il declino di Andreotti nel capolavoro pop del Cinema

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il declino di Andreotti nel capolavoro pop del Cinema
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IL DIVO - il declino di Andreotti nel capolavoro pop del Cinema
moderno
Autore : Paco De Renzis
Data : 6 maggio 2013
De Gasperi diceva di Andreotti: ”E’ un ragazzo talmente capace a tutto che può diventare capace di tutto”!
Alle prese con il personaggio politico più enigmatico della Storia della Repubblica italiana (deceduto il 6 maggio 2013 all'età di
94 anni), Paolo Sorrentino mette in scena un’opera altamente significativa oltre che qualitativamente superlativa: Il Divo
(soprannome coniato da Mino Pecorelli per il senatore) è un film pop d’autore, secondo la perfetta definizione data da Sean
Penn che a Cannes lo ha giustamente insignito del Premio della Giuria da lui presieduta.
L’impossibilità di narrare in chiave strettamente biografica la vita del senatore Andreotti ha messo il regista napoletano dinanzi
ad un bivio: rinunciare al racconto che desiderava fare da un paio di decenni, o farlo assolutamente a proprio modo, senza
distaccarsi dalla sua maniera di intendere il Cinema, tenendo conto di avere a che fare con un personaggio realmente esistito
(e contemporaneo) e decisamente importante per il proprio paese, ma senza per questo rinchiudersi in una gabbia aneddotica
e didascalica?
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La scelta vincente è venuta fuori con questa magnifica pellicola, grottesca ed amara, divertente e malinconica, dissacrante e
scomoda; grazie all’interpretazione di un Toni Servillo in stato di grazia Sorrentino narra un preciso periodo della vita di
Andreotti, quello che va dalla sua settima Presidenza del Consiglio (’91-’92) fino all’inizio del processo di Palermo che lo ha
visto imputato (assolto in Cassazione, anche grazie alla prescrizione per i reati fino al 1980 - leggi la sentenza ).
Così scorrono in maniera tanto originale quanto simbolica le immagini degli uomini della corrente andreottiana della
Democrazia Cristiana (Franco Evangelisti/Flavio Bucci, Cirino Pomicino/Carlo Buccirosso, Salvo Lima/Giorgio Colangeli,
Giuseppe Ciarrapico/Aldo Ralli, Vittorio Sbardella/Massimo Popolizio), ognuno presentato sulla scena da un fischio che
richiama più o meno quello del tema di Twisted Nerve che accompagnava Daryl Hannah in Kill Bill di Tarantino…ma questo
penso sia più un vezzo da cinefilo che una citazione vera e propria.
L'impeccabile disegno cinematografico di una figura onnipotente da umanizzare
Le riunioni, i giochi di potere, le discussioni, l’assoluta padronanza della situazione da parte del senatore pronto a freddare i
propri “compagni” di partito con battute al fulmicotone per ristabilire gerarchie oltre che per dettare la linea da tenere, mai
imponendo, ordinando, ma sempre invitando e ponendo le questioni al condizionale, anche se tutti sapevano che quando
Andreotti chiedeva se era possibile fare una cosa quella cosa andava fatta ad ogni costo.
Allo stesso tempo la ricerca, quasi impossibile visto il personaggio, di umanizzare una figura che si è sempre vista sotto
l’aspetto istituzionale e pubblico è un punto importante per Sorrentino, che infatti regala durante il film delle scene di impatto
visivo ed emotivo davvero straordinarie, anche perché da racconti che gli hanno fatto persone vicine al senatore oltre che
grazie ai due incontri avuti personalmente con lui dal regista, emerge l’assoluta convinzione che Andreotti indossasse una
stessa identica maschera sia nelle uscite pubbliche che in privato.
A tal proposito rimarranno memorabili i duetti con la storica segretaria, interpretata da Piera Degli Esposti, le visite in chiesa con
relative confessioni e le scene in cui è solo con la moglie Livia (brava Anna Bonaiuto) che ci mostrano gli unici barlumi affettivi
del senatore ma anche un dubbio che per la prima volta assale la sua consorte su chi realmente sia la persona che le sta
vicino, in un’immagine molto emblematica con i due dinanzi alla televisione mano nella mano e in sottofondo Renato Zero che
canta I migliori anni della nostra vita.
Dal film d'inchiesta al pop d'autore: un capolavoro stilistico-narrativo
Nel film ci sono anche diverse uccisioni, scene d’azione, con gli omicidi Pecorelli, Dalla Chiesa, Moro, Falcone, Sindona, Lima,
Calvi, Ambrosoli, in una serie di flaskback dall’impatto devastante, e non soltanto visivamente, perché il significato del loro
essere messi in parallelo sta nel fatto che tutti restano misteri italiani, e in qualche modo il senatore Andreotti è stato tirato in
ballo per ognuna di queste tragedie, anche se indirettamente, dovendone rispondere numerose volte alla commissione del
Senato uscendone indenne, anche se con non poche difficoltà, sempre e comunque…dà i brividi, a riguardo, l’intervista che
Sorrentino immagina venga fatta da Eugenio Scalfari ad Andreotti in cui il giornalista, elencandogli questi eventi e tanti altri tra
cui P2 e stragi di Stato, gli chiede se sia il caso o la volontà di Dio che, in qualche modo, lo voglia sempre coinvolto, a detta di
qualcuno, in tali malefatte.
Le idee assolutamente imprevedibili e geniali di Sorrentino mettono lo spettatore nella condizione di non appiattirsi sulla figura
reale del protagonista ma di immaginare una sua coscienza parlante, un ego emozionale e represso che quando viene fuori dà
vita ad un mea culpa su tutte le sue malefatte seduto in poltrona sotto dei riflettori immaginari, oppure ad una frenetica notte
passata a camminare su e giù per il corridoio di casa senza riuscire a prendere sonno, al suo sguardo gelido che si sofferma
sulle scritte che legge di notte sui palazzi di Roma e che lo riguardano.
Ogni inquadratura di questo film esprime qualcosa, dalle più dirette come quella della strage di Capaci o la visione di Aldo Moro
nel covo delle Br a quelle più criptiche e meno comprensibili come l’incontro con il gatto al Quirinale, la scena della festa e
quella nel letto in Russia sotto il ritratto di Marx, così come quella che lo vede chiuso in macchina mentre fuori diluvia (intorno a
lui tutto può accadere senza farlo smuovere minimamente, nell'assoluta certezza di stare sempre al coperto): il lavoro
scrupoloso del regista conferma una capacità descrittiva che era già emersa nelle sue egregie opere precedenti, e come in
passato esaltata da una splendida fotografia e da una colonna sonora impeccabile, stavolta dovuta alla bravura di Teho
Tehardo (non da meno la selezione musicale non originale con canzoni imprevedibilmente perfette come accompagnamento ad
alcune scene di forte impatto...vedi Toop Toop dei Cassius sulle immagini di efferati omicidi) .
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Andreotti come emblema della decadenza dei personaggi del Cinema di Sorrentino
Non smentisce, Sorrentino, la sua volontà di affrontare ad ogni modo storie di sconfitta arrivata dopo un apice, il classico dalle
stelle alle stalle, ovviamente con diverse sfaccettature in alcuni casi più evidenti in altre più levigate: la fine di Tony Pisapia ne
L’uomo in più, tragica per il calciatore e ingloriosa per il cantante; la pace paradossalmente ritrovata con la morte da Titta Di
Girolamo ne Le conseguenze dell’amore; la perdita di tutte le convinzioni (im)morali e materiali di Geremia De Geremei ne
L’amico di famiglia; la rockstar ormai finita e depressa di This Must Be The Place; fino, naturalmente, al Giulio Andreotti de Il
Divo, al suo potere assoluto che non basta a farlo diventare Presidente della Repubblica come voleva, che lo rende solo con
sé stesso e comunque non immune dal dubbio generale sulla sua moralità e sull'innocenza per tutto ciò che di più tragico è
avvenuto in Italia da quando è in politica.
Affidarsi ad interpreti eccellenti può risultare decisivo per dare un’impronta all’opera ma Sorrentino, come già in passato, è
andato oltre estrapolando caratteristiche forse celate dal repertorio artistico di grandissimi attori italiani: le uniche due donne del
film sono davvero intense nei loro ruoli e sia Piera Degli Esposti come segretaria storica che Anna Bonaiuto nella parte della
moglie del senatore rivelano il lato emozionale della storia, sensibilizzando alcuni momenti che da interlocutori divengono
indimenticabili; tutto il gruppo di co-protagonisti è da lodare, ognuno di loro ricopre ruoli fondamentali di contorno alla figura del
“divo”, ma la loro presenza in scena non è mai casuale soprattutto grazie ad una recitazione a tuttotondo che, nel solco della
scuola della commedia all’italiana, rende esplicativa anche una semplice camminata, e su tutti va segnalata l’incredibile
performance recitativa di Carlo Buccirosso che non solo riporta nel film magnificamente le eclettiche peculiarità di Paolo Cirino
Pomicino note alla maggior parte del pubblico, ma fa sua la figura di “ ‘o Ministro” mescolando istinto comico a meticolosità
camaleontica…davvero bravo.
Toni Servillo mefistofelico camaleonte "diventa" Giulio Andreotti: impressionante!
Non c’era altro attore italiano o straniero che potesse rendere in maniera più originale e scrupolosa la maschera andreottiana:
Toni Servillo, con tre ore di trucco al giorno e una capacità espressiva al di sopra della media, ha rappresentato il senatore
Andreotti senza cercare di copiarlo o di somigliargli assolutamente ma calandosi nel personaggio facendosene rapire,
inventandosi una parlata ed immaginando la continuazione, anche nel privato, di quella gestualità a tutti nota, dando senso alla
sua immobilità così come a quella frenesia improvvisa creata con Sorrentino, sia essa espressa da uno sfogo orale, dalla
confessione, che da una camminata nervosa; non c’è macchiettismo, né esaltazione dei difetti fisici, la forza sprigionata da
ogni battuta andreottiana indica i tempi di una recitazione che non si vedeva dai tempi del Gianmaria Volontè di Lucky Luciano,
Todo Modo, con quell’atmosfera curiale, vedovile, bisbigliata che, esattamente come mostrava Petri nella pellicola tratta da
Sciascia, è l’emblema di quella Democrazia Cristiana che per decenni si è trincerata dietro l’omertà, l’aura di peccato, i
silenzi.
Tutto questo Servillo lo ha reso in maniera eccezionale grazie alla direzione di quello che considero attualmente il regista più
singolare, più ingegnoso del cinema italiano: Paolo Sorrentino non ha genere, non si può definire; guardate e riguardate i suoi
film, c’è sempre qualcosa da scoprire, da L’uomo in più a Il Divo passando per Le conseguenze dell’amore e L’amico di
famiglia fino all'ultimo on the road anomalo This Must Be The Place, vi troverete al cospetto di storie atipiche ed avvincenti e
di invenzioni stilistiche di pregevole fattura. Probabilmente era l'unico regista che poteva azzardarsi a raccontare Andreotti
cinematograficamente creando una gemma di celluloide fuori dagli schemi filmici conosciuti finora nella Settima Arte.
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