TITOLO Le mani sulla città REGIA Francesco Rosi INTERPRETI Rod
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TITOLO Le mani sulla città REGIA Francesco Rosi INTERPRETI Rod
Le mani sulla città Francesco Rosi Rod Steiger, Salvo Randone, Guido Alberti, Angelo D’Alessandro, Carlo Fermariello, Marcello Cannavale, Alberto Canocchia Drammatico GENERE 110 min. – B/N DURATA Italia – 1963 – Premio Mostra Cinematografica di Venezia PRODUZIONE 1963 In un degradato quartiere di Napoli, un palazzo crolla a causa dei lavori di demolizione ad esso adiacenti, causando morti e feriti. Responsabile del disastro, l'imprenditore edile Edoardo Nottola viene coinvolto in un'inchiesta da cui esce senza ripercussioni giudiziarie, ma inevitabilmente compromesso agli occhi del partito di Destra per cui è consigliere comunale. I compagni lo abbandonano e il suo nome alle elezioni viene ritirato, ma Nottola, inflessibile e protervo, attinge ad ogni risorsa del suo potere e, spalleggiato da alcuni consiglieri corrotti, diviene il primo candidato nel gruppo di Centro. Solo l'opposizione di Sinistra sembra decisa a contrastare la prepotente ascesa del costruttore: a guidarla è il consigliere De Vita che, dopo accurate indagini, porta alla luce il coinvolgimento di Nottola e dei suoi seguaci nella conquista di un appalto su cui poggiano cospicui interessi economici e politici. Nel frattempo, il quartiere afflitto dal recente disastro subisce un'ordinanza di sfratto che provoca la sommossa dei suoi occupanti, sfociando in duri scontri con le forze di polizia. Nonostante il malcontento popolare, i disordini dovuti al rovesciamento della maggioranza e la tenace resistenza dei suoi oppositori, Nottola otterrà comunque la carica di assessore all'edilizia, provocando profonde fratture anche nella Destra. Questa, con i suoi rappresentanti più compromessi, tornerà infine ad appoggiarlo per il proprio tornaconto TITOLO REGIA INTERPRETI «Non c’è bisogno. La città va in là? E questa è zona agricola! E quanto la puoi pagare oggi… trecento, cinquecento, mille lire a metroquadrato? Ma domani, questa terra, questo stesso metroquadrato, ne può valere sessanta… settantamila… e pure di più! Tutto dipende da voi! Il cinquemila percento di profitto! Eccolo là! Quello è l’oro oggi! E chi te lo dà: il commercio, l’industria, l'avvenire industriale del mezzogiorno?! Sì!… Investi i tuoi soldi in una fabbrica: sindacati, rivendicazioni, scioperi, cassa malattia!… Ti fanno venire l’infarto co’ sti’ cose! E invece, niente affanni e niente preoccupazioni. Tutto guadagno e nessun rischio. Noi dobbiamo fare solo in modo che il Comune porti qua le strade, le fogne, l’acqua, il gas, la luce e il telefono». Napoli. Italia. In un quartiere popolare, il palazzo in vico S. Andrea crolla facendo una vittima ed un ferito grave. L’episodio avviene a pochi mesi dalle elezioni comunali e per l’imprenditore edile Eduardo Nottola, responsabile dell’azienda costruttrice e assessore nella giunta di centrodestra, cominciano i problemi. L’opposizione, grazie all’interessamento del consigliere De Vita, ottiene che sia istituita una commissione d’inchiesta per valutarne le responsabilità, ma senza che questa approdi ad una valutazione politica in merito al conflitto d’interessi. La maggioranza chiede a Nottola di non ricandidarsi alle elezioni imminenti per non provocare danni al partito. Nottola decide allora di far costituire il figlio come responsabile dell’accaduto, in quanto ingegnere dell’azienda, e di schierarsi con un partito di centro litigando con i colleghi di destra. Una volta ottenuta di nuovo la maggioranza al Comune però, per interesse di tutti, le cose tornano come prima e Edoardo Nottola può continuare a costruire palazzi approfittando della sua posizione. Nel panorama italiano Francesco Rosi è una di quei registi che si è sempre saputo differenziare per una produzione improntata sui film - denuncia, spesso ascrivibili alla più specifica schiera di pellicole docu-fiction memori della lezione neorealista. Con questo film, però, sempre attuale nelle sue tematiche viste le costanti caratteristiche del sistema politico italiano, Rosi contribuisce a raccontare soprattutto uno spirito opportunistico ed antimoralista che inficia la politica a tutti i livelli e gradi. Sulla tragedia di un popolo, come quello napoletano degli anni sessanta, ignorante e soffocato da esigenze concrete di sopravvivenza, un gruppo di uomini costruisce le proprie fortune e litiga per la distribuzione di un potere già acquisito. Senza mancare un colpo, Rosi aggredisce il pubblico fino alle ultime immagini, sulle quali fa scrivere un insolito monito per una pellicola “I personaggi e i fatti sono immaginari, ma autentica è la realtà che li produce”. La scena del crollo del palazzo invece, introdotta da pochi fotogrammi di vita quotidiana popolare sulla quale si abbatte la tragedia, è una delle realizzazioni meglio riuscite nel nostro cinema, un’ottima prova di ricostruzione, riuscita soprattutto grazie al montaggio di Mario Serandei. La sua forza non sembra inferiore a quella di un treno che entra in sala. Sceneggiato dal regista in collaborazione con Raffaele La Capria, entrambi autori anche del soggetto, e con Enzo Forcella ed Enzo Provenzale, ha il suo punto di forza in dialoghi mai banali e scambi serrati di battute, accuse, interessi, che aiutano il film a mostrare un linguaggio nuovo rispetto alla normale produzione di pellicole-inchiesta. Il destino di una città è nelle mani del popolo, vorrebbe gridare il film, ma la vita, così come il finale scelto da Rosi, dimostrano che è l’interesse di partito (così come quello personale di potenti e spregiudicati speculatori) ad avere invece in mano il destino di un popolo. Critica al potere politico ed alle falde dl sistema democratico italiano che, quando raggiunge una maggioranza contrattata sulla base degli interessi economici, perde di vista la sua natura per trasformarsi in un’oligarchia che insabbia legalità e morale politica. Nessuno escluso da responsabilità oggettive sullo scempio partenopeo: maggioranza ed opposizione, tutte e due assieme nella corsa elettorale, popolo e chiesa - la benedizione dell’arcivescovo ai nuovi lavori di Nottola. Fotografia di Gianni Di Venanzio e musiche del grande Piero Piccioni; la pellicola ottenne giustamente il Leone d’Oro a Venezia, suscitando ovviamente polemiche nel mondo politico. Critica: Le mani sulla città affronta il tema della speculazione edilizia che, a cavallo degli anni Sessanta, ha determinato la devastante e disordinata espansione urbana della città di Napoli, svelando le collusioni fra potere politico e interesse privato che l'hanno resa possibile e hanno conferito una facciata legale ed onesta ad un'operazione di grave malcostume e corruzione. La denuncia del film è circostanziata e di vasta portata, appuntandosi su una classe politica moralmente impresentabile, disposta ad ogni intrallazzo e compromesso pur di conservare il potere, arricchita da traffici speculativi sulla vendita dei terreni fabbricabili che ben simboleggiano la vocazione parassitaria e improduttiva della borghesia meridionale, incline ad un'oratoria spudoratamente furbesca e demagogica che ammanta la propria spregiudicatezza di benefica filantropia. L'epilogo del film è amaramente pessimista, con la cerimonia inaugurale del nuovo quartiere alla presenza delle autorità governative e religiose, quasi a voler suggerire l'amara convinzione dell'immodificabilità di una società irrecuperabile ai valori di legalità e giustizia. Poco prima, tuttavia, il regista ha voluto disseminare qualche germe di speranza con il discorso dell'esponente dell'opposizione di sinistra e con la dissociazione della componente più sana e avveduta del centro, espressione entrambi di una politica onesta che non si piega alla logica del malaffare e del potere fine a se stesso.(…) Rosi ha costruito un robusto e vigoroso film di impegno politico e civile, in sintonia con la sua concezione di un Cinema parte attiva nella lotta per la trasformazione del paese e con una più generale ripresa dell'interesse per i temi sociali da parte di registi e intellettuali nel contesto dei cambiamenti degli equilibri politici con i primi governi di centro-sinistra all'inizio degli anni Sessanta.Il regista non cerca un'impossibile obiettività e distanza nei confronti della materia trattata, ma si schiera con convinzione e nettezza per una tesi esplicitamente di parte ed è proprio questo a conferire alla sua intransigente requisitoria una straordinaria forza ed incisività. La scelta stilistica privilegiata è quella del film-inchiesta, ai confini con il documentarismo (cui spesso si ricorre apertamente, come nella sequenza relativa alla campagna elettorale) e sorretto da un piglio giornalistico incalzante ed aggressivo, anche se poi la narrazione sa concedersi splendidi affondi, quasi da tragedia scespiriana, nella descrizione dei giochi di potere e negli accordi di sottobanco suggellati da abbracci al vetriolo. La fotografia propone un bianconero ricco di contrasti chiaroscurali (di grande efficacia espressiva la sequenza di Nottola che riflette solitario nel suo studio avvolto dal buio e circondato da topografie e miniature inondate dalla luce artificiale) e una dominante sul grigio sporco negli esterni dei vicoli che ben trasmette il senso del degrado, mentre i campi ravvicinati, che illustrano un film prevalentemente di dialoghi, si allargano nella prepotente carrellata aerea sui quartieri devastati dalla speculazione edilizia che apre e chiude la pellicola, splendida intuizione visiva che vale con la sua imperiosa eloquenza mille discorsi. Pacioli, ‘Cinema’.net L’anno scorso, dopo Cannes, Francesco Rosi ebbe a dichiarare di non aver alcuna fiducia nei festival. «Vorrei - aggiunse - che i miei film non venissero mai accettati o. È dunque un ben strano destino, il suo, di andare, con ogni film fatto dopo il 1957, a tutti i festival, e di non tornare mai a mani vuote. Nel ‘58, a Venezia, divise con Malle il «Leone d’oro» per La sfida; nel ‘60, a San Sebastiano, vinse con I magliari; nel ‘62, a Berlino, con Salvatore Giuliano. E quest’anno, a Venezia, pone una serissima candidatura al massimo premio con Le mani sulla città. Un film che sopravanza Salvatore Giuliano, e pone Rosi fra i maggiori talenti cinematografici della nostra generazione di mezzo. Benché non ci sia chiaro del tutto cosa Rosi potrà darci in futuro. Nel suo fondo si combattono due forze, in certo modo ancora oscure: a seconda di quale maturerà meglio avremo forse o un moralista schierato su precise posizioni ideologiche, tali da indurlo a un cinema di ispirazione politica in cui l’impegno della denuncia rischierà di forzare il suo ingegno verso una poetica etico-civile, oppure il campione di un cinema intellettualistico, per il quale la problematica morale sia la risorsa spettacolarmente più efficace fornita da una concezione tutta razionalistica dell’arte. Le mani sulla città è un film sugli speculatori edilizi, a Napoli, oggi, e sulle collusionifra l’industria e la politicia (con un graffio, sul finire, alla Chiesa). L’opera è riuscita perché, in un argormento che ottiene quotidiane conferme, le due spinte che muovono Rosi hanno coinciso: la descrizione di quei soprusi ci interessa, sin quasi a chiudere in una morsa la nostra attenzione logica, perché vi si specchia una grar macchia della vita pubblica italiana contemporanea. Ma se domani non fosse così (e dopo la camorra dei mercati ortofrutticoli, gli imbroglioni italiani in Germania, i mafiosi siciliani, i gangsters delle aree fabbricabili, potrà darsi che Rosi senta il bisogno di variare la sua tematica), c’è il pericolo del manierismo: di una, perenne requisitoria o di una assunzione di tutti i valori emotivi nell’incontro e nello scontro delle intelligenze. Non ipotechiamo il futuro: si è detto che in Le mani sulla città le corde di Rosi suonano all’unisono, tese parallelamente a mettere alla gogna politicanti e approfittatori e a seguire e inchiodare un processo mentale reso drammatico dal conflitto fra due ideeguida della storia: la chiarezza dell’onestà e le ombre del "particolare". Non c’è bisogn di scomodare Machiavelli e Guicciardini per ricordare come il fossato fra morale e politica, fra coscienza e ragion d Stato, possa essere colmato o approfondito: Rosi sa bene che questo tema è, e sarà, eterno. Ma quando egli afferma, come ha ripetuto alla conferenza-stampa di stamane, che la speculazione edilizia è stata per lui un pretesto d’attualità per raccontare un dibattito di idee e di moralità, rinasce appunto il dubbio che al regista, come già si vide in Salvatore Giuliano l’individuazione delle componenti psicologiche, morali e razionali dei caratteri, e il loro legarsi e scontrarsi, stia più a cuore del loro contenuto. Nella storia del cinema sono stati numerosi casi come questi. Senza risalire ai registi americani degli anni Trenta, che denunciavano le collusioni fra politica e malavita senza riuscire a nascondere la loro simpatia per il fascino intellettuale suscitato dall’urto di quelle forze, basterà ricordare film come Tempesta a Washington e Il processo ci Verona, i cui registi ci hanno offerto buoni «spaccati» sulla drammaticità della dialettica delle idee, prima ancora che sull’ambiente storico preso di mira. Ma Le mani sulla città, ripetiamo, è inscindibile: sta qui la sua forza. Nel suo protagonista, l’impresario edile Nottola che vuol divenire assessore comunale, il problema morale si presenta in termini razionali: soltanto in quanto egli può avere in mano il potere politico può sperare di inserire se stesso in un sistema corrotto, cioè identificare il male con l’errore. Al di là di una sin troppo facile denuncia politica, contro la classe dirigente italiana appoggiata al centro e di destra, il film ha un grande rilievo appunto per la tragica statura del protagonista, il quale difende se stesso con tutte le armi, il denaro, i ceri alla Madonna, il sacrificio del figlio, il tradimento degli amici di partito, e finalmente trionfa perché la corruzione e la debolezza degli altri gli hanno spianato la strada. Di Le mani sulla città si parlerà molto, in Italia, perché è un film d’opinione socialista, con una mano tesa verso la sinistra democristiana, quindi di moda, e che tocca interessi molto precisi (l’associazione costruttori di Roma ha già elevato proteste); ma se qualcuno vorrà fare lo sforzo di guardare soprattutto alle sue qualità cinematografiche, dovrà apprezzare il vigore e l’essenzialità con cui Rosi imposta i caratteri e le situazioni, li giustappone .a una Napoli da una parte affollata di masse lacere e questuanti, dall’altra chiusa nei breve cerchio di un club mondano o di una vecchia casa signorile. Nel mezzo, isolato fra i suoi mobili razionali e luci fredde, sta Nottola: non si sa nulla della sua vita privata, basta il suo accanimento, l’astuzia, la spietatezza, e il suo terrore di pensarsi sconfitto, a farlo giganteggiare. Ciò che lo arrovella, si è detto, è il desiderio, anzi il bisogno di divenire, da consigliere, assessore. Le elezioni comunali sono imminenti: se riuscirà, potrà controllare tutti gli appalti relativi a un appezzamento di terreno, comprato in combutta con altri membri del suo partito, sul quale vuole costruire un intero quartiere (il terreno, se la giunta sarà sua complice, darà un profitto del cinquemila per cento). Mentre prepara questo piano, crolla la parete d’uno stabile attiguo a quello che la sua impresa, diretta dal figlio, sta costruendo in un vicolo. Ci sono morti e feriti, e l’opposizione di sinistra chiede, in Comune, un’inchiesta, che accerta subito le collusioni fra costruttori e maggioranza. Per evitare di restare inattivo, Nottola riesce a ottenere che tutte le case del vicolo vengano dichiarate pericolanti; sfrattata lapopolazione, egli continua a costruire e ad arricchirsi. Soltanto quando, crescendo le pressioni dell’opposizione, lo scandalo minaccia di indebolire la maggioranza, il partito di destra che ha in mano il governo locale chiede a Nottola, se vuol continuare a fare il costruttore, di non presentarsi alle elezioni. Indifferente al ricatto, egli induce il figlio a costituirsi, si trasferisce nel partito di centro, e finalmente riesce a essere eletto. Il nuovo sindaco, «nell’interesse di tutti», fa sì, che l’assessore Nottola e la destra dimentichino i rancori personali: una nuova maggioranza si è così formata per continuare i vecchi intrallazzi. Ma in consiglio comunale la sinistra non è più sola nel denunciare il pateracchio: ora anche l’ala sinistra del partito di centro accusa il Nottola. Invano, ché ormai l’assessore e i suoi compari hanno via libera per la costruzione del nuovo quartiere: la benedizione della prima pietra verrà a darla personalmente l’arcivescovo. È la prima volta che un film è buono nonostante una così attuale - e ovviamente tendenziosa - polemica politica ("I personaggi e i fatti sono immaginari - ci avverte una didascalia ma autentica è la realtà sociale e ambientale che li produce"). Lo si deve alla penetrazione realistica con cui lo stile critico di Rosi dichiara la sua passione morale e la sua lucidità razionale, alla fotografia di Di Venanzo, alla robusta musica di Piccioni, all’ottima recitazione di Rod Steiger, che ancora una volta dà fortissimo risalto alla livida figura di un uomo d’affari che si comporta da bandito, e di Salvo Randone incisivo come sempre, e di Guido Alberti, ormai un vero attore. Nel cast non ci sono donne (l’unica che ha una particina, è anzi una grave caduta di gusto, un soprassalto di demagogia), e ciò riafferma che il soggetto di Rosi e La Capria (alla sceneggiatura hanno collaborato anche Enzo Provenzale ed Enzo Forcella) è tutto teso a significare la drammaticità insita nella sua forte dialettica logica e morale. Essa ha trovato in Rosi un regista il quale con inquadrature sicure e un secco montaggio che assicura un serrato dinamismo narrativo la esprime prevalentemente nei dialoghi fra gli uomini politici e nelle agitate riunioni del consiglio comunale, con téte à téte che sono sfide, ricatti, e compromessi dettati dall’opportunismo più abietto. Ma anche le scene di popolo sono eccellenti: da quella del crollo a quella della zuffa, nel vicolo, fra napoletani e polizia. Insomma, il «Leone d’oro»di Venezia, che già aveva cominciato a ruggire, oggi scuote le sbarre. Giovanni Grazzini, ‘Il Corriere della Sera’, 6 settembre 1963 (a cura di Enzo Piersigilli)