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n° 340 - maggio 2009 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Van Gogh e il sole del Giappone L’incontro con l’arte dell’estremo oriente e la sua profonda influenza sulla pittura del secondo Ottocento, visti attraverso le opere del maestro olandese «Voglio incominciare a dirti che il paesaggio qui mi sembra bello come il Giappone, per la limpidezza dell’atmosfera e gli effetti allegri di colore, le acque fanno delle macchie di un bello smeraldo e di un blu sontuoso nei paesaggi come si vedono nei crêpons giapponesi. I tramonti arancio pallido danno al terreno un colore blu. I soli sono giallo splendente e ciononostante non ho ancora visto il paese nel suo splendore estivo.» Inizia così una delle lettere di Vincent Van Gogh all’artista e amico Emile Bernard, traducendo in parole sensazioni visive e pittoriche nate dall’utopia del paesaggio giapponese e dall’incontro reale, diretto, con gli scenari della Provenza, dalla quale è scritta questa lettera. Siamo nel 1888: due anni di vita rimangono ancora da vivere, pochi ne sono trascorsi dalla definitiva vocazione artistica di Vincent. La parabola artistica di Van Gogh, concentrata in una manciata di fertilissimi anni, prende vita parallelamente alla nascita del suo interesse per la xilografia giapponese: curiosità, passione, essenza di vita sono passaggi alimentati da proficui incontri e dall’arrivo nella allora capitale mondiale dell’arte: Parigi. La xilografia del periodo Ukiyo-e (XVII-XIX sec.), ovvero l’età aurea dell’arte giapponese, penetrò nel mondo occidentale solo nell’Ottocento: all’olandese Compagnia delle Indie Orientali si devono le prime importazioni di manufatti, ed è olandese il primo collezionista di stampe giapponesi conosciuto, Isaac Titsingh, che morì a Parigi nel 1812. Alcuni importanti fenomeni di collezionismo e la pubblicazione di alcuni libri illustrati con opere giapponesi precedono di qualche decennio l’apertura vera e propria tra Occidente e Oriente: solo tra il 1854 e il 1859 il Giappone iniziò contatti diplomatici e commerciali con Stati Uniti, Paesi Bassi, Russia, Gran Bretagna e Francia. Gli scambi, lungi dall’essere prettamente commerciali, misero in contatto due mondi sconosciuti, con conseguenze rivoluzionarie per l’arte impressionista e delle prime avanguardie. A Parigi Monet, Degas, Lautrec, Gauguin (per citare solo i più celebri), collezionarono avidamente le stampe orientali, studiando a lungo le soluzioni formali, stilistiche e tecniche delle Utagawa Hiroshige: Fiori e piante delle quattro stagioni xilografie giapponesi: dal taglio compositivo alla scelta dei soggetti o alla gestualità delle effigiate, le tele impressioniste e postimpressioniste mostrano debiti culturali infiniti verso l’arte dei maestri Utamaro, Hokusai, Hiroshige. Ma Van Gogh, giovane olandese con passato di predicatore indipendente, approdato a Parigi nel 1886 al seguito del fratello Theo, avrà un rapporto più profondo, quasi mistico con arte e mondo giapponese. Già ad Anversa un primo contatto era nato attraverso alcune letture e l’acquisto delle prime stampe, che saranno poi appese come amuleti nell’appartamento parigino e nella Katsushika Hokusai: Onde dell’Oceano pag. 2 casa gialla di Arles. Nella capitale francese, dove incontra i giovani artisti d’avanguardia e dove la tavolozza si schiarisce dai toni terrosi e tetri della prima produzione, l’interesse per l’arte giapponese sboccia in vera passione: il fratello Theo, mercante d’arte, conosce i principali esperti del mondo giapponese, come l’incisore Henri Guérard (illustratore dei due volumi sull’arte giapponese di Louise Gonse, usciti nel 1883) e il gallerista Siegfried Bing, membro della Societé des Etudes Japonaises, ideatore del mensile “Le Japon artistique” (pubblicato dal maggio del 1888), nonché uno dei principali mercanti d’arte orientale. Van Gogh, anche dopo la sua partenza da Parigi, esorta il fratello a comprare più stampe possibili, a proseguire i contatti con la galleria di Bing, con la quale sembra abbiano un conto aperto: «ti prego conserva il deposito di Bing, i vantaggi sono troppo grandi […] Il tuo appartamento non sarebbe quello che è senza le giapponeserie […] Tutto il mio lavoro si basa sulla giapponeseria». La collezione dei due fratelli si arricchisce costantemente e arriva a contare alcune centinaia di pezzi più alcuni album, come il secondo volume delle 100 Vedute del Fuji di Hokusai, unica opera dell’artista giapponese più celebre ed evidentemente più costoso: oggi la collezione è interamente conservata al museo Van Gogh di Amsterdam. Nel 1887 Vincent progetta e organizza due mostre di arte giapponese, con scarsissimo successo: la prima è allestita al Café du Tamburin, gestito dall’italiana Agostina Segatori. Dell’esposizione rimane il bellissimo ritratto di Agostina seduta a un tavolo a forma di tamburino: gli occhi della donna, con la quale Vincent intreccerà una tormentata relazione, guardano stanchi oltre l’osservatore; sullo sfondo, tracce di stampe giapponesi tinteggiate di blu. Altro personaggio omaggiato (per ben due volte) con uno sfondo di stampe giapponesi è il commerciante di colori Julien Tanguy, ex comunardo, amico e protettore dei giovani artisti, nonché una delle più care conoscenze parigine di Vincent. “Père” Tanguy, nel quale Vincent vede rispecchiarsi un ideale di umanità, saggezza e fratellanza, è ritratto (nella versione, più nota, conservata al Museo Rodin) con lo sguardo serafico da filosofo orientale: alle spalle un puzzle sfavillante di xilografie, copie da note opere, tra gli altri, di Hiroshige, Kunisada, Eisen. Ma le citazioni esplicite delle stampe non sono preziosismi dal gusto decorativo: sono protagoniste, insieme all’effigiato, dello spirito del quadro, sono il correlativo oggettivo della positività e della solarità del personaggio. Nella fantasia di Van Gogh le stampe vivono associate ad alcuni personaggi particolarmente Vincent Van Gogh: Ritratto di Julien Tanguy - Parigi, Musée Rodin cari o ad alcuni suoi autoritratti. Rivestono una valenza simbolica, ma anche didattica, al punto che Van Gogh, quasi a cogliere l’essenza sottesa al gioco di linee e di armonie dell’arte Ukiyo-e, realizza vere e proprie copie da alcune xilografie particolarmente affascinanti. Ed ecco allora che le citazioni escono dai dipinti di Van Gogh e si tramutano in opere singole, come le interpretazioni di due stampe di Hiroshige, Pioggia Improvvisa e Susino in fiore. Lo studio diretto sulle xilografie accende la cromia di Van Gogh, lo pag. 3 esorta a sperimentare tagli imprevisti e audaci invenzioni compositive: ma per Vincent il Giappone non è solo una fascinazione artistica, ma il vagheggiamento, probabilmente alimentato da letture romanzate sull’Oriente, di un’utopia di mondo pacifico, in armonia con la natura. Nasce a Parigi il mito del sole e della luce, il sogno di una comunità di artisti che vivono a contatto con una spiritualità derivata da un sentimento condiviso verso arte e natura. Il desiderio del sole trascina Van Gogh ad Arles, dove arriva nel 1888 dopo i due anni di soggiorno parigino: la luce, i colori, i profumi della Provenza “belli come il Giappone”, riaccendono l’utopia di una comune di artisti. «Gli artisti giapponesi praticavano spesso degli scambi - scriverà nuovamente al pittore Bernard - Ciò prova che essi si apprezzano e tengono molto l’uno all’altro e che fra essi regna una certa armonia; e che vivono proprio in una specie di confraternita e non in mezzo agli intrighi. Più cercheremo di assomigliare a loro sotto questo aspetto, e meglio ci troveremo». Purtroppo la comunità di artisti non si formerà, e la casa gialla di Arles, splendente di girasoli e di xilo grafie, aspetterà invano l’arrivo degli amati amici e pittori. Solo Gauguin, incalzato da Theo Van Gogh, trascorrerà da Vincent due mesi di arte e follia, che si conclusero drammaticamente con una feroce lite seguita da quel taglio terribile all’orecchio, estremo gesto autopunitivo di Van Gogh. Gauguin scappa, Vincent viene ricoverato e nel gennaio del 1889 realizza uno struggente autoritratto con il volto stralunato, il cranio fasciato e, nello sfondo, una rassicurante e amata stampa orientale, ultimo retaggio d’impossibile utopia. Da quel momento in poi svaniranno le citazioni e le riproposizioni di stampe giapponesi nelle sue tele, anche se l’arte di Van Gogh, durante l’ultimo anno di attività “matta e disperatissima”, sarà sempre permeata da un afflato orientale. A pochi mesi dalla morte, quando un soffio di felicità arriva per la nascita del figlio di Theo, sopra, Utagawa Hiroshige: Acquazzone improvviso sul grande ponte vicino ad Atake a lato, Vincent Van Gogh: Ponte sotto la pioggia (da Hiroshige) Amsterdam, Van Gogh Museum chiamato Vincent, Van Gogh regalerà al nipote il dipinto di un ramo di mandorlo in fiore, simbolo augurale giapponese, nonché libera interpretazione di una delle più belle opere dell’artista Hokusai. alessia cecconi Vincent Van Gogh: sopra, Rami di mandorlo in fiore (part.) - Amsterdam, Van Gogh Museum a lato, Autoritratto - Londra, Courtauld Institute of Art Gallery