modalità e tempi del tutto personali, chi in pochi momenti, chi in anni. L'elaborazione del parto può essere un percorso mite e leggero, può essere commovente ed intenso, ma può essere anche duro e doloroso. Comunque esso sia, nella nostra società l'elaborazione del dolore (in generale, ma ancor più relativa al parto) è del tutto scoraggiata. Non per niente siamo una società fast food: fare tutto, fare velocemente, fare fare fare. Ancora una volta ti incoraggio invece a fermarti e ad assaporare tutte le sfumature delle tue emozioni: ecco la base per iniziare il cammino verso la guarigione emotiva. Le emozioni sono una parte vitale di quella che potremmo definire la nostra guida interna. Sono ciò che ci fa sentire vivi, la prova del fatto che il nostro parto, per quanto traumatico sia stato, non ci ha uccise: siamo sopravvissute, siamo vive. Sono come una bussola; ci guidano verso i nostri sogni e bisogni, soprattutto quelli non colmati, che stanno ancora aspettando di essere soddisfatti. Guarda il tuo bambino e accoglilo come tuo grande maestro. Sarà così per tutta la tua vita di genitore, e vale la pena iniziare fin da subito: i bambini hanno l'innata capacità di entrare in immediato contatto con le loro emozioni e istantaneamente di lasciarle andare. Quando si fanno male, si fermano e piangono. Poco dopo, sono lì a giocare felicemente di nuovo. Tutte le emozioni, positive o negative, che i bambini provano e manifestano andrebbero contenute e mai soppresse o scoraggiate – non vogliamo trasformarli in...noi, vero? ☺ Esattamente come abbiamo parlato di rilascio muscolare, eccoci al rilascio emozionale. O, ancora meglio, di incisione e drenaggio emozionali, come vengono chiamate da Christiane Northrup. Sono sicura che se hai avuto un cesareo, ma anche un'episiotomia o una lacerazione vaginale, converrai con me sulla spietata ironia di questa definizione, ma anche sulla sua assoluta veridicità. Trovo sia calzante. Incidere quella densa massa di emozioni, lasciandole drenare via, è un processo di guarigione naturale e sicuro. Nell'estate del 2011, ho avuto la fortuna di fare un viaggio in Nuova Zelanda, dove sono potuta venire a contatto con la cultura maori. I maori hanno fatto di alcuni simboli una parte molto importante della loro identità, grazie ai quali poterono tramandare alle future discendenze le conoscenze, i miti e gli avvenimenti storici. Quando indossato o tatuato, un simbolo diventa parte dello spirito di chi lo porta, assumendo un ruolo sacro di legame. Il simbolo maori che mi sono tatuata nel cuore e che mi ha accompagnata nel mio percorso di guarigione dopo il parto si chiama koru, una forma circolare di movimento perpetuo basata sulla stilizzazione della neonata foglia di felce argentata (pianta simbolo della Nuova Zelanda) che si sta a poco a poco spiegando. Il koru simboleggia la nuova vita, la creazione, la crescita, la forza e la pace. È il simbolo del nuovo inizio, del nuovo cerchio che si apre. Ecco, sono convinta che ognuna di noi abbia un koru nella pancia, con il quale urge entrare in contatto. Un koru inteso come le risorse per nuovi inizi e nuove cose, per una nuova gravidanza. Sì, mi hai sentito bene: una nuova gravidanza – non di un nuovo bambino, ma della nuova te stessa. Ognuna di noi ha la capacità e le risorse per farlo. Christiane Northrup ci fa notare come le scarpette di rubino di Dorothy siano sempre state ai suoi piedi, in grado di riportarla a casa nel Kansas fin dalla prima scena in technicolor. Semplicemente, le non lo sapeva. Credeva, anzi, di dover intraprendere quel lungo e tortuoso viaggio fino ad Oz e di aver bisogno del mago. Esattamente come Dorothy, abbiamo il potere di lasciar andare il passato con i relativi pensieri ed emozioni, scegliendo la via della guarigione, che porta dritta dritta al Kansas del benessere. ☺ Nella cultura cinese, le emozioni come la rabbia sono viste “semplicemente” come energia. Da questo punto di vista, la rabbia diventa un potente alleato: è sempre correlata con qualcosa di cui abbiamo bisogno per raggiungere il nostro centro, il nostro koru, noi stesse. Niente, in realtà, può farci arrabbiare – non i nostri figli, non i nostri compagni, non le nostre madri, né le nostre esperienze. La nostra rabbia è solo nostra. E sta lì, impetuosa, a raccontarci qualcosa che abbiamo bisogno di sentire: ovvero, che dobbiamo aggiustare qualcosina nelle nostre vite. Perciò, la reazione più saggia che possiamo avere è quella di accettarla così com'è e lasciarla fare. Magari uscendo e muovendoci. Respirando. Urlando. La psicoterapeuta Emily Gut identifica, nel suo modello teorico, come depressione quella reazione (a determinate circostanze) fatta di abbattimento e ritiro dalle nostre attività, impegni e interessi. La “novità” sta nel fatto che, non opponendo resistenza, possiamo gestire produttivamente questo stato. La Gut parla di depressione produttiva quando, al termine di di una fase depressiva, è visibile un processo di apprendimento, di maturazione, di trasformazione.