Antiche civiltà

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Antiche civiltà
Arte e territorio
Anno scolastico 2012.2013
Dario D’Antoni
Antiche civiltà
La terra del Nilo
5000 anni fa (almeno così noi crediamo), in Egitto regnò un re che si
chiamava Menes. Per saperne di più su dove si trova l’Egitto, basta seguire il volo
delle rondini. Ogni autunno, infatti, all’inizio dei freddi, esse volano verso sud.
Partono dal Nord Europa, superano le Alpi, passano sopra l’Italia e poi sorvolano
ancora un tratto di mare fino ad arrivare in
Africa, quella regione dell’Africa che è più
vicina all’Europa. Da quelle parti c’è l’Egitto.
Tutti sanno che l’Egitto è il paese delle
piramidi, quelle montagne di pietra che
flagellate dal caldo, dalle tempeste di sabbia
e dalle intemperie si ergono come barriere
sul lontano orizzonte della storia.
Già, perché la storia incomincia qui. Anche
se il paese affonda le sue radici nella
preistoria e risale a oltre 10 000 anni fa, il
primo re che regnò in epoca storica in Egitto
fu appunto il re Menes. E le piramidi ci
dicono moltissimo.
Ci parlano di un paese così perfettamente
organizzato da rendere possibile la
costruzione di quelle gigantesche masse di
pietra nella sola durata della vita di un re.
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Ci parlano di re così ricchi e potenti da poter costringere migliaia e migliaia di
operai e di schiavi a lavorare duramente per anni a estrarre pietre, a trasportarle
sui luoghi della costruzione, a spostarle con mezzi primitivi finché non fossero
pronte ad accogliere il re.
Perché le piramidi avevano una funzione pratica: erano le tombe dei loro re.
Che erano considerati esseri divini che, staccandosi da questa terra, sarebbero
risaliti tra le divinità da cui provenivano. Le piramidi, innalzandosi verso il cielo, li
avrebbero agevolati nella loro ascesa. E avrebbero preservato il sacro corpo dalla
corruzione. Perché gli egizi credevano che il
corpo dovesse essere conservato, affinché
continuasse a vivere nell’aldilà. I corpi
venivano ricoperti con creme e olii e avvolti in
lunghe strisce di stoffa: così non potevano
decomporsi e venivano chiamate mummie. Poi
venivano messe in un sarcofago di legno e
quindi in uno di pietra. E nemmeno il
sarcofago di pietra veniva sepolto, ma messo
in una tomba nella roccia.
Questi potentissimi re venivano chiamati
«Faraoni». Uno dei più grandi, Cheope, si fece
costruire la più grande Piramide esistente, nell’unico complesso architettonico
sopravvissuto tra le sette meraviglie del mondo antico, a Giza, nel Nord
dell’Egitto. Lì dentro, nel profondo, la mummia doveva essere al sicuro! Così
speravano. Ma tutti gli sforzi e il potere del re Cheope furono inutili: la Piramide è
vuota.
La piramide di Cheope è enorme. Pensate che per raggiungere i suoi 164 metri di
altezza si è dovuta attendere la costruzione della Torre Eiffel, nel 1889..in pratica,
quasi 3500 anni dopo! Ma le piramidi erano fatte in colossali blocchi di granito,
ricoperti e resi lisci poi da colate di calcare bianco, mentre le torri moderne hanno
una slanciata anima in metallo. Ma
forse proprio per la loro maestosità
ed imponenza questi monumenti
antichi han potuto durare così a
lungo.
Ma perché questi edifici così grandi,
così maestosi? Fu per via della
religione dell’Antico Egitto.
Gli egizi credevano in molti dei.
E credevano che alcuni di essi, come
il dio Osiride e la sua moglie/sorella
Iside, un tempo avessero regnato sulla Terra come dei re.
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Credevano che fosse un dio anche il Sole, e lo chiamavano Amon. Il signore del
Regno dei morti era un dio con la testa di sciacallo, Anubi. Di ogni faraone
credevano che fosse il figlio del dio Sole. Gli egizi scolpivano per il loro dei figure
nella pietra alte anche come case di cinque piani, e templi
grandi come antiche città.
Davanti ai templi mettevano delle sculture alte e appuntite,
ricavate da un unico pezzo di granito: gli obelischi. È una
parola di origine greca che più o meno vuol dire “piccolo
spiedo”. In alcune delle nostre città si possono vedere ancora
degli obelischi, che sono stati portati fin qua dall’Egitto.
Per la religione egizia erano
sacri anche alcuni animali,
come per esempio i gatti.
Anche alcuni dei venivano
immaginati con il corpo di
animale, ad esempio
quell’essere con il corpo di
leone e la testa di uomo che noi chiamiamo
Sfinge, per gli egizi era un dio potente. La sua
gigantesca statua si trova davanti alle piramidi
di Giza e da oltre 5000 anni custodisce le tombe
dei faraoni.
Le tombe erano organizzate come appartamenti per l’anima dei defunti: vi si
trovavano cibi, mobili e vestiti, e molti affreschi che illustravano momenti della
vita del morto.
Grazie a questi dipinti dai colori
vivaci, possiamo vedere ancora
oggi tutto quello che gli egizi
facevano, e come vivevano.
A dire il vero non disegnavano
proprio in modo realistico e
naturale. Spesso i personaggi sono
rigidi: ci mostrano i loro corpi di
fronte e le mani e i piedi di lato. Ma
quelle figure raggiungono
perfettamente lo scopo. Ogni
dettaglio è perfettamente indicato.
Compito dell’artista era di
conservare ogni cosa nel modo più
chiaro e durevole.
Stagno in un giardino, dalla Tomba di Nebamun, Thebes
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Così non si mettevano a copiare la natura da un angolo visivo scelto a caso,
ma attingevano alla memoria, secondo rigidi canoni stilistici. Essi ricordano infatti
più lo stile di un disegnatore di carte geografiche che quello di un pittore. Lo
dimostra la Raffigurazione di uno stagno, da una tomba di Tebe del 1400 a.C..
Da dove dobbiamo guardarlo? Gli egizi non si preoccupavano troppo del
problema.
Disegnavano semplicemente il laghetto visto dall’alto e gli alberi visti di fronte.
Pesci ed uccelli, d’altra parte, sarebbero stati difficilmente riconoscibili visti
dall’alto, e allora li ritraevano di profilo.
Tale metodo veniva poi
applicato anche alla figura umana:
poiché la testa si vede meglio di
profilo, la disegnavano da un lato.
Ma l’occhio umano si immagina di
fronte, ed ecco allora inserito, su
un viso di profilo, un occhio piano.
La parte superiore del corpo,
spalle e petto, è meglio coglierla
di fronte, poiché in tal modo si
vede come le braccia si attacchino
al corpo. Ma il movimento delle
gambe e delle braccia è a sua
volta molto più evidente se visto
da un lato. Inoltre gli artisti egizi
trovavano difficile rappresentare il
piede visto dall’esterno, così
ambedue i piedi sono visti
dall’interno, e gli uomini sembrano
avere due piedi sinistri o destri.
Inoltre gli uomini erano rappresentati con dimensioni molto maggiori rispetto alle
donne, e con un colorito decisamente più scuro.
Non bisogna però commettere l’errore di credere che secondo gli egizi l’aspetto
dell’uomo fosse proprio così. Essi non facevano che seguire una regola, un
canone che ha accompagnato la civiltà egizia per oltre 3000 anni. E ancora oggi,
un disegno o un dipinto di questi artisti è immediatamente associato allo stile
dell’arte egizia.
Accanto alle figure colorate delle tombe e dei palazzi egizi, di solito ci sono anche
dei minuscoli disegnini. Civette, omini, occhi, bandierine, fiori, scarabei, ma
anche linee spezzate e spirali, tutti stretti in fila o in colonna. Non sono disegnini
ma geroglifici, che è una parola di origine greca e vuol dire «segni sacri».
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Decifrare questi geroglifici non fu certo facile, ma è stato
possibile grazie alla Stele di Rosetta, una pietra
sulla quale è inciso lo stesso testo in greco antico
e in geroglifici. Grandi studiosi hanno dedicato la
vita intera per sciogliere questo rebus!
Gli egizi avevano dei libri, anche se non
erano di carta, ma di un tipo di canna che cresce
sulle rive del Nilo, che con un’altra parola di
origine greca si chiama «papiro». Da qui deriva la
parola che in molte lingue significa «carta», come
il francese papier, l’inglese paper o il tedesco
Papier.
Dal momento che gli egizi erano così saggi e
potenti, il loro regno ha resistito a lungo, più a
lungo di qualsiasi regno mai esistito: quasi 3000
anni. E così come conservavano con cura i corpi
dei loro morti, conservarono con cura attraverso i
millenni anche gli stessi antichi usi e costumi. Secondo loro tutto quello che era
antico era anche sacro.
Ma in una occasione ci fu un faraone che cercò di cambiare tutto. Era un
uomo particolare, questo faraone Akhenaton che visse attorno al 1370 prima
della nascita di Cristo. La religione egiziana con i suoi molti dei e riti misteriosi gli
sembrava poco credibile. “C’è un solo dio” disse al suo popolo, “ed esso è il Sole,
Aton, i cui raggi a tutto danno vita e tutto in vita mantengono. È lui solo che
dovete pregare”. Addirittura cambiò il suo nome -che era Amenophis IV- appunto
in Akhenaton.
I templi antichi vennero chiusi e il re Akhenaton si trasferì in una città, El
Amarna, che fece costruire in modo completamente nuovo, decorando i suoi
palazzi non in modo severo e rigido, ma con uno stile naturale e senza
condizionamenti. La cosa però non piacque affatto alla gente, che voleva
continuare a pensarla come l’aveva sempre pensata per millenni. Così dopo la
morte di Akhenaton si tornò presto alle vecchie abitudini e alla vecchia arte, e
tutto rimase uguale a se stesso finché esistette il regno d’Egitto.
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Il Tigri e l’Eufrate
Più a est dell’Egitto c’è una terra
dove fa molto caldo, ma invece di un
fiume -il Nilo- ce ne sono addirittura
due, il Tigri e l’Eufrate. Per questo
quella terra viene chiamata Mesopotamia, che in greco vuol dire«terra tra i
fiumi». E non si trova in Africa, ma in Asia, e i due fiumi sfociano nel golfo
Persico.
Fa molto caldo e il terreno è paludoso, inoltre a volte le acque straripano e
inondano la terra.
Su questa pianura si vedono spuntare delle grandi colline, che però non sono
delle vere colline. Se si scava in quei punti, infatti, si trovano
un mucchio di tegole e
La mezzaluna fertile
macerie e anche mura solide
e alte. Queste colline sono
infatti città sepolte, dalle
strade lunghe e dritte, con
g ra n d i c a s e e i m m e n s i
palazzi. Siccome però non
sono costruite in pietra e in
marmo, come in Egitto, ma
in mattoni, con il tempo si
sono sbriciolate lentamente
sotto il sole, fino a diventare
cumuli di macerie.
Cumulo di macerie è anche
quella che una volta era
stata Babilonia, la città più
grande del mondo, la capitale dei babilonesi. Cumulo di macerie è anche Ninive,
la seconda città del paese, che era la capitale degli assiri. Come è facile intuire,
non regnava su questo paese un solo re come in Egitto, né fu un regno dai confini
precisi o che durò tanto a lungo. I popoli più importanti che vi risiedettero furono
i sumeri, gli accadi, gli assiri e i babilonesi. Sotto uno dei cumuli più grandi è
stata rinvenuta la città di Ur, di cui nella Bibbia si dice che fosse originario
Abramo. E sotto la sabbia sono state trovate pietre rotonde con iscrizioni che non
erano geroglifici, ma segni con forma appuntita, che sembrano tanti triangolini.
Si chiama scrittura cuneiforme, e riporta resoconti di commercianti, contratti,
inventari eccetera.
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I babilonesi erano severi e laboriosi, come dopo di loro anche gli assiri. Ma non
disegnavano figure colorate come quelle degli egizi.
Le loro statue e i loro dipinti mostrano per lo più il
loro re che va a caccia, o il re con dei prigionieri che
gli si inginocchiano davanti, carri da guerra,
guerrieri. I re hanno sempre uno sguardo truce,
barbe nere e lunghe che ricadono a boccoli e capelli
ricci. Sono rappresentati così anche quando pregano
i loro dei: il padre degli dei Baal e Ishtar, la figlia
della dea della Luna.
Per anni, anzi per secoli, nelle notti limpide e calde, i
babilonesi e gli assiri osservarono il corso delle
stelle. E diedero dei nomi alle figure nel cielo
stellato. A quel tempo credevano che la terra fosse
piatta, e che il cielo fosse una specie di sfera cava,
come un guscio sospeso che ogni giorno ruotava sopra di noi. Quindi vedevano
che non tutte le stelle erano fisse nel cielo, ma alcune potevano andarsene a
spasso. Oggi sappiamo che quelli sono corpi celesti che girano intorno al Sole
assieme alla Terra, e si chiamano pianeti. Ma gli antichi assiri e babilonesi non
potevano saperlo, così pensavano che dietro ci fosse qualche misteriosa magia e
diedero a queste stelle dei nomi per tenerle sempre sotto controllo. Erano
convinti che fossero entità potenti e che la loro posizione influisse sul destino
degli uomini. Questa credenza ha un nome greco: si chiama astrologia.
A ogni pianeta-dio dedicarono un giorno. E siccome con la Luna e il Sole i pianeti
erano sette, ecco che da da lì nacque la settimana: lunedì (da Luna), martedì (da
Marte), mercoledì (da Mercurio), giovedì (da Giove), venerdì (da Venere). Oggi in
italiano nei giorni di sabato e domenica non si riconosce più il nome di pianeti,
ma in altre lingue, come ad esempio l’inglese, è chiaro che saturday (sabato) è il
giorno di Saturno e sunday
(domenica) quello del Sole.
Per essere più vicini alle
stelle e per poterle vedere meglio,
i babilonesi, e prima di loro anche
i sumeri, costruirono edifici
particolari: delle grosse e lunghe
torri che si stratificavano una
sull’altra in immense terrazze
sovrapposte, con imponenti mura
di sostegno e lunghissime scale
strette e ripide.
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Solo una volta arrivati fino in cima c’era il tempio dedicato alla Luna o ai
pianeti. Ancora oggi queste torri a terrazze si stagliano diroccate su cumuli di
macerie, e recano le iscrizioni di come i re le hanno fatte erigere e abbellire. Si
chiamano ziqqurat.
L’ultimo potentissimo re dei babilonesi fu Nabucodonosor, che visse nel 600
avanti Cristo ed è famoso per le sue spedizioni di guerra. Combatté contro
l’Egitto e condusse a Babilonia molti popoli in schiavitù. Ma le sue azioni più
grandi furono la costruzione di immensi canali e serbatoi d’acqua che fece
realizzare per rendere fertile la terra. Solo dopo che quei canali andarono in
rovina e che i serbatoi si intasarono di fango, il paese divenne quella pianura
disabitata e paludosa da cui di tanto in tanto affiorano i cumuli di macerie delle
antiche civiltà sepolte.
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Un solo Dio
Tra l’Egitto e la Mesopotamia c’è una terra di valli
profonde e grandi pascoli. Per millenni popolazioni
di pastori protessero lì le loro greggi, piantarono la
vite e seminarono frumento, e la sera si riunivano
intorno a un fuoco a cantare, come fanno da sempre le genti delle campagne.
Ma proprio perché questa terra
si trovava tra Egitto e Babilonia,
veniva invasa ogni tanto dagli
egiziani, e ogni tanto dai babilonesi,
così i popoli che la abitavano
venivano deportati in continuazione
in schiavitù.
È certo una storia triste, ma
comune a molti popoli. Ma questo
popolo forzatamente nomade, spesso
deportato qua e là, aveva qualcosa di
speciale, grazie alla quale non solo è
entrato nella Storia, ma la Storia l’ha
fatta, per quanto piccolo e impotente
fosse. Questo qualcosa di speciale era la sua religione.
Tutti gli altri popoli avevano molti dei, Iside e Osiride, Baal e Ishtar. Questi
pastori invece pregavano un solo dio.
Il loro dio, che sentivano come guida e come protettore.
E quando la sera cantavano davanti al fuoco, cantavano delle sue azioni e delle
sue battaglie.
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Il loro dio, così cantavano, era migliore e più forte e più grande di tutti gli dei
pagani. L’unico dio, Lui, che il cielo e la
Terra, la Luna, l’acqua e le piante e gli
animali e infine l’uomo. Lui, che poteva
arrabbiarsi spaventosamente e mandare i
diluvi, ma che non avrebbe mai
abbandonato il suo popolo quando era
minacciato dagli egizi o deportato dai
babilonesi. Questo era il popolo degli ebrei.
E i canti delle loro gesta, che erano le gesta
del loro dio, sono l’Antico Testamento.
E in tanti
conoscono la storia di Abramo, che veniva dalla
città di Ur, al tempo di Hammurabi, il grande
legislatore. Era il 1700 avanti Cristo. Anche la
storia di Noè e del diluvio si svolge in
Mesopotamia.
E un discendente di Abramo era Giuseppe, il figlio
di Giacobbe, che i fratelli vendettero in Egitto,
dove divenne consigliere fidato del faraone. Così i
suoi discendenti andarono a vivere all’ombra delle
piramidi, a vivere di duro lavoro, si legge
nella Bibbia.
Ma alla fine Mosè li condusse nel deserto,
via dall’Egitto.Era il 1230 prima di Cristo.
Da lì cercarono di riconquistare la Terra
Promessa, cioè le valli dove avevano
abitato prima di Abramo. E alla fine, dopo
lunghe e sanguinose battaglie, ce la fecero,
ed ebbero finalmente un piccolo regno
proprio, con Gerusalemme come capitale.
Il primo re di quel regno fu Saul, che sconfisse i filistei. Dei re successivi, Davide
e Salomone la Bibbia racconta storie bellissime. Il saggio re Salomone regnò poco
dopo l’anno 1000 avanti Cristo e costruì il primo tempio, grande e maestoso
come quelli egiziani e babilonesi. Ma mentre all’interno di questi c’erano le
immagini del dio Anubi con la testa da sciacallo e quella di Baal a cui venivano
sacrificate vite umane, nel tempio ebraico non c’era nessuna immagine. Il dio che
era apparso per primo al popolo degli ebrei, nessuno poteva rappresentarlo: era
una cosa vietata. Per questo all’interno c’erano solo le tavole della legge con i
dieci comandamenti.
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Alla morte di Salomone il regno si divise in due: il regno di Israele e quello
di Giuda. Nel 722 a. C. il regno di Israele fu conquistato dagli Assiri, che lo
annientarono. Però tutte queste sfortune cementarono ancora di più il piccolo
popolo degli ebrei e lo resero più devoto.
Nelle parole dei profeti «Di tutte le sfortune siete voi i colpevoli. Dio vi
punisce per i vostri peccati», si capisce che tutte le sofferenze erano inflitte per
punire e mettere alla prova gli ebrei, in attesa del giorno della grande
redenzione, del Messia, il salvatore che avrebbe reso al popolo l’antico potere.
Ma nel 586 avanti Cristo Nabucodonosor distrusse Gerusalemme e
condusse gli ebrei in schiavitù a Babilonia, dove rimasero per cinquant’anni.
All’invasione dei persiani, nel 538 a. C., il regno babilonese venne distrutto e gli
ebrei tornarono in patria. Ma erano cambiati. Si isolarono dagli altri popoli, che
essi consideravano degli idolatri perché non riconoscevano l’unico e vero dio. Fu
in quel periodo che la Bibbia venne scritta come la conosciamo oggi.
Agli altri popoli gli ebrei sembravano strani e ridicoli, con il loro parlare di
un dio invisibile e con il loro seguire regole e leggi rigidissime che gli avrebbe
dettato quel dio che nessuno poteva vedere.
E ancora oggi quell’isolamento di un antico popolo che si definiva “eletto” produce
drammatici effetti sulla storia contemporanea dell’intero pianeta.
Tutte le considerazioni sono rielaborate e sintetizzate da Dario D’Antoni.
Le citazioni sono liberamente tratte dai testi
Ernst H. Gombrich
Breve storia del mondo (Firenze 1997)
Ernst H. Gombrich
Honour-Fleming
Il mondo dell’arte (Verona 1952)
Storia universale dell’arte (Bari 1982)
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