storia della romania dallo stato unitario alla nuova

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STORIA DELLA ROMANIA DALLO STATO UNITARIO ALLA NUOVA
COSTITUZIONE
Sommario: 1. Premessa – 2. Lo Stato unitario – 3. I primi lustri del ’900 – 4. Il Primo conflitto mondiale
– 5. Il periodo interbellico – 6. La Seconda guerra mondiale e le sue conseguenze – 7. Il comunismo
nazionale – 8. Il regime di Ceausescu – 9. La difficile transizione verso la democrazia.
1. PREMESSA
La storia della Romania, nel corso della sua vicenda politica unitaria, non ha avuto grande
fortuna nel nostro Paese. La sua conoscenza è rimasta quasi limitata alle opere storiche diffuse in Italia
durante il regime comunista, che ha adattato al suo modello economico e politico un’immagine distorta
sia sul piano culturale sia su quello storico. Così la conoscenza della Romania ha subìto un profondo
sradicamento della tradizione storica, che ha avuto illustri rappresentanti sin dall’unificazione moldavovalacca dei Principati. Sul piano internazionale la letteratura storica è molto ricca1, mentre in Italia la
storia romena − studiata con obiettività da pochi anni2 − presenta non poche lacune, che sono state
colmate solo in parte dalla cospicua produzione storica degli anni comunisti3.
Gli storici romeni, seppure profondamente divisi sulla periodizzazione da dare alla storia del
loro Paese4, hanno ravvisato gli elementi costitutivi dello Stato unitario nella tradizione storica, nel
sentimento nazionale, negli interessi comuni della vita economica e soprattutto nella comunanza della
lingua. Essi addirittura hanno ripreso una tesi messa in rilievo dallo storico italiano Antonio Bonfini,
che già nel XVI secolo aveva sostenuto la comunanza linguistica come elemento indispensabile
dell’unità politica e territoriale (ut non tantum pro vitae, quantum pro linguae incolumitate)5.
L’introduzione della stampa e l’uso della lingua latina nella Chiesa e nell’amministrazione dello
Stato hanno contribuito a rafforzare i rapporti commerciali tra la Moldavia e la Valacchia con la
Transilvania, la cui economia si è sempre orientata verso il Danubio e il Mar Nero. Le città di Brasov, di
Bistrita e di Sibiu hanno rappresentato i principali punti di contatto delle tre regioni sul piano
economico. A questo aspetto strettamente commerciale si deve aggiungere un fondo culturale comune
costituito dai costumi, dalle convinzioni religiose e dai medesimi rituali come le cerimonie dei battesimi,
delle nozze, dei funerali e delle feste.
Le prime formazioni politiche “cnezate” e “voivodate” sono apparse fra il IX e il XIII secolo in
Moldavia, in Valacchia e in Transilvania, regioni circondate in quei secoli da potenti Stati feudali con
mire egemoniche. L’ondata delle invasioni barbariche, durata fino alla seconda metà del XIII secolo, ha
ritardato la formazione dei tre voivodati. La loro lotta, proseguita contro le tendenze espansionistiche
degli Stati confinanti (il regno di Polonia e quello d’Ungheria), ha assunto un peso decisivo durante
l’instaurazione del dominio ottomano.
Con il declinare della potenza turca verso il principio del XVIII secolo, i Paesi romeni
divennero campo di lotta fra i contrastanti espansionismi dell’Impero austriaco e di quello zarista. Ma in
pari tempo si diffusero, con la cultura dell’Europa occidentale, le idee di libertà e di indipendenza
proclamate dalla Rivoluzione francese e nel 1822 i Fanarioti, posti dal governo ottomano sui troni di
Sulla bibliografia storica in francese e in inglese rinvio a C. Durandin, Histoire des Roumains, Fayard, Paris 1995, pp. 533-557;
K. W. Treptow (edited by), A History of Romania, The Center for Romanian Studies, Iasi 1996, pp. 640-690.
2 F. Guida, La Romania contemporanea, Edizioni Nagard, Milano 2003; A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, Bompiani,
Milano 2004.
3 Tra le numerose pubblicazioni, apparse in questi anni, si distingue il volume collettaneo AA. VV., Storia del popolo romeno, a
cura di A. Otetea, Editori Riuniti, Roma 1971.
4 Sulla suddivisione cronologica della storia romena, per il periodo precedente il regime comunista, interessante è ancora il
volume di I. Lupas, I principali periodi della storia dei Romeni, Anonima Romana Editoriale, Roma 1930. La trattazione più
compiuta si ritrova, in I. Scurtu-G. Buzatu, Istoria Românilor în secolul XX (1918-1948), Paideia, Bucuresti 1999.
5 C. Isopescu, Notizie intorno ai Romeni nella letteratura geografica del Cinquecento, in Bulletin de la Section Historique de l’Académie
Roumaine (Bucarest), 1929, a. XVI, fasc. I, p. 18. L’autore si riferisce al volume: A. Bonfinius, Rerum Ungaricarum decades quatuor
cum dimidia, ex officina Oporiniana, Basilae 1568.
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Valacchia e di Moldavia, furono sostituiti con prìncipi nazionali. Il risultato più interessante di questa
particolare situazione giuridico-internazionale fu determinato dall’introduzione del “Regolamento
organico”6 (una vera e propria Costituzione), che stabilì la separazione dei poteri ed istituì un’Assemblea
generale, un consiglio dei ministri, un’apparato burocratico, un sistema fiscale e un esercito estesi su
tutto il territorio dei due Principati. Grazie ad esso − come giustamente è stato sottolineato – iniziò un
processo di trasformazione politica, che da un lato portò ad una concentrazione del potere nella classe
dei boiardi e dall’altra consentì lo sviluppo dell’industria manufatturiera e una maggiore circolazione di
merci e persone. Divennero così numerosi i giovani, che si recarono all’estero per studiare, soprattutto
in Francia, dove assorbirono le idee liberali e diedero vita ai movimenti patriottici7.
La rivoluzione del 1848 risvegliò un sentimento nazionale, che pose le condizioni per
l’abbattimento del dominio turco. Nel decennio successivo i contrasti tra la Russia e la Sublime Porta
favorirono un processo unitario, che si concluse nella seconda metà del XIX secolo, quando si
consolidò l’idea di nazione e si affermò il progetto di uno Stato nazionale. Nel 1858 le Grandi Potenze
(Austria, Inghilterra, Prussia, Regno di Sardegna, Russia) decisero di sostituire ai vecchi istituti di tipo
costituzionale una Convenzione e un nuova legge elettorale8. Grazie ad essa fu raggiunta, l’anno
successivo, l’Unione dei Principati di Moldavia e di Valacchia, che costituì nel 1862 lo Stato romeno9.
Il processo di rinascita nazionale, che investì la Romania negli anni postunitari, si sviluppò sulla
base della Convenzione imposta ai due Principati e sulla sua trasformazione nella Costituzione del luglio
1866; mentre sul piano internazionale si svolse attraverso profondi cambiamenti nei rapporti fra le
Grandi Potenze, scanditi dalla crisi d’Oriente (guerra russo-turca, 1875-1878), dal Congresso di Berlino
sino alle guerre balcaniche e alle lotte dei movimenti indipendentistici per l’annessione della
Transilvania e la realizzazione della “Grande Romania”.
In questo processo unitario le idealità nazionali trovarono piena attuazione dopo la Prima guerra
mondiale, quando la Romania − in seguito all’aumento della popolazione e all’estensione del suo
territorio − modificò completamente il suo volto. Essa s’ingrandì notevolmente, incorporando la
Bessarabia, ossia la regione tra il Prut e il Dnestr; la Bucovina, situata a nord della Moldavia; parte del
Banato e la Transilvania, posta all’interno dell’arco carpatico. Con il Trattato del Trianon (4 giugno
1920), infatti, la Transilvania venne incorporata nel territorio della Romania, che raggiunse
un’estensione di 294.000 kmq: cifra che diminuì nel 1940, quando la Romania fu obbligata a cedere
all’Ungheria parte della Transilvania, alla Bulgaria la Dobrugia meridionale e all’Unione Sovietica la
Bessarabia e la Bucovina settentrionale. Alla fine della Seconda guerra mondiale la Romania restituì solo
i territori ceduti all’Ungheria, ma divenne uno dei tanti stati satelliti dell’Unione Sovietica.
La dittatura “velata” di Gheorghiu-Dej e quella macroscopica di Ceausescu frenarono ogni
forma di sviluppo in Romania, anche se entrambi cercarono di garantirsi una certa autonomia sul piano
internazionale. Poi la caduta del muro di Berlino, nel novembre 1989, segnò anche per la Romania la
fine di un’èra, il trapasso a un sistema politico pluralistico, l’ingresso nella NATO e l’avvio di un
processo di modernizzazione che dovrebbe culminare entro il 2007 nell’ingresso nell’Unione europea10.
2. LO STATO MODERNO
L’unione della Moldavia e della Valacchia, proclamata il 24 gennaio 1859, aprì un periodo nuovo
per la Romania. Essa fu raggiunta dopo la duplice elezione di Alexandru Ioan Cuza, che venne scelto
I. C. Filitti, Domniile române sub Regulamentul Organic 1838-1848, Socec-Sfetea, Bucuresti 1915.
A. Biagini, Storia della Romania contemporanea cit., pp. 16-18.
8 Conventiune pentru reorganizarea definitiva a Principatelor Dunarene Moldova si Valahia, traducere dupa textul francez, publicata de
Independenta Belgica, Tipografia Buciumului Român, Iasi, 1858.
9 Sulla fusione dei Principati in uno Stato unico cfr. A. Otetea, Unirea Principatelor (L’unione dei Principati), in AA. VV., Studii
privind Unirea Principatelor (Studi sull’Unione dei Principati), Bucuresti 1960; D. Berindei, Il processo di unificazione dei Principati
danubiani e l’avvio dell’unità nazionale, in AA. VV., Risorgimento. Italia e Romania 1859-1879. Esperienze a confronto, Centro di studi
sull’Europa Orientale, Milano1992; D. Berindei, Il secolo XX, in AA. VV., Una storia dei Romeni. Studi critici, Fondazione
culturale Romena Centro di studi Transilvani, Cluj-Napoca 2003, pp. 264-270.
10 Su questi temi cfr. il volume collettaneo Romania-Italia-Europa. Storia, politica, economia e relazioni internazionali, a cura di F.
Randazzo, Periferia, Cosenza 2003.
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come “principe regnante” dai deputati dei due Principati. Le proteste dell’Austria e della Sublime Porta,
contrarie alla loro unificazione, furono ben presto vanificate dalle Grandi Potenze (Francia, Inghilterra,
Prussia, Russia, regno di Sardegna), che concessero il loro riconoscimento in una conferenza convocata
a Parigi dal 1 al 14 aprile11. Grazie all’attività diplomatica condotta da Vasile Alecsandri e da Costache
Negri, l’unità romena fu riconosciuta il 6 settembre anche dall’Austria, seppure a malincuore.
La Convenzione di Parigi, imposta dalle Grandi Potenze, fu modellata in parte sulla
Costituzione belga e in parte su quella francese. L’unificazione dei due ex Principati coincise con quella
della giustizia, del telegrafo, dell’esercito e della moneta, che furono posti da Cuza sotto il controllo di
un solo apparato politico e amministrativo. Il 22 maggio 1859 una commissione centrale iniziò i lavori
per elaborare un progetto di Costituzione e una nuova legge elettorale che estendesse il diritto di voto
alla maggioranza dei cittadini. Ma queste iniziative furono contrastate dalla Sublime Porta, che si oppose
ad esse sino al 5 dicembre del 1861, quando il sultano emise un decreto con il quale riconobbe il nuovo
Stato soltanto per un periodo provvisorio sino alla durata governativa di Cuza. Il 23 dicembre egli
convocò infatti i deputati moldavi e valacchi, che si riunirono due settimane dopo a Bucarest come
Assemblea na zionale. Il nuovo Parlamento, riunitosi sotto la sua presidenza, scelse Bucarest come
capitale (5 febbraio 1862)12 e sancì l’unione completa della Moldavia e della Valacchia13.
Negli anni del suo principato Cuza avviò un’attività legislativa, che favorì il processo unitario,
ancora in una fase embrionale, e superò le profonde divergenze dei due principali gruppi politici
(conservatori e liberali). Per l’emanazione dei primi provvedimenti, Cuza chiamò il conservatore Barbu
Catargiu al governo, che nei suoi pochi mesi di vita (22 gennaio - 8 giugno 1862) si alienò le simpatie
del gruppo liberal-radicale. La composizione conservatrice provocò anche un vivo malcontento tra i
contadini, che manifestarono violentemente contro Catargiu, ritenuto uno strenuo difensore dei boiardi
e un tenace avversario della riforma agraria. Alla fine di giugno Cuza affidò a Nicolae Kretzulescu la
direzione del governo, che nei suoi pochi mesi di vita fu contrastato dal gruppo liberale di Ion C.
Bratianu e di Constantin A. Rosetti. I capi dell’opposizione giudicarono il nuovo governo “una
coalizione mostruosa”14, incapace di realizzare la riforma agraria e di risolvere i gravi problemi del
Paese.
Così Cuza, incapace di resistere all’opposizione, chiamò al governo il liberale Mihail
Kogalniceanu, vecchio leader del Quarantotto in Moldavia. Durante il suo governo, rimasto in carica
dall’11 ottobre 1863 al 26 gennaio 1865, egli varò alcune importanti riforme. La prima, realizzata il 24
dicembre 1863, fu la “legge di secolarizzazione dei beni consacrati”, cioè dei beni che nel corso dei
secoli erano stati lasciati dai fedeli ai monasteri, compresi quelli “dedicati” ai Luoghi Santi (Athos,
Sinai). Il che comportò la statizzazione di un quarto del territorio nazionale, nonostante la resistenza dei
monaci e la protesta del patriarca ecumenico; in cambio fu concessa loro “una rilevante somma”15. La
seconda riforma, emanata il 14 agosto 1864 ed entrata in vigore il 23 aprile 1865, riguardò la riforma
agraria, con la quale fu abolita la legge sulla servitù della gleba e furono espropriati i boiardi d’una parte
delle loro terre in cambio di un indennizzo. Circa un terzo dei terreni coltivabili fu distribuito a più di
450.000 famiglie contadine con affrancamento di ogni diritto feudale, mentre i 2/3 furono lasciati ai
boiardi, cifre che furono invertite per le proteste dei deputati più conservatori. Questa riforma si rivelò
inefficace per la carenza di adeguati strumenti giuridici, ma soprattutto perché le terre assegnate furono
le peggiori e le più difficili da coltivare. Difatti la concessione dei lotti di terra, insufficienti e
scarsamente produttivi, lasciò immutate le condizioni dei contadini, costretti a lavorare per i boiardi e
oberati dai debiti contratti con gli usurai16.
D. Berindei- I. Vlasiu, Document privind politica externa a Principatelor in anii Unirii (1859-1861), in Studii (Bucuresti), ian.-feb.
1959, a. XII, n. 1, pp. 275-304.
12 D. Berindei, Orasul Bucuresti, resedinta si capitala a Tarii Romanesti 1459-1862, Bucuresti 1963.
13 Sui primi lustri dello Stato unitario cfr. T. Maiorescu, Istoria contimporana a României 1866-1900, Socec, Bucuresti 1925; AA.
VV., Storia del popolo romeno cit., pp. 315 ss.; A. Stan, Putere politica si democratie în România 1859-1917, Albatros, Bucuresti 1995,
pp. 25 ss.
14 D. Berindei, Il secolo XIX, in AA. VV., Una storia dei Romeni cit., p. 272.
15 AA. VV., Storia del popolo romeno, cit., p. 315.
16 Cfr. N. Adaniloaie-D. Berindei, Reforma agrara din 1864 (La riforma agraria del 1864), Editura Academiei, Bucuresti 1967; C.
Corbu, Taranimea din România în perioada 1848-1864, Bucuresti 1973.
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La paura di nuovi sommovimenti sociali indusse Cuza a togliere la fiducia a Kogalniceanu (26
gennaio 1865), che fu sostituito prima da Constantin Bosianu e poi da Kretzulescu. Ma l’attività
riformatrice, promossa da Cuza negli anni precedenti, lo rese inviso ai conservatori, che ordirono un
complotto per sostituirlo con un principe straniero. Il 15 agosto una rivolta di piccoli commercianti
servì come pretesto per muovere un serrato attacco a Cuza, responsabile di aver usato l’esercito per
soffocare la protesta e reo di aver dato adito a mormorazioni nella sua vita privata. L’aiuto richiesto a
Napoleone III si rivelò vano e una coalizione di grandi proprietari, sostenuta dai più autorevoli leaders
politici, costrinse il 23 febbraio 1866 Cuza ad abdicare. Le sue dimissioni e il ritiro a Heidelberg, dove
morì il 5 luglio 187317, portò alla costituzione di un governo conservatore presieduto dal liberale
moderato Ion Ghica. L’Assemblea nazionale proclamò principe regnante il conte Filippo di Fiandra e
duca di Sassonia, fratello del re di Belgio, la cui designazione non fu ben accolta dalla corte russa e da
Napoleone III. Con il tacito consenso di quest’ultimo e con l’approvazione incondizionata di Bratianu
la scelta − approvata anche dall’Inghilterra − cadde su Carol di Hohenzollern-Sigmaringen, parente del
re di Prussia e, in linea materna, anche di Napoleone III.
L’8 aprile 1866 il governo provvisorio indisse un plebiscito, con il quale il principe Carlo fu
riconosciuto “domnitor al Românilor” con 685.969 voti favorevoli e 224 contrari18: una decisione che
venne confermata il 1 maggio all’unanimità dall’Assemblea nazionale e regolata da una nuova
Costituzione19. Essa, promulgata il 13 luglio 1866 e rimasta in vigore fino al 1917, attribuì a Carol I la
carica di Capo dello Stato, riconoscendogli il diritto di nominare il primo ministro, di assumere il
comando supremo dell’esercito, di battere moneta e di stipulare i trattati (art. 93). L’Assemblea
nazionale fu costituita da due Camere elette: il Senato di 120 membri e la Camera di 178. Ad essa spettò
la potestà di legiferare, ma anche quella di esprimere la fiducia al governo, che restò però sotto il diretto
controllo del principe, essendo a lui riservata la prerogativa di nominare i ministri e quella di rifiutare
qualsiasi disegno di legge20. La divisione del Paese in distretti imitò il modello amministrativo della
Francia anch’essa divisa in cantoni e circondari21.
Sulla base della Costituzione belga, quella romena stabilì un complicato sistema elettorale e
introdusse una serie di articoli relativi all’istruzione, alla proprietà e all’amministrazione locale22. Le
elezioni parlamentari, svoltesi nell’autunno 1866 con il nuovo sistema, diedero una schiacciante vittoria
ai liberali, che guidarono fino al 5 agosto dell’anno successivo un governo di coalizione politica,
presieduto da Constantin A. Kretzulescu con l’appoggio di Ion C. Bratianu23. Questi, come ministro
dell’Interno, organizzò l’esercito e concesse a una società inglese il primo tronco ferroviario BucarestGiurgiu. La guerra tra l’Austria e la Prussia spinse il governo a impostare la politica estera in una
direzione diversa da quella di Ghica, compiendo nuove scelte, che provocarono l’ostilità di Napoleone
III per la sostituzione di una missione militare prussiana a quella francese. I due nuovi ministeri,
presieduti da Stefan Golescu e dal generale Nicolae Golescu, promossero la politica dei governi
precedenti, rivolgendo particolare attenzione all’organizzazione dell’esercito e alla concessione di nuovi
appalti nelle ferrovie a società estere24.
Il governo, presieduto da Dimitrie Ghica e rimasto in carica dal 16 novembre 1868 al 27
gennaio 1870, mise in atto una politica di avvicinamento all’Austria-Ungheria. Ma essa fu contrastata dai
liberali, le cui tendenze francofile si espressero nei reiterati tentativi di rovesciare il principe tedesco,
P. Henry, L’abdication du Prince Cuza et l’événement de la dynastie des Hoenzollern au trône de Roumanie, Alcan, Paris 1931.
AA. VV., Storia del popolo romeno, cit., p. 315.
19 Sul dibattito che portò alla nuova Costituzione cfr. A. Pencovici, Desbaterile Adunarei Constituante din anul 1866 asupra
Constitutionei si legei electorale din România, Bucuresti 1883; I. C. Filitti, Izvoarele Constitutiei de la 1866. Originile democratiei române,
Bucuresti 1934; A. Baciu, Istoria vietii constitutionale în România (1866-1991), Bucuresti 1996; E. Focseneanu, Istoria constitutionala
a României 1859-1991, Societatea civila, Bucuresti 1998; A. Baciu, Constitutionala a României deziderate nationale si realitati sociale,
Lumina Lex, Bucuresti 2001; I. Bolovan-D. Motiu, Istoria dreptului românesc, Ed. Imprimei de Vest, Oradea 2003.
20 E. Focseneanu, Istoria constitutionala a României 1859-1991 cit., p. 28.
21 A. Tilman-Timon, Les influences étrangères sur le droit constitutionnel roumain, Sirey, Paris- Bucuresti 1946, p. 329; K. Hitchins,
Rumania 1866-1947, Clarendon Press, Oxford 1994 (trad. romena 1994, p. 36).
22 E. Focseneanu, Istoria constitutionala a României 1859-1991 cit., pp. 26-34.
23 C. Scorpan, Istoria României, Nemira, Bucuresti 1997, p. 91 e p. 343.
24 Ivi, p. 263.
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criticato per l’appalto ferroviario concesso al tedesco Bethel Strousberg25. La guerra franco-prussiana
(luglio 1870) accentuò l’animosità dei liberali, che certi della vittoria francese organizzarono un
complotto per cacciare il principe Carol. Gli organizzatori furono arrestati, ma nel processo subìto a
Târgoviste furono assolti. Le agitazioni antidinastiche, accentuatesi soprattutto dopo la proclamazione
della repubblica a Parigi, ebbero un’eco anche alla Camera, che votò la sfiducia al governo ed assunse
un atteggiamento ostile nei confronti del principe Carol. Questi minacciò di abdicare, ma nel contempo
licenziò il governo Ghica, responsabile di non aver sufficientemente impedito le manifestazioni
repubblicane, che si svolsero il 22 marzo 1871 contro l’imperatore Guglielmo I. La crisi fu superata
grazie all’intervento di Lascar Catargiu, che convinse il principe a restare per il bene del Paese. La sua
fedeltà alla monarchia permise a Catargiu di formare un nuovo governo e di restare al potere dall’11
marzo 1871 al 1 aprile 1876. Per cinque anni l’energico leader dei conservatori riuscì a stabilizzare la
situazione interna e a calmare gli avversari attraverso un piano di riforme: concluse un trattato
commerciale con l’Austria-Ungheria, attuò una importante riforma nel campo dell’istruzione e risolse il
problema ferroviario, risolvendo l’affaire Strousberg e passando la gestione dell’appalto a una società
romena. Di fronte alla situazione creata dalla crisi balcanica, il governo Catargiu assunse un
atteggiamento neutrale, mentre il principe Carol fece pressioni per ottenere l’autorizzazione ad “un
credito di cinque milioni e mezzo da destinarsi a rifornimenti bellici”26.
La crisi orientale degli anni 1875-1878 permise alla Romania di concludere il problema
dell’indipendenza. L’insurrezione della Bosnia-Erzegovina (luglio 1875), che riaprì la questione
d’Oriente, suscitò manifestazioni di simpatia nell’opinione pubblica romena. Il governo conservatore,
costituito dai liberali guidati da Ghica e da M. Ionescu, accolse con preoccupazione un’eventuale guerra
per il passaggio delle truppe russe attraverso la Romania, dirette contro l’Impero ottomano27. Ma il
governo si presentò ancora diviso tra i fautori e gli avversari della collaborazione con la Russia nella
lotta per l’indipendenza. La guerra del 1877-78 tra la Turchia e la Russia, di cui la Romania era alleata,
innescò una grave crisi economica che il governo cercò di risolvere tramite l’emissione di “biglietti
ipotecari”28. Il Trattato di Santo Stefano, stipulato tra la Russia e la Turchia il 3 marzo 1878, modificò la
carta geografica dell’area balcanica. La Romania, per la battaglia che aveva combattuto a fianco dei
Russi a Pleven, ebbe riconosciuta l’indipendenza giuridica e la concessione della Dobrugia, mentre la
Russia ottenne cospicue zone di confine nel Caucaso e nella Bessarabia meridionale. Il trattato
riconobbe una vasta Bulgaria autonoma, concesse l’indipendenza al Montenegro e alla Serbia, mentre
per la Bosnia-Erzegovina fu prevista una certa autonomia amministrativa. Questo trattato, che di fatto
stabiliva il predominio russo nei Balcani, irritò l’Austria-Ungheria e allarmò l’Inghilterra, le quali
obbligarono la Russia a riconsiderare gli accordi di Santo Stefano. La Russia non potè opporsi e, dopo
aver rinunciato al trattato di Santo Stefano, accettò di partecipare ad un congresso che si sarebbe tenuto
a Berlino dal 13 giugno al 13 luglio. Preceduto da vari accordi preliminari tra gli Stati maggiormente
interessati29, il congresso vide la partecipazione di I. C. Bratianu e di M. Kogalniceanu, che presentarono
un memoriale sulla questione romena. L’1 luglio essi riaffermarono l’indipendenza della Romania e la
sua integrità territoriale, oltre alle rivendicazioni delle isole danubiane e dell’indennità di guerra.
Il trattato del 13 luglio 1878 definì il problema romeno sulla base di alcuni articoli specifici: l’art.
22 stabilì le clausole riguardanti l’occupazione russa della Romania attraverso l’esplicito invito a
“terminare in uno spazio ulteriore di tre mesi l’evacuazione completa di questo Principato”30. L’art. 43
sottopose il riconoscimento dell’indipendenza romena alla clausola contenuta nei due articoli successivi:
la concessione alla Russia della Bessarabia meridionale nonchè l’imposizione di concedere i diritti
politici e civili a tutti gli abitanti di religione diversa dalla cristiana. In cambio la Romania ottenne l’Isola
dei Serpenti, il delta del Danubio e la Dobrugia da Silistra fino a sud di Mangalia. L’art. 46 rinviò a una
A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, cit., p. 36.
AA. VV., Storia del popolo romeno, cit., p. 324.
27S. Neagoe, Istoria guvernelor Româiniei de la începuturi - 1859 pîna în zilele noastre - 1995, Editura Machiavelli, Bucuresti 1995, pp.
61-62.
28 N. Iorga, Storia dei romeni e della loro civiltà, Hoepli, Milano 1928, p. 342.
29 Sugli accordi preliminari tra gli Stati cfr. B. Cialdea, La politica estera della Romania nel quarantennio prebellico, Cappelli, Bologna
1933; A. Biagini, Momenti di storia balcanica (1878-1914), Ufficio Storico dell’Esercito, Roma 1981.
30 C. Scorpan, Istoria României, cit., p. 143.
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Commissione europea il compito di stabilire i confini con la Bulgaria e di regolamentare la navigazione
sul Danubio.
Negli anni 1878-81 il principe Carol, primo con il titolo di “altezza reale” e poi di sovrano,
manifestò le sue simpatie verso gli Imperi centrali per i suoi legami con gli Hohenzollern di Germania.
Nel 1883 egli, all’insaputa dei suoi ministri, concluse un accordo segreto con la Germania e l’AustriaUngheria, rimanendo fedele a questa alleanza, “nonostante un’opinione pubblica francofila e
irredentista”31. Le elezioni del novembre 1884, svoltesi in base alla nuova legge elettorale, rafforzarono
il gruppo capeggiato da Bratianu, che assunse un atteggiamento sempre più intransigente. Il suo
governo varò nel 1887 una legge, denominata “Misure generali a sostegno dell’industria nazionale”, che
indebolì i rapporti commerciali tra Austria e Romania; ma in compenso favorì l’industria romena, che
venne esentata dalle imposte dirette, dalle tasse doganali e favorita nel trasporto ferroviario delle merci
prodotte a condizione che essa impiegasse almeno venticinque operai e avesse un capitale non inferiore
alla somma di 50.000 lei.
Il nuovo governo, rimasto in carica dal 22 marzo 1888 sino al 22 marzo 1889, fu diretto da
Theodor Rosetti, che detenne anche il portafoglio degli Interni32. I provvedimenti più rilevanti
riguardarono il riscatto delle ferrovie date in appalto all’austriaco Offenheim e la presentazione d’una
legge per modificare l’esecuzione forzata dei contratti agrari e il sistema di elezione dei giudici. Il
successivo governo fu guidato dai liberali, che tramite Lascar Catargiu rimasero in carica fino al 3
novembre dello stesso anno. Le redini del governo furono poi assunte dai generali George Maniu e da
Ioan E. Florescu (5 novembre 1889-26 novembre 1891). Ma con il ritorno al potere di Catargiu (30
dicembre 1891-3 ottobre 1895) fu intrapresa una politica favorevole ai grandi proprietari terrieri, in
difesa dei quali venne varata nel 1892 una legge speciale per consolidare l’apparato repressivo nelle
campagne. L’anno successivo Catargiu emanò una legge sui contratti agrari, che suscitò le proteste dei
contadini, subito stroncate dal governo con l’istituzione della gendarmeria rurale incaricata di reprimere
qualsiasi movimento che potesse mettere in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica. L’ultima misura di
Catargiu fu la legge mineraria promulgata nell’aprile 1895 su iniziativa di Petre P. Carp e diretta a
salvaguardare i privilegi del capitale straniero, soprattutto tedesco. Ma la legge non fu ben accolta dai
liberali, che organizzarono imponenti manifestazioni contro il governo e costrinsero Catargiu a
dimittersi.
Un nuovo sistema fu inaugurato da Dimitrie A. Sturdza, che durante il suo governo (4 ottobre
1895-23 aprile 1899) inaugurò l’università di Iasi e riorganizzò il sistema scolastico, mantenendo una
posizione di passività sulla questione contadina e assumendo un atteggiamento ostile nei confronti del
neonato partito socialista33.
3. I PRIMI LUSTRI DEL ’900
All’inizio del XX secolo la Romania, con una popolazione di circa 6.680.000 abitanti, continuava
ad essere abitata prevalentemente da una popolazione contadina, che per l’80% viveva nei villaggi.
Bucarest, centro politico e amministrativo, riuniva le più grandi industrie del Paese con circa un quarto
della produzione industriale complessiva della Romania. La capitale romena, nel 1900, era la città più
numerosa con i suoi 275.200 abitanti34, che vivevano acuti contrasti sociali a causa della cattiva
amministrazione subìta negli ultimi lustri del XIX secolo. Lo scarso sviluppo industriale, concentratosi
soprattutto nella meccanica e nel settore petrolifero, non era riuscito a modificare la tradizionale
composizione sociale. Sulla base delle statistiche disponibili risulta che i grandi proprietari terrieri (circa
5.000) detenevano circa la metà della superficie coltivabile (circa 3.900.000 ha), mentre la parte
rimanente (4.150.000) era posseduta dai contadini. La prevalenza del latifondo, l’eseguità della media
proprietà e l’estrema parcellizzazione della proprietà contadina determinavano una particolare
H. Bogdan, Storia dei paesi dell’Est, Società Editrice Internazionale, Torino 1995, p. 174.
C. Scorpan, Istoria României, cit., p. 290.
33 Sulle spinte organizzative dei socialisti rinvio a N. Dell’Erba, Romania: socialismo e questione contadina, in Slavia, ottobredicembre 2001, a. X, n. 4, pp. 30-69.
34 G. O. Cioriceanu, La Roumanie économique et ses rapports avec l’éntranger de 1860 à 1915, Paris 1928, p. 314.
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situazione, unica tra tutti i paesi dell’Est europeo (ad eccezione della Russia). Questa situazione rimase
inalterata sino al primo conflitto mondiale per lo scarso interesse delle varie coalizioni governative35.
Le sommosse contadine, che si susseguirono nel Paese dal 1900 alla cruenta rivolta del 190736,
non ebbero alcuna incidenza sulla classe politica, che manifestò una scarsa attitudine a legiferare sui
problemi più gravi del Paese37. Investito da dure critiche da parte dei ceti intelletuali, il governo Carp
non si oppose all’approvazione di due leggi: la prima che istituì l’assicurazione contro le malattie e
l’invalidità, la seconda che fissò l’orario di lavoro delle donne e dei fanciulli. La decisione di Carp,
diretta ad eliminare la vecchia gestione nell’azienda tranviaria di Bucarest, portò a un conflitto con i
liberali e quindi alle sue dimissioni. Il nuovo governo (14 ottobre 1912-3 dicembre 1913), di cui fecero
parte anche i conservatori democratici, fu affidato a Titu Maiorescu, che dovette affrontare la spinosa
questione della Romania durante la Prima Guerra Balcanica.
Il 9 ottobre 1912, allo scoppio della guerra, la Romania dichiarò la propria neutralità, ma con la
precisazione significativa “fino a che non si tratti di cambiamenti territoriali”. Ma nel giugno 1913, in
seguito all’aggressione della Bulgaria alla Serbia e alla Grecia, l’atteggiamento del governo romeno
cominciò a cambiare. E il 10 luglio la Romania dichiarò guerra alla Bulgaria. L’11 luglio cinque armate
romene, composte da 400.000 uomini, varcarono il confine bulgaro in diversi punti. Esse non
incontrarono una seria resistenza e in pochi giorni si trovarono lungo la linea Berkovitza-VratzaOrkhaniè, mentre il 13 luglio raggiunsero Kurilo e Novoselci nelle vicinanze di Sofia. In quella
situazione Ferdinando si rivolse alle Grandi Potenze (Italia, Francia, Gran Bretagna, Russia), le quali
invitarono il re Carol I di Romania a sospendere l’avanzata delle sue truppe su Sofia. Allo stesso tempo
gli offrì il territorio reclamato dai Romeni, chiedendo in cambio la sua neutralità e il suo sostegno nel
conflitto con la Grecia e la Serbia. Il governo di Bucarest aderì alla richiesta, ma a condizione che la
Bulgaria sospendesse la guerra contro i suoi alleati e nominasse i suoi plenipotenziari per la discussione
dei preliminari di pace tra tutti i belligeranti. Il 21 luglio il governo bulgaro fece sapere al sovrano
romeno che non aveva alcuna intenzione di approfittare di una intesa con la Romania per continuare la
guerra contro la Grecia e la Serbia. Il 31 luglio cessarono le operazioni belliche. Il 5 agosto l’armistizio
fu prorogato di altri tre giorni. Il 10 agosto i delegati dei cinque Stati balcanici si riunirono a Bucarest,
dove procedettero alla revisione completa del Trattato di Berlino. In base al nuovo Trattato, firmato il
10 agosto 1913, la Grecia e la Serbia ebbero quasi tutta la Macedonia eccetto qualche piccolo distretto
nella zona centrale e il tratto di costa fra i fiumi Maritza e Mesta; mentre la Romania ebbe la Dobrugia
meridionale, cioè l’ambita frontiera lungo la linea Turtucaia-Dobric-Balcik38.
4. IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
Allo scoppio del primo conflitto mondiale la Romania si trovava in una situazione economica
drammatica, le cui cause erano soprattutto imputabili all’arretratezza dell’agricoltura e allo scarso
sviluppo industriale. Nel 1914 essa, tra i Paesi dell’Europa orientale, era quello in cui predominava
maggiormente la grande proprietà terriera. La classe dei contadini era sfruttata dai latifondisti, che
imponevano loro orari massacranti e non si preoccupavano di modernizzare l’agricoltura. I sistemi di
coltivazione erano infatti caratterizzati da una cultura estensiva e da un’attrezzatura di tipo arcaico. Le
poche industrie, invece, erano controllate dal capitale straniero o dalla famiglia dei Bratianu, che – oltre
G. D. Creanga, Proprietatea rurala si chestiunea taraneasca, Bucuresti 1905; Id., Proprietatea rurala în România, Bucuresti 1907, pp.
XLVI-XLVII, cit. Da B. Valota, Questione agraria e vita politica in Romania (1907-1922) tra democrazia e liberalismo autoritario,
Cisalpino-Goliardica, Milano 1979, p. 17 e p. 32.
36 Sulla rivolta cfr. la minuziosa ricerca di C. Fotino-A. Iordach e, La repressione della sommossa, in AA. VV., Romania 1907. La
grande rivolta contadina, Editori Riuniti, Roma 1975, pp. 299-327. La rivolta ebbe ripercussioni anche in Transilvania; cfr. A.
Deac, 1907 vazut peste hotare, Editura Stiintifica, Bucuresti 1967.
37 Nel primo decennio del ’900 i governi romeni furono quelli di Petre C. Carp (19 luglio 1900-27 febbraio 1901), di Dimitrie
A. Sturdza (27 febbraio 1901-4 gennaio 1905), di George C. Cantacuzino (4 gennaio 1905-25 marzo 1907), di Sturdza (25
marzo 1907- 9 gennaio 1909), di Bratianu (4 marzo 1909-28 dicembre 1910), di Carp (29 dicembre 1910-28 marzo 1912);
cfr. C. Scorpan, Istoria României cit., pp. 271 ss..
38 Sulle guerre balcaniche cfr. H. Bogdan, Storia dei paesi dell’Est, cit. pp. 184-188; A. Biagini, Storia della Romania contemporanea
cit., pp. 56-64.
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a possedere numerose industrie – avevano la maggioranza delle azioni nella “Banca Nationala” e nella
“Banca Româneasca”. Il ceto medio, costituito per lo più da commercianti e funzionari, era concentrato
nei centri urbani, dove in molti casi raggiungeva il 75% degli abitanti39. Il governo, costituito da Ion I.
C. Bratianu il 4 gennaio 1914, rimase in carica sino al 26 gennaio 1918 e dovette affrontare le questioni
rimaste insolute dopo la seconda guerra balcanica per l’ingente sforzo militare e diplomatico sopportato
dal Paese.
Il 3 agosto 1914 il Consiglio della Corona, presieduto dal re Carol I, sostenne la necessità di
essere solidali con l’Austria-Ungheria e con la Germania per il patto stipulato nel 1883 e rinnovato nel
1913. L’unico a respingere la proposta del re fu l’ex presidente Carp, che si dichiarò contrario alla
neutralità per il timore di una possibile invasione del territorio romeno. Una tesi che non fu condivisa
da Take Ionescu e da Alexandru Marghiloman, entrambi favorevoli a una neutralità armata. Bratianu
accolse invece la proposta del re, ma tenne a precisare che il trattato non obbligava la Romania
all’intervento, per cui l’unica via percorribile era quella della neutralità. Così il 2 ottobre 1914 Bratianu
stipulò un trattato con la Russia, in base al quale il suo governo rinunciava alla Bucovina e prometteva
una benevola neutralità a condizione che essa si impegnasse a difendere l’integrità territoriale della
Romania e a riconoscerle i diritti sui territori dell’Austria-Ungheria abitati dai Romeni.
Alla morte del re Carlo I (10 ottobre 1914) la successione al trono di Ferdinando, marito della
principessa Maria di Edimburgo e nipote della regina Vittoria, non lasciava sperare alcun cambiamento.
Di natura debole e di carattere volubile, il nuovo re non aveva né il prestigio né le capacità politiche del
suo predecessore; quanto alla regina, imparentata con la casa regnante inglese e con quella russa, le sue
naturali simpatie per l’Intesa complicavano la situazione ed esercitavano un ascendente sul marito. Allo
scoppio del primo conflitto mondiale il nuovo re, in preda alle incertezze, non fece che confermare la
neutralità40. Anche la classe politica romena si trovava in una situazione incerta riguardo alla scelta da
compiere sulla sua collocazione nei due schieramenti contrapposti. I suoi rappresentanti erano inoltre
divisi: alcuni − come Petre P. Carp, Ioan Slavici, Constantin Stere − appoggiavano l’alleanza della
Romania con gli Imperi centrali; mentre altri, facenti parte della “Lega per l’unità politica di tutti i
Romeni” (Dimitrie G. Ionescu, Octavian Goga, Nicolae Iorga, Nicolae Filipescu, Vasile Lucaciu) erano
favorevoli ad un’alleanza con le potenze dell’Intesa. A spingere la Romania ad entrare in guerra e a
schierarsi con quest’ultime contribuirono una serie di circostanze, tra le quali assunsero un ruolo
decisivo i rapporti con l’Italia, le pressioni anglo-francesi e le aspirazioni nazionali sulla Transilvania.
Come ha documentato I. Gheorghiu, durante il periodo della neutralità le potenze dell’Intesa fornirono
al governo romeno ingenti prestiti per l’acquisto di materiale bellico, ai quali si aggiunse dopo
l’intervento un altro miliardo di lei oro di provenienza inglese41. L’entrata in guerra della Romania fu
decisa non solo per i prestiti finanziari concessi dall’Italia e dall’Inghilterra, ma anche per le loro
promesse territoriali. Le potenze dell’Intesa avevano infatti promesso, in caso di vittoria, di cedere alla
Romania il territorio transilvano e di conservare quello acquisito con la seconda guerra balcanica.
Tuttavia la neutralità, soprattutto per le esitazioni della dinastia regnante, rimase una costante della
politica estera romena sino alla metà del 191642.
Ad esercitare un’influenza decisiva sul sovrano contribuì il leader liberale Bratianu, che tramite il
cognato Barbu Stirbei orientò la politica regale sull’atteggiamento bellico della Romania e sulla sua
collocazione a favore dell’Intesa. La classe politica e la casa regnante furono spinti a fare questa scelta
per il fatto che la Transilvania, ancora sottomessa all’Impero austro-ungarico, rappresentava la meta
tanto agognata per portare a compimento l’unificazione delle tre grandi province romene. Così il 17
agosto 1916 il governo liberale di Bratianu stipulò a Bucarest un trattato di alleanza con le potenze
dell’Intesa (Francia, Inghilterra, Italia, Russia), le quali promisero il loro appoggio riguardo
B. Valota, Questione agraria e vita politica in Romania (1907-1922) tra democrazia contadina e liberalismo autoritario, cit., p. 3 e p. 10.
Sulla Romania e la Prima guerra mondiale cfr. AA.VV., Romania si primul razboi mondial, Editura EMPRO, Focsani 1998; R.
Gueze, La partecipazione della Romania al primo conflitto mondiale, in Storia contemporanea, Roma, settembre 1976, a. VII, n. 3, pp.
439-457; marzo 1977, a. VIII, n. 1, pp. 35-54; A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, cit., pp. 65-75.
41 I. Gheorghiu, Relatiile româno-ruse în perioada neutralitatii României (1914-august 1916), in AA. VV., Studii si referate privind istoria
României, Bucuresti 1954, pp. 1445-1518.
42 J.-Marie Le Breton, La Romania dal 1916 al 1989, in Id., Una storia infausta. L’Europa centrale e orientale dal 1917 al 1990, il
Mulino, Bologna 1997, p. 240.
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all’annessione della Bucovina e della Transilvania. Il 27 agosto la Romania dichiarò guerra all’AustriaUngheria tramite il suo ambasciatore Edgar Mavrocordat43. La dichiarazione di guerra, decisa quasi
all’unanimità dal Consiglio della Corona 44, fu seguita nei giorni successivi da quella della Germania (30
agosto), della Turchia e della Bulgaria (1 settembre). All’atto della dichiarazione di guerra, l’esercito
romeno era costituito da 833.601 soldati, che disponevano di un armamento povero e insufficiente.
L’offensiva ebbe inizio in Transilvania, dove il 28 agosto il generale Alexandru Averescu riuscì a
conquistare Brasov (Kronstadt) grazie all’aiuto della popolazione romena 45. La Valacchia fu perduta il 6
dicembre con l’ingresso a Bucarest dei soldati tedeschi, bulgari e turchi. La disfatta costrinse la corte e i
membri del governo a rifugiarsi in Moldavia, dove la sovranità del regno fu garantita dalle truppe russe.
Nel primo semestre 1917 l’esercito romeno riorganizzatosi grazie agli aiuti russi e francesi tentò di
riprendere l’offensiva, ma senza alcun successo. La seconda rivoluzione russa e la pace separata con gli
Imperi centrali rese inevitabile la resa che si concretizzò con la firma di un armistizio (9 dicembre 1917)
e sfociò nel Trattato di pace firmato a Bucarest (7 marzo 1918). La Romania fu costretta a cedere una
parte della Dobrugia alla Bulgaria, ricevendo in cambio sia pure provvisoriamente la Bessarabia,
staccatasi dalla Russia durante la rivoluzione bolscevica46.
Il governo filotedesco di Alexandru Marghiloman (3 marzo-6 novembre 1918) non riuscì a
superare la grave situazione economica e, travolto da una vasta protesta popolare, fu sostituito da
Constantin Coanda. Questi, durante il suo governo (6 novembre-12 dicembre 1918), si rivelò incapace a
risolvere i gravi problemi dello Stato e a soddisfare i più elementari bisogni dei cittadini. L’inflazione e le
ingenti distruzioni operate dai tedeschi durante la loro occupazione provocarono numerosi scioperi, che
raggiunsero un clima di guerra civile nel dicembre 1918. Di fronte alle imponenti manifestazioni il
governo Bratianu, succeduto a quello di Coanda, impose una dura repressione, che causò decine di
morti, ma in compenso avviò le trattative per inglobare la Transilvania nella “Grande Romania”
(România Mare)47.
5. IL PERIODO INTERBELLICO
Alla conclusione del primo conflitto mondiale la Romania, sebbene avesse subìto gravi perdite
di vite umane, aumentò la sua popolazione, che passò da 7.897.311 a 16.267.177 milioni di abitanti.
Anche il territorio, già costituito dalla Dobrugia, dalla Moldavia, dall’Oltenia e dalla Valacchia,
raddoppiò la propria estensione con l’annessione della Bessarabia, della Bucovina, della Transilvania e
di alcune parti del Banato sino a raggiungere una superficie di 295.049 kmq48. I trattati di pace, oltre a
riconoscere alla Romania queste province, modificarono la situazione etnica e la composizione religiosa,
che assunse un aspetto eterogeneo per la presenza di nuove minoranze. Ma se nella Romania prebellica
la percentuale degli allogeni era dell’8%, con il nuovo Stato essa raggiunse il 30%: i magiari, uniti agli
zecleri, divennero un quarto della popolazione residente nella Crisana, nel Maramures, in Transilvania e
nel Banato; mentre tedeschi erano i sassoni della Transilvania, gli svevi del Banato e i germanofoni di
V. Netea, Le problème de l’unité du peuple roumain pendant le période de neutralité de la Roumanie (1914-1916), in Revue roumaine
d’histoire, 1976, a. XV, p. 255.
44 Il conflitto era così giustificato: “La guerra, a cui partecipa quasi tutta l’Europa, pone in discussione i più gravi problemi
riguardanti lo sviluppo nazionale e persino l’esistenza degli Stati. La Romania, spinta dal desiderio di contribuire alla più
rapida cessazione del conflitto, e dalla necessità di salvaguardare i propri interessi di razza, si vede costretta ad entrare nella
lotta accanto a chi può assicurarle la realizzazione della sua unità nazionale”; cfr. I. Gheorghiu, Relatiile româno-ruse în perioada
neutralitatii României (1914-august 1916), cit., p. 1516.
45 A. Deac, Il movimento di liberazione nazionale nel periodo della prima guerra mondiale, in AA. VV. Romania 1918. L’unione della
Transilvania con la Romania, a cura di I. Popescu -Puturi e A. Deac, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 417.
46 V. Vesa, La costituzione della Grande Romania, in AA. VV., Una storia dei Romeni, cit., pp. 295-296.
47 “La Grande Romania - ha scritto uno storico italiano – non fu soltanto un fatto puramente territoriale, non si trattò solo
di aggregare alcuni territori, ma costituì una fase della storia romena in cui si registrarono alcune novità di grande rilievo”
come il passaggio da un liberalismo elitario a una più piena liberaldemocrazia e una maggiore partecipazione popolare; cfr. F.
Guida, La Romania contemporanea, cit. p. 41.
48 V. Vesa, La costituzione della Grande Romania, in AA. VV., Una storia dei Romeni, cit., p. 303.
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Bessarabia, Bucovina e Dobrugia; ucraini o ruteni si trovavano in Bessarabia e in Bucovina; bulgari,
turchi e tatari in Dobrugia49.
Con questa nuova e variegata situazione etnica, lo Stato danubiano modificò anche la
composizione religiosa, che ebbe una prima sistemazione con i trattati di Saint-Germain-en-Laye (10
settembre 1919) e Neuilly-sur-Seine (27 novembre 1919). Essi garantirono infatti alle minoranze la
completa eguaglianza dei diritti, l’insegnamento nella lingua materna e la libertà religiosa. Il trattato di
pace del Trianon (4 giugno 1920) impegnò la Romania a tutelare le minoranze etniche, religiose e
linguistiche50. La nuova Costituzione, promulgata il 29 marzo 1923, attuò un mutamento determinante
sotto l’aspetto formale e sostanziale. Sul piano religioso furono introdotti alcuni articoli, che
contemplarono la garanzia dei diritti individuali e il rispetto delle libertà fondamentali (di stampa, di
associazione). Con il nuovo art. 22 (comma 3) furono regolati i rapporti tra la Chiesa ortodossa e quella
cattolica. Con lo statuto di Saguna (1925) l’organizzazione dell’intera Chiesa ortodossa romena fu
unificata: furono eretti nuovi vescovati a Oradea, Cluj, Satu-Mare (con il titolo di Maramures), Hotin,
Costanta, Cetatea Alba, Timisoara e un vescovato militare ad Alba Iulia. Dopo l’emissione di questo
statuto la sede metropolitana di Bucarest diventò nel 1925 patriarcato. Le trattative tra lo Stato romeno
e il Vaticano si conclusero il 10 maggio 1927 con la firma di un concordato, che venne ratificato il 7
luglio 1929 e attuato con la costituzione apostolica “Solemni conventione” del 5 giugno 1930. Il
concordato istituì una nuova sede metropolitana latina con quattro diocesi, garantì la libera attività
pastorale dei vescovi, riconobbe le istituzioni ecclesiastiche e gli Ordini religiosi come persone
giuridiche, concesse loro la possibilità di fondare scuole ecclesiastiche e stabilì che le proprietà della
Chiesa venissero minuziosamente enumerate e inserite in un cosiddetto “patrimonium sacrum”. Con la
stessa bolla furono istituiti il vescovato di Cluj (già a Gherla) e quello di Maramures, quest’ultimo con
residenza a Baia Mare; mentre per gli armeni uniti venne nominato un amministratore residente a
Gherla (e uno a Bucarest) e dipendente direttamente da Roma51.
Nel periodo fra le due guerre mondiali la Romania, turbata dalle dispute che si svolsero
all’interno della famiglia reale, fu caratterizzata soprattutto da accesi contrasti nei partiti politici. La
formazione di nuovi partiti non riuscì ad alleviare il grave impatto che il paese aveva subìto nelle sue
strutture tradizionali, già notevolmente condizionate dalla crisi bellica52. Attraverso la grande scossa
della guerra, il movimento contadino acquisì una maggiore consapevolezza dei propri diritti e preparò il
terreno all’attuazione del suffragio universale e della riforma agraria. Il suffragio universale, introdotto
nel novembre 1919, determinò il passaggio cruciale del populismo come movimento di idee al
contadinismo come partito organizzato. Il Partito contadino, costituito l’anno precedente a Bucarest da
un gruppo di medi agricoltori, ebbe come leaders Ion Mihalache, Pantelimon Halippa, Virgil Madgearu
e Costantin Stere. Il suo programma, che reclamò principalmente l’esproprio dei latifondi, propugnò
l’organizzazione delle cooperative e del credito fondiario.
Le prime elezioni a suffragio universale, svoltesi nel novembre 1919, assunsero però una
consistente connotazione clientelare sia per l’alto tasso di analfabetismo (il 65% della popolazione) sia
per l’immaturità politica. La vecchia leadership politica continuò pertanto a mantenere intatto il suo
potere grazie ai brogli elettorali e all’astensione dei conservatori, dei socialisti e della Lega del Popolo in
segno di protesta per il mantenimento della censura e dello stato d’assedio. I risultati delle prime
elezioni a suffragio universale diedero 103 deputati al Partito liberale, 130 al Partito contadino, 27 al
Partito Nazionalista democratico53.
L’ingannevole riforma agraria, votata dal Parlamento nel luglio 1921 e parzialmente realizzata da
Averescu, contribuì a mantenere inalterata la situazione. La nuova legge riconosceva come “espropriati
I. Agrigoroaiei, Epoca contemporana, in AA. VV., Istoria românilor, Editura Cultura fara Frontiere 1996, p. 278.
Kurt W. Treptow (edited by), A History of Romania, The Center for Romanian Studies, Iasi 1996, pp. 456-463.
51 Secondo il censimento del 1930 la composizione religiosa della Romania diede i seguenti risultati: ortodossi 13.108.227
72,6%; cattolici uniti 1.427.391 7,9%; cattolici latini 1.234.151 6,8%; luterani 398.759 6,9%; israeliti 756.930 4,2% ;
musulmani 185.486 1,0%; cfr. I. Agrigoroaiei, Epoca contemporana, in AA. VV., Istoria românilor, cit., p. 314.
52 Per un quadro più esaustivo cfr. I. Scurtu-G. Buzatu, Istoria românilor în secolul XX (1918-1948), Paideia, Bucuresti 1999, pp.
53-101.
53 Sullo scarso funzionamento del sistema politico romeno cfr. A. G. Savu, Sistemul partidelor politice din România 1919-1940,
Editura Stiintifica si Enciclopedica, Bucuresti 1976.
49
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10
definitivamente” i terreni sottoposti a questa operazione in base ai decreti e stabiliva che
l’espropriazione dei terreni agrari sarebbe stata fatta in rapporto alla superficie posseduta dagli agrari alla
data del 15 agosto 191654. La sua applicazione si protrasse per oltre dieci anni. La distribuzione della
terra e la divisione del latifondo, per una serie di motivi, non rappresentarono una soluzione idonea a
risolvere i problemi impellenti dei contadini. Nel suo complesso l’agricoltura rimase priva di particolari
innovazioni e la promozione tecnica fu circoscritta soltanto alle terre dei proprietari più facoltosi, i quali
mantennero le tradizionali forme retrograde e i residui semifeudali, rappresentati dai diversi tipi di
mezzadria. Ciò non favorì il mercato nazionale e perpetuò il potere economico e politico degli
industriali e dei latifondisti.
I nuovi provvedimenti agrari soddisfecero soltanto sulla carta le pressanti richieste dei
contadini-soldati né valsero a frenare la propaganda bolscevica. L’espropriazione totale colpì la
superficie coltivabile appartenente allo Stato, alla Corona e alle comunità religiose; ma riguardò anche i
terreni non coltivabili (come boschi e pascoli) di proprietà statale. In generale, l’esproprio investì i
latifondi privati con estensione superiore ai 100 ettari a seconda la regione in cui si trovava la proprietà:
vi furono eccezioni soltanto per i latifondi coltivati dai proprietari, che entro il 1 febbraio 1921 avevano
realizzato opere rilevanti come edifici, industrie agricole o allevamenti di bestiame. Nel loro insieme la
riforma, che permise ai contadini di ricevere un lotto di terra, riguardò circa sei milioni di ettari; ma
ebbe un’applicazione diversa in Transilvania, in Bucovina e in Bessarabia.
Il vorticoso aumento dei prezzi fu aggravato dalle ingenti spese sostenute per l’intervento
dell’esercito romeno in Ungheria, dove esso era rimasto dal 4 agosto 1919 sino all’aprile dell’anno
successivo. L’esercito svolse un ruolo rilevante nella lotta al comunismo, compiendo numerose
operazioni di polizia contro il ripristino del regime bolscevico di Béla Kun. Il nuovo governo fu affidato
al transilvano Alexandru Vaida-Voevod, collaboratore e intimo amico di Maniu. Esso, rimasto in carica
dal 1 dicembre 1919 al 13 marzo 192055, non riuscì ad attuare le diverse riforme promesse. La riforma
amministrativa, che prevedeva un vasto programma di decentramento sui territori annessi di recente alla
Romania, non fu neppure avviata; la riforma agraria, diretta a valorizzare il lavoro contadino, fu frenata
da continui ritardi nella sua applicazione; quella finanziaria, che prevedeva l’imposta progressiva sul
reddito e la partecipazione statale ai benefici realizzati mediante esportazioni rimase lettera morta; la
legislazione sociale, riguardante la protezione degli operai, delle donne e dei fanciulli, fu disapplicata per
l’ostilità del ceto padronale. Le cause della mancata attuazione di questo programma furono determinate
dalle deboli finanze romene e dalla complessa situazione internazionale. L’assenza di Vaida-Voevod,
recatosi a Parigi per ottenere un prestito, limitò l’azione politica del governo, che rivelò la sua debolezza
di fronte alle massicce proteste sociali.
Questa situazione allarmò la borghesia, intimorita ad un tempo dalle manovre nazionaliste e
dalle cospirazioni bolsceviche. Così il re indisse nuove elezioni, che – svoltesi in due tornate il 7-8
febbraio 1920 e il 25-27 maggio 1920 – provocarono una crisi ministeriale e si risolsero con una
schiacciante vittoria del generale Alexandru Averescu e del suo partito (Lega del Popolo). La sua
affermazione politica, favorita dal re e dalla classe dirigente moderata, ebbe il sostegno dei ceti medi
delle città e dei contadini-soldati delle campagne. Essa rispondeva a un bisogno generalizzato della
gente, frustrata dagli scioperi e dalla crisi economica. Intimorito da nuove sommosse, che nell’ottobre
1920 sfoceranno in un imponente sciopero generale, il governo Averescu impose un freno al loro
dilagare e ricorse alla censura per impedire l’organizzazione sindacale. Esso emanò una legge che
regolamentava lo sciopero e stabiliva l’arbitrato nei conflitti di lavoro (5 settembre 1920). L’intervento
statale fu reso necessario dai gravi conflitti, scatenati nei mesi precedenti dai metallurgici, dai minatori e
dai ferrovieri. Ma le misure coercitive, adottate dal governo Averescu, diffusero un vivo malcontento tra
la popolazione e provocarono gravi delusioni in tutte le forze politiche. Il 13 dicembre 1921 Averescu si
dimise e quattro giorni dopo le redini del governo furono assunte da Take Ionescu, che fu sostituito il
19 gennaio dell’anno successivo da Ion I. C. Bratianu56.
B. Valota, Questione agraria e vita politica in Romania (1907-1922) tra democrazia e liberalismo autoritario, cit., pp. 228-239.
C. Scorpan, Istoria României, cit., p. 272.
56 I. Scurtu-G. Buzatu, Istoria românilor în secolul XX (1918-1948), cit., pp. 145-166.
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11
Il ritorno al potere del leader liberale significò una difesa dell’industria romena attraverso una
politica di favori accordati ai grandi interessi economico-finanziari. Sotto di lui fu varata una legislazione
di carattere nazionalistico e protezionistico, diretta a favorire l’industrializzazione nazionale senza far
ricorso al capitale straniero. I nuovi investimenti da parte di quest’ultimo furono condizionati
dall’assegnazione ai capitali romeni di una quota maggiore o almeno eguale alle azioni emesse per
impedire una fuga all'estero dei profitti realizzati. Il neo-eletto Parlamento modificò, nel 1923, la
Costituzione della Romania, ormai lesiva degli interessi del Paese, introducendo nuove e sostanziali
modifiche. Tra di esse le più importanti riguardarono la suddivisione territoriali in distretti (judete) e
questi in comuni, l’introduzione della Corte Costituzionale come organo chiamato a giudicare la
legittimità delle leggi e a dichiarare inapplicabili quelle contrarie alla Costituzione (art. 103), la
limitazione delle funzioni del potere esecutivo (art. 107)57. Il 13 giugno 1925 fu approvata una legge
diretta a organizzare e ad unificare il sistema amministrativo su tutto il territorio nazionale.
Il governo liberale di Bratianu, rimasto in carica sino al marzo 1926, fu travolto da una vasta
protesta popolare, in seguito alla quale il sovrano nominò per la terza volta presidente del Consiglio
Averescu. Questi, favorito dalla crisi attraversata dal partito liberale, ebbe il benestare di Bratianu, che
preferì accordare la preferenza al capo del piccolo Partito del popolo che al temuto leader del partito
nazional-contadino. Il 30 marzo la crisi fu risolta con la nomina di Averescu a Primo Ministro da parte
di re Ferdinando. Già capo del governo nel 1920, Averescu godeva di una larga notorietà per i suoi
trascorsi militari, ma era anche noto per i suoi sentimenti di simpatia verso Mussolini58, con il quale si
era incontrato a Roma due anni prima nel corso di una sua visita. La sua principale attività fu diretta
verso la politica estera: riuscì ad ottenere dall’Italia la ratifica del protocollo di annessione della
Bessarabia. Le sue dimissioni, avvenute nei primi giorni del giugno 1927, furono causate dall’energica
opposizione di Ion I. C. Bratianu, che assunse le redini del potere, in vista della imminente fine del re.
La morte di Ferdinando I il 20 luglio 1927 e quella improvvisa di Ion I. C. Bratianu il 24
novembre non modificarono di molto il quadro politico del Paese. Il Consiglio di reggenza, composto
dal principe Nicolae (zio di Michele), dal patriarca ortodosso Miron Cristea e dal presidente della Corte
di cassazione George Buzdugan, appoggiò apertamente il governo dei liberali. Esso accolse le
dimissioni di Vintila Bratianu, succeduto al fratello come capo del governo, allorché numerose
manifestazioni di protesta, organizzate dai partiti d’opposizione, denunciarono con sistematicità gli
abusi del governo. Il partito nazionale contadino protestò vivacemente per l’esclusione dal parlamento
di Vaida -Voevod, sospeso per trenta sedute in quanto aveva protestato contro i metodi praticati dal
governo e aveva paragonato il nuovo sistema politico all’antico regime ungherese in Transilvania59. I
deputati nazional-contadini decisero così di boicottare il Parlamento e, nel marzo 1928, organizzarono
grandi manifestazioni di protesta nelle strade della capitale: protesta che suscitò l’adesione di numerosi
lavoratori e provocò una serie di scioperi contro il governo a Bucarest, ad Alba Iulia, a Iasi e in altre
città della Romania.
Queste imponenti manifestazioni costrinsero i liberali a rassegnare le dimissioni dal governo, le
cui redini furono assunte il 10 novembre 1928 da Iuliu Maniu su proposta del Consiglio di reggenza. Il
nuovo governo ebbe una consistente partecipazione di deputati transilvani, con Vaida-Voevod al
ministero dell’Interno e Aurelio Popovici alle Finanze. I primi provvedimenti attuati dal nuovo leader
politico, prima d’indire le elezioni, riguardarono l’abolizione della censura, la sospensione dello stato
d’assedio e la concessione dell’amnistia60.
Alle elezioni, svoltesi dal 12 al 19 dicembre dello stesso anno, Maniu si presentò con un
programma politico ben preciso, i cui obiettivi principali erano l’indipendenza dell’esercito e della
magistratura; autonomia amministrativa; elevazione culturale e morale della nazione, aiuti ai piccoli
artigiani e ai contadini, sviluppo del credito fondiario; stabilità della moneta; controllo della spesa
pubblica; mentre in politica estera riaffermava la fedeltà alle alleanze concluse. Le elezioni furono un
D. Gusti (edited), Constitutia de la 1923 in dezbaterea contemporanilor, Humanitas, Bucuresti 1990.
I. Scurtu-G. Buzatu, Istoria românilor în secolul XX (1918-1948), cit., p. 174.
59 H. Bogdan, Storia dei paesi dell’Est, cit., p. 254.
60 Sull’attività politica di Iuliu Maniu cfr. I. Scurtu, Iuliu Maniu. Activitatea politica, Editura Enciclopedica, Bucuresti 1995;
Apostol Stan, Iuliu Maniu. Nationalism si democratie. Biografia unui mare român, Editura Saeculum I. O., Bucuresti 1997.
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trionfo per i sostenitori di Maniu e di Mihalache, che disattesero le loro promesse elettorali e,
soprattutto, quella relativa all’applicazione della riforma agraria.
La politica personalistica di Carol II, al momento, fu rivolta al controllo dei partiti esistenti al
fine di garantirsi maggiori possibilità di manovra e di decisionismo politico61. Il sovrano, preoccupato
dalla grave crisi economica e dallo spinoso problema delle minoranze etniche, ricorse a un governo di
“unione nazionale”, che fu interamente composto da tecnici e da specialisti sganciati da qualsiasi partito
politico. A presiederlo fu chiamato Nicolae Iorga, che mantenne la carica dal 18 aprile 1931 al 31
maggio 1932. Il celebre storico poté fare ben poco nella sua azione governativa, che fu contrastata
velatamente da Constantin Argetoianu, imposto dal sovrano “allo scopo di contrastare e di indirizzare
la politica interna del paese sotto la prestigiosa copertura del nome di Iorga”62. Argetoianu, come
ministro degli Interni e delle Finanze, agì concordemente con il sovrano e operò per sabotare le
iniziative politiche del presidente del Consiglio.
Tuttavia Iorga sostenne la legge contro l’esproprio dei beni rurali (18 dicembre 1931) e quella
riguardante il risanamento dei debiti agricoli (19 aprile 1932); ma − come ministro della Pubblica
Istruzione − non riuscì a varare la riforma della pubblica istruzione e del sistema scolastico. Lo
scioglimento ufficiale del movimento legionario fu l’ultimo atto di Iorga, che cercò in questo modo di
frenare il nazionalismo “neofascista”, senza accorgersi dell’adesione entusiastica di larghi strati sociali
alle nuove tendenze autoritarie63. L’atteggiamento ambiguo di Carol II nei confronti dei legionari
(riorganizzatisi con il nome di Garda de Fier), l’ostilità di tutti i partiti e la situazione economica sempre
più grave frapposero molte difficoltà al governo Iorga, che fu costretto a dimettersi.
La vita politica romena divenne sempre più confusa sia per le tendenze autoritarie di Carol II sia
per le divergenze fra i maggiori leaders dei partiti politici. Nel corso di un anno si succedettero diversi
ministeri, via via retti da Alexandru Vaida -Voevod (6 giugno-19 ottobre 1932), Iuliu Maniu (20 ottobre
1932-13 gennaio 1933), Vaida-Voevod (14 gennaio-13 novembre 1933), Ion G. Duca (14 novembre-29
dicembre 1933)64, che aggravarono la crisi politica e non riuscirono ad impedire l’attività terrorista dei
legionari. Essi dettero una prova negativa con l’assassinio di Ion G. Duca – avvenuto il 29 dicembre
1933 nei pressi della stazione ferroviaria di Sinaia65 – in seguito al quale si ebbe la nomina di Gheorghe
Tatarescu da parte del re. Egli, insediatosi il 5 gennaio 1934, detenne la carica governativa per quattro
anni sino al 28 dicembre 193766. La sua lunga permanenza al potere fu dovuta sia alla fiducia
incondizionata accordatagli dal sovrano, sia alla capacità che ebbe nell’impiegare come metodo di
governo i decreti-legge. La tolleranza verso i legionari fascisti permise inoltre una stabilità politica67,
mentre lo svuotamento dell’istituto parlamentare attutì le divergenze partitiche, che sarebbero esplose
nelle elezioni generali del 20 dicembre 193768.
Nel gennaio 1938 Carol II, proprio per ristabilire l’ordine minacciato dall’ondata terroristica dei
legionari, attuò un colpo di stato, che fu - come sostiene il Mazzei – “presentato come un evento
rivoluzionario […] allo scopo di salvare la Nazione dalla disgregazione politica e di difenderla da non
Un critico storico ha considerato Carol II l’esponente più rappresentativo dell’”autoritarismo dinastico” di tutta la famiglia
degli Hohenzollern; S. Fischer-Galati, Il periodo interbellico: la Grande Romania, in AA. VV., Una storia dei Romeni, cit., p. 315.
62 Sull’attività politica dello storico romeno cfr. B. Valota, Nicolae Iorga, Guida, Napoli 1977.
63Sul movimento legionario rinvio a E. Weber, The Men of the Archangel, in Journal of Contemporary, 1966, a. I, n. 1, pp. 105-122;
A. I. Teodor, Fascismo italiano e Guardia di Ferro, in Storia contemporanea, Roma, settembre 1972, a. III, n. 3, pp. 505-548; Id., La
Guardia di Ferro, ibidem, settembre 1976, a. VII, n. 3, pp. 507-544.
64 Sulla composizione politica dei vari governi cfr. S. Neagoe, Istoria guvernelor României de la începuturi-1859 pâna în zilele noastre1995, Editura Machiavelli, Bucuresti 1995, pp. 103-110.
65 G. Matei, Cum a fost asasinat I. G. Duca, in Magazin istoric, Bucuresti, iun. 1967, a. 1, n. 3, pp. 12-16
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S. Neagoe, Istoria guvernelor României de la începuturi-1859 pâna în zilele noastre-1995 cit., pp. 112-121.
F. Guida, La Romania contemporanea, cit., p. 53; A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, cit., p. 96.
Le elezioni diedero i seguenti risultati: Partidul National-Liberal 1.103.353 voti, 35,92%, 152 deputati; Partidul NationalTaranesc 626.612 voti, 20,40%, 86 deputati; Totul pentru Tara 478.368 voti, 15,58%, 66 deputati; Partidul National-Crestin
281.167 voti, 9,15%, 39 deputati; Partidul Maghiar 136.139 voti, 4,43%, 19 deputati; Partidul National-Liberal 119.361 voti,
3,89%, 16 deputati; Partidul Taranesc-Radical 69.198 voti, 2,25%, 9 deputati; Partidul Agrar 52.101 voti, 1,70%; Partidul
Evreiesc 43.681 voti, 1,42%; Partidul Poporului German 43.412 voti, 1,42%; Partidul Social-Democrat 28.840 voti, 0,94%;
Partidul Poporului 25.567 voti, 0,83%; Partidul Frontul Muncii 6.986 voti, 0,23%; 53 gruppi politici e liste indipendenti
11.145 voti, 0,36%; I. Scurtu-G. Buzatu, Istoria românilor în secolul XX (1918-1948), cit., p.332.
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desiderate ingerenze straniere”69. Ma in realtà egli esercitò una dittatura, di cui si avvalse per varare una
nuova Costituzione, che fu promulgata il 24 novembre 1938 in seguito ad un plebiscito (4.297.581 voti
favorevoli contro il 5.483 contrari). Così fu possibile al sovrano sospendere “tutte le libertà
costituzionali” e trasformare il sistema democratico in “un totalitarismo regio a base nazionalistica e
conservatrice”. Funzione precipua del nuovo Stato fu l’attuazione di un principio espresso dall’articolo
7 della nuova Costituzione: “Non è permesso ad alcun romeno propugnare, a voce o per iscritto, il
mutamento della forma di governo dello Stato, la ripartizione o la distribuzione delle terre degli altri,
l’esenzione delle imposte o la lotta di classe”. Il sovrano istituì un partito unico chiamato Fronte di
rinascita nazionale, poi divenuto Partito della Nazione, che fu inquadrato militarmente sul modello della
milizia fascista italiana allo scopo di salvaguardare l’ordine interno. Il nuovo presidente del Consiglio
Armand Calinescu fu scelto il 7 marzo 1939 dal sovrano proprio per l’ascendente esercitato
sull’esercito, considerato da lui come “l’immagine riassuntiva della Nazione”70. Ma la sua azione
governativa fu interrotta dopo pochi mesi dalla Guardia di Ferro, che lo assassinò il 21 settembre dello
stesso anno. In questa situazione, caratterizzata dalla sottomissione alla Germania e dalla grave crisi
economica nel paese danubiano, si svilupparono i fatti più significativi che coinvolsero la Romania
durante la Seconda guerra mondiale.
6. LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Lo scoppio della Seconda guerra mondiale, avvenuto in seguito all’invasione della Polonia da
parte delle truppe tedesche, non faceva presagire un immediato intervento della Romania. Ma la
situazione si capovolse, allorché l’Unione Sovietica occupò la Bessarabia e la Bucovina settentrionale. A
nulla valse il cosiddetto “Patto petrolio-armamenti” che il nuovo governo Tatarescu stipulò con i
rappresentanti del Terzo Reich. Il 28-30 giugno 1940 la Romania perse quei territori, che si estendevano
per 50.762 kmq con una popolazione di 3.776.000 abitanti71. Il 30 agosto 1940, in base all’arbitrato di
Vienna, essa dovette cedere la Crisana settentrionale, il Maramures e la parte settentrionale ed orientale
della Transilvania, comprendente la valle del Somes e le alti valli del Mures e dell’Olt (43.104 kmq. e
2.633.000 ab.) in favore dell’Ungheria. Il 7 settembre dello stesso anno, con il trattato di Craiova, fu
privata anche della Dobrugia meridionale (7726 kmq e 378.000 ab.) in favore della Bulgaria. Così, alla
fine del 1940, lo Stato romeno si ridusse ad una superficie di 193.819 kmq con circa 13.500.000 abitanti.
Il governo di Ion Gigurtu (4 luglio-4 settembre 1940) mantenne la sua lealtà alla Germania
hitleriana e cooptò una rappresentanza conservatrice attraverso la partecipazione di quattro ministri
legionari72. Due mesi dopo il re nominò il generale Ion Antonescu Primo ministro, che su richiesta della
legazione tedesca formò un governo militare e instaurò un regime filonazista, annullando la
Costituzione del 1938 e aderendo al Patto Tripartito73. Le principali funzioni governative furono
assunte dalla Guardia di ferro, cioè da quell’organizzazione filonazista, che divenne sino al gennaio 1941
la base politica della dittatura militare. Con l’accordo del 4 dicembre 1940 la Romania fu costretta dal
III Reich ad adeguare le sue scelte economiche alle richieste della Germania e a sottoporre al controllo
dei tecnici tedeschi diversi rami del suo apparato produttivo. Il cedimento di Antonescu era
sostanzialmente dettato dal pericolo della Guardia di ferro, che mirava a sostituire il suo governo con
propri rappresentanti. Nei giorni 21-23 gennaio 1941 fu organizzata una sommossa dai legionari, che
non riuscirono a realizzare i loro scopi per l’ostilità dell’esercito e per il mancato sostegno dei gruppi
politici interni. La Germania, desiderosa di salvaguardare l’ordine interno per l’imminente dichiarazione
di guerra all’Unione sovietica, appoggiò il governo Antonescu. Così il conducator dichiarò il 22 giugno
V. Mazzei, Introduzione, a La Costituzione rumena, Sansoni, Firenze 1942, p. 13. Su questo aspetto si differenziano le ricerche
più recenti, le quali mettono in rilievo il predominio degli interessi economici tedeschi sulla politica del re; S. Fischer-Galati,
Il periodo interbellica: la Grande Romania, cit., p. 326; A. Biagini, Storia della Romanian contemporanea, cit., p. 97.
70 V. Mazzei, Introduzione, a La Costituzione rumena, cit., p. 41.
71 Dinu C. Giurescu, La Romania nella II Guerra mondiale: dal 15 settembre 1939 al 23 agosto 1944, in AA. VV., Una storia dei
Romeni, cit., p. 333.
72 S. Neagoe, Istoria guvernelor României de la începuturi-1859 pâna în zilele noastre-1995, cit., pp. 135-137.
73 La documentazione relativa al governo Antonescu è pubblicata, in G. Buzatu (edited bay), Maresalul Antonescu în fata istoriei,
B.A.I., Iasi 1990, vol. I-II.
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1941 guerra all’Urss ed assunse personalmente il comando dell’esercito. Il partito comunista romeno,
sempre clandestino, protestò contro l’aggressione alla “patria del socialismo”; ma era troppo debole per
imporre la sua decisione. L’opinione pubblica era inoltre animata da un forte sentimento antirusso, reso
più forte dal desiderio di riconquistare la Bessarabia e la Bucovina. A nulla valse l’intervento dei vecchi
leaders politici I. C. Bratianu e Iuliu Maniu, che non riuscirono nè a fermare le ostilità nè a convincere il
sovrano ad assumere una tendenza antibellicista. Antonescu non cedette e diede ordine a quindici
BVR5 divisioni romene di partecipare il 16 ottobre alla presa di Odessa74. Una scelta che la Romania
pagherà duramente negli anni successivi in quanto i sovietici continueranno a considerarla come un
Paese nemico, mentre le potenze alleate (Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti) la consideranno piuttosto
vittima di una sudditanza del Terzo Reich75.
Dopo il colpo di stato del giovane re Michele contro il conducator Antonescu, il 23 agosto 1944
fu costituito un governo di unità nazionale, che riunì i rappresentanti dei quattro partiti
dell’opposizione: Iuliu Maniu del partito nazional contadino, George Bratianu del partito liberale,
Lucretiu Patrascanu del partito comunista e Titel Petrescu del partito socialista. Ma a presiederlo fu
scelto un militare, il generale Constantin Sanatescu, che governò il Paese sino al 5 dicembre dello stesso
anno, impegnandosi a proseguire la guerra accanto agli eserciti alleati contro le truppe naziste e hortyste.
Il governo, con il consenso dei partiti che costituivano il Blocco nazional-democratico, mise in atto un
piano di unità nazionale, che si sarebbe concluso con la totale liberazione del territorio romeno. Il
giorno stesso della sua formazione, esso decretò l’amnistia generale e lo scioglimento dei campi di
concentramento. Sulla base di due decreti preparati da Patrascanu furono liberati dalle carceri i
comunisti, i civili e i militari che erano stati condannati nel periodo 1940-’44 per manifestazioni e atti
contro il regime militare fascista, contro la guerra antisovietica e l’invasione nazista. L’amnistia concesse
la libertà ai lavoratori condannati per essersi opposti al lavoro obbligatorio o ad altre imposizioni affini.
Il 31 agosto furono ripristinate le disposizioni costituzionali del 1923 (sospese da Carol II nel 1938 e da
Antonescu nel 1940) riguardanti la libertà di stampa, il diritto di associazione, il pluripartitismo, la pari
dignità di tutti i cittadini di fronte alla legge e il riconoscimento della proprietà “come fondamento della
vita sociale”76, mentre il 7 settembre furono abolite le disposizioni relative a discriminazioni di natura
etnica o religiosa.
L’armistizio tra la Romania e le Nazioni Unite, firmato a Mosca il 12 settembre 1944, sancì
l’uscita della Romania dall’alleanza antisovietica e la presa di posizione contro la Germania nazista.
Esso, oltre a regolare i rapporti di natura militare, ristabilì i confini russo-romeni del giugno 1940,
annullando il diktat di Vienna sulla Transilvania. Fu istituita una Commissione alleata di controllo, che
impose il pagamento delle indennità di guerra (300 milioni di dollari) e impegnò la Romania a dichiarare
guerra alla Germania: dichiarazione effettuata il 30 agosto, assieme a quella contro l’Ungheria, dove
furono inviate a combattere le divisioni romene77.
Sul piano interno la situazione economica, particolarmente grave per le distruzioni belliche, subì
un grave peggioramento a causa del blocco della valuta, pagamento delle indennità di guerra e della
conseguente inflazione. Il susseguirsi ininterrotto delle agitazioni popolari, che provocarono il 24 e il 28
febbraio 1945 gravi disordini a Bucarest, costrinse il governo del generale Nicolae Radescu a rassegnare
le dimissioni. Il 6 marzo, anche per le pressioni esercitate dal vice commissario sovietico Andrej J.
Vysinskij, fu costituito un governo presieduto dal filocomunista Petru Groza, leader di un partito
contadino strettamente legato al partito comunista e al Fronte Nazionale Democratico (FND). I partiti
nazional-contadino e liberale, rappresentati l’uno da Maniu e l’altro da Bratianu, passarono
all’opposizione; mentre i comunisti assunsero posizioni preponderanti (quattordici ministeri). Nel
nuovo governo Teohari Georgescu ebbe il ministero dell’Interno, Lucretiu Patrascanu quello della
Giustizia e Gheorghiu-Dej quello dell’Economia nazionale. Gheorghe Tatarescu, leader dei liberali
74Dinu
C. Giurescu, La Romania nella II Guerra mondiale: dal 15 settembre 1939 al 23 agosto 1944, cit., p. 346.
A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, cit., p. 100.
76 Cfr. Monitorul oficial (Gazzetta ufficiale) 2 settembre 1944 n. 202 cit. in E. Focseneanu, Istoria constitutionala a României 18591991, Societatea civila, Bucuresti 1998, pp. 91-92. Per altri riferimenti cfr. Dinu C. Giurescu, La Romania nella II Guerra
Mondiale: dal 15 settembre 1939 al 23 agosto 1944, in AA. VV., Una storia dei Romeni, cit., p. 382.
77 I. Scurtu-G. Buzatu, Istoria românilor în secolul XX (1918-1948), cit., p. 332.
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dissidenti, protettore della Guardia di ferro, fu nominato vicepresidente del Consiglio e ministro degli
Esteri78.
Il governo Groza, rimasto in carica sino al 2 giugno 1952, ebbe il sostegno di Mosca, che gli
affidò l’amministrazione della Transilvania e il controllo di tutte le comunicazioni del Paese. Ma il re,
spinto dai proprietari terrieri e dai dirigenti del Partito nazional-liberale, ruppe ogni rapporto
costituzionale con il suo Primo ministro, rifiutandosi di firmare i decreti del governo. Questa decisione,
considerata da alcuni storici come “una sorta di sciopero regale”79, fu determinata anche dall’apparente
rappresentatività del governo Groza, che ricorse alle elezioni per avere una legittimità costituzionale. La
campagna elettorale fu caratterizzata da incidenti sanguinosi e da persecuzioni contro i membri
antigovernativi: parecchi capi dell’opposizione, tra i quali Vintila Bratianu, furono condannati alla vigilia
dello scrutinio da un tribunale militare per “organizzazione terrorista”80. Il 19 novembre 1946 le lezioni
diedero una schiacciante vittoria al Fronte patriottico, ma secondo i risultati del voto sembra che vi
siano state non poche irregolarità. Il blocco governativo ottenne, con il 79,86% dei suffragi espressi,
376 deputati sui 414 che avrebbe contato la Camera legislativa. Il partito di Maniu ebbe 32 eletti, i
liberali nazionali tre. Le elezioni, come è riconosciuto da tutti gli storici, furono realmente truccate,
anche se non vi è concordia sui risultati elettorali81. Il 21 novembre E. Hatieganu del Partito Nazionale
contadino e M. Romniceanu del Partito Nazionale liberale rassegnarono le dimissioni in segno di
protesta contro la “falsificazione dei risultati elettorali” e contro Stalin, che per l’occasione avrebbe
detto: “Non conta chi e come vota, ma chi conta i voti”82.
Nonostante le proteste degli anglo-americani, le elezioni del ’46 diedero avvio ad un processo di
liquidazione dell’opposizione che si concluderà nel corso del 1947: il 14 luglio Maniu e Mihalache, capi
del partito nazional-contadino, furono arrestati con l’accusa di aver attentato alla compagine
governativa e alcuni mesi dopo processati e condannati all’ergastolo. Il ministro della Giustizia
Patrascanu, forse per la difesa dei due condannati, fu destituito nel febbraio 1948 e poi arrestato per il
suo tentativo di “conciliare il comunismo e la libertà”83.
Il trattato di pace, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, riconfermò alla Romania la Transilvania,
ma impose definitivamente la cessione della Bessarabia e della Bucovina settentrionale alla Russia84. Il
30 dicembre 1947 il re Michele pronunciò l’atto di abdicazione e il 3 gennaio 1948 lasciò la Romania
con la sua famiglia. Il 28 marzo le nuove elezioni attribuirono al Fronte patriottico 405 mandati su 414.
7. IL COMUNISMO NAZIONALE
A differenza di altri Paesi dell’est europeo, la conquista del potere da parte dei comunisti non fu
molto difficoltosa in Romania: la presenza di un forte sentimento nazionale non riuscì ad incrinare la
comunistizzazione del Paese, nè la debolezza del Pcr (circa 2.000 iscritti negli anni Trenta) rappresentò
un freno. Le pressioni esercitate dall’Unione Sovietica e i rapporti tra le grande potenze facilitarono il
compito dei comunisti romeni, che videro in breve tempo il loro Paese inserito nell’orbita sovietica. In
questo contesto, un ruolo di responsabilità svolsero le autorità britanniche che, con il famoso accordo
Churchil-Stalin, determinarono la percentuale di influenza, che assegnava la Romania alla sfera sovietica
per il 90%, riconoscendo “all’Urss un vero e proprio diritto di intervento negli affari romeni”85. Le
elezioni truccate del novembre 1946 e la scelta da parte del dittatore sovietico di Gheorghiu-Dej come
segretario del Partito comunista romeno stabilizzarono la situazione politica, provocando l’isolamento
del gruppo rivale di Ana Pauker-Vasile Luca e imponendo un ritmo forzato nella “comunistizzazione”
S. Neagoe, Istoria guvernelor României de la începuturi-1859 pâna în zilele noastre-1995, cit., pp. 155-157.
H. Bogdan, Storia dei paesi dell’Est, cit., p. 356.
80 F. Fejto, Storia delle democrazie popolari, vol. I: L’era di Stalin 1945/1952, Bompiani, Milano 1977, p. 77.
81 Oltre ai volumi di Bogdan (p. 357), di Fejto (p. 77), di Biagini (p. 108) i dati più attendibili sono quelli riportati da I.
Scurtu-G. Buzatu, Istoria românilor în secolul XX (1918-1948), cit., p. 512, ma per la bibliografia cfr. p. 520.
82 Cit. da F. Constantiniu, La Romania tra il 1944 ed il 1989, in AA. VV., Una storia dei Romeni, cit., pp. 404-405.
83 L. Valiani, Contro due venti. (In memoria di Lucretiu Patrascanu), in Il Ponte, Firenze, maggio 1954, a. X, n. 5, pp. 700-701.
84 Emile C. Ciurea, Le Traité de paix avec la Roumanie du 10 février 1947, A. Pedone, Paris 1954.
85 Sull’incontro tra Churchill e Stalin cfr. F. Constantiniu, La Romania tra il 1944 ed il 1989, in AA. VV., Una storia dei Romeni,
cit., pp. 385-386.
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del Paese. L’abolizione della monarchia, con l’abdicazione forzata di re Mihai il 30 dicembre 1947,
portò alla proclamazione della Repubblica Popolare Romena, all’istituzione di un partito unico e
all’emanazione di una nuova Costituzione86. Sotto il controllo di Mosca il 13 aprile 1948 furono votate
all’unanimità nuove norme costituzionali, con le quali venne introdotto il modello comunista: l’11
giugno si ebbe la nazionalizzazione dei principali settori dell’economia come imprese industriali,
miniere, banche, assicurazioni e trasporti; il 2 luglio fu istituito il comitato statale della pianificazione; il
2 marzo 1949 furono introdotte le stazioni collettive di macchinari nell’agricoltura e l’esproprio delle
proprietà superiori a 50 ettari, rimaste indivise in seguito alla riforma agraria del 6 marzo 1945; il 20
aprile 1950 furono nazionalizzati in gran parte gli immobili e le abitazioni. Altre modifiche furono
introdotte il 24 settembre 1952 con il completo asservimento al modello sovietico. La morte di Stalin (5
marzo 1953), la caduta del potente capo del della polizia segreta (NKVD) Lavrentij P. Berija (26
giugno) e la conseguente denuncia di Nikita Chruscev dei crimini staliniani influenzarono la politica di
Gheorghiu-Dej, che inaugurò una linea politica autonoma dalle direttive della centrale moscovita.
In una dichiarazione al Comitato centrale del 19-20 agosto 1953, Gheorghiu-Dej annunciò un
più ampio ricorso alla direzione collegiale. Egli, inoltre, fece chiudere i campi di lavoro forzato, tra cui il
terribile cantiere del canale Danubio-Mar Nero, in cui tanti “irrecuperabili” avevano perso la vita. Con il
nuovo corso Gheorghiu-Dej ridusse il ruolo attribuito all’industria pesante e concesse maggiori
stanziamenti all’agricoltura e all’industria dei consumi 87. Ottenne inoltre dai sovietici la riduzione
dell’attività dei Sovrom, che erano solo vantaggiose per l’Urss e per lo sfruttamento delle risorse
romene. Con il “nuovo corso” si ebbe anche una separazione di funzioni tra partito e governo, che si
rivelò ben presto una finzione per il controllo assoluto di Gheorghiu-Dej su entrambe le strutture. Il
suo autoritarismo si manifestò con l’esclusione definitiva dal potere dei suoi avversari politici come
Vasile Luca, Ana Pauker, Tehoari Georgescu o con l’eliminazione fisica come Lucretiu Patrascanu.
Quest’ultimo, dopo aver trascorso sei anni in carcere, fu condannato a morte e il 16 aprile 1954
giustiziato88. L’accusa ufficiale fu quella di “deviazione nazionalista” e di “collusione con la borghesia”89,
ma il mistero di quell’esecuzione capitale non è ancora chiara: secondo un’ipotesi abbastanza
attendibile, responsabile della sua condanna fu Gheorghiu-Dej, che temeva una riabilitazione di
Patrascanu e vedeva in lui un suo potenziale concorrente90.
Sul piano internazionale, Gheorghiu-Dej sottoscrisse il Patto di Varsavia (14 maggio 1955), che
fu stipulato tra Albania, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Repubblica democratica tedesca, Cecoslovacchia e
Urss. Il leader romeno credette che quell’unione volontaria di Stati liberi potesse salvaguardare
l’integrità territoriale e la sovranità del proprio paese. Al VII congresso del partito comunista romeno
(23-28 dicembre 1955), Gheorghiu-Dej consolidò il suo potere, cooptando nel Politbjuro i suoi amici
Nicolae Ceausescu e Alexandru Draghici.
La nascita di una linea autonoma, basata su una sorta di “comunismo nazionale”, può essere
ravvisata nell’opposizione alla volontà di integrazione economica moscovita. Il progressivo distacco
della Romania fu determinato da molteplici fattori di carattere politico e ideologico, ma trasse dalle
purghe del 1957 una svolta decisiva. Grazie al conflitto cino-sovietico Gheorghiu-Dej, ormai capo del
partito e del governo, giunse a rafforzare la coesione del suo gruppo, sfruttando una certa libertà di
azione per la Romania prima sul piano economico e poi su quello internazionale91. Di questo conflitto
Cfr. Monitorul oficial (Gazzetta ufficiale) 30 dicembre 1947 n. 300 cit. in E. Focseneanu, Istoria constitutionala a României 18591991, cit. pp. 107 ss..
87 F. Fejto, Storia delle democrazie popolari, vol. II: Il dopo Stalin 1953/1971, Bompiani, Milano 1977, p. 22.
88 L. Valiani, Contro due venti. (In memoria di Lucretiu Patrascanu), in Il Ponte, Firenze, maggio 1954, a. X, n. 5, pp. 700-701; K.
Bartosek, Europa centrale e sudorientale, in AA. VV., Il libro nero del comunismo, Mondadori, Milano 1998 (ed. orig. 1997), p. 398.
89 Secondo due storici l’accusa fu formulata dall’ebreo Belu Zilber, suo compagno di partito, che “cercò inutilmente di
salvarsi mettendosi al servizio di Dej” e accusando Patrascanu “di essere un traditore, un criminale, una spia, insomma il
primo responsabile di un complotto anticomunista”; G. Eschenazi-G. Nissim, Ebrei invisibili. I sopravvissuti dell’Europa orientale
dal comunismo a oggi, Mondadori, Milano 1995, p. 306.
90 Secondo uno storico francese, che riporta la testimonianza di un altro accusato, Patrascanu “fu la prima vittima del
processo di bolscevizzazione totale del partito comunista rumeno”: una tesi poco attendibile, come risulta dalla mia analisi
sul nuovo corso instaurato da Gheorghiu-Dej; cfr. J.-M. Le Breton, Una storia infausta. L’Europa centrale e orientale dal 1917 al
1990, cit., p. 262.
91 G. Gheorghiu-Dej, Articole si cuvîntari. Decembrie 1955-Iulie 1959, Editura politica, Bucuresti 1960.
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17
ne approfittò per accentuare la sua indipendenza dall’Urss e per porsi, all’interno del blocco comunista,
in una posizione pressoché analoga a quella della Francia gollista nell’ambito dell’alleanza occidentale92.
A partire dal luglio 1958 la classe politica romena, ottenuto lo sgombero delle truppe sovietiche,
scelse una politica estera libera dai condizionamenti moscoviti. Essa fece leva sul forte sentimento
nazionale, ancora vivo nel Paese, per rivendicare il ritorno della Bessarabia concessa all’Urss nel 1945.
Inoltre avviò un nuovo piano economico con lo scopo ben preciso di accelerare al massimo lo sforzo di
industrializzazione. Nel 1959 la produzione industriale, che era triplicata rispetto all’anteguerra93,
aumentò ad un tasso dell’11%: una situazione che inorgoglì Gheorghiu-Dej, che al III congresso del
Partito Operaio Romeno (21 giugno 1960) sostenne l’aspirazione del Paese a una reale indipendenza. I
tecnici elaborarono un nuovo piano quinquennale, che mirava a raddoppiare entro il 1965 la
produzione industriale nel settore chimico e in quello dei cantieri navali, della fabbricazione delle
macchine utensili, di trattori e di installazioni petrolifere. Questo proposito, nel momento in cui i
romeni dettero inizio all’esecuzione del loro piano, si scontrò con le intenzioni dei dirigenti sovietici,
che cercavano di rafforzare l’integrazione economica dei Paesi socialisti, sulla base di una “divisione del
lavoro”, in cui alla Romania era stato assegnato un futuro essenzialmente agricolo e uno sviluppo dei
settori industriali, strettamente connessi a questa attività.
La politica di caute aperture nei confronti dell’Occidente portò Gheorghiu-Dej e i suoi
collaboratori a rifiutare non solo i progetti d’integrazione economica, ma anche le posizioni espresse da
Chruscev alla conferenza di Mosca (3-5 agosto 1961). In quella occasione quest’ultimo propose di fare
del consiglio per la mutua assistenza economica (Comecon) un reale strumento di divisione
internazionale del lavoro tra i Paesi comunisti, idonei a competere con l’Occidente solo se provvisti di
una pianificazione sovranazionale. I progetti di integrazione economica, accolti dalla Cecoslovacchia,
dalla Germania orientale e della Polonia furono respinti dai romeni alla Conferenza del Comecon,
quando furono presentati nel giugno 1962 da Chruscev. La loro accettazione, secondo gli economisti
romeni, avrebbe determinato una crisi economica e favorito i Paesi più sviluppati del Comecon, che già
imponevano le loro decisioni in materia commerciale a prezzi superiori a quelli del mercato mondiale.
Nel 1963 i delegati romeni, durante le riunioni del Comecon, riuscirono a imporre la loro politica di
interesse nazionale all’interno del blocco comunista, contrastando il monopolio assoluto dei sovietici.
Nel giugno di quell’anno i romeni assunsero una posizione neutrale di fronte alle famose Tesi pubblicate
dai comunisti cinesi e alle loro lagnanze contro l’egemonia moscovita. Tuttavia, a differenza degli altri
Paesi comunisti, la stampa romena pubblicò ampi stralci di questo documento, che aggravava lo scontro
fra la Cina e la Russia. La politica di equidistanza si trasformò nel 1964 in un’affermazione di
autonomia, che portò all’abolizione dell’insegnamento obbligatorio della lingua russa nelle scuole
romene, al disimpegno delle forze militari nella struttura del Patto di Varsavia e alla ripresa di intense
relazioni politiche e commerciali con l’Occidente94.
8. IL REGIME DI CEAUSESCU
L’improvvisa morte di Gheorghiu-Dej, avvenuta il 19 marzo 1965, facilitò l’ascesa politica di
Nicolae Ceausescu95. Questi apparve subito l’erede naturale sia per le manifestazioni di simpatia fatte da
Dej negli ultimi mesi della sua vita, sia per l’appoggio di Emil Bodnaras e di Ion Gheorghe Maurer.
Certamente entrambi espressero la loro preferenza per il più giovane collaboratore di Dej poiché
ritenevano che, a causa della sua impreparazione politica, sarebbe stato facilmente manovrabile. Il IX
congresso (19-24 luglio 1965) adottò il nome di Partito comunista romeno (Pcr) ed elesse Ceausescu
segretario generale. Le sue prime posizioni dimostrarono subito che egli intendeva porsi su un piano di
G. Mammarella, Storia d’Europa dal 1945 a oggi, Laterza, Roma-Bari 1980, p. 367.
F. Fejto, Storia delle democrazie popolari, vol. II: Il dopo Stalin 1953/1971, cit., pp. 137 ss..
94 G. Mammarella, Storia d’Europa dal 1945 a oggi, cit., p. 368; J.-M. Le Breton, Una storia infausta. L’Europa centrale e orientale dal
1917 al 1990, cit., p. 266; A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, cit., p. 120; F. Constantiniu, La Romania tra il 1944 ed il
1989, in AA. VV., Una storia dei Romeni, cit., p. 431.
95 Su Ceausescu (Scornicesti 1918-Bucarest 1989) cfr. C. Durandin, Nicolae Ceausescu. Verités et mensonges d’un roi communiste,
Albin Michel, Paris 1990; Id., Le système Ceausescu, in Vingtième Siècle, gennaio 1990; I. Spalatelu, Scornicesti. Vatra de istorie
româneasca. Nicolae Ceausescu fara drept la moarte, Editura “Viata Româneasca”, Bucuresti 1999.
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continuità politica rispetto al suo predecessore. Il rifiuto a partecipare alla repressione della Primavera di
Praga e quello di rompere le relazioni diplomatiche con Israele nel 1967 fecero apparire Ceausescu un
leader preoccupato a mantenere la Romania al di fuori della sfera d’influenza sovietica.
L’incontro tra Ceausescu e il ministro delle Finanze israeliano Pinkas Shapir, avvenuto il 24
aprile 1967, portò la Romania ad importanti accordi di cooperazione economica e scientifica. Il 9
giugno dello stesso anno Ceausescu e Maurer, l’uno presidente della Repubblica e l’altro segretario
generale del partito, rifiutarono di firmare una dichiarazione congiunta dei Paesi comunisti, con cui si
condannava “l’aggressione israeliana”96. E al loro ritorno in Romania fecero adottare dal governo e dal
comitato centrale una risoluzione nella quale si esprimeva “profonda ansietà” per la guerra in Medio
Oriente, si chiedeva il ritiro delle truppe israeliane e nello stesso tempo negoziati diretti per la pace.
Anche la stampa assunse una posizione equilibrata, condannando le interferenze internazionali nel
conflitto tra israeliani e palestinesi e proponendo un negoziato che tenesse conto degli interessi di tutti i
popoli. Tuttavia la Romania non partecipò al summit dei Paesi del patto di Varsavia (10 luglio 1967), nè
ruppe le relazioni diplomatiche con Israele, in seguito alla terza guerra arabo-israeliana (“la guerra dei
Sei giorni”)97. Gli interventi di Maurer e di Ceausescu si caratterizzarono per una politica di equidistanza
fra arabi e israeliani, anche se alcune volte si pose l’accento sulle responsabilità di quest’ultimi nella
guerra per i territori contesi. Ma l’aspetto più significativo fu la posizione assunta da Ceausescu
sull’autodeterminazione dei popoli98.
In questo contesto, anche su consiglio di Maurer e di Corneliu Manescu, Ceausescu accentuò le
distanze dall’Unione Sovietica, nei confronti della quale rivendicò una sorta di nazionalismo culturale e
politico (abolizione dell’istituto “Maksim Gorkij”, questione della Bessarabia). L’antisovietismo venne
tradotto da Ceausescu in una politica contraria al patto di Varsavia, al Comecon e al ruolo di Stato guida
esercitato dall’Urss, ai quali i dirigenti romeni davano una collaborazione incerta e piena di riserve.
Il momento culminante di questa politica fu raggiunto nel 1968 con il trionfale viaggio del
generale De Gaulle a maggio e soprattutto con il rifiuto, ad agosto, di partecipare all’invasione della
Cecoslovacchia. Il 21 agosto, mentre essa era in pieno svolgimento ad opera dei Paesi del Patto di
Varsavia, il governo romeno adottò una risoluzione in difesa dell’autonomia delle singole nazioni
socialiste. In un celebre discorso pronunciato durante quei tragici eventi Ceausescu affermò che se i
carri armati avessero oltrapassato le frontiere romene, la Romania sarebbe intervenuta e il Paese
avrebbe saputo difendersi contro una eventuale aggressione99.
Il X congresso del Pcr, svoltosi tra il 6 e il 12 agosto 1969, fece il punto sull’attività del partito,
elaborando il programma di sviluppo degli anni 1971-1975. Ceausescu, distintosi per le sue “insigni
qualità di statista e di militante rivoluzionario”, fu riconosciuto all’unanimità segretario generale del
Partito comunista romeno100. Il suo viaggio in Cina e nella Corea del Nord (1971) segnò una svolta
decisiva nella sua politica internazionale. La condotta di Mosca, irritata dal riavvicinamento della
Romania alla Cina e dalle sue intransigenti posizioni nelle transazioni con il Comecon, continuò a
mantenersi su un netto rifiuto delle insistenti richieste di Ceausescu, perché venisse concesso al suo
Paese uno statuto particolare nel contesto del Patto di Varsavia. Dal canto suo Ceausescu, desideroso di
sviluppare l’economia romena, decise di giocare in pieno la carta dell’apertura internazionale, non
esitando a stringere forti legami con l’economia occidentale. Ora, poichè una ristrutturazione delle
G. Eschenazi-G. Nissim, Ebrei invisibili. I sopravvissuti dell’Europa orientale dal comunismo a oggi cit., pp. 320 ss..
G. Codovini, Storia del conflitto arabo-israeliano palestinese, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 33-37. L’autore sottolinea
come in seguito alla “guerra dei Sei giorni” (5-10 giugno 1967) e al dibattito svoltosi all’ONU sulla “proposta sovietica di
condannare Israele come stato aggressore” si ebbe una rottura delle relazioni diplomatiche con Israele da parte di quasi tutti i
Paesi comunisti (Urss, Polonia, Cecoslovacchia, Iugoslavia, Ungheria, Bulgaria), ma non della Romania (p. 36).
98 Il 24 luglio 1967 egli pronunciò infatti un importante discorso al Parlamento, sottolineando quanto la politica
mediorientale incontrasse il favore della popolazione e criticò i paesi arabi che volevano la distruzione di Israele. In
quell’occasione egli disse: ”Non vogliamo impartire lezioni a nessuno, però al storia insegna che nessun popolo può
realizzare le proprie aspirazioni nazionali e sociali a scapito di un altro popolo”; P. Lendivai, L’antisémitisme sans Juifs, Fayard,
Paris 1971, p. 347.
99 F. Guida, Il fenomeno ceausista, ideologia e politica, in AA. VV., Dalle crisi dell’impero sovietico alla dissoluzione del socialismo reale,
Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2000, p. 126; F. Constantiniu, La Romania tra il 1944 ed il 1989, in AA. VV., Una
storia dei Romeni cit., pp. 436-438; A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, cit., p. 121.
100 I. Spalatelu, Scornicesti. Vatra de istorie româneasca. Nicolae Ceausescu fara drept la moarte, cit., p. 208.
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fabbriche e un aumento della produttività poteva provenire soltanto dagli investimenti stranieri,
Ceausescu fece appello al capitale occidentale per promuovere lo sviluppo economico in Romania101.
Sul piano interno egli impostò infatti una politica basata su un rigido controllo ideologico e
politico proprio per raggiungere questo scopo. Alla Conferenza nazionale del Partito comunista romeno
(luglio 1972), il leader romeno annunciò un importante progetto di mobilitazione socio-politica, il cui
scopo era quello di aumentare la produttività in un “paese socialista in via di sviluppo”. Questo
progetto, che ricordava il modello di “agrocittà” ispirato da Chruscev, si proponeva anche il
superamento di qualsiasi differenza fra le aree rurali e le aree urbane. Ma esso, se sembrò raggiungibile
all’inizio degli anni settanta per effetto di una favorevole congiuntura internazionale, portò l’economia
romena ad un impoverimento sia per la soppraggiunta crisi petrolifera del 1973 sia per la chiusura dei
mercati occidentali. In simili condizioni l’indebitamento – come sottolinea il Fejto − divenne un freno
alla crescita economica, per cui “si dovettero chiedere nuovi crediti per onorare i debiti già contratti,
venendo perciò trascinati nel circolo vizioso dei pagamenti rateizzati, del riporto dei pagamenti, di
squilibri sempre maggiori”102.
Ma il progetto di Ceausescu mirava anche a disperdere o ad eliminare le minoranze nazionali
sulla base d’una politica economica, che iniziata nel 1972 proseguì sino agli anni ottanta103. A partire dal
1974, mentre la congiuntura internazionale diventava difficile, Ceausescu costruì un sistema economico
rigidamente centralizzato e basato, a colpi di grossi prestiti, su una imponente industria pesante. Il
progetto tanto crudele quanto grandioso di trasformare la Romania in un Paese industrializzato trovò
l’opposizione di alcuni tecnocrati del suo gruppo, che avrebbero preferito uno sviluppo graduale
dell’intero sistema economico. Tra gli oppositori vi era anche il primo ministro Gheorghe Maurer, che
venne il 25 febbraio 1974 sostituito da Manea Manescu, rappresentante del complesso militareindustriale. Due giorni dopo Manescu fu eletto ufficialmente primo ministro (carica che detenne sino al
28 marzo 1980), mentre Ceausescu si fece eleggere presidente della Repubblica104: secondo l’articolo 80
della Costituzione facevano parte del governo il presidente del Consiglio centrale dell’Unione generale
del sindacato, il presidente dell’Unione della cooperativa agricola di produzione e il presidente del
Consiglio nazionale delle donne105.
L’XI congresso del Pcr, svoltosi a Bucarest dal 25 al 28 novembre 1974, vide la partecipazione
di 2450 delegati. Esso abolì il presidium e lo sostituì con un Comitato esecutivo, composto da Stefan
Andrei, Manea Manescu, Gheorghe Oprea, Ion Patan, Elena e Nicolae Ceausescu. Quest’ultimo fu
riconfermato Segretario generale. La costituzione del nuovo organismo consolidò il potere di
Ceausescu, che restrinse le funzioni direttive del partito per meglio manovrare le cariche dello Stato. La
moglie Elena partecipò a tale ascesa fino a diventare il numero due del regime: fu eletta di volta in volta
presidente del Comitato dei quadri, primo vice presidente del Consiglio, presidente del Consiglio
tecnico e scientifico nazionale106. Verso la metà degli anni settanta la famiglia Ceausescu contava su una
sessantina di persone nelle più alte cariche dello Stato e del Partito. Di conseguenza la dittatura di
Ceausescu perfezionò un sistema di controllo, che si avvalse anche di mezzi propagandistici per
manipolare il numero degli affiliati al Partito comunista, per diffondere all’estero un’immagine positiva
del comunismo romeno, ma soprattutto per esaltare il ruolo de Conducator e della moglie107. Grazie a una
distorta immagine della Romania e alle sovvenzioni offerte dal regime, Ceausescu continuò a riscuotere
consensi sul piano internazionale.
N. Ceausescu, Scritti scelti (1971), Edizioni del Calendario, Milano 1972.
F. Fejto, La fine delle democrazie popolari. L’Europa orientale dopo la rivoluzione del 1989, Mondadori, Milano 1994, p. 90.
103 Una bibliografia riguardo alle formazioni nazionaliste e alla loro reazione verso il capitalismo nazionale si trova in F.
Guida, Il fenomeno ceausista, ideologia e politica, cit., pp. 117-124.
104 S. Neagoe, Istoria guvernelor României de la începuturi-1859 pâna în zilele noastre-1995, cit., pp. 204-216.
105 Ivi, p. 207. Ma per gli altri articoli della Costituzione e per la modifica relativa all’introduzione del presidente della
Repubblica socialista romena (L. 28 marzo 1974 n. 1) cfr. E. Focseneanu, Istoria constitutionala a României, 1859-1991 cit., pp.
126-128.
106 Ion M. Pacepa, Orizzonti rossi. Memorie di un capo delle spie comuniste. La vera storia della vita e dei crimini di Elena e Nicolae
Ceausescu, L’Editore, Trento 1991, pp. 57-66.
107 Per l’Italia v. ad es. C. Salinari, Introduzione a N. Ceausescu, Scritti scelti (1973), Edizioni del Calendario, Milano 1972, pp. 7
ss..
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La visita ufficiale del capo di stato maggiore, compiuta a Washington nel marzo 1975,
testimoniò la volontà del governo romeno ad estendere i rapporti militari con gli Stati Uniti, che in
giugno ormeggiarono − per la prima volta dopo la guerra − una nave da guerra nel porto di Costanza.
Come ricompensa a Ceausescu, gli Stati Uniti concessero alla Romania il beneficio della clausola della
“nazione più favorita”, un utile riconoscimento sul piano economico che, seppure rifiutato dal
congresso dell’Urss, “consolidò il prestigio personale del dittatore e finì per smorzare qualsiasi velleità
di dissenso interno”108.
La conferenza di Helsinki (3-21 luglio 1975) segnò una nuova tappa nell’evoluzione della
Romania, che impostò sulla base delle sue conclusioni una politica estera diretta ad “estendere il suo
margine di libertà d’azione” e a sganciarsi definitivamente dall’Unione Sovietica. L’incontro tra
Ceausescu e il Presidente americano Gerald Ford, avvenuto il 2 agosto 1975, dimostrò ancora una volta
che il governo romeno era orientato a “conservare rapporti privilegiati con gli Stati Uniti (e con
l’Occidente in generale) come contrappeso alla potenza sovietica”109, anche se la Romania continuò a
mantenere buoni rapporti con la Cina e la Jugoslavia.
Sul piano interno la politica economica condusse la Romania ad adottare misure restrittive, che
videro diminuire il benessere materiale della popolazione. Nella seconda metà degli anni settanta gli
investimenti assorbirono oltre il 30% del PIL con netta prevalenza del settore chimico e dell’industria
pesante; mentre in agricoltura (con una presenza di addetti pari al 42% nel 1975) si ebbe una politica
controproducente. In quanto alla omogeneizzazione, Ceausescu favorì l’esodo delle minoranze per
l’enorme vantaggio pecuniario che ne ricavava: egli fece pagare una cifra variabile compresa tra 2 e 8
mila dollari al governo israeliano per gli ebrei diretti in Israele, cifra che era ridotta a 10.000 marchi per i
tedeschi110. Così il numero dei tedeschi della Romania passò dai 760.000 del 1930 ai 358.000 del 1977111.
Nel gennaio 1977 Paul Goma, già condannato a dodici anni di carcere per la propaganda svolta
contro il regime comunista nel ’56, sottoscrisse una petizione di solidarietà con i firmatari cecoslovacchi
della “Carta 77”. Con la sua iniziativa egli influenzò un gruppo di 150 persone a firmare la petizione. Lo
scrittore, autore di un romanzo intitolato La cellula dei liberabili e tradotto in una decina di lingue,
protestò contro l’internamento psichiatrico degli oppositori nel regime ceausista112. La denuncia di
Goma mise in imbarazzo i dirigenti comunisti romeni, che intendevano presentare la Romania come il
“paese più filooccidentale del blocco sovietico”113. Il 17 febbraio Ceausescu, riferendosi implicitamente
a Goma, denunciò gli “elementi squalificati e traditori della patria”, diretti a seminare fermenti
antinazionali per la loro convinzione di essere protetti dagli ambienti stranieri ostili alla distensione.
Comunque Goma fu ricevuto due volte dal responsabile delle questioni ideologiche del comitato
centrale, Cornel Burtica, che gli fece intravedere una maggiore elasticità da parte delle autorità. E su sua
richiesta l’intellettuale romeno fu invitato a scrivere un articolo sulla terribile catastrofe che colpì la
Romania il 4 marzo 1977. Sulla rivista România Literara Goma pubblicò infatti un articolo sul terremoto,
che non fu gradito dalle autorità. Il 1 aprile 1977 Goma fu arrestato e trattenuto in carcere per cinque
settimane, quando fu condannato agli arresti domiciliari e poi liberato in seguito alle numerose proteste
internazionali114.
Il terremoto, che colpì la Romania il 4 marzo 1977, provocò un enorme disastro con la
distruzione di 32.897 abitazioni e con il danneggiamento di 763.000 stabilimenti industriali e di edifici
pubblici. A causa dell’infausto evento rimasero vittime migliaia di persone, delle quali 2550 morti (1391
solo a Bucarest) e 11.275 feriti. Esso offrì a Ceausescu l’occasione di dare una sistemazione
architettonica ed edilizia a Bucarest, diretta a rafforzare la centralità della capitale e delle istituzioni di
A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, cit., p. 123.
Sull’incontro si vedano i precisi riferimenti di Ion M. Pacepa, Orizzonti rossi. Memorie di un capo delle spie comuniste. La vera
storia della vita e dei crimini di Elena e Nicolae Ceausescu, cit., p. 262.
110 G. Eschenazi-G. Nissim, Ebrei invisibili. I sopravvissuti dell’Europa orientale dal comunismo a oggi, cit., p. 324.
111 Ion M. Pacepa, Orizzonti rossi. Memorie di un capo delle spie comuniste. La vera storia della vita e dei crimini di Elena e Nicolae
Ceausescu cit., pp. 78-81.
112 C. Scorpan, Istoria României, cit., pp. 567-568.
113 R. Wagner, Il caso rumeno. Rapporto da un paese in via di sviluppo, manifestolibri Set, Roma 1991, p. 17. Ma per un quadro più
completo cfr. C. Durandin, Histoire des Roumains, cit., pp. 438-442.
114 Sull’eco suscitata in Francia cfr. C. Durandin, Histoire des Roumains cit., p. 440, mentre manca uno studio per l’Italia.
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potere. Una vasta zona del centro storico fu completamente rasa al suolo: a ovest il quartiere di Uranus,
uno dei più ricchi di monumenti e di edifici del XVIII e del XIX secolo; a est, al di là di Piata Unirii115.
Ceausescu diede ordine di costruirvi nuovi edifici e tracciarvi, con megalomania, sterminati e larghissimi
viali. Il terremoto rese ancora più grave la già difficile situazione economica, che causò manifestazioni di
protesta in tutto il Paese. Il governo cercò d’intervenire con una blanda legislazione sociale e con alcuni
provvedimenti a favore delle categorie più protestatarie. Difatti lo sciopero dei minatori di Petrosani,
scoppiato nell’agosto 1977, fu tacitato con un aumento salariale e con particolari benefici economici116.
L’aumento del prezzo del petrolio e l’interruzione delle importazioni dall’Iran crearono forti disagi
nell’economia romena, costretta sempre più a una dipendenza nell’importazione di materie prime.
Il 30 marzo 1979 l’Assemblea nazionale elesse Ilie Verdet capo del governo, carica che
mantenne sino al 21 maggio 1982. La sua elezione non apportò alcun cambiamento al sistema
comunista, dominato ancora da Ceausescu. In un articolo apparso sul quotidiano comunista Scînteia (14
luglio 1982) si raccomandava ai romeni di ridurre il loro consumo alimentare di 500-300 calorie.
Secondo il Fondo monetario internazionale, fra il 1982 e il 1983 il potere d’acquisto dei Romeni era
sceso del 40 per cento, creando una grave situazione, che si ripercuoteva sulla popolazione costretta a
lunghe file davanti ai negozi semivuoti117. Le carenze d’approvvigionamento, che si fecero sempre più
gravi negli anni successivi, si unirono a un regime di risparmio e di restrizione, soprattutto nel consumo
di energia elettrica, alimentando così uno stato di scontetezza e di estremo disagio nella popolazione.
L’anno 1989 cominciò con un discorso inaugurale di Ceausescu, infarcito di autoincensamento e
di false promesse su una fantomatica crescita economica. Egli, nonostante la palese e grave crisi
alimentare, continuò a ingannare il popolo, presentando la Romania come l’unico Paese comunista ad
avere saldato il proprio debito estero di oltre 21 miliardi di dollari. Tuttavia i rapporti della Romania con
l’Occidente erano pessimi: nel febbraio 1989 il Parlamento europeo denunciò in un’udienza pubblica la
violazione dei diritti dell’uomo da parte del governo romeno; il 10 febbraio il primo ministro francese
Michel Rocard pronunciò a Ginevra, davanti alla Commissione per i diritti dell’uomo dell’ONU, una
dura requisitoria contro la politica di Ceausescu118; il 9 marzo la Commissione votò – 21 voti contrari, 7
favorevoli e 3 astensioni – una risoluzione con la quale si chiedeva l’apertura di un’inchiesta contro il
governo di Bucarest. Sempre in marzo, la Commissione della CEE rinviò le trattative commerciali con
la Romania.
Di fronte alla politica di Ceausescu, la popolazione assisteva impassibile: solo alcuni veterani del
Partito comunista romeno cercarono di mettere in atto manovre eversive contro il dittatore. Nel marzo
1989 sei ex dirigenti comunisti − Gheorghe Apostol (ex presidente dei sindacati), Silvio Brucan (ex
redattore capo dell’organo ufficiale del partito, “Scînteia”), Corneliu Manescu (ex ministro degli Esteri),
Constantin Pârvulescu (membro fondatore del partito), Grigore Raceanu e Alexandru Birladeanu −
indirizzarono al dittatore una “lettera aperta”, in cui denunciarono la sua politica e “il socialismo
dinastico con le sue perniciose conseguenze”, sottolineando la grave crisi economica, il cattivo
trattamento delle minoranze e la degradazione del prestigio internazionale della Romania. I sei vecchi
dirigenti comunisti accusarono per la prima volta Ceausescu di “incompetenza e incapacità” nella
gestione del potere, ma chiesero un ripristino delle garanzie costituzionali e la difesa dei diritti
dell’uomo119.
La pubblicazione della lettera, che suscitò anche una larga eco sulla stampa occidentale, ebbe un
duplice effetto: all’estero provocò un raffreddamento delle relazioni politiche con Bucarest; mentre
all’interno sollevò un vespaio di polemiche e preparò il terreno a quelle manifestazioni di dissenso, che
avrebbero portato alla fine dell’anno alla caduta di Ceausescu. Questi sottovalutò tale requisitoria, ma
reagì con misure repressive nei confronti del movimento di contestazione senza accorgersi che esso
andava estendendosi in tutto il Paese. Nei mesi successivi alla pubblicazione della “lettera aperta”,
A. Biagini, Storia della Romania contempotanea, cit., p. 127.
F. Constantiniu, La Romania tra il 1944 ed il 1989, in AA. VV., Una storia dei Romeni, cit., p. 446; C. Durandin, Nicolae
Ceausescu. Verités et mensonges d’un roi communiste, cit., pp. 223-224.
117 F. Constantiniu, La Romania tra il 1944 ed il 1989, in AA. VV., Una storia dei Romeni, cit., p. 450; A. Biagini, Storia della
Romania contempotanea, cit., p. 131.
118 H. Bogdan, Storia dei paesi dell’Est, cit., p. 522.
119 F. Constantiniu, La Romania tra il 1944 ed il 1989, in AA. VV., Una storia dei Romeni, cit., p. 458.
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infatti, cominciò a formarsi un variegato movimento di opposizione, che comprendeva il saggista Dan
Petrescu, i poeti Ana Blandiana e Mircea Dinescu, il pastore calvinista Làzlò Tokes e il professor Doina
Cornea. Essi, nonostante le misure intimidatorie, sensibilizzarono l’opinione pubblica e svolsero una
coraggiosa battaglia contro la dittatura di Ceausescu, dimostrando che era possibile far crollare il suo
sistema oppressivo. Il clima di intimidazione nei confronti degli oppositori si fece sempre più duro con
ripetute violazioni dei diritti dell’uomo ad opera di una Securitate sempre più feroce120.
Il caso più eclatante fu quello di Dumitru Mazilu, un funzionario della Commissione delle
Nazioni Unite per i diritti dell’uomo, che nell’agosto 1989 fu trattenuto in Romania per aver redatto un
rapporto critico sulla situazione del suo Paese. Le ambiguità dell’Urss e l’ostracismo dell’Occidente non
preoccuparono minimamente Ceausescu, che continuò imperterrito nella sua politica oppressiva. Egli
non credeva che il malcontento della popolazione e le proteste dei dissidenti potessero minare quel
sistema, così sapientemente costruito sulla propaganda capziosa, sulla forza della Securitate, sulla
delazione, sulla corruzione e sui favoritismi accordati ai suoi amici: ecco il contesto in cui sarebbe
esplosa la rabbia popolare nel dicembre 1989, che certamente Ceausescu non si aspettava come
dimostra la visibile soddisfazione con cui si presentò al XIV e ultimo congresso del partito, tenuto dal
21 al 25 novembre 1989. Questo congresso, che si svolse in una clima di inaudita sorveglianza
poliziesca, osannò il dittatore eleggendolo all’unanimità segretario del partito.
Il 16 dicembre diecimila persone di varia estrazione sociale parteciparono a un corteo di
protesta contro le autorità governative, che ricorsero a una feroce repressione su ordine di Ceausescu.
Ma le manifestazioni continuarono nei giorni successivi e si estesero ad altre città in segno di sfida alle
forze della Securitate. La città Timisora fu circondata dai carri armati ed isolata dal resto del Paese,
mentre le invettive contro il conducator e gli slogan contro il regime comunista assunsero un tono sempre
più esasperato. La rabbia della popolazione fu rivolta principalmente contro il clan dei Ceausescu,
accusato di aver saccheggiato il paese e di aver ridotto alla miseria un’intera società. Giammai una
popolazione si era sentita così unanime nell’imputare la miseria alla dittatura di Ceausescu. Questi, che
fino a novembre riuscì a tenere sotto controllo il Paese, fu abbandonato persino dai suoi più stretti
collaboratori. Costretto alla fuga, Ceausescu fu catturato e, dopo un regolare processo, giustiziato (25
dicembre 1989) insieme alla moglie.
9. LA DIFFICILE TRANSIZIONE VERSO LA DEMOCRAZIA
Il regime comunista, imposto da Ceausescu alla Romania, ebbe un crollo cruento, che
condizionò profondamente la nascita del nuovo sistema politico, su cui pesarono le incertezze del
Fronte di salvezza nazionale (Fsn) e la sua propensione a presentarsi come “una forza democratica e
nazionale”. Capo del neopartito fu Ion Iliescu, un ex comunista, già ministro per i problemi dellla
gioventù dal 1967 al 1971. Ma per le sue critiche verso la politica di Ceausescu venne allontanato dalla
vita politica e relegato in provincia sino al 1979, quando fu chiamato a dirigere il Consiglio Nazionale
delle Risorse Idriche: una carica che mantenne sino al 1984121. La sua leadership, proprio nei giorni
successivi alla morte del feroce dittatore, era costituita da un’esigua minoranza, che divenne sempre più
forte grazie all’appoggio di un nucleo composito di studenti, di funzionari e di intellettuali. Tra questi vi
era la nota poetessa Doina Cornea122, che dette un sostegno determinante all’organizzazione del Fronte.
Già nell’aprile 1990 Iliescu considerò un successo il milione di iscritti e la fulminea “scomparsa” di 3,8
milioni di comunisti. Le elezioni politiche del 20 maggio successivo diedero un risultato sorprendente
del Fronte, che ebbe il 66,3% di voti alla Camera e il 67,02 al Senato. Il Fronte divenne così il primo
partito politico del Paese e permise per il momento ai suoi dirigenti di esercitare uno stretto controllo
sulla classe lavoratrice123. Al Fsn spettò il gravoso compito di attuare la tanto attesa svolta democratica e
V. Frunza, Revolutia împuscata sau PCR dupa 22 decembrie 1989, Editura Frunza, Bucuresti 1994.
Sull’attività culturale e politica di Ion Iliescu esiste un suo volume in lingua italiana: Romania. Rivoluzione e riforma,
Reverdito Edizioni, Trento 1996.
122 D. Cornea, Liberté?, Entretiens avec Michel Combes suivis des lettres ouvertes adressées à Nicolae Ceausescu, Ion Iliescu e Petre Roman,
Criterion, Paris 1990.
123 C. Bocancea, La Roumanie du communisme au post-communisme, L’Harmattan, Paris 1998, pp. 97-106.
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di “traghettare” il Paese verso l’economia di mercato. I governi, presieduti da Petre Roman e rimasti in
carica dal 26 dicembre 1989 al 16 ottobre 1991, misero in atto un programma di austerità, senza
apportare alcuna innovazione riformatrice: l’unica riforma di un certo rilievo riguardò la legge sulla
proprietà privata della terra124. L’inadempienza delle promesse (controllo dell’inflazione, ristrutturazione
dell’apparato statale) provocò la violenta protesta dei minatori della valle del Jiu e la caduta del governo
Roman.
In questi anni si costituirono altri gruppi politici come “Partidul România Mare” (Partito della
Grande Romania) e “Alianta civica” (Alleanza civica). Sin dal suo esordio (luglio 1991) il partito di
Corneliu Vadim Tudor si caratterizzò per la campagna denigratoria contro i rom (zingari) e gli ebrei,
accusati di ordire complotti contro gli interessi del Paese125. L’8 novembre 1990 fu costituita “Alianta
civica” la cui presidenza fu affidata a Marian Munteanu, già leader del movimento studentesco e
organizzatore dello sciopero dei minatori nel giugno dello stesso anno. Il nuovo raggruppamento, sorto
in segno di protesta alla politica di Iliescu, riscosse l’appoggio del “Gruppo per il dialogo sociale”
costituito da noti intellettuali e promotore di un settimanale chiamato “22” (giorno d’inizio della rivolta
contro Ceausescu). L’Alleanza si trovò ad operare in una situazione difficile per gli stridenti contrasti fra
la tendenza emotiva e mistica di Munteanu e l’orientamento razionale di altri esponenti, dei quali i più
attivi erano Mihai Sorescu e la poetessa Ana Blandiana. Dalla sua fondazione fino al 5-7 luglio 1991
l’Alleanza, rimasta incerta sulla sua struttura organizzativa, discusse il problema se rimanere un
movimento politico oppure costituire un partito vero e proprio. Alla fine, dopo vivaci dibattiti,
l’Alleanza civica scelse di organizzarsi in partito e di presentarsi alle elezioni previste per il settembre
1992.
La nuova Costituzione, adottata dal Parlamento il 21 novembre 1991, fu approvata con
referendum popolare l’8 dicembre successivo126. Essa introdusse il sistema del multipartitismo, che
concorse il 27 settembre 1992 al rinnovo del Parlamento127. L’11 ottobre dello stesso anno le elezioni
diedero la vittoria a Ion Iliescu, candidato del Fronte alla presidenza, che ottenne l’85 % dei voti,
battendo i suoi concorrenti Ion Ratiu del Partito Nazional-contadino, Radu Cîmpeanu del Partito
liberale ed Emil Constantinescu della neonata Convenzione democratica romena. Nuovo capo del
governo divenne Nicolae Vacaroiu, che rimase in carica dal 19 novembre 1992 al 12 dicembre 1996128.
Il Partito della democrazia sociale in Romania (PDSR), nato dalle ceneri del FSN, si affermò
come prima forza politica del Paese. Ma esso, non potendo contare sulla maggioranza assoluta dei seggi,
fu costretto a cercare l’appoggio di partiti estremisti e nazionalisti come il Partito dell’unità nazionale
romena (PUNR), il Partito della Grande Romania (PRM) e il Partito socialista dei lavoratori (PSM).
Negli anni 1995-96 soltanto la ferma determinazione di entrare nella Nato indusse Iliescu a “scaricare” i
suoi scomodi alleati e ad attenuare le polemiche nei confronti della minoranza magiara in Transilvania.
Il 16 settembre 1996, proprio alla fine del suo mandato, Iliescu firmò a Timisoara il trattato con
l’Ungheria, che sancì l’inviolabilità delle frontiere comuni e il rispetto dei diritti delle reciproche
minoranze. Riguardo a quest’ultimo aspetto l’accordo di “intesa, cooperazione e buon vicinato” annullò
quello stipulato nel 1972 e – avvalendosi di accordi internazionali nella tutela delle minoranze etniche,
linguistiche e religiose – impegnò i governi a rifiutare qualunque provvedimento diretto all’assimilazione
e alla difesa delle minoranze nazionali129.
Sui governi Roman cfr. S. Neagoe, Istoria guvernelor României cit., pp. 247-262.
A. Biagini, Storia della Romania contemporanea cit., p. 147.
126 T. Dragan, Drept constitutional si institutii politice, Lumina Lex, Bucuresti 1998; I. Muraru, Drept constitutional si institutii politice,
Actami, Bucuresti 1998.
127 Il 27 settembre 1992 le elezioni diedero in percentuale i seguenti risultati: Fronte democratico di salvezza nazionale
(FDSN) 27,7-camera, 28,3-senato; Convenzione Democratica Romena (CDR) 20,0-camera, 20,2-senato; Fronte di salvezza
nazionale (FSN) 10,2-camera, 10,4-senato; Partito per l’Unità Nazionale Romena (PUNR) 7,7 camera, 8,1-senato; UDMR
7,5-camera, 7,60-senato; Partito della Grande Romania (PRM) 3,9-camera, 3,85-senato; PSM 3,0-camera, 3,2-senato; PDAR,
3,3-senato; S. Stoica, Dictionarul Partidelor politice din România 1989-2001, Editura, Meronia, Bucuresti 2001, p. 164.
128 I. Bulei, A Short of Romania, Meronia, Bucharest 1997, p. 156.
129 A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, cit., p. 155. Ma per un quadro più completo della questione si veda L. Faccioli
Pintozzi, La situazione delle minoranze etniche in Romania e gli strumenti legislativi comunitari per la loro tutela, in AA. VV., Romania,
Italia, Europa, cit., pp. 169-178.
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Con le elezioni politiche del 3 novembre 1996, il quadro politico romeno subì un cambiamento
radicale per la vittoria della CDR e per la perdita del potere da parte degli ex comunisti130. La vittoria
elettorale dell’opposizione di centro-destra, guidata dalla CDR, determinò un cambiamento del sistema
politico e innescò un “nuovo corso” anche per la Romania. Ma il disegno dell’ex presidente Iliescu di
realizzare una lenta transizione fallì agli occhi della popolazione, che vide peggiorare le sue condizioni di
vita, accrescere le diseguaglianze e moltiplicare i casi di corruzione” nell’amministrazione pubblica.
Come si legge in una nota informativa, si venne a determinare un sistema sociopolitico ibrido, in cui le
vecchie strutture furono smantellate o paralizzate, ma al loro posto non si delineò un’economia di
mercato e una società basata su moderne infrastrutture131.
Le elezioni presidenziali, svoltesi il 3 e il 17 novembre 1996, portarono alla sconfitta di Ion
Iliescu e alla vittoria di Emil Constantinescu132. Il 29 novembre 1996 Emil Costantinescu assunse la
carica di presidente della Repubblica, mentre il 2 dicembre Victor Ciorbea divenne presidente del
Consiglio al posto di Nicolae Vacaroiu. La coalizione governativa, con la sconfitta elettorale degli ex
comunisti, avviò la privatizzazione delle industrie romene, proponendosi nei quattro anni successivi
l’adesione alla NATO e all’Unione Europea. Ma i pesanti sacrifici imposti dalla politica economica
provocarono un’ondata di malcontento, imputabile soprattutto al mancato contenimento dell’inflazione
e alla perdita di circa trentamila posti di lavoro. Il governo di Radu Vasile (17 aprile 1998-22 dicembre
1999) non riuscì ad imprimere al Paese una svolta politica ed economica, mentre gravi rimasero i
problemi del Paese come risulta dai rapporti della Commissione Europea per il riferimento alle
situazioni di “diffusa corruzione”, alla scarsa tutela dei diritti delle minoranze e alla mancata soluzione
del problema relativo alla restituzione della proprietà confiscate durante il regime comunista133.
Il governo di Adrian Nastase, insediatosi il 28 dicembre 2000, ritrovò i medesimi problemi della
povertà, della corruzione e della criminalità e, nonostante gli sforzi compiuti, non riuscì a superare gli
ostacoli tradizionali, rappresentati dalla mancata restituzione ai legittimi proprietari degli immobili
confiscati sotto il regime comunista per difficoltà oggettive e per giudizi non sempre imparziali della
magistratura.
Nell’autunno del 2003 venne approvata una nuova Costituzione, che fu riconosciuta dai
cittadini romeni nel referendum consultivo del 18-19 ottobre dello stesso anno134. Essa entrò in vigore
dopo la legge di revisione costituzionale precedentemente emanata dalla Camera dei deputati e dal
Senato riuniti in seduta congiunta.
Nonostante la scarsa affluenza della popolazione alle urne per la consultazione referendaria, le
modifiche apportate al testo costituzionale furono numerose e investirono l’intero impianto
costituzionale del ’91: i cambiamenti riguardarono l’espansione delle “garanzie” a favore dei cittadini
come la tutela dell’ambiente, la proprietà privata, la libertà economica; mentre in materia di diritto
penale e processuale penalistico introdussero il “giusto processo” e una maggiore garanzia delle
minoranze nazionali, in vista dell’integrazione europea e atlantica del Paese subcarpatico.
Le elezioni diedero in percentuale i seguenti risultati: Convenzione Democratica Romena (CDR) 35,57-camera, 37,06senato; Partito della democrazia sociale in Romania (PDSR) 26,53-camera, 28,67-senato; Unione socialdemocratica (USD)
15,45-Camera, 16,8-senato; Unione democratica magiara di Romania (UDMR) 7,29-camera, 7,69-senato; Partito della
Grande Romania (PRM) 5,54-camera, 5,59-senato; Partito dell’unità nazionale romena (PUNR) 5,25-camera, 4,90-senato;
Altri 9,18-camera, 9,12-senato; cfr. S. Stoica, Dictionarul Partidelor politice din România 1989-2001, cit., p. 166.
131 Cfr. la nota informativa sulla Romania, in S. Bianchini e M. Dassù, Guida ai paesi dell’Europa centrale, orientale e balcanica,
Guerini e Associati, Milano 1998, p. 272.
132 Le elezioni diedero infatti i seguenti risultati: Nella prima tornata per la presidenza della Repubblica (3 novembre 1996)
Iliescu ottenne il 32,25% dei consensi, mentre Constantinescu ebbe il 28,51%: un risultato che nel ballottaggio (17
novembre) crebbe a un percentuale del 54,41% grazie all’accordo di quest’ultimo con Petre Roman, candidato dell’Unione
social-democratica (Uds) e terzo per consensi con il 20,54%; S. Stoica, Dictionarul Partidelor politice din România 1989-2001 cit.,
pp. 170-171.
133 Per altri aspetti cfr. A. Biagini, Storia della Romania contemporanea, cit., p. 162.
134 La legge di revisione costituzionale è pubblicata in Monitorul Oficial 22 settembre 2003 n. 669. I risultati del referendum si
trovano, in Referendul national privind revizuirea Constitutei României (19 octombrie), Regia Autonoma Monitorul Oficial,
Bucuresti 2003. Per un commento cfr. M. Constantinescu -A. Iorgovan-I. Muraru, Revizurea Constitutiei române, Editura
Rosetti, Bucuresti 2003.
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La nuova Costituzione introdusse importanti modifiche anche nelle parti relative ai rapporti tra
Presidente della Repubblica e Primo ministro, accentuando il carattere “parlamentarista” del sistema
politico nazionale (il comma 1.1. dell’art. 106, vietava al primo – che pure è eletto a suffragio universale
diretto – la revoca del secondo). Comparvero in forma significativa, per la prima volta, concetti come
“decentramento” ed “autonomie locali”; fu regolamentata l’iniziativa legislativa del governo; fu
aumentata da quattro a cinque anni la durata del mandato presidenziale; fu modificata in termini
innovativi la materia relativa alla “giustizia” con la ridefinizione di ruoli e competenze del Consiglio
Superiore della Magistratura e dell’Alta Corte di Cassazione e Giustizia. Particolare interesse, per gli
stranieri, rivestì l’art. 41, secondo il quale: “La legge garantisce e tutela la proprietà privata, a prescindere
da chi ne sia il titolare.
I cittadini stranieri e gli apolidi possono acquisire il diritto di proprietà sui terreni,
esclusivamente in forza dell’adesione della Romania all’Unione Europea e ad altri trattati internazionali,
in base al principio di reciprocità, secondo quanto previsto da una legge quadro in materia, oltre che in
virtù di successione ereditaria”.
Questo articolo costituì, sulla carta, un grande successo, la cui concreta applicazione fu legata
tuttavia alla effettiva adesione del Paese all’Europa unita, oltre che ad altre condizioni come quelle
previste dall’art. 41.
Le novità introdotte nella costituzione registrarono nel Parlamento romeno una grande
convergenza tra tutte le forze politiche. Solo il partito “della Grande Romania” (PRM) si dimostrò
contrario all’integrazione delle minoranze nazionali. Secondo il censimento del 2002, circa il 10% dei
quasi 22 milioni di cittadini romeni, è costituito da altre nazionalità, e segnatamente ungheresi (che in
almeno due dipartimenti – Harghita e Covasna, in Transilvania – costituiscono addirittura la
maggioranza assoluta della popolazione), ma anche tedeschi, serbi, bulgari, ucraini, turchi ed altri.
La nuova costituzione romena, pur tra incertezze e difficoltà, rappresenta un significativo passo
in direzione dell’Europa (UE) e della NATO, attraverso la piena adesione ai princìpi della democrazia
economica, del pluralismo politico e culturale, delle garanzie personali e sociali.
Nunzio Dell’Erba
Ricercatore di Storia contemporanea,
Facoltà di Scienze politiche di Torino
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