STUDIO LEGALE FLORIDIA RISARCIMENTO DEL DANNO

Transcript

STUDIO LEGALE FLORIDIA RISARCIMENTO DEL DANNO
STUDIO LEGALE FLORIDIA
degli avv.ti prof. Giorgio Floridia e Raffaella Floridia
————
Via Freguglia n. 10 - 20122 Milano
Tel. 0039 - 02 - 55 19 30 79
Fax 0039 - 02 - 55 19 00 22
e-mail: [email protected]
GIORGIO FLORIDIA
RISARCIMENTO DEL DANNO E REVERSIONE DEGLI UTILI
NELLA DISCIPLINA DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE
Relazione tenuta al Salone della Proprietà Industriale del 24 settembre 2012
P. I.V.A. E C.F.: 13 06 31 80 155
FLORIDIA.DOC
2
La relazione affronta il problema centrale dell'enforcement in materia di proprietà
industriale. In primo luogo il rapporto fra il diritto speciale e diritto privato
generale che consente di individuare il c.d. "vantaggio competitivo" come lo scopo
essenziale dell'attribuzione risarcitoria. Subito dopo viene fatta un'analisi puntuale
della genesi dell'art. 125 C.P.I. e della novità che ha introdotto nel nostro
ordinamento: e cioè della c.d. reversione degli utili che si pone in alternativa rispetto
al tradizionale lucro cessante. La relazione si conclude con un accenno all'elemento
psicologico come presupposto sia del lucro cessante che della reversione degli utili.
1.- Il diritto della concorrenza come diritto "secondo".
L'accoglimento incondizionato della proposta metodologia formulata da
ASCARELLI fin dagli anni '50 ha fatto sì che il diritto della concorrenza si sia consolidato
come diritto speciale intorno a due serie di norme: quelle poste a tutela della proprietà
intellettuale - comprensiva della proprietà industriale in senso stretto - e quelle poste a
disciplina della concorrenza nella duplice configurazione della disciplina della
concorrenza sleale e della disciplina antitrust. La validità della proposta metodologica
formulata originariamente da ASCARELLI è stata confermata nei cinquant'anni successivi
nei quali l'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale ha sempre tenuto presente, ed anzi
progressivamente enfatizzato, la relazione funzionale che intercorre fra la tutela della
proprietà intellettuale e la tutela del mercato concorrenziale che costituisce l'obiettivo
diretto delle norme antitrust e quello mediato delle norme sulla concorrenza sleale.
Ancora di recente, avuto riguardo alla proprietà intellettuale e alla disciplina antitrust, è
stato ribadito che è proprio la "multiforme convergenza teleologica sui profili effettuali
sostanzialmente affini che fonda propriamente il sistema del diritto industriale. E che
giustifica, sul piano interpretativo, il riferimento (anche) della disciplina speciale della
proprietà intellettuale al principio generale della libertà di concorrenza, stella polare
dell'intero sistema" (GHIDINI).
Ovviamente non è certo sufficiente la generica indicazione della funzione
concorrenziale della proprietà intellettuale come modello di riferimento diretto a segnare i
principi fondamentali che governa il diritto della concorrenza e che ne determina la
natura di diritto speciale. E' ovvio infatti che la coerenza funzionale degli istituti del
diritto concorrenziale non impedisce lo sviluppo di una molteplicità di concetti
interpretativi dotati, ciascuno, di una propria specificità e che sono anzi il risultato di
un'evoluzione che, pur rimanendo interna al sistema, si caratterizza di volta in volta in
3
base ad una propria storia spesso affascinante perché rivelatrice dei profondi mutamenti
che intervengono nella stessa realtà del mercato. Si pensi - ad esempio - all'evoluzione
della funzione distintiva del marchio passata dalla tutela in senso stretto del diritto alla
differenziazione nel mercato alla tutela ben più ampia del marchio come strumento di
marketing capace di incorporare importanti valori di avviamento, e perciò alla tutela
contro l'agganciamento ed il parassitismo. Si pensi all'evoluzione della disciplina dei
disegni e dei modelli passata dalla tutela dell'innovazione nel campo dell'estetica dei
prodotti industriali alla tutela delle forme che presentino il requisito del carattere
individuale e cioè che siano idonee a rappresentare l'individualità dell'autore.
Il diritto della concorrenza evolve - dunque - anche profondamente
all'interno dei singoli istituti che lo compongono ma, al contempo, senza che alcune ne
contesti il riferimento al vincolo per così dire esterno ed inderogabile che riconduce al
rispetto del principio generale della libertà di concorrenza: vincolo che peraltro taluno si
preoccupa di difendere esplicitamente (GHIDINI) mentre molti altri presuppongono come
implicito e coessenziale al sistema stesso.
La straordinaria ricchezza delle regole e dei principi che fanno del diritto
industriale un diritto speciale, certamente fra i più dotati di coerenza interna e di
preordinazione funzionale rispetto all'attuazione dell'economia di mercato, non conduce
di certo ad una totale autosufficienza perché esso è e rimane un diritto "secondo" da
ricondurre pur sempre al "primo" costituito dalla generale disciplina dei rapporti
privatistici. Non per nulla la storia delle origini del diritto industriale è segnata
dall'abbandono, dopo un momento di incertezza, di tutti gli elementi pubblicistici che ne
avrebbero
potuto
orientare
la
configurazione
verso
un
risultato
misto
e,
conseguentemente, ambiguo.
La natura del diritto industriale come diritto "secondo" è causa ed effetto
del fatto che, fino ad un certo momento, si sia avuta una totale assenza di norme che
disciplinassero la pretesa risarcitoria azionabile in funzione del compimento di atti lesivi
di ciascun diritto di proprietà intellettuale.
Le norme contenute nelle leggi speciali che erano in vigore prima
dell'emanazione del Codice della Proprietà Industriale erano sempre e soltanto norme di
rinvio che legittimavano l'interprete a ricavare la disciplina della pretesa risarcitoria dal
4
diritto "primo": una sorta di rinvio "formale" in forza del quale di tanto si estendeva sotto
il profilo sostanziale e processuale il diritto al risarcimento nella materia del diritto
industriale di quanto questo diritto poteva essere fatto valere nell'ambito del diritto civile
considerato come "primo". E' bene fin da ora precisare che il rinvio alle norme del diritto
civile, così come il rinvio al diritto processuale, considerati come diritti "primi" rispetto al
diritto industriale considerato come diritto "secondo", si è configurato - e si configura
ancora adesso in buona parte - come frutto di una scelta precisa del legislatore nella quale
è insita una valutazione il cui rilievo metodologico sembra inderogabile: i diritti
soggettivi di proprietà intellettuale sono tutelati, quanto all'individuazione delle
fattispecie lesive, dal diritto speciale ed invece, quanto alle conseguenze risarcitorie dal
diritto generale e nei limiti di questo. Il fortissimo processo di omologazione del diritto
industriale al quale ha dato impulso l'accordo TRIPs non si estende al governo della
sanzione risarcitoria che è, e rimane, strettamente ancorato al diritto civile primario di
riferimento. Naturalmente anche questo assetto poteva cambiare ed è cambiato per effetto
della Direttiva "Enforcement" che, per la prima volta, persegue lo scopo di armonizzare
anche la parte sanzionatoria del diritto industriale.
2.- Il vantaggio competitivo come risultato di attribuzione.
Gli istituti della proprietà intellettuale ed industriale conferiscono a chi ne
beneficia in qualità di titolare un vantaggio competitivo calibrato in termini temporali e di
intensità in modo da garantire al meglio anche obiettivi di interesse generale:
l'innovazione tecnologica con riguardo ai brevetti per invenzione e per modello, che
condiziona i modi di esercizio, il contenuto e la durata del diritto esclusivo; l'innovazione
estetica della produzione industriale che, prima della Riforma del 2001, subordinava la
tutela ad uno "speciale ornamento" e che ora, con il requisito del carattere individuale,
abbassa il gradiente di originalità e tutela prevalentemente l'interesse imprenditoriale alla
propria individualità con riguardo ai disegni e modelli; la differenziazione sul mercato e
la remunerazione degli investimenti pubblicitari per quanto riguarda il marchio e gli altri
segni distintivi oggetto di una tutela progressivamente sempre più complessa, dopo la
teorizzazione rigorosa di VANZETTI che faceva della funzione distintiva l'unica funzione
giuridicamente rilevante mentre è ora una delle funzioni accanto alla funzione evocativa e
5
pubblicitaria; la promozione culturale ed il soddisfacimento delle esigenze del tempo
libero per quanto riguarda il diritto d'autore sulle opere dell'ingegno non più soltanto a
contenuto artistico ma anche utilitaristico.
La garanzia del conseguimento degli obiettivi di interesse generale
dipende dai limiti della protezione ma non influisce sulla struttura dominicale del diritto e
sul momento della sua attribuzione, dato che il vantaggio competitivo che costituisce il
contenuto dell'attribuzione opera sempre e soltanto in funzione della esclusività
dell'utilizzazione economica della creazione intellettuale che diviene, per ciò stesso, bene
immateriale.
Orbene, i cultori del diritto primario, e cioè del diritto civile generale,
hanno già avuto modo di porre la netta distinzione tra "la funzione attributiva dei diritti
sui beni e quella conservativa degli stessi" (PLAIA ed M. BARCELLONA) e questa
distinzione porta - direi automaticamente - a considerare la violazione dei diritti di
proprietà intellettuale come abusiva utilizzazione di una risorsa i cui risultati spettano
sempre e soltanto al titolare. Il concetto unificante di tutto il diritto della concorrenza è
divenuto quello di "vantaggio competitivo" del quale il titolare del diritto di proprietà
intellettuale ed industriale deve poter beneficiare con l'attribuzione di tutti i risultati che si
sarebbero avuti se quel vantaggio non fosse stato ridotto per effetto dell'illecito posto in
essere. Dal punto di vista della qualificazione del conflitto, come conflitto attributivo, non
vi è differenza di rilievo fra la contraffazione di un brevetto e l'imitazione servile di un
prodotto altrui, perché, in entrambi i casi, quel prodotto che a posteriori ha costituito
oggetto della contraffazione oppure dell'imitazione servile è una risorsa la cui
utilizzazione, nella misura in cui attribuisce un vantaggio competitivo, spetta unicamente
al titolare del diritto leso. Non diversamente - checché se ne dica con preoccupazione
(GHIDINI) - un insegnamento tecnologico descritto e rivendicato in un brevetto ed il
know-how mantenuto in regime di segretezza costituiscono entrambi una risorsa riservata
al titolare in termini di vantaggio competitivo, sia che la tutela provenga da un titolo di
proprietà industriale oppure da un divieto di sleale concorrenza oppure infine da un
divieto di diritto antitrust.
Ogniqualvolta il danno sia effetto di un conflitto di attribuzione, la
liquidazione può certamente avvenire anche in deroga ai limiti della tradizionale funzione
6
compensativa in forza della quale, in linea di principio, chi agisce per il risarcimento non
può venire a trovarsi in una posizione migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovato
se l'illecito non fosse stato commesso. Questo principio non può porsi come limite
esterno al sistema delle azioni risarcitorie esperibili nel diritto industriale, ed è
incompatibile con l'attribuzione normativa, a titolo di proprietà intellettuale ed
industriale, di una risorsa la cui utilizzazione esclusiva spetta al titolare, sicché l'illecito di
contraffazione e di abusiva utilizzazione non può non esporre chi lo compie alla
conseguenza di restituire tutte le utilità che ha tratto dall'abuso e più in generale dall'altrui
risorsa competitiva.
La giurisprudenza ha già ufficializzato questa conclusione tutte le volte
che applica il criterio del pagamento a favore del soggetto leso dei profitti ottenuti dal
contraffattore con un orientamento che, almeno in linea teorica, si pone a fianco di quello
seguito da altro e prevalente filone giurisprudenziale secondo il quale spetta al soggetto
leso il giusto prezzo del consenso e cioè il compenso che il titolare del diritto avrebbe
potuto pretendere se il contraffattore avesse preventivamente chiesto il suo consenso, e
che si contrappone al criterio per cui è risarcibile unicamente il danno derivante dalla
diminuzione del profitto netto o lordo del titolare del diritto.
La categoria civilistica del conflitto di attribuzione, ponendosi a monte
della tutela, accredita il principio del trasferimento in capo al titolare del diritto leso di
tutte le utilità che il soggetto responsabile della lesione ha ricavato dall'utilizzazione
abusiva del bene immateriale.
3.- La genesi dell'art. 125 C.P.I..
Nonostante da sempre nella valutazione dei criteri ermeneutici si dia la
prevalenza a quello dell'interpretazione sistematica rispetto alla ricostruzione del
significato storico attribuibile alle norme, così da contrapporre una "voluntas legis" ad
una "volunta legislatoris", è essenziale attribuire la doverosa rilevanza al significato
storico soprattutto quando - come nella specie - esso inevitabilmente si pone all'origine di
un importante processo di revisione sistematica. L'art. 125 C.P.I. presenta tutte le
caratteristiche necessarie per giustificare - ed anzi imporre - un'attenta ricostruzione della
"voluntas legislatoris" come premessa di una corretta ricostruzione della "voluntas legis".
7
E' bene precisare che, nel quadro di riferimento rilevante ai fini della
ricostruzione del significato storico dell'art. 125, devono essere ricomprese anche le
considerazioni illustrate nei primi due paragrafi di questa relazione perché esse
rispecchiano le posizioni assunte da chi - come me - si è poi trovato a gestire la redazione
del Codice della Proprietà Industriale ed in particolare della norma dell'art. 125 C.P.I..
Conflitto attributivo e vantaggio competitivo sono dunque i concetti che
hanno ispirato la redazione dell'art. 125 C.P.I. (v. FLORIDIA, Proprietà intellettuale,
illecito concorrenziale e risarcimento, relazione tenuta al Convegno SISPI il 21 marzo
2003.
Sempre volendo risalire alla matrice della norma dell'art. 125 C.P.I. non si
può trascurare l'ispirazione concretamente tratta da una dottrina che "in tempi non
sospetti" aveva dedicato una specifica riflessione al rapporto fra risarcimento ed
arricchimento con riguardo alla proprietà industriale (v. CASTRONOVO, La violazione
della proprietà intellettuale come lesione del potere di disposizione. Dal danno
all'arricchimento, lezione tenuta alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di
Palermo il 24 gennaio 2002, poi pubblicata in Il Diritto Industriale, n. 1/2003, pagg. 7
ss.). Questa dottrina ha avuto un'influenza determinante nella stesura dell'art. 125 C.P.I.
per ragioni inerenti alla sua collocazione cronologica perché, se è vero che dopo la
comparsa dell'art. 125 C.P.I. i contributi relativi ai rapporti fra risarcimento ed
arricchimento nella proprietà industriale si sono moltiplicati, è vero pure che spetta al
contributo di CASTRONOVO il merito dell'apertura di una pista interpretativa che postulava
il superamento del "tabu" secondo il quale la tutela della proprietà industriale non poteva
estendersi oltre la funzione compensativa del risarcimento del danno. CASTRONOVO,
dunque per primo, ha offerto alla Commissione Ministeriale incaricata della redazione del
Codice una riflessione alla quale la Commissione non poteva essere insensibile perché,
essendo stata chiamata a "riassettare" la disciplina della proprietà industriale non avrebbe
potuto non porsi il problema dell'insufficienza della tutela risarcitoria, lamentata con
insistenza soprattutto dagli operatori stranieri. Ed invero, stando alla disciplina codificata,
non si dubitava che sostanzialmente l'unica prospettiva praticabile fosse quella risarcitoria
ma neppure era dubitabile che "facendo riferimento alla dinamica concreta del conflitto
non sempre la responsabilità civile appare … risposta soddisfacente: perché … quello
8
che va regolato non è sempre e soltanto questione di danni" (v. CASTRONOVO, op. loc.
cit.).
Interpretando il principio di sussidiarietà non come alternativa in astratto
fra azione di risarcimento ed azione di arricchimento sembrò a CASTRONOVO che fosse
configurabile il "cumulo tra responsabilità ed arricchimento, ciascuno per l'oggetto che
propriamente lo riguarda: il danno per l'una e l'incremento patrimoniale per l'altro". Il
raccordo de iure condito fra il diritto "primo" ed il diritto "secondo" condusse
giustamente al risultato di assegnare alla responsabilità il risarcimento del danno ingiusto
ed all'azione di arricchimento di provvedere a regolare l'incremento patrimoniale
conseguito dall'agente: incremento la cui restituzione postula che sia "senza causa" e cioè
che non sia ascrivibile all'opera autonomamente svolta dal contraffattore e che si
configuri come effetto puro e semplice dell'appartenenza del diritto.
Orbene, questa teorizzazione fu recepita dalla Commissione Ministeriale
che si propose di attuarla normativamente con la facilitazione che si ha quando si opera
de iure condendo.
4.- Le revisioni del testo dell'art. 125 C.P.I..
All'indomani dell'emanazione del Codice è sembrato utile fornire agli
interpreti del "riassetto" le chiavi di lettura delle innovazioni normative più importanti (v.
FLORIDIA, Il riassetto della proprietà industriale, Milano, Giuffrè, 2006). Questa
iniziativa editoriale si è rivelata particolarmente efficace proprio in relazione all'art. 125
C.P.I. che non si è limitato a riprendere le anteriori norme poste nelle leggi speciali a
disciplina del risarcimento del danno ma ha integrato tale disciplina facendo espresso
riferimento all'azione di arricchimento senza causa.
Nella prima stesura la norma era così formulata:
"1.
Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli
artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo
apprezzamento delle circostanze.
2.
Il titolare del diritto di proprietà industriale può altresì chiedere che gli vengano
attribuiti gli utili realizzati in violazione del diritto".
Questa formulazione è stata "pensata" in funzione della distinzione
dogmaticamente ineccepibile ed operativamente intuitiva, alla quale si è accennato, fra
9
l'azione di risarcimento del danno e l'azione di arricchimento senza causa. Le due azioni
per lo più non si ritengono oggi cumulabili perché vengono considerate alternative in
ragione della sussidiarietà della seconda rispetto alla prima, interpretata però nel senso
che non possa farsi luogo all'azione di arricchimento senza causa quando la fattispecie è
astrattamente suscettibile di beneficiare del rimedio risarcitorio. Sulla base di questo
principio - applicato meccanicamente - si tendeva a ritenere che non si potesse ricorrere
all'azione di arricchimento senza causa neppure quando il rimedio risarcitorio si fosse
dimostrato inadatto a soddisfare le ragioni del titolare del diritto leso. Nella relazione al
Codice, a commento della norma testé riferita, si faceva l'esempio del titolare del brevetto
farmaceutico in titolarità di una piccola impresa produttiva e commerciale che fosse stato
contraffatto da una grande impresa multinazionale, per sottolineare che, in tal caso,
rimanendo strettamente aderenti al criterio del lucro cessante, ben difficilmente l'impresa
"piccola" avrebbe potuto ottenere un adeguato soddisfacimento dell'interesse connesso
alla violazione del suo diritto.
Sulla base di queste premesse, nella formulazione originaria la norma
dell'art. 125 distingueva nettamente la domanda di risarcimento del danno collocata al
primo comma con l'aggiunta che "il lucro cessante è valutato dal giudice con equo
apprezzamento delle circostanze" e la domanda di arricchimento senza causa collocata
nel secondo comma con una formulazione che, da un lato, faceva riferimento alla c.d.
reversione degli utili realizzati in violazione del diritto e, dall'altro lato, comportava il
superamento del divieto di cumulo e del principio di sussidiarietà disponendo che il
titolare del diritto leso "può altresì chiedere che gli vengano attribuiti gli utili".
Nel passaggio al Consiglio dei Ministri dello schema di Decreto
Legislativo la formulazione della norma fu modificata con la seguente:
"Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli artt.
1223, 1226 e 1227 del Codice civile. Il lucro cessante è valutato dal giudice anche
tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto e dei compensi che l'autore
della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto licenza dal titolare del
diritto".
Gli utili realizzati in violazione del diritto che erano oggetto di restituzione
sono divenuti indice puro e semplice della determinazione del lucro cessante.
La norma scaturita dal concerto interministeriale e poi licenziata sulla
10
Gazzetta Ufficiale con la rubrica "Risarcimento del danno" era del seguente testuale
tenore.
"1.
Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli
artt. 1223, 1226 e 1227 del Codice civile. Il lucro cessante è valutato dal giudice
anche tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto e dei compensi
che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto
licenza dal titolare del diritto.
2.
La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne, ad istanza di
parte, la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e
alle presunzioni che ne derivano".
Questa versione non è piaciuta alla Commissione Ministeriale tant'è vero
che l'estensore della relazione finale commentò la prima parte della norma sottolineando
che essa rispecchiava l'opinione pacifica della dottrina e della consolidata giurisprudenza
secondo la quale la sanzione del risarcimento del danno, nell'ambito della tutela dei diritti
di proprietà industriale, segue le stesse regole della responsabilità extracontrattuale ma
per soggiungere subito appresso che:
"Nella seconda parte della norma (la Commissione) aveva ritenuto di colmare una
vistosa lacuna segnalata dalla dottrina e dalla giurisprudenza disponendo esplicitamente
che il titolare del diritto di proprietà industriale può altresì chiedere che gli vengano
attribuiti gli utili realizzati dal contraffattore. La reversione degli utili così disposta
peraltro
sarebbe
stata
riconducibile
nell'ambito
delle
norme
civilistiche
sull'arricchimento senza causa e non in quello delle norme sul risarcimento del danno
come sanzione della responsabilità extracontrattuale".
La Commissione si
rammaricò che nella fase del concerto, la seconda parte dell'art. 125 del
Codice fosse stata sostituita con la seguente: "Il lucro cessante è valutato dal
giudice anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione del diritto".
Ciò che non si era potuto realizzare emanando il Codice della Proprietà
Industriale si è potuto realizzare un anno dopo quando con il D.Lgs. 16 marzo 2006, n.
140, è stata data attuazione alla Direttiva c.d. "Enforcement" 2004/48/CE sul rispetto dei
diritti di proprietà intellettuale. E' stato in questa occasione che la Commissione
incardinata nel Ministero delle Politiche Comunitarie (e non in quello dello Sviluppo
Economico) - opportunamente sensibilizzata da chi aveva fatto parte dell'altra
Commissione - volle ritornare alla stesura iniziale allo scopo espressamente dichiarato
11
nella relazione di fare in modo che la norma considerasse "le misure del risarcimento del
danno e della reversione degli utili come operativamente e concettualmente distinte
essendo peraltro riconducibili rispettivamente al profilo della reintegrazione del
patrimonio leso ed a quello - ben diverso - dell'arricchimento senza causa" e con la
precisazione che "il nuovo testo dell'art. 125 costituisce attuazione dell'art. 13 della
Direttiva la quale dà rilevanza ad entrambi i profili".
L'accidentato percorso - dunque - ha fatto sì che, sotto il profilo del
rapporto fra risarcimento ed arricchimento, la stesura finale della norma coincidesse con
quella iniziale e, arricchita dalla necessità di rispecchiare l'articolazione delle misure
imposte dalla Direttiva Enforcement, oggi, sotto la rubrica "Risarcimento del danno e
restituzione dei profitti dell'autore della violazione" dispone espressamente:
"1.
Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli
artt. 1223, 1226 e 1227 del Codice civile, tenuto conto di tutti gli aspetti
pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato
guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della
violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il
danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione.
2.
La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in
una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne
derivano. In questo caso il lucro cessante è comunque determinato in un importo
non inferiore a quello dei canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto
pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso.
3.
In ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili
realizzati dall'autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro
cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento".
5.- Le indicazioni interpretative dei lavori preparatori.
Stando a ciò che è avvenuto nel passaggio fra la stesura scaturita dal
concerto interministeriale e quella scaturita dall'attuazione della Direttiva Enforcement,
non c'è dubbio che è stata accantonata la soluzione polarizzata unicamente sulla tutela
compensativa. A tanto conduce la lettura coordinata del primo e del terzo comma della
norma, tenendo conto che "i benefici realizzati dall'autore della violazione" menzionati
nel primo comma come elemento di cui tenere conto ai fini della quantificazione del
12
danno risarcibile, sono cosa ben diversa rispetto agli "utili realizzati dall'autore della
violazione" dei quali è espressamente detto che "il titolare del diritto leso può chiedere la
restituzione".
Allo stesso risultato conduce la rubrica della norma che contrappone il
risarcimento del danno alla restituzione dei profitti.
Confermare la funzione risarcitoria della restituzione degli utili è una
contraddizione in termini perché - come si è detto - vi sono casi in cui agli utili dell'autore
della violazione non corrisponde il mancato guadagno del titolare del diritto, e perciò una
correlazione quantitativa risulta fenomenologicamente impraticabile.
Non c'è dubbio che - come è stato detto (PARDOLESI) - "mentre gli
strumenti rimediali nostrani sono tradizionalmente finalizzati a rimuovere il pregiudizio
che si è verificato nel patrimonio del titolare del diritto protetto, la retroversione dei
profitti è diretta a rimuovere l'arricchimento illecito che si è realizzato nel patrimonio
dell'infringer".
Cercare di ricondurre ad unità i due profili non pare logicamente
plausibile.
Nel considerare il rapporto fra danno oggetto di risarcimento ed
arricchimento come oggetto di restituzione, allo scopo di mantenere la demarcazione fra
le due azioni, occorre sottolineare che si rimane nella logica restitutoria della seconda
anche nel caso in cui - come si è detto - non vi è una correlazione materialmente intesa
fra il mancato guadagno del titolare del diritto ed il profitto del responsabile della
violazione. Anche quando il titolare del diritto non abbia conseguito i profitti realizzati
dall'autore della violazione ed anche quando neppure sia in grado di conseguirli, resta il
fatto che i profitti formano oggetto di restituzione perché non rilevano in quanto tali, ma
in quanto siano "concretizzazione" del vantaggio competitivo che è risorsa appartenente
al titolare del diritto.
Con l'azione di restituzione dei profitti giunge a compimento la tutela reale
della proprietà industriale perché la restituzione non è preordinata direttamente soltanto a
produrre un effetto deterrente bensì a garantire al titolare del diritto leso il pacifico
godimento del vantaggio competitivo che gli deriva dal diritto esclusivo.
I profitti devono essere restituiti ma non certo necessariamente nell'entità
13
che risulta dai registri dell'autore della violazione perché il risultato contabile può porsi in
correlazione non soltanto con il vantaggio competitivo derivante dal diritto esclusivo
violato bensì anche con molti o pochi altri fattori che non hanno nulla a che vedere con il
vantaggio competitivo suddetto. Per esemplificare, è evidente che la contraffazione di un
brevetto che abbia per oggetto un farmaco unico ed insostituibile ai fini della terapia, dà
luogo a profitti interamente restituibili proprio perché sono tutti espressione del vantaggio
competitivo indebitamente sfruttato dal contraffattore. Tutt'altra la situazione che si
verifica quando la violazione abbia per oggetto il diritto di marchio e non sia costituita
dall'abusiva apposizione del marchio sugli stessi prodotti commercializzati dal titolare
bensì dall'utilizzazione del marchio stesso su prodotti affini; oppure quando il marchio
contraffatto goda di rinomanza e sia abusivamente utilizzato in un'operazione di
merchandising, di guisa che non via sia neppure una relazione di affinità fra i prodotti
contraddistinti dal contraffattore e quelli del titolare. Se in questa situazione il
contraffattore dovesse restituire tutti gli utili sarebbe certamente legittima la
preoccupazione di chi (VANZETTI) paventa una sproporzione inaccettabile fra ciò che il
contraffattore guadagna legittimamente e può conseguentemente trattenere e ciò che
invece sarebbe costretto a restituire. Il successo di una complessa operazione di
merchandising è solo in parte imputabile alla rinomanza del marchio perché sono molte
le operazioni che influiscono su tale successo e non certo tutte riconducibili allo
sfruttamento della rinomanza. Si tratta allora - ovviamente - di accertare il nesso di
causalità che intercorre fra il fatturato (e conseguentemente l'utile) di chi abbia condotto
abusivamente l'operazione di merchandising ed il vantaggio competitivo derivante dalla
rinomanza del marchio. Concettualmente, l'accertamento del nesso di causalità fra
arricchimento e sfruttamento abusivo della risorsa immateriale non è diverso da quello
che è pur sempre necessario accertare e che intercorre fra mancato guadagno e
sfruttamento abusivo della stessa risorsa perché, in entrambi i casi, si tratta pur sempre di
stabilire come la violazione del diritto si riflette negativamente sul patrimonio del
danneggiato oppure positivamente sul patrimonio del danneggiante.
6.- L'elemento psicologico.
Fra l'azione di risarcimento e l'azione di arricchimento esperibili in
14
funzione della violazione di un diritto di proprietà industriale intercorre - apparentemente
- un'importante differenza sotto il profilo dell'elemento psicologico. Il risarcimento del
danno postula che il danneggiante sia quanto meno in colpa mentre la restituzione è
dovuta sulla base oggettiva della violazione del diritto. Ma questa differenza è stata
sostanzialmente annullata dall'orientamento che, parificando la colpa all'ignoranza
colpevole di ledere l'altrui diritto di proprietà industriale, giunge alla conclusione che
l'ignoranza è sempre colpevole perché è ingiustificata a fronte del sistema di pubblicità
legale che concerne la brevettazione e la registrazione dei diritti di proprietà industriale.
Ove la finzione secondo la quale l'ignoranza di ledere l'altrui diritto di proprietà
industriale sia sempre colpevole venisse meno, dando luogo ad un accertamento della
colpevolezza non ricondotto in astratto alla rilevanza del sistema legale di pubblicità dei
titoli di proprietà industriale, allora l'azione di arricchimento acquisterebbe un ruolo
particolarmente significativo perché consentirebbe al titolare del diritto di recuperare gli
utili anche da parte di chi non fosse stato consapevole di commettere un illecito.
Nella norma dell'art. 125 C.P.I. alcun elemento psicologico è previsto ai
fini della retroversione degli utili e perciò questa è dovuta anche nel caso in cui lo
sfruttamento dell'altrui risorsa immateriale sia avvenuto incolpevolmente. Si tratta allora
di stabilire se questa soluzione sia compatibile con l'art. 13 della direttiva Enforcement
(Direttiva n. 48/04/CE del 29 aprile 2004) il quale distingue fra violazione colpevole ed
incolpevole del diritto di proprietà industriale: per quanto concerne la prima il n. 1
dell'art. 13 della direttiva legittima il risarcimento dei danni nella misura adeguata al
ristoro del pregiudizio effettivo risentito a causa della violazione. Per quanto concerne
invece la seconda - e cioè la violazione incolpevole - il n. 2 dell'art. 13 prevede che
l'Autorità Giudiziaria disponga il recupero dei profitti. Queste disposizioni sono
perfettamente rispecchiate rispettivamente nel primo e nel terzo comma dell'art. 125
C.P.I. se è vero che nel primo comma i benefici realizzati per effetto di una violazione
colpevole del diritto sono considerati allo scopo di determinare il danno effettivo, mentre
nel terzo i profitti realizzati per effetto di una violazione incolpevole sono suscettibili di
reversione. Fatta salva la conformità della norma nazionale alla norma comunitaria resta
da chiedersi se questa non sia illogica nel momento in cui sanziona con la reversione un
comportamento incolpevole rispetto ad uno colpevole. Sennonché la illogicità è
15
subordinata alla configurazione della retroversione come misura più grave rispetto a
quella del risarcimento. Questa differente valutazione della gravità dell'una rispetto
all'altra misura non è però giustificata perché - a ben vedere - la colpevole lesione
dell'altrui diritto di proprietà industriale espone l'autore dell'illecito ad un obbligo di
risarcimento la cui entità può essere anche di molto superiore agli utili che Egli abbia
conseguito quanto meno perché comprensiva del danno emergente e comunque non
limitata a tali utili che, in quanto tali, non possono eccedere la misura del proprio
arricchimento senza causa.
Calcolare il lucro cessante significa basare il risarcimento su di un giudizio
ipotetico relativo all'entità delle vendite che il titolare del diritto non ha potuto effettuare
o non ha potuto effettuare con i margini di profitto che sarebbero stati legittimamente
attesi senza la violazione, mentre calcolare gli utili da restituire è operazione saldamente
ancorata alla realtà storica ed alla capacità di gestione della propria azienda da parte
dell'autore della violazione.
Proprio in considerazione della finalità puramente restitutoria della
reversione degli utili può ben accadere che non vi sia da restituire alcunché se utili non
sono stati prodotti, mentre non può accadere che non vi sia danno risarcibile derivante
dalla violazione colpevole del diritto.
In altri termini le misure del risarcimento e della retroversione sono
diverse perché la prima espone ad un rischio sicuramente superiore rispetto alla seconda,
della quale si può dire che non incide negativamente sul patrimonio dell'autore della
violazione nel senso del depauperamento ma unicamente nel senso del mancato
arricchimento.
16
BIBLIOGRAFIA:
BARBIERATO DANIELA
Risarcimento del danno e funzione deterrente, in Resp. civ. e prev.,
2009, 05, 1176
BARBUTO MARIO
Il risarcimento dei danni da contraffazione di brevetto e la restituzione
degli utili, in Dir. Ind., 2007
BICHI ROBERTO
La liquidazione del danno da contraffazione e le prospettive
riconosciute dall'art. 125 del D.Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, in Riv. Dir.
Ind., 2005, pag. 390
CASABURI GEREMIA
Il processo industrialistico rinovellato. Dal Codice della Proprietà
Industriale al D.Lg. n. 140 del 2006, in Giur. merito, 2007, 04, 938
CASTRONOVO CARLO
La violazione della proprietà intellettuale come lesione del potere di
disposizione. Dal danno all'arricchimento, in Il Diritto Industriale n.
1/2003, pag. 7
DI CATALDO VINCENZO
Compensazione e deterrenza nel risarcimento del danno da lesione di
diritti di proprietà intellettuale, in Giur. comm., 2008, 02, 198
DI SABATINO EMIDIA
Proprietà intellettuale, risarcimento del danno e restituzione del
profitto, La Responsabilità Civile, maggio 2009, pag. 442
FLORIDIA GIORGIO
Il risarcimento dei danni nella proprietà intellettuale e nel diritto
antitrust, in Il Diritto Industriale, 2011, n. 4
FLORIDIA GIORGIO
Proprietà intellettuale, illecito concorrenziale e risarcimento, Relazione
tenuta al convegno organizzato dalla SISPI con il titolo "Il risarcimento
del danno da illecito concorrenziale e da lesione della proprietà
intellettuale", Castel Gandolfo, 21 marzo 2003
FRANZOSI MARIO
Il risarcimento del danno da lesione di diritti di proprietà industriale, in
Il Diritto Industriale, n. 3/2006, pag. 205
17
GUERNELLI MICHELE
La retroversione degli utili fra rischio di overcompensation ed esigenza
di colmare il lucro cessante, in Il Diritto Industriale n. 3/2011, pag. 213
MUSSO ALBERTO
La proprietà intellettuale nel futuro della responsabilità sulla rete: un
regime speciale?, in Dir. informatica 2010, 06, 795
NICOLUSSI ANDREA
Proprietà intellettuale e arricchimento ingiustificato: la restituzione
degli utili nell'art. 45 TRIPs, in Europa e diritto privato, 2002, pag.
1003
NIVARRA LUCA
L'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale dopo la Direttiva
2004/48/CE, in Riv. Dir. Ind., 2005, 01, 33
PARDOLESI PAOLO
La retroversione degli utili nel nuovo Codice dei diritti di proprietà
industriale, in Il Diritto Industriale n. 1/2005, pag. 37
PARDOLESI PAOLO
Un'innovazione in cerca d'identità: il nuovo art. 125 C.P.I., in Corr.
Giur. n. 11/2006, pag. 1605
RENOLDI ANGELO
Il risarcimento dei danni nella forma dei profitti persi: teoria e prassi,
in Il Diritto Industriale n. 4/2006, pag. 306
SIRENA PIETRO
La restituzione dell'arricchimento e il risarcimento del danno, in Riv.
Dir. Civ., 2009, p. 65 ss.
SPOLIDORO MARCO SAVERIO Il risarcimento del danno nel Codice della Proprietà Industriale.
Appunti sull'art. 125 C.P.I., in Dir. Ind., 2009
VANZETTI ADRIANO
La "restituzione" degli utili di cui all'art. 125, n. 3, C.P.I. nel diritto dei
marchi, in Il Diritto Industriale n. 4/2006, pag. 323