A settant`anni dalle leggi razziali: storia

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A settant`anni dalle leggi razziali: storia
PAGINE DI STORIA
A settant’anni dalle leggi
razziali: storia, storiografia,
memoria
di Valerio De Cesaris
Il settantesimo anniversario dalla promulgazione delle leggi razziali ha suscitato numerosi convegni e qualche nuova pubblicazione scientifica 1. Ricordare gli eventi del 1938 non ha il senso di una
mera commemorazione di circostanza, peraltro scarsamente partecipata a livello popolare. Il senso profondo del «fare memoria»
attiene ai processi di costruzione di una memoria collettiva, condivisa dal maggior numero possibile di membri di un gruppo sociale – in questo caso, della popolazione italiana.
Laddove la memoria individuale e il ricordo personale vengono meno – per la distanza che, con il passare degli anni, ci separa
sempre più dagli eventi del passato – assume un’importanza primaria la memoria collettiva, che è una sorta di accordo tra appartenenti a una stessa società, relativo al significato che il passato assume in relazione al presente 2.
Se in Italia, come in Germania e in altri paesi europei, si è progressivamente consolidata nel secondo Novecento la convinzione
che l’antisemitismo sia deprecabile e inammissibile, ciò è accaduto grazie alla riflessione sulla Shoah e alla narrazione di quegli anni, attraverso le memorie dei sopravvissuti, le testimonianze e le
ricostruzioni storiografiche. La Shoah è entrata nella memoria collettiva europea e ha suscitato un ripensamento radicale delle società in cui gli ebrei erano stati discriminati e perseguitati. Ne è
nato un ripudio dell’antisemitismo e del razzismo, che, per alcuni
versi, era stato una delle matrici culturali dell’Europa moderna. Si
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è trattato quindi di un cambiamento epocale nelle società europee.
Ricordare di anno in anno la persecuzione degli ebrei e le leggi razziali fasciste, che furono l’anticamera della deportazione e
dello sterminio, aiuta la creazione di una coscienza comune depurata da ogni forma di odio antisemita o razziale. Ha inoltre il senso di opporre, anche nel presente, una resistenza morale a qualsiasi discriminazione contro chi è considerato «altro» per religione, etnia o cultura.
1. Storia
Com’è noto, il regime fascista adottò la legislazione razziale
senza incontrare particolari resistenze nella società italiana, piegata da numerosi anni di dittatura. Fatta eccezione per il re – peraltro poco incisivo in tali questioni –, l’unica voce che in Italia manteneva la sua autonomia era quella del Papa. Alla vigilia dei provvedimenti del 17 novembre, Pio XI si rivolse formalmente a Mussolini e a Vittorio Emanuele III per chiedere di rivedere il testo
del decreto legge in preparazione 3. Si appellò al vulnus che le norme sui matrimoni misti avrebbero inferto al Concordato. Nel corso del 1938, il Papa aveva più volte criticato la politica razziale del
nazismo e quella in fieri del fascismo. La «questione razziale» era
al centro delle polemiche tra Chiesa e fascismo, assieme alla contesa sull’associazionismo giovanile e sull’Azione Cattolica. «L’Osservatore Romano» più volte attaccò le teorie razziste, suscitando
le ire dei fascisti. In un celebre discorso, il Papa definì l’antisemitismo «un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo
avere nulla a che fare». «L’antisemitismo è inammissibile – aggiunse –. Spiritualmente siamo tutti semiti» 4.
Mussolini non volle concedere nulla e il re, che aveva assicurato al Papa il proprio interessamento, non intervenne nella questione. Le leggi razziali furono promulgate nonostante l’opposizione dell’anziano pontefice. Singolarmente, i primi articoli dei
Provvedimenti per la difesa della razza italiana non sono dedicati
alla definizione di ebreo o di ebraismo, come era logico aspettarsi, ma affrontano proprio la questione dei matrimoni misti: è lo
schiaffo che Mussolini volle dare a Pio XI, chiudendo la querelle
sulla «questione razziale» con un atto di forza.
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Nei mesi precedenti la promulgazione delle leggi razziali
un’intensa propaganda antisemita, condotta in particolare sulla
stampa di regime, ne aveva preparato il terreno. Il 13 luglio il cosiddetto Manifesto degli scienziati razzisti, predisposto «sotto l’egida del Ministero della Cultura popolare», forniva al regime gli
elementi storico-antropologici su cui fondare una normativa razzista. Si trattava evidentemente di un testo privo di qualsiasi scientificità, teso a ricostruire una linearità inesistente nella storia del
popolo italiano, per stabilire, al punto 4, che «la popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana», e decretare, al punto 9, che «gli ebrei non appartengono alla razza italiana» 5.
Rispondendo a questa impostazione pseudoscientifica, i Provvedimenti per la difesa della razza italiana, promulgati con il regio
decreto legge del 17 novembre 1938, isolavano gli ebrei dal resto
della popolazione italiana, ponendoli in una condizione di estrema debolezza. Miravano a renderli estranei alla nazione. Per questo motivo possono essere considerati l’anticamera dello sterminio, perché, come insegnano anche altre esperienze storiche, l’isolamento e la discriminazione sono il primo passo verso l’eliminazione fisica.
I divieti imposti agli ebrei erano numerosi. Accanto ai più noti, come l’espulsione degli studenti dalle scuole pubbliche e l’interdizione all’insegnamento ai docenti ebrei, o l’esclusione dalle
forze armate e dalle pubbliche amministrazioni dei «non ariani»,
ve n’erano molti che possono apparire minori, ma che segnavano
pesantemente la vita quotidiana. Ad esempio il divieto di possedere la radio, la cancellazione dei cognomi ebraici dagli elenchi telefonici, l’interdizione dalle biblioteche, la proibizione di dedicarsi ad attività teatrali e cinematografiche, solo per citarne alcuni.
In Italia così come in larga parte dell’Europa, il passaggio dalla «persecuzione dei diritti» alla «persecuzione delle vite» si ebbe
negli anni della guerra, in cui gli ebrei subirono la deportazione e
lo sterminio ad opera dei nazisti.
2. Storiografia
La prima opera storiografica sulle leggi razziali italiane è il volume di Eucardio Momigliano, Storia tragica e farsesca del razzi-
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smo fascista, apparsa a Milano nel 1946 6. In questo testo la responsabilità della persecuzione è attribuita esclusivamente ai nazisti e l’antisemitismo italiano è minimizzato. Si tratta di una lettura degli eventi in qualche modo consolatoria per gli ebrei italiani, perché attenuava il senso del tradimento subito con le leggi
razziali fasciste. Deresponsabilizzare il governo italiano aiutava in
un certo senso a continuare a vivere in Italia, integrandosi nuovamente – e nel più breve tempo possibile – nel tessuto sociale del
Paese. Il trauma della marginalizzazione e della persecuzione andava quasi rimosso, dimenticato come fosse stato solo «un brutto
sogno», per voltare pagina chiudendo definitivamente quella che
era considerata una tragica parentesi nella storia nazionale.
L’opera storiografica che in maniera più scientifica e duratura
ha dato avvio alla riflessione sulle leggi razziali in Italia è il celebre
volume di Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, del 1961 7. Lo storico reatino, considerato il massimo esperto di fascismo, ha più volte rielaborato il suo testo, che ha avuto
numerose edizioni. Le ricerche di De Felice hanno portato alla luce una vasta documentazione, utilizzata e integrata successivamente da altri autori.
In anni più recenti, gli studi di maggior spessore sulle leggi
razziali si devono a Michele Sarfatti, direttore della Fondazione
Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), autore di diverse opere, tra le quali vanno segnalati i volumi Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi del 1938,
del 1994, e Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, del 2000 8.
Nel 2000 è apparso anche il volume curato da Valerio Di Porto, Le leggi della vergogna. Norme contro gli ebrei in Italia e in Germania, che sviluppa una comparazione tra i due Paesi 9.
Del 2003 è la pubblicazione di Enzo Collotti, Il fascismo e gli
ebrei. Le leggi razziali in Italia, che ha il merito di condensare in
un volume agile e ben scritto una materia complessa, rendendo
fruibili a un pubblico vasto le acquisizioni storiografiche su questi
temi 10.
Due volumi sono stati pubblicati in seguito a iniziative della
Camera dei Deputati nel cinquantesimo e nel sessantesimo anniversario delle leggi razziali: La legislazione antiebraica in Italia e in
Europa e La persecuzione degli ebrei durante il fascismo. Le leggi
del 1938 11. Nel cinquantenario sono stati dati alle stampe altri stu-
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di, tra i quali: un numero monografico della «Rassegna mensile di
Israel» dal titolo 1938. Le leggi contro gli ebrei 12; il volume curato
da Ugo Caffaz, Discriminazione e persecuzione degli ebrei nell’Italia fascista 13; l’antologia critico-documentaria di Alberto Cavaglion e Gian Paolo Romagnani, Le interdizioni del duce. A cinquant’anni dalle leggi razziali in Italia (1938-1988) 14. A questi studi vanno aggiunti quelli recenti usciti per il settantesimo dalle leggi razziali, già citati.
Numerose sono le ricostruzioni storiografiche generali sul fascismo in cui è affrontata anche la questione della legislazione razziale, così come molti sono gli studi che trattano delle leggi razziali
in un’ottica parziale: locale, personale, o rispetto a un singolo
aspetto della vita. Non è qui mia intenzione dare conto dettagliatamente di questa vasta bibliografia. Mi limiterò a citare tre importanti nodi storiografici, rispetto ai quali il dibattito è aperto.
Il primo riguarda l’antisemitismo fascista e le sue origini: se
sia un fenomeno indotto dall’alleanza con la Germania di Hitler o
se sia invece un aspetto presente nel fascismo anche prima del ’36.
L’interpretazione per così dire classica, risalente agli studi di Renzo De Felice, propende per la prima ipotesi: il fascismo divenne
antisemita a causa dell’alleanza con il nazismo. Alcuni studiosi
hanno di recente messo in discussione quest’interpretazione,
avanzando un’ipotesi contraria: l’antisemitismo sarebbe stato costitutivo della mentalità di Mussolini e di altri capi del fascismo fin
dai primi anni Venti 15. Il confronto su questi temi è tuttora intenso e talvolta aspro.
Il secondo nodo storiografico, in parte legato al primo, riguarda la cosiddetta «nazionalizzazione parallela» degli ebrei nell’Italia unita. La celebre definizione, com’è noto, si deve ad Arnaldo Momigliano 16, che intendeva sottolineare come nel corso
del Risorgimento gli ebrei italiani avessero acquisito la coscienza
nazionale parallelamente agli altri italiani, in un processo che, dopo l’emancipazione, fu sostanzialmente pacifico e positivo. La riflessione di Momigliano, ripresa ed estremizzata da Gramsci 17, fu
all’origine di una data interpretazione storiografica, per la quale in
Italia, nel secondo Ottocento e nel primo Novecento, si ebbe
un’assenza di antisemitismo 18. Questa tesi, un po’ ottimistica, ebbe una certa fortuna fino a quando, a partire dai secondi anni Settanta, alcuni storici la misero in discussione analizzando le resistenze all’emancipazione e le sopravvivenze dell’antiebraismo nel-
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la cultura italiana anche dopo l’unificazione nazionale 19. Nelle
critiche alla teoria della nazionalizzazione parallela veniva messo
in risalto soprattutto come le leggi razziali del 1938 non fossero
uno strappo inaspettato in una situazione di convivenza felice,
prontamente ricucito nel secondo dopoguerra. Piuttosto, erano
state favorite da un sotterraneo sentimento antiebraico rimasto vivo e operante in ampi settori della popolazione italiana. Le due interpretazioni – quella di una convivenza piena dopo l’emancipazione, con la nazionalizzazione parallela degli italiani e degli ebrei
italiani, e quella di un perdurare dell’antiebraismo che facilitò l’adozione delle leggi razziali nel ’38 – possono essere in qualche
modo stemperate entrambe, in una lettura intermedia degli avvenimenti 20. Certamente però l’antisemitismo fascista dopo le leggi
razziali si richiamò spesso, anche in maniera strumentale, alla tradizione antiebraica del passato, tentando di legittimare le misure
del ’38 inserendole in una tradizione antica di discriminazione.
Il terzo nodo storiografico concerne il «nesso fluttuante» 21
tra antigiudaismo religioso e antisemitismo moderno. È un tema
complesso, su cui gli storici si dividono: per alcuni esiste una filiazione diretta del secondo dal primo, per altri profonde e reciproche contaminazioni, per altri ancora si tratta di due fenomeni ben
distinti tra loro 22. Ovviamente la differenza macroscopica è negli
esiti dell’ostilità: nel caso dell’antigiudaismo religioso, che è un fenomeno di lunghissima durata nell’Europa cristiana, gli ebrei vissero in condizioni di discriminazione e subirono talvolta veri e
propri pogrom, senza tuttavia che l’uccisione del «non cristiano»
fosse una pratica sistematica. L’antiebraismo teologico prevedeva
una «preservazione nella discriminazione». Nell’antisemitismo
moderno si giunse a un grado di violenza ben maggiore, sino agli
esiti genocidari del nazismo. D’altra parte la querelle storiografica
riguarda anche la responsabilità che le Chiese cristiane hanno nell’antisemitismo moderno, per aver predicato per secoli l’odio antiebraico.
3. Memoria
Zachor, «ricorda», è l’imperativo categorico che attraversa l’intera
tradizione ebraica. «Noi – scriveva Martin Buber nel 1938 – siamo
una comunità basata sul ricordo. Il comune ricordo ci ha tenuti
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uniti e ci ha permesso di sopravvivere» 23. Ciò spiega anche la vasta produzione memorialistica che si è avuta in Europa dal dopoguerra e sino ad oggi.
La furia genocidaria dei nazisti non ebbe però come uniche
vittime gli ebrei. Recentemente Marco Impagliazzo ha sottolineato la necessità di ricordare il genocidio di rom e sinti, perseguitati
e poi sterminati durante il nazismo 24. C’è, nei loro confronti, una
«congiura del silenzio», tanto che la storia del genocidio degli zingari è caduta nell’oblio. Pochi sanno che nella Germania nazista
gli zingari furono formalmente dichiarati “mezzi-ebrei” e che anche a loro, come agli ebrei, furono applicate le leggi razziali promulgate nel 1935 a Norimberga. Nell’aprile 1942 l’ambasciata italiana a Berlino informava Roma che, «con recente provvedimento, gli zingari residenti nel Reich sono stati parificati agli ebrei e
quindi anche nei loro confronti varranno le leggi antisemite attualmente in vigore». Negli anni cupi del regime hitleriano ebrei e
zingari furono uniti nella persecuzione, che divenne durante la seconda guerra mondiale eliminazione fisica, fino al genocidio:
Shoah (“catastrofe”) per gli ebrei, Porrajmos (“divoramento”, “distruzione”) per rom, sinti, camminanti e tutti gli altri gruppi di
zingari presenti in Europa.
Sebbene gli ebrei e gli zingari siano stati accomunati in una
stessa tragica sorte durante il periodo nazista, nel dopoguerra e nei
decenni successivi non c’è stata in Europa, nei confronti dei secondi, una riflessione collettiva simile a quella che si è avuta rispetto ai primi. La coscienza europea ha interpretato la Shoah come il
prodotto di secoli di ostilità antiebraica, sino all’antisemitismo moderno e alla “catastrofe”. L’antisemitismo è divenuto un tabù nel
dibattito pubblico e gli europei hanno riconosciuto di avere un debito nei confronti degli ebrei. Certamente l’antisemitismo non è
scomparso dalle società europee, ma è stato ed è fortemente stigmatizzato come un odio inaccettabile e gravido di conseguenze. In
alcuni Stati europei la negazione della Shoah è un reato e ovunque
gli autori di atti di antisemitismo sono perseguibili duramente dalla legge. Gli storici, i sociologi e i pedagogisti si sono giustamente
interrogati su come raccontare la Shoah e come trasmetterne la memoria. «La vicenda del genocidio ebraico – ha scritto la pedagogista Milena Santerini – appare come una pagina della storia su cui
ognuno deve fermarsi, e un punto di non ritorno nella coscienza
dell’umanità: ma come spiegarlo alle nuove generazioni? “Educa-
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re dopo Auschwitz” è un compito fondamentale» 25. Nulla di simile è accaduto per quel che riguarda gli zingari e l’antigitanismo. Il
genocidio nazista degli zingari è piuttosto sconosciuto, gli studi
storici su di esso sono rari, l’odio antigitano – che ha, al pari dell’antisemitismo, una storia secolare – non è stato oggetto di una riflessione collettiva e non è divenuto un tabù. Al contrario, gli zingari continuano ad essere oggetto di attacchi continui sulla stampa
e nel dibattito pubblico, con espressioni che sovente sfociano nel
razzismo. Appare quindi urgente una riflessione sull’antigitanismo, simile a quella che si è avuta sull’antisemitismo, perché i popoli europei rifiutino radicalmente ogni forma di odio razziale.
È necessario che la memoria di ciò che è stato non si spenga,
ma anzi sia posta a fondamento della cultura europea del presente e del futuro.
Valerio De Cesaris
NOTE
1 Cfr. in particolare Marie-Anne Matard-Bonucci, L’Italia fascista e la persecuzione
degli ebrei, il Mulino, Bologna 2008 (ed. or. L’Italie fasciste et la persécution des juifs,
Perrin, Paris 2007); Simon Levis Sullam, L’archivio antiebraico. Il linguaggio dell’antisemitismo moderno, Laterza, Roma-Bari 2008; Francesco Cassata, «La difesa della razza».
Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista, Einaudi, Torino 2008; Michele Loré,
Antisemitismo e razzismo ne «La difesa della razza», Rubettino, Soveria Mannelli (Cz)
2008; Tommaso Dell’Era, Il Manifesto della razza, UTET, Novara 2008; i saggi di Renato Moro, Chiesa e antisemitismo e Gabriele Rigano, La Chiesa cattolica e il popolo d’Israele, entrambi in Andrea Riccardi (a cura di), Le Chiese e gli altri. Culture, religioni,
ideologie e Chiese cristiane nel Novecento, Guerini e Associati, Milano 2008. Tra i lavori
in uscita segnalo soltanto un numero monografico della «Rassegna mensile di Israel».
2
Su questi temi rimando ai saggi contenuti nel volume curato da Marita Rampazi
e Anna Lisa Tota, La memoria pubblica. Trauma culturale, nuovi confini e identità nazionali, UTET, Novara 2007. Sui problemi relativi alla sovrapposizione tra storia e memoria, in particolare per gli anni della guerra, si vedano i saggi contenuti nella seconda parte del volume curato da Saul Meghnagi, Memoria della Shoah. Dopo i «testimoni», Donzelli, Roma 2007.
3
Entrambe le lettere sono riportate in Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani
sotto il fascismo, Einaudi, Torino 19934, pp. 564-565. Sulla posizione della Santa Sede,
anche rispetto alle disposizioni razziste in altri paesi europei, cfr. Alessandro Duce, La
Santa Sede e la questione ebraica (1933-1945), Studium, Roma 2006.
4 Il discorso del Papa, pronunciato il 6 settembre 1938 di fronte a un gruppo di
pellegrini belgi, fu subito pubblicato in Francia e in Belgio e da lì ebbe ampia diffusione. La stampa cattolica italiana, intimidita dalla censura fascista, non lo pubblicò. Per il
testo cfr. «La Documentation catholique», XXXIX, janvier-décembre 1938, c. 1460.
5 Il testo è in Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., pp.
555-556.
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6
Eucardio Momigliano, Storia tragica e farsesca del razzismo fascista, Mondadori,
Milano 1946.
7
Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino 1961.
8
Michele Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell’elaborazione delle leggi
del 1938, Zamorani, Torino 1994; Id., Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, Torino 2000. Dello stesso autore cfr. anche Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani di oggi, Einaudi, Torino 2002.
9
Valerio Di Porto (a cura di), Le leggi della vergogna. Norme contro gli ebrei in Italia e Germania, Le Monnier, Firenze 2000.
10
Enzo Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Laterza, Roma-Bari 2003.
11
La legislazione antiebraica in Italia e in Europa, Atti del convegno nel cinquantenario delle leggi razziali (Roma, 17-18 ottobre 1988), Camera dei Deputati, Roma 1989;
La persecuzione degli ebrei durante il fascismo. Le leggi del 1938, Camera dei Deputati,
Roma 1998.
12 1938. Le leggi contro gli ebrei, «La Rassegna mensile di Israel», gennaio-agosto
1988.
13
Ugo Caffaz (a cura di), Discriminazione e persecuzione degli ebrei nell’Italia fascista, Consiglio regionale della Toscana, Firenze 1988.
14 Alberto Cavaglion e Gian Paolo Romagnani, Le interdizioni del duce. A cinquant’anni dalle leggi razziali in Italia (1938-1988), A. Meynieri, Torino 1988 (nuova edizione ampliata Claudiana, Torino 2002).
15 È la tesi avanzata da Giorgio Fabre, Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo:
la formazione di un antisemita, Garzanti, Milano 2005, e poi ripresa da altri autori.
16 Cfr. Arnaldo Momigliano, Recensione a Cecil Roth, Gli ebrei in Venezia, «Nuova Italia» 20 aprile 1933, ora in id., Pagine ebraiche, Einaudi, Torino 1987, pp. 237-239.
17 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di Valentino Gerratana, Einaudi,
Torino 1975, III vol., pp. 1800-1801.
18 Per alcune considerazioni su questo dibattito si veda Mario Toscano, Risorgimento
ed ebrei: alcune riflessioni sulla “nazionalizzazione parallela”, in «La Rassegna mensile di
Israel», n. 1, gennaio-aprile 1998, pp. 59-70. Cfr. anche Simon Levis Sullam, Arnaldo Momigliano e la nazionalizzazione parallela: autobiografia, religione, storia, «Passato e Presente», 70, 2007, pp. 59-82. Una testimonianza personale che sembra convalidare la tesi della
«nazionalizzazione parallela» è data da Elio Toaff, che nella prefazione a Marco Impagliazzo (a cura di), La resistenza silenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nella memoria degli ebrei di Roma, Guerini, Milano 1997, scrive: «Fino al periodo delle leggi razziali non ci
siamo accorti dell’esistenza di un antisemitismo in Italia, eravamo come tutti gli altri nostri
amici non ebrei. Non c’era alcuna distinzione, potevamo tranquillamente fare la nostra vita come tutti gli altri cittadini italiani», definendo quella italiana una situazione «di perfetta integrazione con la popolazione, che non è antisemita» (pp. 7-8).
19
Si tratta particolarmente di Andrew Canepa, Considerazioni sulla seconda emancipazione e le sue conseguenze, in «La Rassegna mensile di Israel», vol. LXVII, 1981, pp.
45-89; Id., Emancipazione, integrazione e antisemitismo liberale in Italia. Il caso Pasqualigo, in «Comunità», XXIX (1975), n. 174, pp. 166-203; David Bidussa, Gli ebrei in Italia in età moderno-contemporanea. Considerazioni per una storia ancora da scrivere, in
«Bailamme», n. 15-16, gennaio-dicembre 1994, pp. 50-69. Nel recente saggio di Gabriele Rigano, Note sull’antisemitismo italiano prima del 1938, «Storiografia», n. 12,
2008, pp. 9-61, è ben descritto un “antisemitismo invisibile”, non programmatico e apolitico, presente in alcuni ambienti intellettuali italiani di inizio Novecento e rintracciabile negli scritti di autori molto noti, come Emilio Cecchi e Gaetano De Sanctis.
20
Mario Toscano, Risorgimento ed ebrei, cit., distingue i due fenomeni: integrazione dopo l’emancipazione e antisemitismo, che sopravvisse come reazione «antirisorgimentale».
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21
La definizione è di Giovanni Miccoli, Antiebraismo, antisemitismo: un nesso fluttuante, in Catherine Brice e Giovanni Miccoli (a cura di), Les racines chrétiennes de l’antisémitisme politique (fin XIXe-XXe siècle), Collection de l’École Française de Rome,
306, Roma 2003, pp. 3-23.
22
Per un approfondimento bibliografico su questo dibattito mi permetto di rimandare all’introduzione del mio Pro Judaeis. Il filogiudaismo cattolico in Italia (17891938), Guerini e Associati, Milano 2006.
23 Cit. in Roberto Della Rocca, La memoria nella tradizione ebraica, in Saul Meghnagi (a cura di), Memoria della Shoah, cit., p. 47.
24 Marco Impagliazzo, L’antigitanismo nella storia europea, in Id. (a cura di), Il caso zingari, Leonardo International, Milano 2008.
25 Milena Santerini, Antisemitismo senza memoria. Insegnare la Shoah nelle società
multiculturali, Carocci, Roma 2005, p. 98.