L`infanzia e i suoi luoghi "altri"
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L`infanzia e i suoi luoghi "altri"
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” - FACOLTÀ DI FILOSOFIA CORSO DI LAUREA SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE ELABORATO DI LAUREA IN PEDAGOGIA GENERALE LAUREANDA Gaggioli Serena Matricola 982242 RELATORE Chiar.mo prof. Nicola Siciliani de Cumis CORRELATORE Chiar.mo prof. Furio Pesci L'infanzia e i suoi luoghi "altri" Editrice Nuova Cultura – Roma Anno Accademico 2005 – 2006 Composizione grafica a cura dell’Autore Indice Premessa .......................................................................................................... IX Introduzione.................................................................................................... XI Parte prima –Egle Becchi: “Altri luoghi” ...................................................... 1 Capitolo primo –Una lettura critica di “Altri luoghi”................................. 3 1.1. Tra scuola, strada e lavoro........................................................................ 3 1.2. Piccole storie di Altri luoghi passati e presenti ..................................... 4 1.2.1. La crociata dei bambini ................................................................... 4 1.2.2. Il teatrino meccanico........................................................................ 5 1.2.3. Una bambina nella città assediata.................................................. 6 1.3. Altri luoghi visti dagli adulti: Asja Lacis e i besprisorniki..................... 7 1.3.1. Il teatrino infantile e la folla............................................................ 8 1.4. Lavoro e bambini in Altri luoghi: Inghilterra 1800 ............................... 9 1.4.1. Piccoli delinquenti.......................................................................... 10 Capitolo secondo – I bambini nella storia ................................................... 13 2.1. Segni, voci, tracce..................................................................................... 13 2.2. Abbandono ............................................................................................... 14 2.2.1. Abbandoni e adozioni ................................................................... 14 2.2.2. Cecino .............................................................................................. 15 2.3. Lavoro ....................................................................................................... 17 2.3.1. Solitudine ........................................................................................ 18 2.3.2. Il lavoro infantile nella società industriale inglese .................... 20 Parte seconda – Risorse e Criticità................................................................ 23 Capitolo primo – Una antipedagogia del recupero sociale ..................... 25 1.1. Introduzione ............................................................................................. 25 1.2. Anton Semënovič Makarenko e la colonia Gor’kij.............................. 26 1.2.1. La costruzione dell’uomo nuovo ................................................. 28 1.2.2. Il Poema pedagogico come romanzo d’infanzia per la formazione dell’uomo nuovo................................................................. 30 1.3. Situazione storico-economica dell’URSS degli anni Venti................. 33 1.3.1. Situazione sociale dell’URSS degli anni Venti ........................... 35 Capitolo secondo –Altri luoghi oggi, nel mondo....................................... 39 2.1. Niños de la calle.......................................................................................... 39 2.1.1. Meñinos de rua ................................................................................. 40 VI 2.1.2. The silent war ....................................................................................41 2.1.3. Cidad de deus.....................................................................................43 2.2. Cina, le “città segrete” del lavoro minorile...........................................44 2.2.1. La compravendita dei bambini .....................................................47 Conclusioni.......................................................................................................49 Appendice...........................................................................................................51 Bibliografia .........................................................................................................63 Indice dei nomi ...................................................................................................65 Indice delle tematiche .........................................................................................67 A mia madre, mio padre, Andrea, Emanuela e Marco, grazie Premessa L’idea del mio elaborato di laurea è nata da un particolare interesse suscitato da alcuni aspetti specifici trattati nei corsi di Pedagogia generale nei tre anni dei miei studi universitari. Tra gli argomenti trattati dal Professor Nicola Siciliani de Cumis, è stato analizzato il problema dello sviluppo e della crescita sociale ed affettiva dei ragazzi senza tutela, con particolare riferimento a casi specifici e documentati come quello dei piccoli ospiti della colonia Gor’kij tra il 1920 e il 1928 nei pressi di Poltava in Ucraina dei quali Anton Semënovič Makarenko tesse la storia nel Poema pedagogico.1 Da questa citazione, il mio interesse si è esteso all’individuazione ed all’analisi di tutti quei luoghi “anomali” che sono il teatro, il luogo ed il "logos" di una crescita fuori dall’ambiente familiare o in una condizione non allineata alle forme convenzionali dei rapporti parentali e di tutela genitoriale. Questi luoghi “altri” vanno al di là della casa e della scuola: il bambino che non vive in un contesto sociale organizzato, va cercato nella promiscuità della convivenza forzata tra molti, oppure nella folla della strada, grande scena quotidiana dell’infanzia diseredata, spettatore di condotte ed eventi che non si ritiene debbano essere visti o, infine, nelle masse infantili degli istituti di assistenza e di carità. Per condurre un’analisi dettagliata è stato necessario approfondire la contestualizzazione degli altri luoghi, attraverso testi, trattazioni e documenti, anche in parte tratti dai repertori cinematografici. L’elemento centrale di riferimento, mi è stato offerto dal libro I bambini nella storia, di Egle Becchi2, un testo prezioso, particolarmente ricco di spunti di riflessione, articolato secondo una traccia narrativa a carattere episodico, che richiama, come attraverso un mosaico, le storie di A. S. MAKARENKO, Poema pedagogico, Mosca, Raduga, 1985, (ma cfr. A. S. MAKARENKO, Sočinenija, Tom Pervi, Pedagogičeskaja poema, Izdatel'stvo Akademii pedagogičeskich nauk RSFSR, Moskva, 1950, e A. S. MAKARENKO, Gesammelte WerkeMarburger Ausgabe. Band 3, 4, 5. Ein pädagogisches Poem, Teil 1, 2, 3/Sobraine sočinenijMarburgskoe Izdanie. Tom 3, 4, 5. Pedagogičeskaja poema. Čast' 1, 2, 3, Herausgegeben von L. Froese, G. Hillig, S. Weitz, I. Wiehl, Makarenko-Referat der Forschungsstelle für Vergleichende Erziehungswissenschaft, Philipps-Universität Marburg, Stuttgart, Klett-Cotta, 1982). 2 E. BECCHI, I bambini nella storia, Bari, Laterza, 1994. 1 X Premessa un’infanzia che non può riconoscersi nei luoghi deputati alla crescita ed allo sviluppo, eppure, e ciononostante, cresce e vive, in un equilibrio miracoloso e grave. Il libro non prospetta una valutazione, né sottopone i fatti raccontati ad un giudizio morale, né si rifà ad una prospettiva deontologica, semplicemente, racconta, lasciando al lettore ogni libertà di interpretazione e di riflessione. La lettura è quasi un viaggio attraverso le emozioni, ed i significati affiorano con facilità, poiché non è negata, ma anzi promossa dal linguaggio semplice e scarno, una risposta soggettiva validante e coinvolgente. Nel libro inoltre si evidenzia una prospettiva storica: infatti, le storie si riferiscono a fatti passati e presenti, non espressi in ordine cronologico, ma piuttosto, secondo un criterio di sequenzialità secondo gli aspetti trattati. Altri ed importanti spunti operativi mi sono stati forniti da una ricerca approfondita sui siti web dedicati al disagio dell’infanzia nel mondo di oggi, dalla visione dei films La stella che non c’è di Gianni Amelio, City of God, di Fernando Meirelles e L’enfant sauvage di François Truffaut (a cui è dedicato un ampio spazio nell’appendice) ed uno studio assai “sentito” sul Poema pedagogico di Anton S. Makarenko. Introduzione Il rapporto fra casa e strada, fra casa e scuola comporta azioni consentite e indirette, come gioco e occupazione; durante quest’ultima si fanno cose serie e vi sono implicate regole che vanno apprese e rispettate, regole che si riconoscono nelle peculiarità culturali di una società e di un’epoca. L’articolarsi complesso della quotidianità è quello che più muta lungo il filo delle generazioni, definisce limiti e confini di atti e comportamenti, anche se altre categorie della vita infantile appaiono quasi metastoriche e non toccate dall’epoca e dai contesti. La vita quotidiana evidenzia progressivamente la sua funzione di teatro pedagogico, il suo essere occasione di apprendimenti regolati di buone maniere, relazioni sociali, movimenti, usi dello spazio: si passa da una promiscuità fra non-adulti e adulti a una differenziazione crescente di spazi, luoghi, distanze sociali, ritualità peculiari delle diverse età infantili e propedeutiche a quelle della vita dei grandi. La prima differenziazione importante fra grandi e piccoli è nella connotazione definita dei ruoli, dei compiti e delle funzioni, ovvia solo in condizioni sociali che possano consentirla, dove il bambino non è cooptato precocemente alla fatica lavorativa della famiglia; solo in questo caso, l’adulto rappresenta colui che protegge, guida, sorveglia soprattutto in quella grande realtà vissuta come particolarmente pericolosa che è la strada. Qui il bambino viene tenuto d’occhio con particolare attenzione, perché non solo si può smarrire, venir rapito, travolto, ma anche perché può apprendere modelli di comportamento deviati. Laddove però non sussistono le condizioni sociali al riconoscimento del ruolo e della tutela, è l’ambiente di vita, il luogo, o meglio, il luogo “altro” a dettare ed imporre le sue regole: la crescita e la formazione di una identità, nel luogo “altro” si modellano su sistemi di riferimento paralleli, connotati ora da rapporti di forza e gerarchie tra pari, ora dalla necessità produttiva, o ancora dal semplice istinto di sopravvivenza. L’infanzia che abita gli “altri luoghi” ha difficoltà a riconoscersi in una precisa fase della crescita o in uno stato sociale: la sua casa può essere la strada o la fabbrica clandestina, oppure un ambiente naturale dove non sussiste una comunità umana socialmente organizzata. Le problematiche sono ovviamente differenti, ma riconducibili ad una fondamentale desostanziazione del concetto comunemente accepito di infanzia. XII Introduzione Questo studio mira all’analisi di alcuni esempi delle maggiori criticità rintracciabili attraverso la documentazione, la ricerca e gli interventi di quanti hanno voluto prendere atto e denunciare questa realtà così presente nella storia ed ancora tanto attuale. La stesura dell’elaborato si divide in due parti: la prima è costituita dalla recensione dell'antologia I bambini nella storia di Egle Becchi, di cui vengono riportate alcune delle molte storie dell'infanzia in altri luoghi nel primo capitolo e nel secondo capitolo, prendendo spunto dapprima dalla trattazione specifica di elementi evidenziati dall’autrice nel capitolo dedicato agli “altri luoghi”, riportando successivamente le altre esperienze descritte nel libro. Nella seconda parte dell’elaborato l'attenzione viene posta sul problema dell'infanzia abbandonata, trattato nel corso dei miei studi universitari. Il primo capitolo è dedicato a A. S. Makarenko, pedagogista ucraino, e alla sua colonia di rieducazione di ragazzi abbandonati, in riferimento al Poema pedagogico inteso come romanzo d'infanzia: in questo capitolo vengono descritte anche la situazione sociale e la situazione storico-economica dell’URSS degli anni Venti, necessarie per comprendere la posizione in cui si trovavano i bambini di strada e senza tutela e di conseguenza anche lo stesso Makarenko. Nel capitolo seguente ho spostato l’attenzione sul tema dei bambini di strada dei nostri giorni; a tal fine, ho utilizzato un materiale di natura diversa rispetto a quello al quale ho attinto per il resto del lavoro: mi sono servita di materiale ottenuto attraverso la consultazione di siti web che offrono dati aggiornati in particolare sui bambini di strada dell'America Latina e sui bambini in fabbrica della Cina. Infine, nell'appendice, ho voluto inserire una storia molto particolare e complessa che si riferisce ancora ad un altro luogo che è diverso da tutti gli altri già citati; questa volta, il bambino, vive da solo in un bosco: si tratta della storia di Victor, il ragazzo selvaggio, ossia il bambino abbandonato nella foresta dell’Aveyron, la cui storia è stata ricostruita con grande ed intensa sensibilità dal regista François Truffaut nel film L'enfant sauvage. Da questa ricerca è scaturito uno scenario inquietante: la vita di milioni di bambini è segnata da povertà, ingiustizie, guerra e violenza. Il fenomeno dei bambini di strada o dei meniños de rua è davvero allarmante: migliaia di bambini abbandonati e privi del necessario, come i besprizornye, vagano per le strade di tutto il mondo alla ricerca di cibo e di protezione. Anche la condizione di tanti bambini che sono costretti al la- Introduzione XIII voro minorile nelle fabbriche e nelle miniere, mettendo a rischio ogni giorno la propria salute, è diffusa in modo impressionante. Al di là delle grandi differenze socio-culturali, storiche ed economiche, i randagi di tutto il mondo sono accomunati in qualche cosa: oggi, come ieri, si accampano in stazioni ferroviarie e in edifici abbandonati; vivono di accattonaggio, furti, spaccio e prostituzione; per sopportare la disperazione, il freddo e la fame fanno ricorso all'uso di droghe. Il mondo degli adulti li guarda, spesso senza vederli, ma, quando si accorge di loro o si attiva per loro, recupera il meglio di sé per la vita futura dell’intera comunità umana. Parte prima EGLE BECCHI: “ALTRI LUOGHI” Capitolo primo Una lettura critica di “Altri luoghi” 1.1. Tra scuola, strada e lavoro Ci sono luoghi elettivi per far crescere l’infanzia, spazi protetti e di controllo, dove il bambino non solo trova sostegno alla sua crescita e soddisfazione dei suoi bisogni fisiologici e psichici, ma anche governo delle sue condotte, selezione degli atti funzionali alla sua integrazione sociale. Alla categoria dello spazio custodito si contrappone la categoria dello spazio aperto, del luogo non controllato, che per antonomasia è la strada. Qui il bambino, anche se relativamente sorvegliato è pur sempre esposto a allettamenti e pericoli, vede e talora organizza spettacoli, gioca, sta in compagnia di altri bambini, ma soprattutto non sta fermo, come nella casa e nell’aula scolastica, ha occasioni imprevedibili di incontro sociale, trova tentazioni, oppure fugge, si nasconde, si allea con adulti di cui condivide costumi, pratiche, assiologie. Sulla strada sembra mostrarsi nel modo migliore la natura primigenia dell’infanzia La strada, comunque è uno dei grandi scenari della vita infantile, ieri come oggi, stigmatizzata da sempre come luogo di rischio e di possibile morte. Edward Thomas3 (1878-1917), poeta inglese, lascia alla sua morte una serie di note autobiografiche sulla sua infanzia. Di questa infanzia, trascorsa a Londra, il poeta ricorda ciò che avveniva fuori da scuola, da casa e dalla chiesa, gli inizi di una socializzazione tra bambini e di una differenziazione di identità e ruoli sessuali. Nel clima eccitante di giochi e lotte tra bande, nella gioia di una libertà che è soprattutto violazione delle regole della società adulta, lo scrittore annota il costruirsi di norme proprie della collettività infantile che si riunisce nella via, il contrasto tra l’inutile e falsa disciplina del gioco nelle ore di ricreazione a scuola e l’ebbrezza che spazi e compagni di trasgressione provocano. Infatti Thomas ricorda che la parte migliore della sua vita fu quella trascorsa fuori di casa e fuori dalla scuola. 3 Cfr. E. BECCHI, op. cit., pp. 377-380. 4 Capitolo primo 1.2. Piccole storie di Altri luoghi passati e presenti Luoghi per così dire deputati alla vita infantile; la casa, la scuola a partire dai sei-sette anni, nel passato, il monastero in momenti di pericolo e di miseria, il convento per la bambina. Per la via il bambino non accompagnato dai suoi tutori, vive, impara a crescere, si perde, matura, secondo regole altre rispetto a quelle canoniche: si tratta di storie di bambini piccolissimi abbandonati sulla strada, di microstorie di bambini che scappano per non andare a scuola che vengono riacciuffati e riportati a casa, di piccoli girovaghi e delinquenti, che vivono sulla strada metropolitana, che la polizia ferma, imprigiona e deporta, di bambini rapiti e costretti a mestieri di strada, a girovagare da soli o con altri bambini, vivendo di espedienti o di mestieri faticosissimi. Ci sono anche torme di bambini che scappano, evadono, si muovono collettivamente, emblematizzate nella crociata dei bambini del 1212 e nelle sue innumerevoli riscritture. Anche per i secoli successivi sono documentati fenomeni analoghi, seppure meno massicci: bambini che fuggono insieme davanti a invasioni e guerre, che cercano i mezzi di sussistenza, che si raggruppano per meglio difendersi, che vanno in pellegrinaggio, vagando per strade e luoghi, spesso senza conoscere la meta, crescendo in questo loro errare e soprattutto confusi, in tale condizione, per età, sesso, storia, con adulti e vecchi, di cui finiscono per condividere il destino quando vengono fermati e riportati alla legge, fino ai bambini senza famiglia né recapito, che vivono nei complessi spazi urbani. Un’intera galleria di ritratti letterari attesta non solo la negatività del bambino errabondo, ma anche potenzialità che circostanze non controllate consentono di far emergere. 1.2.1. La crociata dei bambini Nel 1212 da molte parti d’Europa, bambini e adolescenti di varia provenienza si raccolgono e si dirigono verso il Mediterraneo, decisi di andare in Terra santa. La crociata dei bambini ha esito tragico; molti muoiono lungo la strada, altri non riescono a salire sulle navi, altri ancora naufragano, i pochi che arrivano in Palestina vengono fatti schiavi. Questa tragedia collettiva dell’infanzia ha dato luogo a ricostruzioni storiche e a diverse interpretazioni; il drammatico cammino dei bambini in fuga riacquista toni di fiaba che nella storia di Bertolt Brecht, composta Una lettura critica di “Altri luoghi” 5 intorno al 1948, è ideologicamente segnata. Qui la natura errabonda dell’infanzia si inquadra in una cornice di eventi e mostra l’immagine sociale debole del bambino, individuo a rischio estremo della collettività. La storia, molto triste, narra che in Polonia, nel trentanove, ci fu una grande battaglia che fece rovina e deserto in molti paesi e città. Ci furono molti morti e tra le macerie i genitori non trovavano più i loro figli. Della Polonia non venne più nulla, ma nei paesi dell’Est una strana storia raccontano. Si sentì che la gente parlava di una crociata di ragazzi che partiva dalla Polonia e che essi volevano fuggire da tutti quegli incubi ed arrivare in una terra di pace. Avevano un piccolo capo che non sapeva la strada; c’era anche un musicista tra loro che aveva preso un tamburo in un negozio distrutto, ma per non farsi scoprire non lo poteva suonare; c’era anche un cane che avevano preso per ammazzarlo ma gli era mancato il coraggio. «E al fragore di un freddo torrente anche un concerto ci fu: nessuno li avrebbe sentiti e il tamburo allora suono’».4 Non arrivarono mai a destinazione, ma dei contadini trovarono un cane con un cartello appeso al suo magro collo con su scritto: «Aiutateci, abbiamo perduto la strada. Siamo cinquantacinque. Il cane vi guiderà. Se non potete venire, lasciatelo andar via. Non gli sparate. Dove siamo lui solo lo sa»5. 1.2.2. Il teatrino meccanico6 Gli spettacoli dei teatrini di strada affascinano grandi e piccoli, ma può capitare che accanto ai bambini spettatori, ci siano dei bimbi che partecipano faticosamente alle dinamiche della scena. Come l’Ometto del romanzo omonimo che Jules Verne pubblicò nel 1893, un’infanzia alienata che serviva a divertire i bambini meno asserviti e sfruttati. Spesso si trattava di piccoli girovaghi, ma anche di bambini errabondi per le strade, raccolti da giocolieri altrettanto nomadi, o di piccoli venduti dalle famiglie e da genitori adottivi. Bimbi senza nome o con nomi posticci, senza riferimenti di luoghi nella loro storia, e senza chiare indicazioni nel loro vagare nel mondo, fanno B. BRECHT, Storie da calendario, Torino, Einaudi, 1972, pp. 50-66. Ibidem. 6 Cfr. E. BECCHI, op. cit., pp. 371-376. 4 5 6 Capitolo primo da protagonisti in questa letteratura dell’infanzia di strada, con cui si è cimentata la fantasia di molti autori come lo stesso Verne. In questo romanzo Verne racconta la vicenda di un bambino abbandonato, sfruttato, accolto da famiglia adottiva, caduto di nuovo in miseria che riesce infine e diventare un imprenditore fortunato a sedici anni, grazie anche all’happy end di questo tipo di letteratura. Sul carretto di Thornpipe le marionette, mosse da un meccanismo interno, sembrano essere dotate di una vita reale che suscita l’ammirazione della gente, infatti Thornpipe ha appena battuto sulla cassa un colpo con la bacchetta che ha provocato un gemito di cui nessuno si è accorto e all’improvviso tutta la scena si è animata come per miracolo. Però qualcuno si accorse che quando i personaggi cominciavano a rallentare, un colpo di sferza sulla cassa nascosta dal tappeto era sufficiente per rianimare la scena. Quindi la gente si chiese a chi fosse rivolto quel colpo di sferza seguito da un gemito. Scoprirono che li sotto era nascosto un bambino di circa tre anni, pallido, malaticcio e gracile con le gambe segnate da escoriazioni della punta della sferza. Questo è Ometto, l’eroe di questa storia caduto nelle mani del bruto Thornpipe che non era affatto suo padre e che era stato preso da quest’ultimo per strada. 1.2.3 Una bambina nella città assediata In questa storia “l’altro luogo” è la casa, sembra strano, in quanto la casa, insieme al contesto familiare, dovrebbe far parte della vita di tutti; ma quando si è costretti a rinchiudersi dentro di essa, la situazione cambia. Zlata Filipovič vive nella Sarajevo assediata dei nostri tempi, dove le dimensioni di quotidianità cambiano; la scuola, il lavoro dei genitori, le relazioni con le coetanee sono deformate e interrotte, e le prospettive per il futuro e quindi gli spazi di movimento assumono un segno diverso. Zlata scrive così un diario; un racconto di sé, delle sue reazioni di ragazzina che cresce costretta all’interno di una casa, perché un altro tema entra nella sua scrittura: la guerra, è una guerra che occlude la sua esistenza e quella di tutti coloro con i quali ha fino ad allora convissuto. Tra tutto ciò che le viene sottratto l’uso dello spazio appare il più drammatico; una bambina senza infanzia è una bambina senza tante altre cose che consentono l’infanzia stessa, ma soprattutto senza la possibilità Una lettura critica di “Altri luoghi” 7 di muoversi tra i luoghi dell’esterno che fino a poco tempo prima le erano consentiti. Zlata riuscirà a fuggire da Sarajevo, assieme ai suoi genitori, portando però con sé questa memoria di interruzione, di perdita che ha segnato la fine della sua infanzia. Domenica 5 luglio 1992 Cara Mimmy, non ricordo quand’è stata l’ultima volta che sono uscita di casa; dev’essere stato quasi due mesi fa. I nonni mi mancano davvero tanto. Prima andavo da loro tutti i giorni, e ora non li vedo da una vita. Le giornate trascorrono tra la casa e la cantina. Questa è la mia infanzia di guerra. E per di più è estate. Gli altri bambini sono in vacanza al mare o in montagna, nuotano, prendono il sole, si divertono. Dio mio, cosa ho fatto per meritare di trovarmi in questa guerra, di trascorrere i miei giorni in un modo che non auguro a nessuno?! Mi sento in gabbia. Tutto quello che riesco a vedere attraverso le finestre rotte è il parco davanti a casa nostra. Vuoto, desolato, senza bambini e senza gioia. Sento il fragore delle granate, e intorno a me tutto sa di guerra. La guerra è diventata la mia vita. Oh, non ne posso davvero più! Ho voglia di piangere e di gridare. Vorrei almeno poter suonare il piano, ma non posso farlo perché si trova nella «stanza pericolosa», dove io non posso entrare. Per quanto tempo durerà ancora???8 7 1.3. Altri luoghi visti dagli adulti: Asja Lacis e i besprisorniki Per le strade della Russia sovietica, all’indomani della rivoluzione del 1917, vagano bambini senza famiglia organizzati in bande che per la mancanza di istituzioni non è possibile normalizzare. Altri innumerevoli bambini sono senza genitori e vengono accolti in orfanotrofi; di questi alcuni artisti e pedagogisti avvertono la loro creatività, come Asja Lacis che avendo un passato da regista e psicologa, si occupa della rieducazione a Orel attraverso l’organizzazione di un teatro infantile di strada. Nel suo lavoro l’esperienza teatrale diventa l’allestimento di spettacoli dove il bambino è presente in ogni momento e luogo della rappresentazione, infatti: allestisce, vi ha un ruolo drammatico e fa da spettatore. 7 8 Mimmy è il diario sul quale Zlata scriveva ed a cui si rivolge. Z. FILIPOVIČ, Diario di Zlata, Milano, Rizzoli, 1994, pp. 61-63. 8 Capitolo primo Il teatro di bambini messo in pratica dalla Lacis diventa non solo episodio di una storia dello spettacolo per loro stessi, ma anche di attribuzione di significato ideologico all’infanzia e al suo gioco. Questo coinvolgimento totale dell’infanzia nel gioco scenico è reso possibile da un allentamento delle separazioni fra ruoli tradizionali, e dal fatto che spazi reali e sociali sono come esplosi; la scena infantile mobile e inventiva senza posa. 1.3.1. Il teatrino infantile e la folla Asja Lacis racconta quando si trasferì ad Orel nel 1918 per lavorare come regista al teatro cittadino: le cose andarono diversamente da come lei si aspettava. Per le strade di Orel, nelle piazze dei mercati, nei cimiteri, nelle cantine, nelle case distrutte vedevo schiere di bambini abbandonati; i besprisorniki. Fra loro c’erano ragazzi con i visi neri, non lavati da mesi, indossavano giacche a brandelli da cui l’ovatta pendeva a ciuffi, calzoni imbottiti larghi e lunghi tenuti su con una corda. Erano armati di bastoni e spranghe di ferro. Andavano sempre in giro a gruppi guidati da un capo e rubavano, rapinavano, uccidevano. In breve, erano bande di briganti, vittime della guerra mondiale e di quella civile. Il governo sovietico si adoperava per sistemare i bambini sbandati in collegi e officine, ma riuscivano sempre a scappare.9 La Lacis volle visitare anche gli ospizi municipali dove erano ospitati gli orfani di guerra, e notò che questi bambini nonostante avessero da mangiare ed erano vestiti decorosamente, si guardavano intorno come vecchi, con occhi stanchi, tristi e nulla li interessava. Per ridestarli dal loro letargo la Lacis pensò che occorreva un impegno che li coinvolgesse totalmente, e lei sapeva la forza che era racchiusa nel gioco teatrale, ed era convinta che attraverso di esso era possibile risvegliare l’attenzione di questi bambini. Così i bambini iniziarono a costruire oggetti, animali, figure e così via, e le forze latenti che si liberavano attraverso il lavoro si unificavano con l’improvvisazione. Nasceva, così, il loro teatro dove i bambini recitavano per i bambini. 9 A. LACIS, Professione rivoluzionaria, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 79-83. Una lettura critica di “Altri luoghi” 9 Ma Asja Lacis non si volle fermare ai bambini degli ospizi municipali, in quanto voleva coinvolgere anche i besprisorniki i quali non si facevano avvicinare. Intanto il lavoro continuava e i bambini chiedevano di materializzare in oggetti la fantasia e le capacità acquisite, cosa molto importante perché la fantasia non deve andare perduta, si passò quindi all’improvvisazione con materiali concreti. Improvvisare era per i bambini felicità e avventura, infatti si impegnarono a fondo e il loro interesse si ridestò. Emerse l’esigenza di un fare collettivo e il desiderio di mostrare il lavoro anche a tutti gli altri bambini della città. La rappresentazione ebbe un grande successo per le strade della città anche da parte degli adulti, i bambini si avviavano in una specie di corteo carnevalesco, in un’aria di festa. Il metodo di Asja Lacis si era dimostrato valido, e ha avuto la prova che era giusto far rimanere gli adulti in disparte, così i bambini avevano la certezza di aver fatto tutto da soli, con le loro forze e la loro inventiva, e tutto questo lo facevano giocando. Non era stata imposta loro nessuna ideologia, si erano appropriati di ciò che faceva parte della loro esperienza. Quei bambini che prima apparivano incapaci e limitati, avevano rivelato, grazie al teatro, capacità e talenti insospettati. 1.4. Lavoro e bambini in Altri luoghi: Inghilterra 180010 In Inghilterra, tra la prima e la seconda metà dell’Ottocento, si manifesta un fenomeno di vagabondaggio compiuto da una gang mista di bambini e adulti, che vaga alla ricerca di lavoro e di sostentamento, nelle campagne spopolate dall’industrializzazione e urbanizzazione. La prima ad avvertire le conseguenze di una vita infantile divisa tra strada e fatica produttiva, è la scuola, ed è la prima a leggere nell’abbandono e nell’evasione dalle lezioni la motivazione di forme di esistenza dove lo studio è estraneo alla vita. La testimonianza di John Harris, direttore della scuola statale del Northamptonshire, conferma la scarsa e irregolare frequenza nella classe perché un gran numero di bambini lavora in una gang sotto la sorveglianza di un capobanda, e che ci sono anche bambini di cinque anni, molti dei quali non hanno neanche cominciato la scuola. Harris dice che l’indice di frequenza a scuola era notevolmente abbassato proprio 10 Cfr. E. BECCHI, op. cit., pp. 368-371. 10 Capitolo primo dall’assenza dei bambini che lavoravano principalmente nella gang, e che le distanze dal luogo di lavoro sono tali che non era possibile che vadano a scuola neanche per mezza giornata. Molti genitori, quando veniva la stagione del lavoro nei campi, li lasciavano saltare la scuola senza problemi; l’attrazione per i soldi era senza dubbio troppo forte. Tuttavia esisteva anche qualche sporadico caso in cui i bambini lavoravano nella gang solo il sabato quando la scuola era chiusa, per pagarsi la scuola o il quaderno. 1.4.1 Piccoli delinquenti A.B. Ha 13 anni, ha frequentato la scuola solo per poco. Suo padre era frequentemente ubriaco, e quando lo era, il figlio abbandonava la casa e si aggregava a dei figuri che lo introducevano in case di malaffare dove giocavano d’azzardo fino a che avevano perduto tutto. Questo ragazzo è stato per cinque anni nelle liste della commissione giudiziaria ed è stato messo in prigione per tre diverse infrazioni della legge. È stato condannato a morte per tre volte. […] E.F. Ha 8 anni. Ha solo la madre. Era abituato a rubare da più di due anni. Al mercato di Covent Garden c’è una banda di circa trenta-quaranta ragazzini che dorme sotto i capannoni e le ceste. Al mattino questi esseri miserandi non hanno altro mezzo di sussistenza se non quello di rivolgersi alla commissione criminale. Il bambino in questione era fra questi; risulta che è stato portato in diversi posti di polizia per un totale di 18 accuse diverse. Per due volte è stato internato nella casa di correzione e per tre volte in prigione. […] I.F. Ha 13 anni. Non sa né leggere né scrivere. Suo padre è un soldato e sua madre è morta. Il ragazzo venne mandato in una casa di lavoro, dove pare abbia subito un trattamento molto duro, che lo ha indotto a fuggire. Una volta in libertà, si era aggregato ad uno spazzacamino, con cui rimase una settimana. In questo periodo soffrì la fame e gli venne limitata la libertà. Un giorno scappò con l’orologio del suo padrone; ma venne riacciuffato e portato in prigione. […] Q.R. Ha 12 anni. Non ha mai frequentato la scuola; ha una madre che lo incoraggia nel vizio. Lo manda a forza per la strada ogni mattina e lo punisce severamente se torna a casa la sera senza qualche oggetto di valore. […]11 Queste sono esempi di microstorie, censite dai membri della Society for Investigating the causes of the alarming increase of juvenile delinquency in the 11 Dal Report of the Society for investigating the causes of the alarming increase of juvenile delinquency in the Metropolis, Dove, London, 1819, Appendix, pp. 29-31. Una lettura critica di “Altri luoghi” 11 Metropolis, di ragazzini che nella Londra del primo Ottocento vivevano per la strada, spesso avviati a questa esistenza dalle famiglie, costretti a cavarsela con espedienti. In queste microstorie drammatiche si trovano alcuni tratti in comune: la presenza di una famiglia disinteressata ai propri figli o essa stessa partecipe della loro delinquenza che li porta a vivere la loro quotidianità nella strada, nei luoghi affollati, dove le bande infantili trascorrono da comportamenti ludici, come il gioco d’azzardo, a condotte ben più complesse come il furto e il borseggio. Capitolo secondo I bambini nella storia 2.1. Segni, voci, tracce12 All’interno del libro I bambini nella storia c’è un capitolo che la Becchi dedica alle testimonianze lasciate dai bambini nel corso del tempo. Queste testimonianze si riferiscono alle scritture bambine; lettere, diari, poesie, scritte su muri, disegni ecc. Le scritture bambine sono anche segni di altri luoghi come i bambini del lager, episodio fra i più atroci nella storia dei campi di concentramento, noto soprattutto da testimonianze infantili, quello di Terezìn, dove tra il 1941 e il 1944 passarono circa 15.000 bambini, poi mandati ad Auschwitz, di cui solo un centinaio scampò alla morte. I bambini al di sotto dei quattordici anni erano ospitati nelle case dell’infanzia; qui abusivamente i maestri facevano loro scuola, educandoli soprattutto a forme di espressione poetica e grafica. Furono recuperati dopo la guerra disegni e poesie e conservati al Museo ebraico di Praga, queste testimonianze fanno notare non solo l’elevato tenore artistico, ma soprattutto il senso tangibile di morte che animava l’esistenza di questi bambini alla quale danno espressione verbale e grafica, come se quasi volessero esorcizzare in tal modo una fine che sapevano ineludibile e imminente: «[…] Dappertutto è la morte e tutti falcia, anche quelli che marciano col naso all’insù. C’è dunque una giustizia che ancora regge il mondo – e nella bocca del povero l’amaro s’addolcisce»13, scritto da Miroslav Kasek, Bisogna prenderla così. Miroslav ha circa 11 anni e morirà ad Auschwitz a 12 anni. […]Oggi il mio sangue pulsa ancora, ma i miei compagni mi muoiono accanto. Piuttosto di vederli morire vorrei io stesso trovare morte. Ma no, mio Dio, noi vogliamo vivere! Non vogliamo vuoti nelle nostre file. Il mondo è nostro e noi lo vogliamo migliore. Vogliamo fare qualcosa. È vietato morire.14 Cfr. E. BECCHI, op. cit., pp. 6-23. M. DE MICHELI (a cura di), I bambini di Terezìn, Poesie e disegni dal lager 19421944, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 23 e 42. 14 Ibidem. 12 13 14 Capitolo secondo Scritto da Eva Pickovà, La paura. Eva ha circa 13 anni e morirà ad Auschwitz a 14 anni. 2.2. Abbandono15 È nella prima età, quella più precaria perché minacciata da morte precoce, da malattia, da invalidità, da povertà della famiglia, dalla fine prematura della madre, che il bambino è più a rischio: privo di uno o di entrambi i genitori, qualora non ci sia possibilità economica alla quale fare appello e un tutore corretto e presente, il bambino esce dalla famiglia; per essere adottato da un’altra coppia di genitori, per venir ospitato in un convento, per esser fatto sopravvivere in un istituto. La storia dell’infanzia del passato ha come sfondo costante quello della famiglia, ma spesso si sposta di scena e si colloca in ospizi di trovatelli, di abbandonati e di orfani, i quali vivono spesso in promiscuità, in questi grandi apparati della società civile. Come per esempio il grande Spedale degli Innocenti di Firenze, istituto per trovatelli, che dagli inizi del Quattrocento ha ospitato migliaia di bambini orfani, abbandonati, esposti. In tale istituto sono conservati contrassegni, messaggi brevi con l’indicazione della data di nascita e del nome dei bambini che genitori e mamme sole affidavano allo Spedale nella speranza che potessero così sopravvivere. Episodio di una storia sociale che al centro ha la famiglia o mamme con un figlio illegittimo, e dimostra le impotenze e drammi nella speranza di un ritorno del figlio abbandonato. 2.2.1. Abbandoni e adozioni Immagini letterarie e storiche descrivono bimbi di tempi assai remoti: i gemelli Romolo e Remo, abbandonati, nutriti da una lupa, ritrovati e adottati da un pastore. Vicende di abbandono, di affido e di esposizione all’animalità che si mostra meno feroce dell’umanità. La vicenda che Tito Livio racconta del I libro delle Storie è organizzata secondo funzioni che si ritrovano non di rado nelle leggende dei principi 15 Cfr. E. BECCHI, op. cit., pp. 157-171. I bambini nella storia 15 e non solo in età classica: il bambino figlio di padre illustre o divino, la madre costretta all’abbandono e all’esposizione del piccolo, il suo ritrovamento, l’accoglienza in una famiglia di povera gente, la sua eccezionalità fin dai primi anni, il disvelamento della vera condizione e la vittoria sui nemici. Nel testo liviano la natura straordinaria del bambino è sottolineata dal fatto che si tratta di gemelli e che essi sono salvati da un animale feroce. Il passaggio dalla natura alla cultura ha qui plurime mediazioni, fra quali la famiglia è un momento fondamentale: nella povera casa di Faustolo e Larenzia i due piccini non solo possono sopravvivere, e mostrare le loro doti fuori dal comune, ma i due genitori adottivi sanno quale è la vera origine dei gemelli e di questa notizia ne fanno uso al momento opportuno. Senza la famiglia il piccolo dell’uomo ha un destino ferino o di morte ed è solo la famiglia che gli consente di entrare nel sociale (questo uno dei tanti sensi della leggenda). 2.2.2. Cecino Una fiaba senza tempo e senza spazio, ma nella quale si trovano molti ingredienti di mondi di ieri. Nella favola toscana di Cecino il piccolissimo protagonista è personaggio di una famiglia e di questo ruolo testimonia vari aspetti: è figlio arrivato per caso, è scampato a un matricidio furibondo, ma dopo viene amato dalla madre, il padre se lo porta come aiuto nel suo lavoro, ma poi lo cede ad altri perché guadagni qualcosa; infine sarà proprio Cecino a riscattare la famiglia dalla povertà. La fiaba di Cecino è racconto di quanto a un bimbo veniva fatto fare in un’epoca senza data del nostro passato e di come gli adulti, in primo luogo i genitori, se ne avvalevano. La fiaba narra la storia di una donna che non volle cedere un piatto di ceci ad una povera signora che ne chiese una scodella, allora quest’ultima le augurò che tutti i ceci nella pentola diventassero dei figli; infatti dalla pentola saltarono fuori cento bambini piccoli che cominciarono a gridare, la donna, spaventata, cominciò a prenderli, a metterli nel mortaio e a schiacciarli col pestello. Una volta finito rifletté su quello che aveva fatto e se ne pentì pensando che ne avrebbe potuto tenere almeno uno perché costui poteva esserle di grande aiuto. E così fu, l’unico rimasto era Cecino che iniziò su- 16 Capitolo secondo bito ad aiutarla nel portare il cibo al padre in bottega, nel camminare si vedeva solo il paniere per quanto era piccolo, infatti neanche il padre riusciva a vederlo e alla sua vista si meravigliò in quanto non aveva mai avuto figli prima di allora. Il padre contento della venuta del suo nuovo figlio se lo mise in tasca e lo portò con sé; nel loro tragitto incontrarono delle persone che vollero tenersi Cecino per far la guardia al bue, così il padre lo lasciò lì per poi riprenderlo la sera. Cecino fu messo a cavallo d’un corno del bue, così pareva che il bue fosse solo, quindi all’arrivo dei ladri Cecino si mise ad urlare, al quel punto i ladri incuriositi da quella voce chiesero al contadino da dove provenisse, ed il contadino gli presentò Cecino. I ladri meravigliati chiesero se potevano portare con loro Cecino dicendo al contadino che in cambio, l’avrebbero fatto diventare ricco, così il contadino lo lasciò andare con i ladri. Con Cecino in tasca i ladri andarono alla stalla del Re per rubare i cavalli e fu proprio Cecino che riuscì a rubarli scappando nascosto dentro un orecchio del cavallo. Tornati a casa i ladri ordinarono a Cecino di dare la biada ai cavalli rubati ma lui cadendo dal sonno finì per addormentarsi in una museruola, il cavallo non si accorse di lui e lo mangiò insieme alla biada, i ladri dovettero sbuzzare i cavalli per riprendere Cecino ma nonostante ciò non lo trovarono e furono costretti a buttare i cavalli. Passò un lupo affamato, vide i cavalli sbuzzati e ne fece una scorpacciata, Cecino era ancora là nascosto e finì nella pancia del lupo, il quale iniziò a sentire delle voci che gli provenivano da dentro. Il lupo pensò di avere dell’aria nella pancia che gli faceva fare degli strani rumori, allora cercò di mandarla fuori e riprovandoci più volte tirò fuori anche Cecino che si nascose dietro un cespuglio. Al quel punto arrivarono dei ladri che avevano rubato soldi e si misero a contarli, sentirono delle voci provenienti dal cespuglio e non capendo chi fosse si spaventarono e scapparono via lasciando lì i soldi. Cecino col sacco di denari in testa se ne andò a casa e bussò. Sua madre aprì e vide solo il sacco capendo subito che si trattasse di Cecino, alzò il sacco e sotto infatti c’era suo figlio e, contenta del suo ritorno, se lo abbracciò. I bambini nella storia 17 2.3. Lavoro Piccoli schiavi che accudiscono i loro padroni, bambini che condividono con le persone grandi l’impegno di un lavoro faticoso e spesso abusivo, bimbi messi precocemente a bottega, secondo contratti tra mastro e famiglia o in maniera illegale, piccole ancelle di grandi e piccole padrone, bimbi nell’esercito che servono per rallegrare e spesso rimpiazzare i soldati, ragazzini e ragazzine che nel Settecento lavorano tra campi e piccole fabbriche, che mendicano sulla strada in ogni stagione, piccoli che cercano lavoro insieme ai grandi, bimbi in massa nelle fabbriche dell’Ottocento, bimbi che la famiglia stessa cede o le vengono tolti per essere venduti a sfruttatori, piccoli minatori nudi nei cunicoli delle miniere di carbone, bimbi espatriati dalla loro terra e mandati a colonizzare regioni lontane, piccoli contrabbandieri, corrieri di droga, ladruncoli su commissione. Bambini insomma che non hanno differenze se non di età, forze, dimensioni fisiche, esperienza con adulti di cui condividono le durezze della vita, le precarietà di un lavoro mal pagato ed esposto ad abusività di traffici malsani e duri. Tutte storie che oggi riteniamo incredibili anche se alcune di esse non sono ancora abolite. Queste sono storie alternative dell’infanzia perché spesso, per questi bambini, non c’è infanzia e di conseguenza non c’è il gioco; sono costretti nei loro tragitti di crescita ad identificarsi con i grandi. All’interno di questa storia altra del bambino si possono fare delle distinzioni fra i mestieri domestici e mestieri che impegnano il piccolo fuori di casa come il contadino, il facchino, l’operaio, il minatore ma anche il mendicante, il girovago e il ladruncolo. Sono tutti lavori che potrà continuare nell’adolescenza e nell’età matura. Ma il più delle volte il bambino impara il lavoro per necessità ed obbligo: gli viene detto che deve fare qualcosa come custodire il bestiame, chiedere l’elemosina, lavorare al buio in gallerie strette dove l’adulto non vi passa. Allora egli non ha né modelli né compagnie; oltre ai pericoli uno dei rischi è la solitudine, e se molti lavori sono occasione di socializzazione con adulti che faticano con altri bambini, di apprendistato sociale che spesso è inizio di abusività, di disobbedienza e ribellione, di esordio in alcoolismo, furto e violenza, altri possono comportare situazioni di solitudine atroce per il bambino che non vi trova compagnie e si sente costretto a crescere in fretta, e gestire per conto proprio la sua crescita e ad assumersi responsabilità adulte. 18 Capitolo secondo Faticare con gli adulti e con altri bambini, agire per produrre e guadagnare per sostentarsi; se questi tratti possono essere propri di un’intera cultura, che il piccolo condivide con gli adulti con i quali vive, tratti che non appaiono incoerenti con i modi di esistenza del suo gruppo, essi sono pur sempre diversi, altri rispetto a quelli della scuola: il distacco più grande di cui soffre il bambino che lavora non è tanto con il suo universo familiare, quanto con le istituzioni educative. A scuola infatti il maestro, quindi l’adulto, non è necessariamente il modello di condotta che va appresa, non è la persona con cui si lavora, ha inoltre forti distanze con il bambino. Lavoro minorile e scuola sono quindi i grandi ambiti antitetici della vita del bambino, ieri come oggi. Né la scuola è quella che ha avuto sempre la meglio: le cifre dell’assenteismo scolastico dello scorso secolo esprimono non solo la fuga dallo studio, quanto la necessità di lavorare, di non trascurare quell’impegno che trattiene il bambino nei campi, negli opifici, nelle miniere, per la strada. Comunque fin dall’antichità classica i bambini di famiglie più abbienti apprendevano in situazioni organizzate, con un maestro che si riteneva dotato di una professionalità specifica, con attrezzatura e con contenuti di insegnamento tali da poter parlare di vere e proprie scuole. Gli altri, i più poveri, non esperivano un’istruzione organizzata, ma imparavano cose diverse dallo scrivere, leggere e far di conto, in ambienti informali come in famiglia, sul lavoro e per la strada. Altro modo rispetto a quello della casa, del lavoro, della strada, la scuola ha sue materialità (gli attrezzi dell’insegnare e dell’imparare), ma sovente i maestri cercano di motivare allo studio in modo violento, regolando l’apprendimento con esercizi ripetuti e monotoni, imponendo costumi di obbedienza e diligenza che i piccoli scolari tollerano con difficoltà. In questi casi accade che il bambino ha voglia di evadere nel vero senso della parola e ciò lo porta alla fuga dall’aula e a ritrovarsi nella controscuola che è la strada. 2.3.1. Solitudine Il lavoro è, per il bambino, occasione di socializzazione di incontro con gli altri bambini e con gli adulti, è un’assunzione di condotte che a scuola, a casa e nel gioco non imparerebbe perché assai differenti, è apprendimento di linguaggi, competenze motorie e intellettuali che egli vede esercitare da altri con cui opera. Sia nella fabbrica, che nella miniera o per la strada egli è esposto a esempi, sottoposto a verifiche di quanto ha appreso, e trova in queste si- I bambini nella storia 19 tuazioni sia minaccia che solidarietà, sia ostilità che simpatia. Infatti la letteratura dello scorso secolo testimonia anche qualche caso positivo di esperienze, cioè di incontri buoni dove il bambino si imbatte in un compagno più forte e generoso. Ma c’è anche, da sempre, meno nota, ma che rimane fino ai nostri giorni, una serie di situazioni, specie in zone agricole, in cui il bambino lavora da solo: custodisce le capre e le pecore, le fa pascolare, si occupa degli animali della stalla, dorme nella stalla, taglia e raccoglie il fieno. Il rapporto è qui del bambino con cose e animali, in un mondo di suoni e rumori che però non sono voci o risposte di qualcuno, è in stretto contatto con la natura e basta, dove la solitudine diviene quasi un atto di violenza. La famiglia vende il bambino come fosse anch’egli una cosa e il padrone lo tratta come fosse un animale; una situazione dove il corpo cresce ed il tempo passa senza stimoli per la mente e per gli affetti. Come esempio la storia, non molto lontana, di un bambino che lavora presso un’azienda agricola nel paese di Altamura.16 Qui l’analfabetismo è alto, e anche la povertà; il 90% della superficie è adibita a pascolo e seminativo nudo, con redditi miserabili e una zootecnica povera perché manca l’acqua. È in questo quadro che si colloca la triste vicenda dei massari che ancora negli anni Ottanta, la mattina del 15 agosto, festa di Santa Maria e Santa Irene, si recano in piazza alla ricerca di braccia forti per il lavoro nei campi e nelle aziende agricole. Il giorno di Ferragosto infatti scadono i contratti annuali dei salariati agricoli e si apre il mercato degli ingaggi. Qui le famiglie portano i figli per sistemarli presso titolari di imprese agricole; sono ragazzi di 10-12 anni che non vanno a scuola e vengono adibiti alla pulizia delle stalle, al governo delle bestie e a tante incombenze annesse al lavoro agricolo. Non esistono orari né tariffe anche perché i bambini vivono nelle fattorie, mangiano e dormono alla meglio, privi di assistenza, lontani dai loro genitori e esclusi dai giochi degli altri ragazzi e quindi lontani dalla civiltà. Il ragazzo in questione è Michele Colonna, di sedici anni il quale lavorava a nero già da cinque anni ed era stato acquistato per quarantamila lire al mese e un pezzo di pecorino. 16 Cfr. Ivi, p. 262. 20 Capitolo secondo Un giorno di novembre del 1976 fu trovato il suo corpo senza vita, trapassato da un colpo di fucile da caccia; si pensò al suicidio anche se la gente riteneva fosse stata una disgrazia. Michele lavorava quindici ore al giorno, mangiava sui pascoli insieme alle pecore, e la sera un piatto di pasta prima di andare a dormire nella stalla. Solo, sempre solo, privato di ogni gioco infantile, senza la possibilità di parlare con anima viva. Un’esistenza bruciata in una sconfinata solitudine, il pensiero dell’inutilità della vita che porta al pensiero della morte si era a poco a poco inculcato nella sua mente sino al punto di indurlo ad imbracciare il fucile rubato al padrone. Michele aveva conosciuto solo l’umiliazione di un lavoro precoce sul sentiero della “tratta”. 2.3.2. Il lavoro infantile nella società industriale inglese La situazione della classe operaia in Inghilterra è il testo più noto sul lavoro nelle fabbriche e nelle miniere, pubblicato da Engels nel 1845 dopo un soggiorno in Inghilterra, in un’epoca di radicale cambiamento nelle strutture economiche e sociali. In questo testo sono prese in considerazione non solo le forme di produttività operaia, ma anche le conseguenze sulla salute, sulla vita privata, sull’acculturazione delle giovani generazioni. L’abbrutimento dei bambini delle famiglie proletarizzate e la loro totale assenza da scuola si coniuga con la condizione del lavoro minorile nelle fabbriche e nelle miniere. Il bambino di una società che paga un pesante prezzo ai propri cambiamenti, viene analizzato nelle sue condizioni più drammatiche: precoce adultizzazione e nello stesso tempo mancanza di maturità, deprivazione di ogni stimolo allo sviluppo e innaturalità dei modi di vita. In queste fabbriche c’è stata una progressiva eliminazione dell’uomo adulto, tutti i lavori che non richiedono troppa fatica, ma una certa agilità, venivano fatti fare ai bambini e alle donne, anche perché costavano meno. I bambini venivano presi dagli asili dei poveri, e per lunghi anni erano affittati dagli industriali come apprendisti, i quali li facevano lavorare dalle 14 alle 16 ore giornaliere. I bambini nella storia 21 Molti fanciulli si lamentavano: «Non ho abbastanza da mangiare, mi danno soltanto patate e sale, mai carne, mai pane, non vado a scuola, non ho vestiti»17. Le condizioni di salute di questi giovani lavoratori peggiorano sempre più; tra quelli il cui lavoro è particolarmente nocivo, meritano un cenno particolare i mould-runners, che devono portare negli essiccatoi l’articolo già preparato e posto nelle forme e, quando è asciutto, riportare indietro le forme vuote. Così essi vanno su e giù tutto il giorno con un carico troppo pesante e l’alta temperatura, che aumenta sempre più la loro spossatezza. Il lavoro più nocivo di tutti viene compiuto da coloro che devono immergere i prodotti finiti in un liquido che contiene grandi quantità di piombo e arsenico; le mani e gli abiti sono sempre bagnati di questo liquido, la pelle diventa molle, si lacera e inizia a sanguinare; inoltre il contatto con queste sostanze provoca nei fanciulli epilessia, molti di questi bambini avevano ormai attacchi tutti i giorni. Nelle miniere di ferro e di carbone, i bambini sono incaricati di trasportare il materiale nelle gallerie e ad aprire e chiudere le porte che separano le diverse sezioni della miniera, al passaggio degli operai e del materiale. Alla sorveglianza di queste porte ci sono i bambini più piccoli, che devono starsene da soli per dodici ore al giorno nel buio, in un corridoio angusto e umido, senza avere neanche quel tanto di lavoro sufficiente a scacciare la noia abbrutente e demoralizzante dell’inattività. Anche questo è un caso di solitudine dove il bambino è costretto a starsene tra sé e sé senza avere alcun motivo di socializzazione. Avviene che i fanciulli, tornati a casa dopo il lavoro, non riescano neanche a mangiare per lo sfinimento e si addormentano subito, a volte i genitori li devono andare a cercare nel cuore della notte, e li trovano addormentati per strada dove si sono gettati a terra vinti dalla stanchezza. F. ENGELS, La situazione della classe operaia in Inghilterra, in base a osservazioni dirette e a fonti autentiche, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 183. 17 Parte seconda RISORSE E CRITICITA’ Capitolo primo Una antipedagogia del recupero sociale 1.1. Introduzione Bambini soli, abbandonati, sporchi, delinquenti, senza educazione, in balia del mondo. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre e la guerra civile che ne conseguì, le condizioni economiche e sociali della Russia erano al collasso. La carestia spinse una moltitudine di ragazzi, i besprizorniki18, rimasti soli per aver perso i genitori e parenti, o abbandonati a se stessi per la condizioni di estrema povertà delle famiglie, a trovare rifugio nelle strade, cercando di sopravvivere tra mille espedienti: furti, borseggi, taglieggiamenti ed ogni altro genere di attività illecita. Lo Stato, prendendo atto della situazione, attivò centri di raccolta e di recupero per questi ragazzi, soprattutto attraverso l’opera degli orfanotrofi; ma le istituzioni pedagogiche si trovarono ad operare in condizioni penose: strutture fatiscenti, povertà di mezzi umani e materiali, scarsità e impreparazione del personale e soprattutto una quantità soverchiante ed estremamente differenziata di problematiche da affrontare. A fronte di alcuni successi, che, a prescindere dalle condizioni, conducevano alcuni al recupero e all’integrazione nella società, erano moltissimi i ragazzi che preferivano fuggire e tornare nelle strade, conducendo una vita miserabile proprio perché non avevano trovato nella colonia un messaggio abbastanza forte o una motivazione sufficiente a ritrovare fiducia nella vita civile. Non bisogna dimenticare che la deprivazione affettiva subita da questi ragazzi a causa di situazioni traumatiche, difficili da sopportare anche da un adulto, li spingeva a cercare in forme di aggregazione tra coetanei un senso di sicurezza, di appartenenza, di solidarietà purtroppo distorte da una lotta continua per la sopravvivenza e l’identità, anche all’interno del gruppo. Un Uomo, che crede nell’esistenza di questa speranza ma non sa ancora come agire, decide di dedicare la sua vita alla ricostruzione di queste vite spezzate, di impegnarsi con tutte le sue forze ad aiutare questi 18 Besprizorniki è il nome russo che viene dato ai bambini di strada. 26 Capitolo primo ragazzi per far crescere in loro la voglia di vivere e formare l’uomo nuovo. Ecco la nascita della Colonia Gor’kij. In uno stato che rinasce dalle ceneri dell’impero zarista animato da ideali in cui è forte l’idea sociale del cittadino, soggetto attivo della comunità elemento partecipe e consapevole all’interno di una collettività in cui il bene comune è più importante di ogni singolo individuo ma che si realizza proprio attraverso l’apporto dei singoli individui, la formazione, l’educazione etica al vivere comune sono di un’importanza fondamentale. Si tratta di formare una nuova coscienza sociale, vero elemento di unificazione di Anton Semënovič Makarenko, pedagogista, educatore ma anche e soprattutto politico dell’educazione. 1.2. Anton Semënovič Makarenko e la Colonia Gor’kij Anton Semënovič Makarenko, pedagogista, scrittore, maestro elementare dal 1905, direttore didattico dal 1917 ed autore del Poema pedagogico. Già dal primo periodo rivoluzionario, Makarenko, si trovò in contrasto con i pedagogisti del regime, fautori dell’educazione libera, di matrice filosofica ed estetica. Makarenko prende atto di una situazione reale, dove le necessità primarie hanno la precedenza, dove possono ispirare occasioni di sviluppo. La pedagogia deve partire dal presupposto che i ragazzi portino in sé qualità migliori di quelle che A. S. Makarenko dimostrano, che siano capaci, nonostante tutto, di proiettarsi in un’avvenire migliore. Dunque è compito dell’educatore tirare fuori la materia umana, sporcandosi le mani con la crudezza di una realtà spesso spietata. Makarenko considera possibile, anzi già attuale nel comportamento spontaneo dei ragazzi, la trasmissione di valori e di forze positive che diventano patrimonio collettivo. Questo senso etico e morale insito nella natura dell’uomo attribuisce un valore aggiunto alla cultura e induce una modificazione che si trasferisce nella società. Per ottenere lo sviluppo di un processo formativo così caratterizzato, Makarenko ipotizza una “pedagogia della lotta”, una forma di educa- Una antipedagogia del recupero sociale 27 zione che parte dal lavoro, dall’impegno collettivo, servendosi di una struttura sociale fortemente gerarchica, connotata da regole e leggi rigide ed autoritarie che possono delimitare con forza e cristallina chiarezza limiti e confini, diritti e doveri, capacità e produttività. La colonia di lavoro Gor’kij, un luogo di rieducazione per ragazzi abbandonati e deviati, sorta nel 1920 presso Poltava, rappresentò per Makarenko il luogo della verifica delle sue idee pedagogiche, l’ambiente dove queste avrebbero preso forma, attraverso un’attuazione di strategie in continua evoluzione, proprio sulla base di quello che i ragazzi indicavano con il loro comportamento, con la loro risposta a determinati input educativi. Ecco come si presentava la situazione iniziale della colonia; dal capitolo secondo del Poema pedagogico di Makarenko, intitolato L’inglorioso inizio della Colonia Gor’kij: A sei chilometri da Poltava, sopra colline sabbiose, c’è una pineta di duecento ettari e lungo la pineta corre le stradone per Char’kov, il cui lucido acciottolato brilla monotono. Nella pineta si allarga una radura di una quarantina di ettari. In un angolo di questa sono piazzate cinque scatole di mattoni, geometricamente perfette, che nel loro insieme formano un quadrilatero regolare. É questa la nuova colonia per i trasgressori della legge. Lo spazio sabbioso del cortile digrada in un’ampia radura nel bosco fino al canneto di un laghetto, sulla cui riva opposta sorgono le siepi e le case di un villaggio di kulak. Lontano, dietro il villaggio, si staglia sul cielo un filare di vecchie betulle e poi ancora due o tre tetti di paglia, e null’altro.19 Al nuovo direttore della colonia si presentavano condizioni iniziali davvero difficili: i ragazzi si rifiutavano di lavorare e di studiare, rubavano e si picchiavano tra loro. Nonostante l’estrema povertà di risorse, Makarenko riuscì, impegnandosi in prima persona come educatore, a stabilire un ordinamento interno alla comunità, creando dal nulla una struttura gerarchica di tipo quasi militare. La disciplina, le regole estremamente rigide si univano ad un impegno di lavoro costante, improntato e finalizzato all’autonomia della colonia stessa. Le attività agricole, l’allevamento, la produzione artigianale e financo le opere murarie e di ristrutturazione miravano all’obiettivo comune di 19 A. S. MAKARENKO, op. cit., p. 9. 28 Capitolo primo costruire un microcosmo ideale, dove la vita, grazie al lavoro di tutti, diventava sempre migliore. Makarenko individua con chiarezza il nesso tra motivazione e applicazione delle risorse; un ragazzo in cui manca l’indispensabile, può rinunciare ad un comportamento deviato se pur funzionale alla sopravvivenza solo se scopre che può soddisfare le sue necessità per un’altra via, toccando con mano i risultati dei suoi sforzi. La produttività, il concorso di tutte le forze permettono alla Colonia Gor’kij di diventare un piccolo mondo autonomo dove a tutti è garantito il cibo, il vestiario, il conforto di una casa. In questo senso, la disciplina, le regole e i doveri vengono acquisiti con un senso di orgoglio e di appartenenza. Lo spirito di emulazione, la solidarietà, l’entusiasmo creano tra i ragazzi legami molto importanti che generano quella trasmissione di valori e di forze che definisce la caratteristica essenziale dell’uomo nuovo. La prospettiva politica, la formazione di soggetti attivi integrati nella società delineata dal nuovo modello comunista, è senz’altro presente nello sforzo educativo di Makarenko. La colonia Gor’kij è destinata ad entrare in contatto con l’esterno, attraverso piccoli commerci, scambi di materiali e beni di consumo come ad esempio prodotti agricoli, bestiame, manufatti. La produttività è sviluppo, benessere, miglioramento della qualità di vita, e l’individuo che vi contribuisce da il massimo di se stesso, in una dimensione “eroica” dell’impegno civile. 1.2.1. La costruzione dell’uomo nuovo Nonostante le numerose critiche e l’avversione di buona parte dei pedagogisti accreditati dal regime, Makarenko dimostrò come la via del lavoro conducesse con successo allo sviluppo e all’incremento dell’istruzione. Molti dei suoi ragazzi proseguirono gli studi, affiancando al lavoro dei campi la formazione universitaria. Sarebbero diventati medici, ingegneri, professionisti qualificati; in alcuni casi, avrebbero scelto di seguire il loro “maestro” e di occuparsi di pedagogia, affiancandolo nelle nuove sfide che avrebbe affrontato. Il nuovo incarico di Makarenko nella colonia di Kurjaž lo vede impegnato insieme ai suoi ragazzi gorkjani in un’impresa ancora più difficile. Makarenko, infatti, si trovava nuovamente di fronte ad un forte dubbio, ossia la rieducazione di nuovi 220 ragazzi, ciò significava cominciare tutto da capo. Una antipedagogia del recupero sociale 29 Arrivato a Kurjaž, Makarenko trovò una situazione di stasi, una sorta di morte interiore nell’animo dei ragazzi, che è pericolosissima anche perché temeva il contagio negativo per i suoi “vecchi” ragazzi. Ma ciò non avvenne, anzi, questa volta ebbe una marcia in più perché aveva con lui l’appoggio di 120 uomini già formati, che contribuirono alla nascita della nuova colonia Gor’kij composta da quattrocento uomini nuovi. Sarà in questa occasione che egli avrà modo di constatare come i suoi uomini nuovi siano capaci di trasformarsi in tanti piccoli educatori. È bellissimo vedere come nel Poema pedagogico, Makarenko, in occasione della festa del primo covone, descrive la figura di un ragazzo difficile e ribelle come Burun, che diviene l’esempio vivente dei valori della colonia e li trasmette ai più piccoli con l’onore e l’orgoglio di un vero comandante; Burun dice al più piccolo della colonia di lavorare e di studiare per diventare, quando sarà cresciuto, uno del Komsomol e ottenere l’onore di falciare il primo covone e porgerlo a sua volta al più piccolo. Ed ora rendiamo onore ai nostri migliori compagni: l’ottavo reparto misto del primo covone al comando di Burun. […] io stesso sono ancora una volta sorpreso dal solenne splendore dell’ottavo misto. E forse io posso vedere e sentire più cose di voi. In testa al reparto c’è Burun, il buon vecchio Burun, che ancora una volta giuda un reparto operaio della colonia. Sulle sue spalle da gigante sta alta una falce risplendente. Oggi Burun è maestosamente bello, soprattutto per me che so che non si tratta solo di una figura decorativa in un quadro vivente, che è soprattutto un vero comandante che sa chi guida. Sul volto serio e calmo di Burun leggo la consapevolezza della sua responsabilità. Sa che deve mietere in trenta minuti mezzo ettaro. Questo, gli ospiti non lo vedono. E sono tante altre cose che gli ospiti non vedono. Non vedono che questo comandante dei falciatori è uno studente dell’istituto di medicina e che proprio in questa coincidenza di persone sta il meglio del nostro stile sovietico.20 Il Poema pedagogico come “romanzo di infanzia” mette in scena la vita di questi ragazzi, li rende autori della storia dell’uomo nuovo. Il romanzo riporta una condizione umana effettivamente nuova, che non è solo quella del non-abbandono e dell’integrazione; essa conduce oltre la purificazione, all’acquisizione di un livello di moralità e socialità che prima non poteva esistere. 20 Ivi, p. 507. 30 Capitolo primo L’aspetto più delicato del Poema pedagogico è l’incanto che Makarenko esprime nell’osservare il comportamento, le azioni e le trasformazioni dei suoi piccoli uomini nuovi. Le sue descrizioni hanno un qualcosa di poetico, di profondamente sentito; le osservazioni interpretano la realtà con accenti di grande partecipazione emotiva che va al di là della soddisfazione personale per i suoi successi ottenuti. Egli stesso apprende dai suoi ragazzi, nel rinnovarsi delle esperienze e delle conquiste quel valore aggiunto della crescita che è la riscoperta del meglio di sé, in un percorso infinito. Makarenko impara dai ragazzi la speranza nel futuro come condizione permanente, come motore per l’evoluzione umana, come proiezione nel reale di un ideale altissimo che al di là di ogni connotazione strettamente politica, può essere considerato come fine ultimo di ogni tensione deontologica al vivere sociale. 1.2.2. Il Poema pedagogico come romanzo di infanzia per la formazione dell’uomo nuovo21 Il Poema pedagogico inteso come romanzo d’infanzia, venne scritto da Makarenko dopo l’esperienza educativa avuta nella colonia di rieducazione Gor’kij tra il 1920 e il 1928 presso Poltava, in Ucraina. Il Poema pedagogico è popolato da bambini di tutte le età, da quella prenatale a quella da zero a due anni, a quelle successive fino ai diecidiciotto anni, e questi bambini sono i veri protagonisti della vicenda narrata da Makarenko, e i destinatari del suo modello educativo sperimentale o come si può chiamare “antipedagogico”. Makarenko è il protagonista della prospettiva, e nel Poema pedagogico la prospettiva è rappresentata proprio dai bambini, ed è dalle rappresentazioni dell’infanzia che si ricavano concetti caratteristici come per esempio quello di “collettivo” e di “responsabilità”. Makarenko vuole mettere in scena l’uomo nuovo, cioè i bambini che sono l’elemento primario umano, sono essi stessi coautori del romanzo di infanzia. Il Poema pedagogico quindi come documento del suo tempo ossia degli anni Venti-Trenta del secolo scorso e come documento del nostro tempo, 21 Per l'esposizione di questo argomento è stato consultato il libro I bambini di Makarenko. Il Poema pedagogico come "romanzo d'infanzia", N. SICILIANI DE CUMIS, Pisa, ETS, 2002. Una antipedagogia del recupero sociale 31 basti pensare al punto di riferimento che Makarenko, educatore e letterario, continua a rappresentare oggi riguardo l’abbandono dell’infanzia e i ragazzi di strada nei paesi dell’ex Unione Sovietica, come in altri paesi tra cui l’Africa, il Sud America, la Cina, il Medio Oriente. Il Poema pedagogico dovrebbe stimolare nel lettore una riflessione e coinvolgerlo come educatore di se stesso, delle proprie assunzioni di responsabilità secondo una prospettiva; perché sono proprio la prospettiva e la responsabilità le categorie pedagogiche più importanti di Makarenko. Spesso accade infatti che siano proprio i bambini a dare qualche modo di prova di maggiore maturità e moralità agli adulti, ed in certe condizioni sono ancora i bambini a rivelarsi più grandi, come per esempio verso il gusto della vita, la negazione della violenza, il senso del giusto e dell’ingiusto, l’umanità elementare. Quindi questo romanzo è inteso come la cronaca dell’uomo nuovo dall’origine, cioè fin da bambino e nel farsi adulto, è un laboratorio di valori d’infanzia senza frontiere di tempo e di spazio, un’esperienza di insegnamento-apprendimento, è una produzione tecnica di testi d’infanzia per opere sia dell’autore che degli stessi bambini che, insieme a lui, fanno il romanzo. Il poema andrebbe visto anche come una sorta di viaggio che viene effettuato in presenza della crescita dell’uomo nuovo, ma senza certezze assolute, cioè con la prospettiva del traguardo, ma senza la visione dell’arrivo. Un viaggio dunque che è educativo in quanto si prefigge una certa novità pedagogica riguardo ad una azione morale sicuramente nuova, ciò significa sperimentazione con prove e riprove, perché nulla era già stato programmato. Come Makarenko altri personaggi si sono interessati al recupero dei ragazzi di strada; per esempio Asja Lacis22, pedagoga teatrale per l’infanzia, impegnata dopo il 1917 in attività pedagogico-teatrali nella città di Orel, dove si vedevano schiere di bambini abbandonati i besprizorniki, che avevano formato delle vere e proprie bande di briganti, vittime della guerra mondiale e civile. La Lacis riuscì, grazie al gioco teatrale, a far entrare questi bambini nella scuola ridestandoli dal loro letargo; questo metodo ricorda quello della colonia Gor’kij con l’invenzione del reparto misto non solo per ciò che riguarda il teatro ma anche per il gioco. 22 Cfr. infra, parte prima, capitolo uno, Altri luoghi visti dagli adulti: Asja Lacis e i besprizorniki. 32 Capitolo primo Il gioco per Makarenko rappresenta l’espressione creativa dei singoli soggetti e quindi la manifestazione dei processi di formazione del collettivo. Il gioco riveste una grande importanza; l’educazione del futuro uomo e lavoratore si svolge innanzitutto nel gioco. Per una ulteriore presentazione del Poema pedagogico come romanzo di infanzia, si può fare riferimento a Michail M. Bachtin, dove il termine infanzia va spiegato nel senso che il poema racconta una certa infanzia come materia della storia, ed è proprio quell’infanzia a narrare a sua volta le vicende come esperienza storica ed educativa. Bachtin in particolare illustra i caratteri del “romanzo del divenire”, gli eroi-autori, per il quale l’uomo in crescita diviene insieme con il mondo. Sembra comparire la scena di un altro mondo come rappresentazione dell’infanzia nuova dell’uomo, partendo dalla rigenerazione totale dei bambini abbandonati che rappresentano l’anticipazione della nascita di un uomo nuovo come forza organizzatrice del futuro. Quindi il romanzo di Bachtin, come quello di Makarenko, può essere definito come azione della vita, come esperienza o come scuola, attraverso cui ogni uomo deve passare; quello che cambia nel romanzo non è solo l’uomo ma è anche il mondo. Dalla condizione di disagio sociale e morale dell’essere abbandonati e senza tutela, il romanzo porta ad una condizione effettivamente nuova che conduce all’acquisizione di un alto livello di moralità, socialità e crescita individuale. Produce un procedimento formativo che è pedagogico in quanto “antipedagogico”, si tratta della giovinezza dell’uomo storico che cresce. L’antipedagogia è intesa come prevalere del fare sul conoscere, della vita reale sulle rappresentazioni superficiali di essa, delle difficoltà del collettivo sulle semplificazioni di ogni tipo. Non è solo il dimenticare, da parte dei ragazzi, il loro passato senza tutela, ma è anche la costruzione di personalità-modello e quindi di tipologie umane superiori e ulteriori rispetto a quelle precedenti. Il passato significa ricchezza di esperienza, il passato rema contro la prospettiva che si oppone alla non gioia di ieri, quindi è importante alleggerire l’elemento storico, dimenticare ciò che hanno fatto i ragazzi in passato, per immaginare quello che potrebbero essere il futuro. L’uomo nuovo di Makarenko ha il suo laboratorio nell’infanzia, ed è la stessa dimensione adulta a rigenerarsi, quindi è l’infanzia il luogo originario e naturale per la crescita della creatività e dell’esperimento in corso. Quindi scambio tra generazioni, dai più grandi ai più piccoli, infatti i nuovi arrivi della colonia nel crescere si avvalgono dell’esperienza Una antipedagogia del recupero sociale 33 dei più grandi e rendono possibile la crescita del collettivo, di conseguenza i ragazzi più grandi si rimettono in gioco facendo nascere attraverso la tradizione una “questione di stile” che è uno dei più importanti obiettivi pedagogici di Makarenko, inoltre combattono la possibilità che il male peggiore prenda il sopravvento, che per il collettivo è rappresentato dalla stasi. Sempre nuovi problemi e nuove situazioni eliminano la stasi, l’educazione vive dei suoi propri rischi, non si esaurisce in se stessa, i bambini vivono su una linea di confine tra il vecchio e il nuovo, tra il passato e il presente, passano dal negativo al positivo, dalla quantità alla qualità. 1.3. Situazione storico-economica dell’URSS degli anni Venti23 Nel 1921, come è noto, la situazione dell’URSS, uscita da una guerra civile di tre anni che aveva ritardato la ricostruzione delle sue forze produttive, era disastrosa. A ciò si era aggiunta una terribile carestia causata dal cattivo raccolto del 1920, dalla mancanza di foraggio e dalla moria del bestiame, che aveva portato i contadini alla rovina e alla fame e ulteriormente compromesso i trasposti e l’approvvigionamento della città. Molte fabbriche furono chiuse e molte altre dovettero sospendere la produzione per lunghi periodi per mancanza di combustibile e di rifornimento delle derrate alimentari destinate agli operai. I contadini russi, i kulak, nel 1928 coltivavano la terra con metodi medioevali. Il podere familiare era spesso frazionato in una dozzina di appezzamenti, a volte dispersi in zone diverse e per lo più così ridicolmente piccoli da non potervi nemmeno girare l’erpice. Il 25 per cento dei contadini non possedeva nemmeno un cavallo, meno del cinquanta per cento disponeva di una pariglia di cavalli o di buoi; così l’aratura avveniva a grandi intervalli e il vomere grattava appena il suolo, era ancora in uso il vomero di legno, sbozzato dallo stesso contadino e senza una punta di metallo. La semina si faceva a mano, spargendo sul terreno la semente portata in un grembiule, così molta se la prendevano gli uccelli o la portava via il vento. Le macchine agricole erano quasi ignote. La gioventù contadina costituiva la più grande riserva del partito. Sempre nel 1928 un milione di giovani contadini militavano nel Komsomol, ed inoltre il partito poteva contare sui soldati che avevano combat23Alcune informazioni relative a questo paragrafo sono state tratte da: E. CARR, Storia della Russia sovietica, Torino, Einaudi, 1970. 34 Capitolo primo tuto nell’Armata rossa durante la guerra civile e sui 180.000 contadini che si arruolavano ogni anno nell’esercito, dove ricevevano un’educazione comunista. Due dei maggiori ostacoli che le esigue forze del partito dovevano affrontare erano l’ignoranza e le abitudini, frutto dell’estrema povertà e dell’asservimento secolare cui i contadini poveri erano stati sottoposti. I rapporti sociali erano medioevali. Il vecchio dirigeva la casa, i figli sposati portavano le mogli nella casa patriarcale e lavoravano nella fattoria che il padre continuava a dirigere; così i metodi di coltivazione rimanevano quelli antiquati, né le vedute dei giovani potevano mutarli. Gran parte di questi metodi venivano determinati dalla religione; le festività religiose indicavano i giorni della semina, le processioni irroravano i campi di acqua santa per assicurare la fertilità, la pioggia veniva auspicata mediante processioni e preghiere. I più osservanti consideravano i trattori “macchine infernali” e vi furono dei preti che incitavano i contadini a lapidarli. Qualunque battaglia per un’agricoltura moderna diveniva così una battaglia contro la religione. Con queste difficoltà culturali, che non potevano risolversi in tempi brevi, il partito ed il governo bolscevico dovettero affrontare la principale contraddizione di classe rappresentata dai kulaki. La battaglia scoppiò quando i kulaki si rifiutarono di vendere allo Stato sovietico le forti eccedenze di grano al prezzo fissato, che era lo stesso stabilito per i medi e piccoli contadini. Quando gli fu imposto (in base ad una legge del codice penale che consentiva di confiscare le eccedenze non corrisposte) di consegnare le quote dovute, ricorsero all’aperta ribellione e perfino al terrore contro i kolcosiani e i militari del partito e delle istituzioni sovietiche rurali. L’offensiva dei kulaki poggiava anche sulla certezza di non essere soli, ma di godere di influenti appoggi all’interno del partito e della complicità di alcune amministrazioni locali. Negli anni 1928 e 1929 si diffusero le stesse voci sullo sterminato territorio sovietico. Nel kolcos le donne e i bambini sarebbero stati collettivizzati, tutti avrebbero dormito insieme sotto un’enorme coperta comune. Il governo bolscevico avrebbe obbligato le donne a tagliarsi i capelli al fine di esportarli. I bolscevici avrebbero marcato le donne sulla fronte per la loro identificazione, essi avrebbero imposto la russificazione alle popolazioni locali. Ed altre informazioni terrificanti circolavano; nei kolcos una macchina speciale avrebbe bruciato i vecchi affinché non mangiassero il grano, i bambini sarebbero stati tolti dai loro genitori per essere inviati in nidi d’infanzia, quarantamila giovani donne sarebbero state Una antipedagogia del recupero sociale 35 spedite in Cina per pagare la ferrovia orientale cinese, i kolcosiani sarebbero stati mandati per primi in guerra. Infine le solite voci annunciavano che ben presto sarebbero ritornati gli eserciti dei Bianchi. I credenti furono informati della prossima venuta dell’anticristo e della fine del mondo nello spazio di due anni. Le condizioni in cui operavano le brigate del lavoratori d’assalto, gli stakhanovisti, i contadini udarniki e migliaia e migliaia di proletari, –i comunisti e i giovani del Komsomol in prima fila– che profusero sforzi sovrumani per costruire un paese che finalmente gli apparteneva, non erano migliori di quelle dei deportati e dei prigionieri rinchiusi nei campi di lavoro, che quel paese volevano distruggere. Molti di loro morirono per le epidemie, per la fatica e per i disagi, e la salute di molti ne fu segnata per sempre. Teniamo presente che non c’è realtà che non si possa indagare in tutti i suoi risvolti; ricordiamoci che al sistema cosiddetto "gulag", cioè ai campi di lavoro e riabilitazione in URSS, apparteneva anche la Colonia Gor’kij, la cui esperienza è raccontata nel Poema pedagogico di Makarenko. 1.3.1. Situazione sociale dell’URSS degli anni Venti Così si presentava la situazione sociale per quanto riguarda l’origine e l’età dei bambini abbandonati nell’URSS degli anni Venti; la maggioranza erano figli di contadini, il settanta/ottanta per cento avevano dai dieci ai 14 anni, ma c’erano anche casi di adolescenti tra i 17 e i 19 anni. Questi bambini stavano soprattutto nei grandi centri urbani, ma poi il fenomeno si diffuse anche nelle campagne a causa della carestia. Si insediavano ovunque; nelle rovine degli edifici, nei vagoni dei treni abbandonati, nelle rimesse vuote, passavano le loro giornate sui margini dei marciapiedi o in altri angoli della città fumando mozziconi di sigarette, giocando a carte ed alcuni di loro sniffava cocaina o beveva alcool commettendo furti e crimini anche peggiori. Quindi le realtà legate a questi ragazzi “randagi” erano i vizi, i crimini e la corruzione morale, infatti la criminalità infantile aumentò spaventosamente soprattutto nel 1921, anno della carestia. Di conseguenza a questi avvenimenti si cercò di trovare il giusto metodo di lotta contro il vagabondaggio infantile e, nonostante vari metodi a volte non adatti e le grandi difficoltà che erano legate all’estensione del problema, ci furono esempi di alcuni risultati positivi legati soprattutto 36 Capitolo primo alle colonie e alle case di lavoro; la Colonia Gor’kij di Makarenko ne è un esempio. All’interno di queste colonie il lavoro sistematico, disciplinato e talvolta anche duro e severo, stava alla base per la rieducazione dei bambini abbandonati, inoltre c’erano dei principi da rispettare come se fossero delle regole, per esempio tutti dovevano essere uniti e solidali tra loro, la loro partecipazione al lavoro doveva essere volontaria per vedere i risultati della propria attività. Così l’educazione veniva data in forma di produttività. All’interno della Colonia Gor’kij il collettivo è inteso anche come una specie di società sovietica in miniatura, infatti Makarenko organizzava la sua colonia in questa forma per ottenere un’autosufficienza economica e amministrativa. Il collettivo è proprio un’unità di produzione economica che provvede al mantenimento dei suoi membri, è aperto verso il futuro, non si adagia sulle conquiste fatte, ma tende a progredire lottando sempre, senza fermarsi contro l’eventuale riaffiorare del “vecchio uomo”. Questo è il risultato di una crescita totale, cioè una crescita umana complessa; fisica, morale, culturale, ma anche economica e finanziaria. Facendo riferimento a Muhammad Yunus possiamo notare delle idee in comune con Makarenko. Yunus è l’autore del Il banchiere dei poveri, quest’opera è basata sulla convinzione che la povertà si può eliminare con un impegno concreto, ovvero: dando delle opportunità ai poveri si ricava profitto per la società intera, infatti ogni uomo grava sulla società come consumatore, ma egli può ricoprire un ruolo comunque produttivo. Eliminando la povertà si eliminerebbero anche la discriminazione e l’ingiustizia per recuperare invece dignità e libertà per tutta la società. Qualsiasi forma di carità implica il venir meno della dignità del povero che viene considerato un essere inferiore, passivo e non un soggetto economico ricco di potenzialità inespresse. La più grande intenzione del banchiere dei poveri è proprio quella di fornire ai più emarginati un’opportunità che consenta loro di manifestare le proprie capacità creative e inventive. Queste concezioni si avvicinano allo spirito con cui Makarenko affrontò la sua impresa, soprattutto quella della valorizzazione delle risorse umane, cioè che tutti gli uomini hanno delle potenzialità che fanno crescere la società anche economicamente e di conseguenza che tutti sono educabili. Una antipedagogia del recupero sociale 37 Si tratta di due esperienze diverse ma che sono accomunate dalla stessa spinta rivoluzionaria; entrambi hanno rifiutato di appellarsi alla tradizione e hanno lottato per un uomo nuovo, per far questo è stato necessario dimenticare i vecchi stereotipi, abbandonare ogni pregiudizio e assumere una “prospettiva” ottimistica. Si tratta di uomini d’azione che hanno tratto dalla loro esperienza personale un modello reale per i bambini abbandonati e per i poveri di tutto il mondo. Capitolo secondo Altri luoghi oggi, nel mondo 2.1. Niños de la calle Il fenomeno dei niños de la calle, i bambini di strada, in Sud America è enorme: basti pensare che dei 96 milioni di persone che vivono in povertà estrema in America Latina e ai Caraibi, 41 milioni sono minori sotto i 12 anni e 15 milioni adolescenti tra i 13 e i 19 anni. Dall’America Latina, l’abbandono dei minori si è esteso all’Africa, Asia e perfino al Nord America e Australia. In tutto il mondo sono stimati essere circa 150 milioni. La maggior parte sopravvive chiedendo l’elemosina, vendendo periodici, lustrando scarpe, rubando o prostituendosi. Molti consumano droga o inalano colla come unica via di fuga da una realtà in cui sembrano invisibili. Una realtà fatta di violenze subite dalla polizia, di abusi sessuali e della indifferenza di tutti quelli che camminano sulla strada dove sopravvivono. A Santo Domingo, i niños gomeros hanno sempre con sé una sostanza gialla, contenuta in una bottiglietta o in un sacchetto di plastica, che aspirano quasi ventiquattro ore al giorno. Si tratta di comune colla per scarpe (volgarmente chiamata goma, da cui gomeros) in vendita in qualsiasi ferramenta a soli ottanta centesimi di dollaro, ossia meno di un piatto di cibo. I danni causati da questa droga sono irreversibili a livello celebrale e possono anche condurre alla morte improvvisa. Tuttavia, per i niños gomeros, la colla nella strada è l’unico compagno fedele. I niños della calle si danno alla strada fin dalla più tenera età per sfuggire a situazioni familiari insostenibili fatte di alcoolismo, abusi sessuali e criminalità; una volta in strada, accolti da una polizia che li punisce con interventi estremamente pesanti e arbitrari, e da procacciatori di affari sporchi, di fronte al freddo, ai crampi della fame, all’indifferenza della gente, davanti ad un futuro senza prospettive, la goma diventa l’unico I niños gomeros loro “svago”. di Santo Domingo Per molti dei volontari che hanno operato a 40 Capitolo secondo contatto con questi bambini, il loro recupero appare impossibile. In Guatemala, nel 2005, venne fuori che gli ufficiali di polizia e delle forze di sicurezza torturavano i niños della calle. Ecco cosa racconta Carlos, un ragazzo di strada del Guatemala: Gli agenti di polizia si divertono con noi, ma preferiscono le ragazze. Loro le violentano, ne abusano sia nelle prigioni che per strada, dietro minaccia di arresto. Ho visto tante giovani donne sottomettersi a loro per evitare di essere portate dentro. Una di otto anni mi ha confidato che un agente le ha chiesto di poterla guardare nuda in cambio della libertà. A volte ci fermano e ci bruciano le mani con le sigarette. A me hanno gettato del solvente addosso e mi hanno picchiato solo perché non avevo soldi da dargli.24 Adesso Carlos è aiutato da Casa Alianza Guatemala, che raccoglie e sostiene i niños de la calle con un apposito programma umanitario. Bambine di strada del Guatemala 2.1.1. Meniños de rua In Brasile, sono 7 milioni i bambini che vivono in strada. In media quattro di essi sono assassinati ogni giorno da gruppi di sterminio o dalla polizia. La situazione sociale e politica del Paese e l’esistenza di una riforma agraria varata ma mai decollata spiegano l’inurbamento che, in pochi anni, ha creato nelle grandi città quartieri ghetto dove si vive appena al di sopra del limite di sopravvivenza, dove il crimine dilaga tra l’indifferenza generale. 24 Da Bambini di strada, parte prima, www.ecplanet.com, consultato nel mese di ottobre 2006. Alti luoghi oggi, nel mondo 41 Dei 7 milioni di bambini di strada che devono sopravvivere, almeno due si prostituiscono, gli altri si arrangiano con ogni tipo di lavoro, con furti e droga. Il loro comportamento è gravemente antisociale, risentito, diffidente e la società si difende spesso uccidendoli. I meniños de rua diventano così un problema che va risolto. Solo negli ultimi cinque anni secondo i dati della Commissione parlamentare di indagine sulla violenza contro i minori, sono stati 16.414 i bambini di strada assassinati dagli squadroni della morte. Le meniñas della Praca da Sé di Sân Paolo vivono ogni giorno e ogni notte nel crescente terrore di essere ammazzate tutte insieme. Nel 1992, membri del Congresso Nazionale diedero vita ad una commissione parlamentare che scoprì, tra gli altri, il coinvolgimento di ufficiali di polizia. Solo per il 10% dei delitti e delle violenze su di loro si apre un’inchiesta, sostiene Mario Volpi, responsabile del Movimento Nacional de Meniños e Meniñas de Rua che da anni si batte per la difesa dei diritti dei ragazzi e l’autorganizzazione dei minori in Brasile. Secondo Volpi, la violenza su bambini in Brasile non è solo quella commessa dai poliziotti, dai “gruppi di sterminio” finanziati da commercianti e industriali o dai “gruppi di giustizieri” che controllano il traffico di droga, ma anche lo sfruttamento del lavoro minorile: i bambini resi schiavi, segregati nei postriboli o costretti a lavorare nell’acqua nelle miniere per estrarre l’oro, in Brasile sono molto più numerosi dei bambini di strada, ma non si vedono, non danno fastidio e la società civile li tollera. 2.1.2. The silent war Baixada Fluminense; periferia di Rio de Janeiro, una distesa informe di baracche in legno e lamiera, palazzoni di cemento nudo che da tempo hanno smesso di avere una dignità architettonica. Baixada Fluminense è quell’area di pianura che descrive la periferia di Rio de Janeiro e comprende i comuni di Nuova Iguaçù, Duque de Caxias, Mesquita, Nilopolis e molti altri, per un totale di quasi otto milioni di persone. La maggioranza sono favelas o aree di gente povera. Questa area fino a quaranta anni fa era agricola, adesso è una fiumana di case, formatasi con il fenomeno dell'immigrazione. La Baixada è, secondo le Nazioni Unite, uno dei posti più violenti al mondo: 12 omicidi al giorno, oltre a una serie di reati minori come scontri a fuoco e rapine. Il traffico di droga è ormai endemico, gli spacciatori 42 Capitolo secondo vanno lì per raccattare manovalanza (corrieri, piccoli venditori, ecc.) e organizzare le loro guerre tra bande. Baixada è lo spettacolo più drammatico di un paese dove lo stato di barbarie provocato dalla globalizzazione ha raggiunto ormai livelli che disumani è dire poco. Il quartiere vanta primati come: il più alto numero di bambini di strada, quello in cui i bambini si ammazzano di più, di solito ingerendo veleno per topi, quello in cui vengono commessi omicidi e in cui l'età media dei meniños de rua si è abbassata di più negli ultimi anni: da dieci-dodici anni a quattro-cinque anni. I ragazzini cominciano con piccoli furti e rapine, poi spacciano, per finire al soldo dei trafficanti che hanno decentrato i loro affari nella Baixada. Si fanno assoldare per povertà, stanchezza, e poi: «per quella mi25 seria che è la caratteristica di questa zona» dice Lucia Ines, una delle fondatrici della Casa do Menor. Miseria culturale, di fede, morale. Una miseria assoluta, perché la gente non ha più valori, ha perso tutto, a cominciare dalla stima di sé. La maggior parte dei giovani qui non raggiunge i 18 anni. Vengono ammazzati prima dai trafficanti perché il più piccolo sgarro viene punito con la morte, o dagli squadroni della morte, assoldati dai privati per garantire l'ordine. La Baixada vanta anche un altro primato: è la zona di Rio in cui i justiceiros ammazzano di più e più impunemente: 12 omicidi al giorno, tutti di persone non identificate, la maggior parte bambini, quasi sempre impuniti. I giornali non ne riportano neppure più la notizia, la polizia minimizza. Gli squadroni della morte fanno parte della vita quotidiana nella Baixada fin dal 1950, quando i justiceiros cominciarono a sostituirsi allo stato. Una specie di “servizio pubblico”, tanto che qualcuno lavora per soldi e qualcun altro lo fa solo “per rendere un favore alla società”. Jubilee Campaign, una organizzazione inglese per i diritti umani, ha svolto una accurata indagine sul campo, nella Baixada, su incarico del parlamento inglese. Ha intervistato justiceiros, poliziotti, meniños de rua e gente della strada e poi ha pubblicato un rapporto di 64 pagine intitolato The silent war. Un documento a dir poco agghiacciante; gli squadroni assoldati quasi sempre dai negozianti o dalle compagnie (per esempio quella dei tra- 25 Vd., www.ecplanet.com, consultato nel mese di ottobre 2006. Alti luoghi oggi, nel mondo 43 sporti di Rio), sono formati da poliziotti, ex poliziotti o killer professionisti. Per essere giustiziati non c'è bisogno di essere coinvolti nel narcotraffico, basta che il meniño commetta un furto, o non paghi il biglietto dell'autobus, che risponda male a un justiceiro o ad un poliziotto, e viene freddato per strada. Così i ragazzi vengono ammazzati per strada spesso in pieno giorno e nessuno denuncia il fatto perché sa che sarebbe ammazzato a sua volta. Josè Sivuca, deputato per lo stato di Rio, passato alla storia, a suo tempo, per aver affermato che un bandito buono è un bandito morto, ha spiegato in una intervista alla Abc News che una volta che la violenza si è installata in un luogo, soltanto una violenza di senso contrario la piò combattere. In seguito alla pubblicazione di The silent war sono stati identificati i due squadroni della morte più importanti della Baixada; il primo formato da 26 persone e diretto dal 37enne Tiao da Mineira, il secondo di 14 uomini, diretto da Chiquinho Tripa, ex poliziotto. Giudicati responsabili di innumerevoli omicidi, i membri delle due organizzazioni sono stati condannati fino a sessanta anni di prigione. Altri gruppi come quello dei “cavalieri neri”, un misto di agenti di polizia e penitenziari, sono finiti nel mirino della giustizia. A denunciare i gruppi sono stati alcuni abitanti del quartiere, tra i pochi ad infrangere la legge del silenzio. I difensori dei diritti umani continuano a subire vessazioni, minacce di morte, diffamazione pubblica e a essere uccisi. Valdania Aparecida Paulino, un'avvocata per i diritti umani che lavora a Sâo Paulo, ha ricevuto diverse minacce dopo aver accettato di occuparsi di alcuni casi di uccisione. 2.1.3.Cidad de Deus The city of del god film Locandina City of God Il film City of God (Fernando Meirelles Brasile/Francia/USA, 2003, tratto dal romanzo del brasiliano Paulo Lins) racconta la vita di una favela - Cidad de Deus- ai margini di Rio de Janeiro, partendo dagli anni sessanta, per contrapporre al suo disfacimento l'ascesa di alcune potenti gang di quartiere. Buscapé, undicenne locale con un talento speciale per la fotografia, insegue i suoi sogni per sfuggire ad una esistenza segnata dal crimine e dalla corruzione. 44 Capitolo secondo Tra episodi di violenza e il patimento di una povertà devastante, il timido studente descrive così il suo mondo e quello delle feroci bande giovanili, rischiando di frequente la propria incolumità. Attraverso trent’anni di vita (dai sessanta agli ottanta) e la prospettiva di due generazioni, City of God racconta la discesa agli inferi di un'intera classe sociale condannata ad implodere entro i confini della propria miseria, in una cornice esistenziale avvelenata dalla violenza e dalla criminalità. 2.2. Cina, le “città segrete” del lavoro minorile26 Denunciare gli sfruttamenti dei ragazzi è un reato punito col carcere; ma sui giornali del Guandong qualche vicenda sfugge al silenzio. Il film La stella che non c'è, di Gianni Amelio, è ambientato in Cina; Amelio esplora una Cina cui non siamo abituati, ci conduce tra le contraddizioni odierne di questo paese. Inizierà, dalla futuristica megalopoli, un viaggio che porterà il protagonista italiano a vedere da vicino la miseria di alcune campagne cinesi, le condizioni inumane di lavoro di operaie e operai e lo stato di abbandono dei bambini che puliscono le fabbriche e lì vivono. Un viaggio che ha come sfondo il cielo perennemente grigio per il livello di selvaggio inquinamento e una quantità di persone sempre massiccia, caseggiati che ospitano novemila inquilini e mezzi di trasposto sempre stipati. Inoltre viene sottolineata la cosiddetta “politica del figlio unico” ossia le madri che mettono al mondo più di un figlio, soprattutto di sesso femminile, sono costrette ad abbandonarlo o a nasconderlo anche contro la loro volontà. Questo accade oggi in Cina come ieri, ma avere informazioni al riguardo è molto difficile e di conseguenza è difficile anche cercare di eliminare o quanto meno migliorare la situazione. In cinese Jimi è l'equivalente di top secret. Nel 2000 il ministero del Lavoro e l'ufficio di polizia per la protezione dei segreti di Stato hanno varato un regolamento che all'articolo tre, comma uno, classifica come jimi la “diffusione di informazioni sul lavoro minorile”. Chiunque contribuisca a rivelare casi di sfruttamento di bambini nelle fabbriche cinesi è quindi imputabile di avere tradito “segreti di Stato”. É un crimine per il 26 Informazioni tratte dal sito www.LaRepubblicaEconomia.it, consultato nel mese di ottobre 2006. Alti luoghi oggi, nel mondo 45 quale si rischia l’arresto immediato, una condanna per le vie brevi senza avvocato difensore, e pesanti pene in carcere. Questo spiega perché sia molto difficile trovare informazioni sul lavoro infantile, una piaga sociale che secondo le stime più prudenti colpisce almeno dieci milioni di bambini in Cina (ma è ben più drastico l’ufficio internazionale del lavoro con sede a Ginevra: calcola siano fino all’11,6% i minorenni costretti a lavorare, cioè molte decine di milioni). Eppure sui giornali del Guangdong -la regione meridionale che è il cuore della potenza industriale cinese- qualche vicenda sfugge alla legge del silenzio. Il sito online del quotidiano di Nanfang espone un'inchiesta sui lavoratori immigrati: c'è la foto di un sedicenne con un dito amputato da un incidente in fabbrica, un’altra immagine, ripresa da lontano con il teleobiettivo, mostra una piccola impresa di giocattoli; tanti bambini lavorano seduti dietro i banconi. Si scopre che uno dei paraventi utilizzati per nascondere il lavoro minorile è camuffarlo come apprendistato organizzato dalle scuole. Zhang Li, un ragazzo di 15 anni, ha rivelato che la sua scuola tecnica lo ha portato insieme con altri circa quaranta studenti (alcuni di soli 13 anni), a lavorare in una fabbrica elettronica di Shenzhen. Il salario era dai seicento agli ottocento yuan (60-80 euro) al mese per lavorare dall'alba a mezzanotte, e dormire stipati in 12 per stanza. L’inganno delle scuole usate come copertura per far lavorare i ragazzi venne alla luce per la prima volta con una sciagura del 2001, riportata anche dai mass media nazionali. Quarantadue bambini delle elementari morirono nel rogo di una scuola dello Jianxi. L'incendio era scoppiato perché quella in realtà non era una scuola ma una fabbrica di fuochi d'artificio. Non ha bucato i filtri della censura, invece, una tragedia più recente. É accaduta due giorni prima del Natale di due anni fa nel paesino di Beixinzhuang. Cinque ragazzine quattordicenni sono morte soffocate dal fumo nel sonno, nel minuscolo dormitorio adiacente alla fabbrica di tessuti in cui lavoravano. Particolare atroce, sembra che due di loro siano state sepolte ancora agonizzanti dal padrone dell'azienda che aveva fretta di fare sparire i corpi. Lo si è saputo cinque mesi dopo, e solo grazie all'associazione umanitaria Human Rights in China. 46 Capitolo secondo Sun Jiangfen, la mamma di una delle ragazzine morte, si è spiegata dicendo che nelle campagne loro non possono permettersi di mandare i figli a scuola come fanno i cittadini; in quel villaggio ogni famiglia ha dei figli che lavorano in fabbrica. Sua figlia Jia Wanyun era diventata operaia a 14 anni perché i genitori potessero pagare gli studi al fratello. Le era stato promesso un salario di 85 euro al mese per lavorare 12 ore al giorno, sette giorni alla settimana, senza ferie. Quando è morta era in fabbrica già da più di un mese ma il padrone non le aveva versato lo stipendio, con la scusa che era ancora una apprendista. Le organizzazioni umanitarie che si battono per proteggere i bambini contestano la credibilità delle multinazionali che subappaltano la produzione in Cina, quando i manager occidentali affermano che nelle loro fabbriche i diritti umani sono rispettati. In realtà nelle aziende cinesi che riforniscono le multinazionali, i manager locali obbligano gli operai a imparare a memoria le risposte false che devono dare in caso di ispezione. Gli operai dell'azienda He Yi di Dongguan sono riusciti a procurare all’associazione China Labor Watch un esemplare originale delle “istruzioni per l'inganno”: è un questionario in 28 punti distribuito dai capi, per preparare i lavoratori ad affrontare una visita dei rappresentanti di Wal-Mart, la grande catena di ipermercati americani. Una delle domande-risposte da imparare a memoria: «Avete mai visto lavorare dei minorenni in questa fabbrica? No, mai». Sono in tutto 28 domande, dal salario agli orari di lavoro, dalle ferie allo spazio vitale nei dormitori. Su ogni punto gli operai sono addestrati in anticipo, con l’obbligo di mentire se non vogliono perdere il posto. É previsto che rispondano di sì anche alla domanda: «Qui siete felici?». La He Yi di Dongguan è al centro di uno scandalo che colpisce una delle marche più celebri in tutto il pianeta, la Walt Disney. Alla He Yi nella stagione di punta (maggio-ottobre) 2.100 operai fabbricano bambole e giocattoli in plastica con il marchio Disney. Dall’interno della fabbrica gli operai insieme con il “manuale delle bugie” hanno fatto giungere agli attivisti umanitari anche le fotocopie dei veri cartellini orari e le buste paga autentiche. Fanno turni quotidiani che con gli straordinari obbligatori possono raggiungere le 18 ore al giorno. Hanno una settimana lavorativa di sette giorni su sette, con un solo giorno di riposo al mese. Le paghe sono di 13 centesimi di euro all'ora, inferiori perfino al salario minimo legale cinese. I ritardi nel pagare i salari sono frequenti, e cinquanta operai sono stati licenziati nel gennaio 2004 dopo aver osato protestare perché la paga non arrivava. Non Alti luoghi oggi, nel mondo 47 c'è pensione, né assistenza sanitaria in caso di malattia. Nei dormitori vengono stipati venti operai per stanza, e si riducono a una farsa le ispezioni della Walt Disney; vengono annunciate con ben venti giorni di anticipo al management della He Yi, che obbliga gli operai a recitare una versione dei fatti più rassicurante. 2.2.1. La compravendita dei bambini27 In Cina, negli orfanotrofi sono stati arrestati dei volontari per la compravendita dei bambini. Nella provincia centrale dell’Hunan la pubblica sicurezza ha arrestato 27 persone che compravano e rivendevano bambini a privati ed istituzioni tramite gli orfanotrofi statali; alla base del traffico di esseri umani è sotto accusa la “politica del figlio unico”. La polizia ha arrestato lo scorso 21 novembre il responsabile dell’orfanotrofio della contea di Hengyang e sei membri del suo staff oltre a venti persone che lavoravano in altri istituti per bambini sparsi nella regione. Il giorno prima la pubblica sicurezza di Qidong, una contea confinante con Hengyang, aveva arrestato un uomo accusato di traffico di esseri umani. L'uomo vendeva bambini rapiti alle istituzioni del posto e ad altri orfanotrofi per prezzi compresi fra gli ottocento ed i 1.200 yuan (fra gli ottanta ed i centoventi euro). Dopo il primo “acquisto” le istituzioni rivendevano i neonati a privati o a case per bambini per cifre che oscillano da fra gli otto mila ed i trenta mila yuan. Non si sa quanti bambini sono stati comprati e venduti dagli orfanotrofi né quale sia l’età dei bambini implicati. Gli orfanotrofi statali traggono vantaggio da una politica governativa che garantisce loro uno stanziamento di fondi proporzionale al numero di bambini ospitati nelle strutture. La “politica del figlio unico” per il controllo delle nascite e la lunga tradizione cinese che favorisce i maschi sono un incentivo al traffico di bambini. 27 2006. Informazioni tratte dal sito www.AsiaNews.it, consultato nel mese di ottobre 48 Capitolo secondo Secondo fonti ufficiali, lo scorso anno circa 3.500 bambini sono stati recuperati in 1.975 casi di rapimento. Conclusioni Amati o violati, accarezzati o abbandonati, accuditi o sfruttati, i bambini di tutto il mondo manifestano inevitabilmente, nella loro esistenza, i contrasti di un mondo adulto, in cui ai bisogni si contrappone quotidianamente una palese diversificazione dei destini individuali e collettivi, segnati da profonde differenze culturali, sociali e di “genere”. Rispetto al passato, dell'infanzia oggi sappiamo molto di più da tanti punti di vista: biologico, psicologico, pedagogico, storico, antropologico. Sembra tuttavia che dall'accresciuta conoscenza non sia scaturito il superamento di una condizione infantile subordinata all'agguato dell'alienazione adulta. Per una sorta di tragico paradosso, la conquista di un patrimonio sociale diffuso e condiviso quale è l’informazione si manifesta sovente solo con una più vasta ridondanza di episodi e cronache che, lungi dall’intervenire sulla coscienza collettiva, appaiono solo per rappresentare un aspetto nella globalità del malessere sociale. Sostanzialmente, la società degli adulti si occupa del disagio infantile come di un riflesso delle proprie difficoltà; ma se questa prospettiva è indubbiamente fondata, parimenti chiede di essere identificata nel contesto esclusivo della realtà infantile. È possibile infatti riconoscere il disagio e l’abbandono dei bambini solo se si riesce ad occuparsi principalmente di quegli aspetti che dell’infanzia fanno un “luogo altro” dal sentire adulto. In un certo senso, si tratta di porsi in una particolare condizione di ascolto, silenziosa, destrutturata e non pregiudiziale, ma soprattutto non finalistica; è facile infatti che l’adulto anteponga l’obiettivo all’analisi, o che si preoccupi di trovare soluzioni generalizzate a problemi troppo spesso identificati in categorie socio-culturali già costituite. Il luogo dell’infanzia è un universo complesso, articolato secondo leggi proprie e condivise solo ad un livello superficiale: nelle formule espressive, fatte più di silenzi e di gesti che di parole, risiede una verità profonda, unica per ogni individuo, preziosa per chi voglia accoglierla mettendosi davvero “al servizio”dei bambini. È questo un impegno importante per i genitori, gli educatori e gli insegnanti; e ancora più importante è per il mondo degli adulti, che riconosca finalmente e sempre più la centralità simbolica e il valore reale dell'infanzia nella vita individuale e collettiva. 50 Conclusioni Il mio elaborato di laurea vuole essere una sorta di modesto contributo al cammino conoscitivo denso di interrogativi interpretativi e di questioni metodologiche ancora aperte, proponendo itinerari tematici che si distribuiscono in un lungo arco di tempo; si tratta di considerazioni relative ad una infanzia di indifferenza, di abbandono, di sfruttamento o di cancellazione di identità. Grazie alle fonti e testimonianze, orali, scritte e iconografiche, possiamo accedere all'esperienza infantile; è un aspetto che oltre ad evidenziare la difficile accessibilità all'infanzia, sottolinea l’esistenza di molte infanzie e le tante diversità che le caratterizzano, non solo nel tempo, ma anche in un dato momento storico e in una determinata società. Ringrazio il Professor Nicola Siciliani de Cumis per avermi guidato nella ricerca e per avermi offerto una preziosa opportunità di riflessione e conoscenza per la mia formazione professionale. Appendice L'enfant sauvage L'appendice è dedicata alla storia di Victor, il cosiddetto ragazzo selvaggio della foresta dell'Aveyron. La scelta di tale argomento ed il motivo per il quale è stato trattato nell'appendice, va riferita al fatto che, in questo caso, si parla di un altro luogo ancora, ossia il bosco; il bosco è il luogo altro dove vive Victor, il bambino che viene abbandonato e protagonista della nostra storia. Victor viene portato nella civiltà che a sua volta diviene un luogo altro per lui. Ho analizzato questa storia prendendo in considerazione il film L'enfant sauvage di François Truffaut, perché durante i miei studi universitari ho trattato questo caso proprio attraverso la visione del suddetto film nel corso di Cinema e educazione. A tal fine è necessario conoscere la vita e le esperienze del regista anche perché queste ci portano alla scoperta dell'autobiografia presente nelle sue opere. François Truffaut: biografia, contesto storico28 Truffaut, nato a Parigi nel 1932, era un allievo terribile e di conseguenza era anche la disperazione dei suoi genitori. Bocciato agli esami di quinta elementare e nei corsi superiori, il ragazzo trovava la sua occupazione preferita nel marinare la scuola; c'era la guerra e i ragazzi come lui barattavano oggetti rubati qua e là con litri di vino che poi rivendevano. Poco prima della Liberazione fu mandato in colonia ma dopo pochi giorni scappò. Si impegnò come magazziniere presso un commerciante di grano e dopo aver perduto l'impiego in quattro mesi fondò un cine- 28 Per l'esposizione di questo argomento alcune informazioni sono state tratte da: A. BARBERA - U. MOSCA, François Truffaut, Milano, Il Castoro, 2002. 52 Appendice club in concorrenza con quello di Andrè Bazin.29 Ed è proprio in questa occasione che Truffaut conobbe Bazin. Ma suo padre seguì le sue tracce, lo ritrovò e lo consegnò alla polizia. Fu per molto tempo ospite del riformatorio di Villejuit dal quale uscì grazie a Bazin. In seguito fu manovale in un'officina, poi si arruolò per la guerra dell'Indocina, ma disertò approfittando di una licenza, dietro consiglio di Bazin però raggiunse di nuovo il reparto; in seguito fu riformato per instabilità di carattere. Bazin fu padre artificiale di Truffaut; ebbe il grande merito di aver contribuito in maniera determinante a fare di Truffaut prima un critico poi un regista. Bazin dopo aver tirato Truffaut fuori dai guai in cui si era cacciato per il suo temperamento insofferente e anticonformista, gli procurò un lavoro, prima al servizio cinematografico del Ministero dell’Agricoltura, poi in qualità di collaboratore alla nuova rivista da poco fondata I Cahiers du Cinèma. Ma soprattutto Andrè e Janine Bazin offrono a Truffaut l’affetto che gli era mancato nell'adolescenza. Bazin fu un uomo eccezionale, fondatore nel 1951 dei Cahiers du Cinèma, la sua influenza, il suo entusiasmo, l’amore e il rispetto per il cinema da lui praticati, hanno avuto una influenza determinante su quel gruppo di giovani critici che, da poco giunti ai Cahiers, ne avrebbero più tardi costituito il nucleo determinante; ma se per tutti costoro Bazin fu un grande ispiratore, un maestro, un amico esperto da ascoltare, per Truffaut fu un padre. Nel 1959 Truffaut vince al festival di Cannes con il primo lungometraggio I quattrocento colpi, nel quale racconta la sua vita ribelle. L'orizzonte che delimita il cinema di Truffaut è proprio l’autobiografia come progetto estetico; l’autobiografia rappresenta l’effettiva possibilità di cogliere la genuinità e la complessità del reale, l’espressione di idee e di sentimenti autentici perché soggettivamente Andrè Bazin (1918-1958) fu fondatore, nel 1951, dei prestigiosi Cahiers du cinéma su cui ha scritto un’intera generazione di critici e futuri registi della Nouvelle Vogue; movimento cinematografico francese alla quale nascita contribuì anche Truffaut. La morte che colse Bazin, appena quarantenne, gli impedì di assistere all’affermazione di una nuova generazione di cineasti profondamente segnati dalla sua intelligenza critica e dal suo impegno. 29 L'enfant sauvage 53 sentiti, atteggiamento antidogmatico nei confronti della realtà in quanto riflesso di un atteggiamento interiore. Attraverso la sincerità di tale espressione, l’esperienza particolare accede ad un significato che trascende il semplice dato biografico, sollecitando la sensibilità dello spettatore a un dialogo che diviene confronto e presa di posizione sulla totalità dell'esperienza, ma è esso stesso esperienza. La ricerca dell'autenticità è di fatto una ricerca della verità, diversamente dall’autobiografia classica; il cinema di Truffaut non è rivolto verso il passato e le scoperte della memoria, bensì verso il presente e i progressi della conoscenza. Sceneggiatura30 Estate 1798. In una foresta dell’Aveyron, una contadina vede una strana “bestia”: in realtà è un bambino nudo, sporco, che si muove a quattro zampe. Tre cacciatori con cani al seguito, avvertiti dalla donna, tentano di catturare il bambino. Dopo vani tentativi, lo costringono a uscire con il fuoco dalla tana in cui si era nascosto. A Parigi, il dottor Jean Marie Gaspare Itard31 legge la notizia su un giornale e si dà da fare affinché il bambino sia trasferito nella capitale. Intanto il “selvaggio”, legato come un animale pericoloso e schernito dagli abitanti del paese, viene rinchiuso nella gendarmeria di Rodez. Poi viene trasportato all’Istituto per sordomuti di Parigi, dove il dottor Philippe Pinel32 e il dottor Itard lo sottopongono a visita: il suo corpo è coperto di cicatrici, di cui una, alla gola, fa pensare che il piccolo sia stato abbandonato dopo un tentato omicidio. Alloggiando nell'Istituto, il “selvaggio” diventa un'attrazione per il bel mondo parigino, giornalisti compresi. Pinel vorrebbe mandarlo 30 La sceneggiatura è reperibile in Avant-scène Cinèma, L’enfant sauvage - François Truffaut, n. 107, ottobre 1970. 31 Jean Marie G. Itard, medico (Oraison, Provenza, 1775 - Parigi, 1838); autore di uno dei primi trattati di malattie dell'orecchio, fu medico nella scuola di sanità militare di Val de Grâce e poi dell'Istituto dei Sordomuti di Parigi. Le sue esperienze segnarono il nascere di una pedagogia ortofenica. 32 Philippe Pinel, medico (Saint Paul, 1755 - Parigi, 1826). É uno dei più importanti protagonisti del rinnovamento operatosi nella psichiatria nell'ultimo scorcio del XVIII secolo, perché, grazie a una vasta preparazione che in termini più moderni si direbbe multidisciplinare, seppe guardare ai problemi dei malati di mente con spirito nuovo. 54 Appendice all’ospedale psichiatrico, Itard si offre di prenderlo in casa sua. L’amministrazione autorizza l'affidamento, e il “selvaggio” va a vivere con il dottor Itard e la sua governante, Madame Guérin. A casa Itard, ripulito e vestito, il bambino compie i suoi primi passi; impara a stare in piedi, a camminare con le scarpe, a mangiare, e segue il dottore nelle sue visite alla famiglia Lémeri, dove scopre il latte e gioca con un coetaneo, Itard annota i suoi progressi e le proprie ipotesi in un diario che accompagnerà costantemente la crescita del “selvaggio”. L’educazione prosegue velocemente; Itard vuole insegnare al bambino la sensibilità ai suoni, e poiché il piccolo reagisce al suono “o”, lo chiama Victor. Poi è la volta della memoria e dell'ordine, che Itard cerca di stimolare mediante il riconoscimento di determinati oggetti. I progressi sono notevoli, e il medico passa alla sostituzione degli oggetti con le parole corrispondenti, fino a sottoporre al bambino un alfabeto di legno. Ma la frustrazione e la rabbia di Victor sono sempre più forti: un giorno, messo in castigo da Itard, piange per la prima volta. Intanto il dottore ottiene dall'amministrazione la sua custodia. L’educazione continua a ritmo sostenuto, nella speranza che Victor impari a parlare e a scrivere. Quando il bambino si ribella a una punizione ingiusta, Itard sente di aver trasformato il “selvaggio” in un “uomo morale”. Una breve malattia costringe Itard a letto: Victor fa di tutto per cacciare il medico e una notte scappa; la mattina dopo viene inseguito dai contadini per aver rubato una gallina. Disperato, Itard scrive una lettera all'amministrazione sulla fuga di Victor e sul suo fallimento educativo. Ma proprio in quel momento il bambino batte sul vetro della finestra. L’enfant sauvage: l’identità di Victor33 L’enfant sauvage è un film con forti note autobiografiche, e consente di focalizzare alcune tra le componenti fondamentali del cinema di Truffaut, confermando, ad un livello di maggiore consapevolezza, motivi già noti e suggerendo nuovi elementi di riflessione. In un giorno nell’estate del 1793, nella foresta dell'Aveyron, una contadina scopre un ragazzo, figlio di una natura matrigna, violenta e cru- 33 Vd., A. BARBERA - U. MOSCA, op. cit., pp. 88-92. L'enfant sauvage 55 dele.34 L’essere si muove a quattro zampe e si arrampica sugli alberi, ma il bosco non è le sua casa ma solo il suo rifugio, l’unico che conosce; sporco e maleodorante come si ritrova, neppure gli animali gli sono compagni, l’unico elemento che lo tiene in vita è l’acqua. Agitandosi dietro gli arbusti spaventa la contadina che stava raccogliendo funghi la quale scappando di fronte al mostro ignoto, li lascia alla “bestia” che se ne ciba spasmodicamente. La donna da l'allarme e giunti sul posto i cacciatori e i loro cani inseguono il bambino terrorizzato che è costretto a difendersi, come succede per la legge della natura, quindi della sopravvivenza; si difende con le unghie e coi denti, finché col fumo non viene snidato dalla sua tana. I giornali parlano di lui; dalla gendarmeria di Rodez è stato effettuato un primo studio riguardo al suo grado di intelligenza considerando l'isolamento dagli individui della sua specie e si fanno studi sulle capacità sensoriali: risulta molto sviluppato l’olfatto, a seguire il gusto. Il ragazzo viene trasferito a Parigi all'Istituto Nazionale per Sordomuti, qui il suo destino potrebbe essere ben peggiore se passasse l'ipotesi medica che si tratti di un idiota irrecuperabile. Si analizza la struttura fisica che risulta, a parte le sue condizioni, come quella degli altri ragazzi della sua età, l’udito sembra compromesso, infatti è indifferente agli stimoli dei rumori più forti mentre è più sensibile a quelli più vicini e più tenui. Risulta che la causa del suo mutismo è l’isolamento in cui è vissuto. Dalla visita effettuata all'Istituto per sordomuti, dai dottori Itard e Pinel, si pensa che abbia circa 12 anni e che sia vissuto sette o otto anni nella foresta, e non si sa come e perché vi sia capitato; il suo corpo risulta cosparso di cicatrici e reca sotto la gola il segno profondo di una ferita d'arma da taglio. Questo fa supporre che qualcuno abbia tentato di ucciderlo e deve averlo poi abbandonato quando aveva superato i tre anni, altrimenti non sarebbe sopravvissuto. Le sue unghie sono artigli, si esprime solo con grugniti e non risparmia morsi ai visitatoti, la convivenza con i piccoli sordomuti si rivela impossibile e Pinel crede sia inutile occuparsi di lui perché lo ritiene idiota. Ma Itard si oppone e pensa che si possa educare; richiede la sua tutela, ed ottiene di condurre il ragazzo nella sua casa. 34 Truffaut rinvia al tema dell'infanzia e riprende il mito del bambino selvaggio dalla storia di Romolo e Remo. Cfr. infra, parte prima, capitolo secondo, Abbandono. 56 Appendice Il dottor Itard, definito da Maria Montessori, in Il Metodo, il primo educatore a praticare l’osservazione dell'allievo, laureatosi in medicina scelse poi di applicarsi alla rieducazione di individui anormali e collaborò con Pinel. Di fondamentale importanza per i suoi studi fu l’esperienza con il selvaggio dell’Aveyron che mostrava, a causa della mancanza di sollecitazioni della sfera psichica, un ritardo mentale, Itard riteneva che per lo sviluppo delle sensazioni e delle idee vi fosse un’organizzazione neurologica da attivare. Egli raccolse i principi e gli esiti del suo lavoro con il bambino selvaggio nel libro dal titolo Des premiers développement du jeune sauvage de l’Aveyron, pubblicato nel 1801; una storia vera avvenuta alla fine del Settecento e giunta fino a noi grazie a due rapporti scientifici compilati nei primi anni dell'Ottocento dal dottor Itard. Il dottore nella sua casa, aiutato dalla governante, M.me Guérin, intraprende l’educazione del ragazzo selvaggio al quale sarà dato il nome di Victor. Il film ricostruisce con fedeltà le difficoltà e gli alterni risultati degli esperimenti, ai quali Itard sottopone Victor, nel tentativo di sensibilizzarlo e di restituirgli l’uso del linguaggio. Il dottore si dedica interamente al nuovo impegno di sottrarre il selvaggio all’azzeramento della sua condizione e avvicinarlo, per quanto sia possibile, alla civiltà. Itard pensa che questo sia un fatto straordinario, in quanto tutto quello che il ragazzo fa nel nuovo ambiente, lo fa per la prima volta. Non più nudo ma vestito, non più a carponi ma in piedi e con le scarpe, dorme nel letto e non vi si rannicchia più sotto, mangia a tavola, se desidera il latte lo chiede a gesti e con la ciotola in mano, e più tardi pronuncerà la parola lait35 cioè la prima che compone con l’alfabeto di legno. La rieducazione, per arrivare alla civilizzazione, è lenta ma scrupolosa, procede con difficoltà che devono affrontare sia il ragazzo che il suo educatore, ma attraverso la ripetizione degli esercizi inizia l'apprendimento. Il ragazzo si esprime attraverso il “linguaggio in azione”, come lo definisce Itard, quando vuole qualcosa, si tenta di stabilire un contatto comunicativo con l’uso della parola attraverso esercizi per l’udito e l’emissione di suoni vocali, Victor segue l’educazione anche se con molta fatica. Deve con ripetuti esercizi collegare l’oggetto al nome e la rappresentazione alfabetica, cosa difficile per lui, che dalla fatica e dallo scon35 2004. Consultato il sito www.FeralChidren-Bambiniselvaggi.it nel mese di giugno L'enfant sauvage 57 forto spesso è preso da forti crisi. È combattuto in quanto ha conservato un legame con il bosco, lo dimostra anche quando beve l’acqua, infatti si dirige verso la finestra che guarda il bosco, la sua precedente casa. Forse con nostalgia ricorda la sua libertà perduta. Inizia a familiarizzare con la fiamma della candela, con l’acqua che ottiene come premio ad ogni esercizio riuscito e persino con il gioco; gli piace farsi portare in carriola. Gli esercizi si fanno sempre più pressanti; Itard si rivela educatore severo, infatti la stessa governante interviene perché il bambino faccia più passeggiate proprio per non subire un sovraccarico di sforzi mentali, il dottore crede che il ragazzo non sia idiota e forse vuole far recuperare troppo in fretta il tempo perduto, ma Victor ha vissuto quasi otto anni nella foresta e sono passati solo sette mesi da quando è iniziata la sua nuova vita. L’amministrazione dell’istituto, dalle analisi effettuate con troppa fretta, deduce che il ragazzo presenta aspetti da bioautismo36 confermato. Perciò si arriva a dedurre che Victor è incapace di sociabilità e che non ci si può aspettare nulla anche da un'istruzione metodica. Attraverso numerosi scoraggiamenti si raggiungono risultati notevoli, ma spesso Victor manifesta nostalgia e atteggiamenti che lo riportano alla sua precedente esperienza. Victor fa grandi progressi, conosce i nomi degli oggetti, viene premiato spesso, ma quando sbaglia viene punito; a volte Itard provoca la sua reazione con castighi ingiusti suscitando in lui sentimenti di giustizia, riconoscendo così quello che è giusto e quello che è sbagliato. L’esperimento più crudele e toccante si presenta quando Victor è sottoposto al test della giustizia, cioè viene punito e mandato nel ripostiglio buio non per aver sbagliato la prova, ma per averla superata. Victor non accetta la punizione perché la sente ingiusta e vi si ribella, tale ribellione è un atto morale. Truffaut spiega in un’intervista sulla rivista Express dell’agosto 196937, che a convincerlo a girare il film fu una scena che immaginò leggendo i rapporti di Itard; è la sola scena drammatica, la punizione ingiusta inflitta dal dottore al suo allievo per farlo ribellare, è il solo mezzo che Itard Con il termine bioautismo viene descritto un sintomo della schizofrenia o in cui si designa un particolare tipo di psicosi dell'infanzia, (“Disturbo autistico” o “Autismo infantile precoce o di Kanner”), caratterizzato da un grave disturbo psicopatologico della comunicazione e del comportamento. 37 Vd., Ugo Casiraghi, Il ragazzo selvaggio, Milano, l'Unità, 1997. 36 58 Appendice ha a disposizione per rendersi conto se quel ragazzo, con il quale è impossibile comunicare, è dotato di coscienza morale. È in questa occasione che Victor impara a piangere, infatti piange per la prima volta nella sua vita, cioè quando si sente bersaglio di un’ingiustizia. Ma è un'ingiustizia ancora teorica, manovrata e manipolata dal suo educatore con la stessa certezza di fargli del bene che lo rende così sicuro e inflessibile nel suo compito paternalistico, e così restio a manifestargli affetto. Victor sembra reagire bene agli sforzi del dottore, ma una notte scappa tra i boschi. La foresta è sempre un forte richiamo per lui, è la sua prima identità con quell’ambiente, con gli elementi della natura selvaggia, ma non si riconosce più neanche in quella e ne soffre, ciò è causa di un riflesso condizionato che lo spinge verso il già vissuto che non cancellerà le dure immagini della sua esistenza. Anche Itard si chiede il perché; Victor era riuscito a raggiungere il libero esercizio di tutti i sensi, dava prove di attenzione e di memoria, di confrontare e discernere e sviluppare tutte le facoltà dell'intelletto in soli nove mesi. Dopo lo scoraggiamento ecco la gioia perché Victor torna a “casa” dal suo educatore, che lo accoglie con molto affetto. La storia di Victor appartiene in un certo modo a quella di Truffaut, tutti e due sono stati privati dell’affetto dei genitori, ma il primo è stato privato di tutto, anche del linguaggio punto di partenza per il suo recupero civile, strumento indispensabile per portarlo dall'incomunicabilità alla comunicazione, e condizione indispensabile per la costruzione del soggetto in quanto tale. Sembra evidente che l’origine del trauma di Victor e la sua ferita insanabile siano anteriori alla sua entrata nel bosco, cioè l'abbandono dei genitori e in particolar modo della madre; Truffaut queste cose le sa bene perché le ha provate sulla propria pelle. Un padre adottivo è prezioso come lo fu Bazin per Truffaut e come fu lui stesso per Jean-Pierre Cargol, il piccolo gitano scelto per interpretare il ruolo di Victor, il quale durante la lavorazione del film finirà col maturare una nuova sensibilità; Il ruolo di Victor può sembrare molto penoso per un ragazzo. Per dirigere Jean-Pierre ho fatto continuamente ricorso a paragoni. Per gli sguardi gli dicevo: «Come un cane»; per i movimenti della testa: «Come un cavallo». […] Ma le risate nervose o malaticce erano per lui difficilissime […]. Le scene difficili, come quelle dell'emorragia nasale e delle crisi nervose sono state appena accennate. Ci fermavamo pre- L'enfant sauvage 59 sto. Si è evitato lo spettacolare: con questo film non volevo fare paura o impressionare, ma raccontare.38 Questo spiega anche il perché Truffaut volle, lui stesso, per la prima volta rivestire i panni dell’educatore, quindi se vogliamo del padre, interpretandone il ruolo nel film. Ma la presenza della madre non c'è, e nessuna infatti potrebbe sostituirla, tanto meno la premurosa signora Guérin verso la quale tuttavia il ragazzo selvaggio ha qualche slancio istintivo; da lei accetta più volentieri le carezze e vi si rifugia quando è addolorato. Niente amore quindi, ma è di amore che ha bisogno Victor e lo si nota nel momento del suo nostalgico ritorno alla natura. Nel film ci sono due aspetti principali ben bilanciati; da un lato il condividere la battaglia del medico che tenta il recupero dell’individuo alla propria dignità, dall'altro la consapevolezza che la ferita di partenza non sarà mai rimarginata. Si vengono a stabilire dei rapporti differenti fra i tre personaggi principali: Victor, il dottore e la governante che gioca un ruolo fondamentale nei progressi del bambino, Itard freddo e distaccato nei confronti di Victor al punto di considerare con fastidio l’affettuosa e materna attenzione di M.me Guérin, che la ricambia con un forte attaccamento. Itard, con un atteggiamento ottimista tipico dell’entusiasmo razionalista illuministico, non può sapere delle scoperte che ci furono in seguito con la psicoanalisi, e non può sapere che l’accesso al linguaggio è regolato dalla funzione incosciente della madre e che quindi le possibilità terapeutiche risiedono nella capacità di restaurare la funzione materna venuta meno.39 Il film è costruito su una frustrazione fondamentale, Victor è un personaggio fuori dalla società, non perché lui la rifiuta, ma è la società che rifiuta lui. Il ragazzo selvaggio è sopravvissuto a quegli anni vissuti nel38A. GILLIAIN, Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Roma, Gremese, 1990, p. 84, (prima edizione francese 1988). 39 I ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste sostengono che la parte sinistra del cervello dei neonati risponde al linguaggio allo stesso modo di quello di una persona adulta. I risultati di alcuni studi condotti dalla SISSA suggeriscono in maniera inequivocabile che gli esseri umani nascono con aree cerebrali già predisposte all'elaborazione del linguaggio, ma serve comunque l’esempio e funzione incosciente dell'adulto (soprattutto della madre) per far sì che il linguaggio si sviluppi. Vd., sito www.ecplanet.com, consultazione eseguita nel mese di gennaio 2007. 60 Appendice la foresta, ed ora il prezzo che dovrà pagare è altissimo; l’esclusione di cui è vittima (il linguaggio) determina emarginazione che è tra le più estreme che possono colpire un individuo. L’emarginazione, nei film di Truffaut, è una condizione comune a tutti gli anti-eroi, essa genera dolore, contraddizione, umiliazione, solitudine. Questo significa negazione alla costruzione di una propria identità, considerando che la ricerca dell’identità e la conquista dell’autonomia sono obiettivi educativi complessi, non sempre facili da raggiungere, richiede comunque un iter facilitato che possa permetterlo se ci si riferisce alla “norma”. Nel caso di Victor sono condizioni veramente estreme e rare dove la sua identità è compromessa ed è difficile da riordinare come un puzzle. Il giovane dottor Itard, con passione tenta di risvegliare l'uomo che era nascosto nel piccolo Victor attraverso capisaldi dei suoi interventi fra: progressi, insuccessi altalenanti e difficoltà; sono alcuni aspetti profondi riguardo la formazione e trasformazione di soggetti deficitari. Questi aspetti sono il primo esempio documentato di approccio scientifico-osservativo al trattamento delle minorità. L’incontro tra i due personaggi appartenenti a mondi tanto diversi, ripropose, con rinnovata forza, ad una delle classiche dicotomie delle scienze umane, in generale, e della pedagogia in particolare: la problematica articolazione delle dimensioni natura e cultura, del loro incontro, del loro completarsi, del loro reciproco modificarsi. Dal punto di vista pratico esso fu invece la possibilità di verificare su un piano empirico, in che misura la prassi educativa poteva sperare di intervenire su conclamati deficit sensoriali, emotivi e cognitivi. Il lavoro che Itard condusse con il suo giovane allievo, pertanto, si rivela l’antesignano tentativo di sperimentare la teoria dello sviluppo delle abilità cognitive dell'uomo in relazione alle stimolazioni esterne. Per ricostruire questo punto nodale della storia dell’handicap nello scritto sono analizzati funzionalmente i principali concetti filosofici, medici e pedagogici che caratterizzano il dispositivo che fu predisposto per accogliere Victor nella società. Per queste ed altre ragioni, la storia di Victor e Itard è, non solo un segmento di assoluto valore nella storia delle discipline pedagogiche, ma un luogo di emergenza delle particolari idee pratiche, interpretazioni che segnarono, e segnano ancora oggi le ricerche nel complesso e articolato settore delle scienze umane. Tutti i tentativi sperimentati per poter far si che Victor potesse anche lui costruire una propria identità, e avere dei modelli di riferimento sono L'enfant sauvage 61 serviti per raggiungere determinati traguardi che, anche se di notevole importanza, non sono sufficienti per poter parlare di identità ritrovata. Si deve tener conto comunque che il concetto di identità è molto complesso; la costruzione della propria identità implica la capacità di instaurare rapporti con gli altri della stessa specie in modo soddisfacente che prevede comunque norme di comportamento e di relazione attraverso una molteplicità di situazioni. Nonostante i cambiamenti, molteplici e notevoli, che si verificano durante un soggettivo percorso esistenziale, per ciascun essere umano è possibile rilevare un persistente di tratti stabili, i quali vengono a rappresentare la caratteristica di fondo dell’identità personale e permettono di riconoscersi sempre con caratteri inconfondibili nel susseguirsi del tempo e nell’avvicendarsi dell’esperienza, di mantenere la propria unicità nel passaggio dall’una all'altra fase della vita, di conservare la soggettiva unità e continuità nel mutamento. In ogni istante la persona si trascende e nello stesso tempo essa è il presente del suo passato che non si cancella. Privo dell’identità personale l’essere umano sarebbe incapace di riconoscersi come “altro rispetto all’altro” e finirebbe con il venir assimilato negli anonimi eventi della vita. Al contrario, grazie all’identità, egli permane in quanto, pur compiendo molteplici esperienze e sottoponendosi a tante avversità, rimane al di sopra di tutte le contingenze senza perdersi. Se per una pluralità di aspetti l’identità è una realtà “data”, dovendo riconoscere che certe sue componenti non sono “scelte” (nome, sesso, costituzione somatica, temperamento, razza, epoca, nazionalità, religione, cultura, ecc.), è altrettanto vero che la persona ha il compito di opporsi ostinatamente a quei fattori soggettivi e non che la condizionano negativamente incidendo sulla sua unicità. L’identità, in quanto coscienza del proprio essere e del proprio valore, è da una parte, recupero del passato, e dall'altra, apertura verso il futuro, è impegno a costruirsi come persona e non come personaggio; ciascuna persona si dimostra in grado di mantenere, rivelare la personale identità quanto più è capace lungo il proprio cammino di essere se stessa e di conservarsi fedele alla specificità della sua natura. La maturazione dell’identità ed il suo consolidamento, sono strettamente correlati alla possibilità che il soggetto ha di interagire positivamente con gli altri e con il mondo, quindi vengono a svolgere una funzione importante le esperienze di apprendimento, identificazione, valutazione, confronto. L’identità non è definibile senza un riferimento co- 62 Appendice stante alla realtà nella quale l’essere umano è quotidianamente coinvolto alle relazioni interpersonali, all’incontro con l’identità altrui. Per la persona è indispensabile soddisfare tanto bisogni di affermazione della propria unità quanto bisogni di appartenenza e condivisione. Per essa è indispensabile sentirsi differente da tutte le altre e allo stesso tempo provare ed esprimere sentimenti di affinità. Nella diversità che contraddistingue Victor rispetto alla “norma” è implicita una richiesta d’aiuto in termini educativi, sociali, riabilitativi, intesa quindi come un prodotto di fattori (di handicap, svantaggio, malattia) che incidono negativamente sullo sviluppo personale e sociale, e richiede una particolare tutela. Il potenziamento del sentimento di identità si lega anche alla possibilità e alla capacità dell’essere umano di radicarsi in una circoscritta realtà socio-culturale, di entrare in comunicazione con i suoi tratti specifici, di immedesimarsi nel gruppo e vivere sentimenti di appartenenza. Per la prima volta Victor si trova su un piano di relazionalità: le dinamiche che si creano nella casa tra le tre persone, sono interscambiabili, si crea in lui un modo di relazione, ed è importante che avvenga con poche persone affinché non si crei confusione. Tutto questo funziona, è valido perché l’identità si costruisce tramite l’affettività e il riconoscimento delle emozioni, proprie e degli altri, quindi riuscire ad esprimere emozioni vuol dire riconoscere se stessi e confrontare con l’esterno il proprio sé. Non si può parlare di identità se non in una prospettiva di sviluppo, e non di mera sopravvivenza. Infatti quando Victor era solo nella foresta, i suoi punti di riferimento erano gli elementi che gli permettevano di sopravvivere, come la pioggia che lo bagnava, lo dissetava, lo faceva “vivere”. Ovviamente il soddisfacimento dei suoi bisogni primari era tutto quello che bastava al suo piccolo mondo, e l’unico confronto con “l’altro da sé” era con l’ambiente naturale inteso come habitat e non come luogo di appartenenza. Il Victor della foresta non possiede un’identità se non quella riferita all’individuo che lotta per la sopravvivenza, senza riconoscersi come parte di un sistema; il nuovo Victor lotta invece per trovare un posto, un nome, un ruolo tra i suoi simili, forse in un ambiente altrettanto ostile. Bibliografia [s. a.] L’enfant sauvage - Fançois Truffaut, in Avant-scène Cinèma, ottobre 1970, n.107. BECCHI EGLE, I bambini nella storia, Bari, Laterza, 1994. BRECHT BERTOLT, Storie da calendario, Torino, Einaudi, 1972. BARBERA ALBERTO - MOSCA UMBERTO, Fançois Truffaut, Milano, Il Castoro, 2002. CARR EDWARD, Storia della Russia sovietica, Torino, Einaudi, 1970. CASIRAGHI UGO, Il ragazzo selvaggio, Milano, l’Unità, 1997. DE MICHELI MARIO, I bambini di Terezìn. 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Wiehl, MakarenkoReferat der Forschungsstelle für Vergleichende Erziehungswissenschaft, Philipps-Universität Marburg, Stuttgart, Klett-Cotta, 1982). SICILIANI DE CUMIS NICOLA, I bambini di Makarenko. Il Poema pedagogico come "romanzo d'infanzia", Pisa, ETS, 2002. Filmografia Amelio Gianni, La sella che non c’è, Italia/Cina, 2005. Meirelles Fernando, City of God, Brasile/Francia/USA, 2003. Truffaut François, L'enfant sauvage, Francia, 1969. Siti internet - http://www.asianews.it/index.php Consultato nel mese di ottobre 2006. http://www.ecplanet.com/canale/varie/infanzia_violata Consultato nel mese di ottobre 2006. 64 - Bibliografia http://www.ecplanet.com/print.php?id=6941&madre=7 Consultato nel mese di ottobre 2006. http://FeralChildren%20-%20Bambini%20selvaggi.htm Consultato nel mese di giugno 2004. http://repubblica.it/2005/sezioneeconomia/cinminb.html Consultato nel mese di gennaio 2007. Indice dei nomi I corsivi si riferiscono ai personaggi AMELIO GIANNI, IX, 44 BACHTIN MICHAIL MICHAJLOVIČ, 32 BARBERA ALBERTO, 54 BAZIN ANDRE', 51, 52, 58 BAZIN JANINE, 52 BECCHI EGLE, IX, XI, XII, 1, 3, 5, 9, 13, 14 BRECHT BERTOLT, 4, 5 BURUN, 29 BUSCAPÈ, 44 CARLOS, 40 CARGOL JEAN PIERRE, 58 CARR EDWARD, 33 CASIRAGHI UGO, 57 CECINO, 15, 16 DA MINEIRA TIAO, 43 DE MICHELI MARCO, 13 ENGELS FRIEDRICH, 20, 21 FAUSTOLO, 15 FILIPOVIČ ZLATA, 6, 7 GILLIAIN ANNE, 59 GOR'KIJ MAXIM, IX, 26 sgg., 35, 36 HARRIS JOHN, 9 ITARD JEAN MARIE GASPARD, 53 sgg., 62 LACIS ASJA, 7, 8, 9, 31 LARENZIA, 15 LINS PAULO, 44 MAIRELLES FERNANDO, X, 44 MAKARENKO ANTON SEMËNOVIČ, IX, X XI, XII, XIII, 26 sgg., 35, 36 MONTESSORI MARIA, 55 MOSCA UMBERTO, 54 MIROSLAW KASEK, 13 OMETTO, 5, 6 PAULINO VALDANIA APARECIDA, 43 PIKOVA EVA, 14 PINEL PHILIPPE, 53, 55 REMO, 14 ROMOLO, 14 SICILIANI DE CUMIS NICOLA, IX, XIII, 30 SIVUCA JOSÈ, 43 TEREZÌN, 13 THOMAS EDWARD, 3 TITO LIVIO, 14 TRIPA CHIQUINHO, 43 TRUFFAUT FRANÇOIS, X, XIII, 51, 52, 54, 57-59 VERNE JULES, 5, 6 VICTOR, XIII, 51, 53 sgg. VOLPI MARIO, 41 YUNUS MUHAMMAD, 36 JIA WAYUN, 46 JIANGFEN SUN, 46 ZHANG LI, 45 Indice delle tematiche ricorrenti Abbandono, 4, 6, 8-9, 14-15, 25, 27, 29, 31-32, 53-37, 39, 49, 51, 53, 55 Abitudini, 34 Abusivismo, 17, 39-40 Acculturazione, 20 Adozione, 14 Adulti, 3-4, 7, 9, 15, 17-18, 20, 25 31, 49 Alcoolismo, 17, 35, 40 Analfabetismo, 19 Antipedagogia, 25, 32 Antisocialità, 41 Appartenenza, 25, 28, 61-62 Apprendimento, 18, 31, 56, 61 Autonomia, (Autosufficienza), 27, 36, 59, 61 Azione, 31-32, 37, 57 Bande, 7 sgg., 31, 42, 44 Carestia, 2, 25, 33, 35 Casa, 3-4, 6-7, 10, 15-18, 21, 28, 34, 40, 42, 53-56, 58, 62 Capacità, 9, 27, 55, 59-61 Cinematografia, 44, 51, 54, 56 sgg. Cittadino, 8, 26 Coinvolgimento, 8, 41 Collettività, 3-5, 26, 49 Collettivo, 9, 26, 30, 32-34, 36 Compagnia, 3, 17, 43 Comunismo, 28, 34 Contadini, 5, 16-17, 33-35 Condotte, 3, 11, 18 Coscienza, 26, 57, 61 Costume, 3, 18 Creatività, 7, 32 Crescita, 3, 17, 31 sgg., 36, 53 Criminalità, 35, 40-41, 44-45 Cultura, 15, 18, 26, 34, 36, 42, 49, 59, 61-62 Delinquenza, 4, 10-11, 25 Deprivazione, 20, 25 Desiderio, 9 Destino, 4, 15, 49, 55 Dignità, 36, 42, 58 Diritti, 27, 41, 43, 46 Disagio, 32, 35 Disciplina, 3, 27-28, 36, 53 Droga, 17, 39, 41-43 Economia, 14, 33, 36 Emozioni, 62 Entusiasmo, 28, 52, 59 Eroi, 6, 28, 32, 59 Esperienza, 7, 9, 17, 19, 30-32, 35, 37, 49, 52, 55, 57, 60-61 Esposizione, 3, 12, 14-15, 18 Etica, 26 Evasione, 9, 18 Fame, 10, 33, 40 Famiglia, 4 sgg., 11, 14-15, 17-20, 25, 46, 53 Fantasia, 6, 9 Fiaba, 4, 15 Fiducia, 25, 61 Fine, 30, 50 Folla, 8, 11 Formazione, 26, 28, 30, 32, 59 Forza, 8-9, 25 sgg., 32-33, 59 Fuga, 4-5, 7, 10, 18, 25, 39, 40, 44, 54 Furto, 11, 17, 25, 35, 41-43 Futuro, 6, 30, 32, 36, 40, 61 68 Indice delle tematiche ricorrenti Modello, XI, 17-18, 28, 30-32, 37, 60 Generazioni, XI, 20, 32, 44, 52 Genitori, IX, XII, 5-7, 10, 14-15, 19, 21, 25, 34, 46, 49, 51, 58 Gioco, XII, 8, 17-18, 20, 31-32, 57 Gioco d'azzardo, 9, 11 Girovaghi, 4-5, 17 Giustizia, 13, 43, 57 Gruppo, 8, 18, 25, 52, 62 Gruppi di sterminio, 40-41, 43 Guerra (rivoluzione), XII, 4, 6-8, 13, 25, 31, 33 sgg., 51-52 Mondo, X, XII-XIII, 5, 13, 19, 25, 28, 32, 35, 37, 39, 41, 44, 49, 53, 61-62 Moralità, IX, 26, 29, 31-32, 35-36, 42, 54, 57-58 Morte, 3, 10, 13-15, 20, 29, 39, 41 sgg., 52 Nascita, 26, 29, 36 Natura, 5, 15, 19, 26, 32, 54 sgg. Noia, 21 Nuovo, 16, 26, 28, 56 Handicap, 60, 62 Identità, 3, 25, 50, 54, 58, 60 sgg. Ignoranza, 34 Immigrazione, 41, 45 Impegno, 8, 17-18, 27-28, 36, 49, 56, 61 Improvvisazione, 8, 9 Indifferenza, 39-40, 50 Industria, 9, 20, 41, 45 Ingiustizia, XII, 36, 58 Integrazione, 3, 25, 29 Istituzioni, 7, 18, 25, 34, 47 Laboratorio, 31, 32 Lavoro, IX, XI-XII, 6-9, 15, 27-28, 3536, 56, 60 Lavoro minorile, XII, 2-3, 9-10, 17 sgg., 41, 44-46 Legge, 4, 10, 27, 34, 43, 45, 53, 55 Leggenda, 14-15 Letargo, 8, 31 Libertà, 3, 10, 36, 40, 57 Lotta, 25-26, 35-37, 62 Meta, 4 Metodo, 9, 31, 35, 50 Miseria, 4, 6, 42, 44 Obiettivo, XII, 27, 33, 45, 49, 60 Onore, 29 Organizzazione, 7, 41-42 Orgoglio, 28-29 Ostilità, 19, 62 Passato, IX, 4, 7, 14-15, 32-33, 43, 49, 53, 61 Pedagogia, IX, XI-XII, 26-28, 32, 60, 53 Personalità, 32 Polizia, 4, 10, 39 sgg., 47, 52 Povertà, XII, 14-15, 19, 25, 27, 34, 36, 39, 42, 44 Pregiudizio, 37 Presente, 14, 28, 33, 53, 61 Principi, 14, 36, 56 Produttività, 20,27-28, 36 Prospettiva, IX, 28, 30, 31-32, 37, 44, 49, 62 Qualità, 26, 28, 33, 52 Quantità, 21, 25, 33, 44 Quotidianità, IX, 6, 11, 46 Realtà, XI, 26, 35, 39, 45-46, 49, 53, 6162 Indice delle tematiche ricorrenti Recupero, 25, 31, 40, 58-59, 61 Regole, XI, XII, 3-4, 27-28, 36 Religione, 34, 61 Reparto misto, 29, 31 Responsabilità, 17, 29-31 Ricchezza, 16, 32 Rieducazione, XI-XII, 7, 27-28, 30, 36, 56 Risorse, 27-28, 36 Risultati, 28, 35-36, 56-57 Salute, XII-XIII, 20-21, 35 Schiavitù, 4, 17, 41 Scrittura, 6, 13 Scuola, IX-X, 4, 6, 9-10, 13, 18 sgg., 3132, 45-46, 51, 53, 59 Segni, 13-14 Sforzo, 28, 35, 57 Sfruttamento, 41, 44, 50 Società, XII, 3, 14, 20, 25-26, 28, 36, 41, 42, 49, 50, 59-60 Socialità, 3, 20-21, 29, 32, 57 Solidarietà, 19, 25, 28 Solitudine, XII, 4, 19 sgg., 60 Sopravvivenza, XII, 25, 28, 40, 55, 62 Spazio, XI, 3, 6, 15, 27, 31, 35, 46 Speranza, 14, 25, 30, 54 Storia, IX, 4-6, 8, 13-15, 17, 19, 29, 32, 43, 51, 56, 58, 60 Stimoli, 19, 55 Strada, IX, XII-XIII, 3 sgg., 9-11, 17-18, 22, 31, 39 sgg. Studio, 9, 18-21, 27-28, 55 Sviluppo, IX, 20, 26, 28, 56, 60, 62 Teatro, 7-9, 31 Tempo, 7, 13, 15, 19, 30, 31, 50, 57 Testimonianze, 9, 13, 50 Tradizione, 33, 37, 47 Traguardo, 31 69 Trasformazione, XII, 31, 60 Tutela, IX, XI, 32, 55, 62 Unità, 36, 61-62 Uomo nuovo, XII, 26, 28 sgg., 37 Vagabondaggio, XII, 5, 9, 35 Valori, 26, 28-29, 31, 36, 42 Vecchio, 29, 33, 36 Violenza, XII, 17, 19, 31, 41, 43-44 Vita, XI-XII, 3, 6-7, 9, 17-18, 20, 25, 28 sgg., 41 sgg., 49, 51-52, 55, 57-58, 61 Finito di stampare nel mese di gennaio 2007 dal Centro Stampa Nuova Cultura, Roma