Ricordo di Piero Sraffa. In: Mio padre e altri amici / Letizia Fortini

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Ricordo di Piero Sraffa. In: Mio padre e altri amici / Letizia Fortini
Ricordo di Piero Sraffa
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L'arrivo di Piero Sraffa era per mio padre una gioia
che non riusciva a trattenere; ma noi sapevamo che
neanche questa volta l'avremmo visto.
Mia madre spiegava a noi bambini che il misterioso
grande amico di papà veniva dall'estero, non aveva
tempo da perdere, e soprttutto temeva il ruolo di ami­
co di casa. Perciò i due amici si incontravano fuori.
Un giorno accettò di venire a colazione, mio padre gli
aveva assicurato che non ci sarebbe stato nessun altro
commensale. Arrivò, sbirciò la tavola apparecchiata,
contò i posti, gli parvero troppi e fece dietrofront pri­
ma ancora che mia madre avesse il tempo di andargli
incontro, forse non ricordava che quattro erano i figli
del suo amico oltre a una moglie. Fra loro non accen­
narono mai a questo episodio, ma ripresero a incon­
trarsi fuori. Se mio padre, contrariamente alle sue abi­
tudini, usciva dopo cena, noi capivamo che era arriva­
to Piero Sraffa. Si vedevano anche a Parigi, dove mio
padre andava spesso per lavoro, o in Inghilterra. An­
che in Norvegia una volta, quando Sraffa ebbe un in-
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cidente alpinistico e lo fece chiamare dall'ospedale di
lassù.
Tutto questo mi piaceva e me lo rendeva simpatico,
anzi speravo proprio di non vederlo mai per una specie
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di segreta solidarietà.
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E invece non fu così.
Dopo la guerra, non mi ricordo di averlo incontrato
prima, ma può anche essere, c'è stato un periodo che
veniva tutte le sere. Era quando lavorava al suo libro
«La produzione di merci per mezzo di merci». Allog­
giava all'Hotel Milan, noi abitavamo in via Bigli, e
poi quando ci siamo trasferiti in via Manzoni, al
Continental, lì, quasi di fronte, all'angolo con via
Andegari, per essere ancora più vicino.
A noi ragazzi non concedeva che un approccio timido
e fugace, si capiva che aveva fretta di alzarsi da tavola
e chiudersi nello studio con papà. Arrivava con una
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cartella rigonfia, di pelle nera, dentro c'era il libro che
stava scrivendo; mio padre ne ha accennato più di una
volta con una strana espressione negli occhi mista di
orgoglio, e insieme di rammarico, nel vedere il mano­
scritto assottigliarsi via via. Soleva dire che si sarebbe
ridotto a poche pagine da infilare sbrigativamente in
tasca, e citava l'immaginario tema del suo amico alle
elementari. Titolo: «A un vecchietto per la strada cad­
de il bastone, che cosa fece Pierino?» Svolgimento:
Lo raccolse.
La prima sera, nel silenzio della casa, la voce di Piero
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prorompeva a tratti acuta e stridula, quella di mio pa­
dre gli faceva eco, altrettanto sonora, ma roca dalla
rabbia. Che litigassero era eccitante. Mi alzai dal letto
e in punta dei piedi passai davanti alla porta a vetri
dello studio per andare a sentire cosa ne pensasse mia
madre. Uno sguardo rapido nello studio tutto illumi­
nato: due figure scure, dei fogli in mano, si fronteggia­
vano.
- Che cosa succede?- Temevo per la loro amicizia.
Mia madre, appoggiato il libro che stava leggendo
aperto sul lenzuolo:
-Discutono. - Rispose tranquillamente, ma sotto sot­
to non riusciva a nascondere una sorta di malizia in
fondo agli occhi.
- Ne avranno per molto?- Tutta la notte. V ai a letto, dormi. Già, con quegli scoppi di voce!
E invece mi abituai, le sere successive ho dormito be­
nissimo. Fu allora che li soprannominai Gian Burra­
sca e Pierino Porcospinoj era anche un modo per im­
possessarmi di loro: avrei voluto anch'io un'amicizia
così.
Un giorno a Cambridge sono andata a ringraziarlo per
avere patrocinato la mia ammissione al Newnham
College.
È stato un grande sforzo per me,
mi consola­
vo pensando che il suo, nel ricevermi, non era da
meno. Uno scontro di timidezze, e poi rispettavo il suo
desiderio di solitudine, ero riluttante a imporgli la mia
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presenza.
abbiamo avuto più notizie dirette.
- Non potrei scrivere un biglietto?- Protestavo nella
Il ricordo che ho di Sraffa è come figlia di Raffaele
cornetta del telefono.
Mattioli di cui Sraffa è stato il più caro amico. Non
- No, vallo a trovare, - ordinò mio padre - gli farà
posso quindi che scriverne in modo famigliare, per
piacere. -
quanto questa parola poco si addica al personaggio.
E sorprendentemente negli occhi di Piero ho visto
Con mio padre riusciva ad aprire uno spiraglio di con­
un'espressione d'affetto: ho sentito come infoltire le
fidenza, ma era pur sempre un rapporto affettivo in
sopracciglia, devo avere anche inclinato la spalla de­
quanto intellettuale.
stra come era vizio di mio padre.
Lo ricordo da noi in campagna, seduto attorno al gran­
de tavolo della sala da pranzo, o in poltrona, le mani a
coppa sulla testa, la voce stridente di quando si acca­
lorava, più rilassato, quasi sereno, contento di essere
tra amici, aveva portato con sé degli economisti di
Cambridge con le mogli, ho visto dai giornali proprio
in questi giorni che alcuni di loro sono diventati Lord.
Eravamo felici quell'estate a Nozzole: mia madre per­
ché papà, grazie a Piero, si era preso qualche giorno di
vacanza e io perché nessuno badava troppo a me.
Nell'occasione delle mie nozze mi regalò un bel filo di
perle appartenuto a sua madre, mio padre ne fu com­
mosso e spiegò che era un segno di grande affetto, ma
io lo sapevo da sempre che Piero gli voleva bene.
Quando mio padre si ammalò venne a Milano per una
settimana e tutti i giorni stavano insieme dalle tre alle
otto. Prima di andarsene annotava sempre nell'agen­
da: ore 3 Raff, come se avesse altri impegni. Il mese
dopo mio padre morì e con lui Piero perché non ne
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