Il ragazzo selvaggio 1

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Il ragazzo selvaggio 1
Il ragazzo selvaggio
09/04/08 06:45
Cinema Rosebud Reggio Emilia
all'Archivio Schede
IL RAGAZZO SELVAGGIO
(L’enfant sauvage)
François Truffaut
Sceneggiatura: Jean Gruault, François Truffaut, da Memorie e relazioni su
Victor de l’Aveyron di Jean Itard; fotografia: Nestor Almendros; musiche:
Antonio Vivaldi; montaggio: Agnes Guillemot; scenografia: Jean Mandaroux;
interpreti: Jean Pierre Cargol (Victor), Jean Dasté (Professor Pinel), Pierre
Fabre (L’infermiere), René Levert (Il Commissario), Annie Miller (Sig.ra
Lemeri), Claude Miller (Sig. Lemeri), Nathan Miller (Bambino Lemeri),
Mathieu Schiffman (Mathieu), Françoise Seigner (M.me Guerin), JeanFrançois Stevenin (Contadino), François Truffaut (Dottor Itard); produzione:
Claude Miller/Marcel Berbert Per Les Films Du Carrosse, Les Productions
Artistes Associés; origine: Francia, 1969; durata: 90’.
Una contadina che raccoglie funghi nella foresta dell’Aveyron, in un giorno
dell’estate 1793, scopre un ragazzo selvaggio e dà l’allarme. I cacciatori
stanano il ragazzo con i cani e lo catturano. I giornali, parlano di lui: dalla
gendarmeria di Rodez, viene trasferito a Parigi, all’Istituto Nazionale
Sordomuti. Qui viene esaminato dai dottori Pinel e Itard, che tentano di
ricostruire, la sua esistenza: si pensa che abbia circa 12 anni e che sia
vissuto per sette o otto nella foresta, dove ha imparato a vivere e a
muoversi come un animale. Il suo corpo è coperto di cicatrici: una, più
profonda, sotto il mento, fa pensare ad una ferita da arma da taglio. Le
unghie sono artigli, si esprime solo con grugniti e non risparmia morsi ai
curiosi visitatori. La convivenza con i piccoli sordomuti si rivela impossibile e
Pinel ritiene inutile occuparsi di lui, consigliando di rinchiuderlo a Bicêtre.
Itard si oppone e ottiene di condurre il ragazzo nella sua casa di
Batignolles, un villaggio alla periferia di Parigi. Là, coadiuvato da M.me
Guérin, sua governante, intraprende l’educazione del ragazzo selvaggio, al
quale sarà dato il nome di Victor. Il film ricostruisce, con fedeltà
documentaristica, le difficoltà e gli alterni risultati degli esperimenti ai quali
Itard sottopone Victor, nel tentativo di restituire al ragazzo l’uso del
linguaggio. Victor sembra reagire positivamente agli sforzi del dottore; ma
una notte, fugge. L’estremo tentativo di resistenza di Victor si risolve
comunque con il suo ritorno alla casa di Itard. Poi, riprendono gli
esperimenti.
L’enfant sauvage, più degli altri film di Truffaut, richiede un approccio critico
a diversi livelli, tanto il film è ricco di intenzionalità ideologiche e
d’implicazioni tematiche. D’altra parte, corrispondono a questi livelli almeno
tre componenti strutturali, l’esasperazione didascalica delle quali rinvia, con
disegno evidente, al cinema di Truffaut in generale: l’autobiografia, la
riflessione metalinguistica sul lavoro della messa in scena, la storia di una
educazione. Cominciamo da quest’ultima, che rappresenta la significazione
più immediata del film, sulla organizzazione sintattica della quale "poggiano"
le altre due.
La sceneggiatura di L’enfant sauvage prende spunto dai due rapporti redatti
dal dottor Jean Itard: il primo nel 1801, il secondo nel 1806, e destinati
rispettivamente all’Accademia di Medicina e al Ministero degli Interni. Il film
li fonde, immaginando che il dottore annoti in un diario quotidiano i
progressi dell’esperimento pedagogico. La voce fuori campo ne commenta i
principali momenti, assicurando insieme la comprensibilità immediata e la
fedeltà allo stile dei rapporti originali, composti di appunti scientifici,
divagazioni filosofiche, notazioni morali e trasporti affettivi. Il film appare
costruito con intenti didascalici; ma, l’attenzione documentaristica con cui
vengono presentate le tappe dell’iniziazione al linguaggio di un ragazzo
selvaggio che ne è escluso, si dà a leggere come esasperazione pedagogica
(nei confronti, questa volta, dello spettatore), di uno dei motivi
fondamentali del cinema di Truffaut. Immaginiamo di sovrapporre
idealmente i suoi film: al di là delle differenze che ne confondono i disegni,
l’operazione pone comunque in rilievo i punti di coincidenza. Questi
appaiono organizzati in una serie di eventi drammatici che, senza difficoltà,
possiamo ricondurre ad un’unica situazione tematica, incessantemente
modificata, ma persistente e riconoscibile: la storia di una educazione, del
significato più esteso del termine. "Oggi mi rendo conto che L’enfant
http://www.municipio.re.it/manifestazioni/ufficio_cinema/Archivio_schede/schede_tutte/Truffaut/RagazzoSelvaggio.htm
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sauvage si imparenta sia con Les quatre- cents coups, che con Fahrenheit
451. In Les quatre- cents coups ho mostrato un ragazzo che mancava di
affetto, cresciuto senza tenerezza; in Fahrenheit 451 ho parlato di un uomo
cui vengono negati i libri, cioè la cultura. Quello che manca a Victor
dell’Aveyron è ancora più radicale: si tratta del linguaggio. Questi tre film
sono dunque costruiti sopra una frustrazione fondamentale. Anche negli altri
film mi sono adattato a descrivere personaggi che sono fuori della società;
non sono loro che rifiutano la società, ma è la società che li rifiuta".
L’emarginazione è condizione comune a tutti gli anti- eroi del cinema di
Truffaut: quando non si risolve in una autentica esclusione (e dunque nella
morte: reale nel finale di Jules et Jim, mitica in quello de La sirène,
metaforica ne La mariée), essa genera comunque contraddizione, dolore,
solitudine, umiliazione. Il prezzo della reintegrazione è la sconfitta degli
ideali di purezza e di libertà: la sopravvivenza conosce solo la strada della
educazione al compromesso e alla rinuncia. Con L’enfant sauvage, Truffaut
radicalizza i termini della questione, consentendo di chiarire, alla luce di
questo film, gli estremi di un discorso poetico del quale non si è mancato di
rilevare la coerenza nell’arco dei dieci film esaminati. Scopriremo così,
anzitutto, che è inutile accusare Truffaut – come è stato fatto – di aver
realizzato un film incoerente o falso dal punto di vista scientifico, perché non
è questo aspetto ad aver interessato il regista. "Non ho neanche voluto
avvalermi di una consulenza medico- scientifica; non desideravo che
qualcuno mi potesse impedire, comunque, di "muovermi liberamente".
L’esclusione di cui è vittima il ragazzo selvaggio è la più radicale tra quelle
che possono colpire un individuo: essendo l’accesso al linguaggio (la
psicanalisi insegna) condizione indispensabile per la costituzione del
soggetto in quanto tale. Ora, può sembrare che tema del film sia l’avventura
della riconquista del piccolo Victor alla "civiltà": e non è mancato chi ha letto
il film sulla base di una opposizione idealistica Natura/Cultura, dove il
secondo termine sostiene il peso positivo dell’idea di progresso e il primo
quello complementare- negativo di regressione. Ma poiché è evidente che
qualunque discussione sull’utilità che Victor rimanesse a vivere nella foresta
sarebbe fuori luogo, è altrettanto evidente che l’attenzione di Truffaut si è
precisamente appuntata sulle modalità e sul significato (problematico) di
quel processo di educazione al quale Itard sottopone Victor.
Non c’è nessun dubbio che l’errore di Itard sia stato quello di credere
all’animalità del ragazzo: di pensare cioè che il soggiorno nella foresta di
Victor avesse conservato allo stato naturale le sue risorse intellettive, ad una
sorta di grado zero, per effetto di una mancata educazione culturale. Ma
Itard è un illuminista del XIX secolo, e non poteva sapere ciò che la
psicanalisi ha scoperto, solo molto più tardi, sui bambini psicopatici, incapaci
di comunicare (i "ragazzi selvaggi" sono la risposta mitica ad un problema
di cui non si conoscono, o non si vogliono conoscere, le cause). In verità,
Victor è, appunto, uno psicopatico, un bambino cioè, le cui capacità
comunicative sono state seriamente compromesse a causa di carenze
affettive precedenti il suo soggiorno nella foresta. L’errore dei detrattori di
Truffaut è invece quello di credere che il regista condivida pienamente il
punto di vista e l’ottimismo del dottore (l’interpretazione del ruolo di Itard
da parte di Truffaut ne sarebbe una conferma), sostenendo l’idea di un
apologo umanistico ed edificante sulla recuperabilità, dei ragazzi
handicappati. Ma conosciamo l’abilità (il gusto) del regista nel confondere le
piste: conviene dunque dubitare di una interpretazione così palesemente
superficiale per tentare di scoprire, dietro le maschere del discorso, il senso
ultimo del film. In primo luogo, converremo allora con Alessandro
Cappabianca che, in una analisi del film comparsa sul n. 214 di Filmcritica,
giudica il film "problematico e del tutto privo di illusioni di qualunque
genere": per cui appare non solo lecita ma doverosa una lettura de L’enfant
sauvage in chiave di spietata critica nei confronti del metodo educativo
messo in atto da Itard. Il distacco critico si coniuga anche formalmente,
tramite il ricorso a procedimenti e scelte stilistiche che, nel loro insieme,
sono riconducibili ad un modello di messa in scena inequivocabilmente
bressoniano: schermo standard, fotografia in bianco e nero, voce fuori
campo, mascherini e dissolvenze, prevalenza assoluta di inquadrature a
figura intera e dei campi lunghi, che sottolineano la messa a distanza di una
rappresentazione esplicitamente costruita e anti- autoritaria.
Alberto Barbera, François Truffaut , Il Castoro Cinema, 1976
http://www.municipio.re.it/manifestazioni/ufficio_cinema/Archivio_schede/schede_tutte/Truffaut/RagazzoSelvaggio.htm
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