La Pizza “figliata”
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La Pizza “figliata”
La Pizza “figliata” Tra i cibi tradizionali che la provincia di Caserta presenta per le feste natalizie c’è la “pizza figliata”, un dolce creato dal mondo contadino e che è chiamato anche “serpentone”, per la forma che esso assume una volta preparato e cotto. Gli ingredienti sono quelli che la famiglia contadina si trovava in casa, come farina, noci e miele, ai quali più recentemente se ne sono aggiunti altri, come il vermouth o il limoncello e le scorze grattugiate di arancia e mandarino. Ma qui non è tanto la composizione del dolce che ci interessa, quanto il periodo in cui è prodotto e consumato e la forma con cui è presentato. Anche se in qualche cittadina la sua preparazione e il suo consumo avvengono in periodo autunnale, per la festa del Patrono, il periodo più indicato è senza dubbio quello del solstizio d’inverno in cui il sole, finito il suo ciclo annuale, ritorna a iniziarne uno nuovo: è il periodo del Natale e del Capodanno che tutta l’umanità festeggia in mille modi diversi ma con un unico intento, quello di propiziarsi l’anno che viene che ci si augura sempre sia portatore di doni, di ricchezza e di felicità. Insomma, si tratta di un periodo in cui la natura e gli uomini si augurano un nuovo anno di prosperità, la “rinascita” di una vita nuova (si pensi all’augurio proverbiale “anno nuovo vita nuova”). Questo periodo è tanto importante che molti popoli hanno indicato in esso la data di nascita di molte divinità: il 25 dicembre, infatti, si dice che siano nati l’egizio Horo, Quetzalcoath e Bacab nel Messico, Bacco ed Ercole in Grecia, Budda in Oriente, Krishna in India, Mithra in Babilonia, il cui culto sarebbe arrivato anche in Italia (dove si conservano diversi “mitrei”, di cui uno a S. Maria Capua Vetere) e la cui nascita sarebbe stata unita con quella di Gesù (al tempo dell’imperatore Costantino le due divinità avevano pari importanza). Accanto al periodo temporale è, però, la forma del dolce che assume una valenza simbolica molto forte. Il racconto biblico ci ha dato del serpente un’immagine molto negativa, in quanto esso è l’icona del diavolo tentatore; in realtà il serpente solo presso il mondo giudaico-cristiano è il simbolo del Male, mentre in altri contesti e in altri tempi esso è stato sempre considerato come elemento positivo e di aiuto nei confronti dell’umanità. Se così non fosse stato, buona parte del folklore contadino non ne avrebbe parlato così bene; il fatto è che ha avuto una prevalenza il racconto biblico che ci ha fatto rimuovere dalla nostra cultura l’antico culto del serpente. Ma esso ogni tanto riemerge, come nel dolce di Camigliano e Pignataro, oppure in un altro dolce che si consuma per Pasqua (altro periodo di rinascita primaverile e religiosa) a Pienza, in provincia di Siena; e poi in provincia di Foggia ed anche nel territorio bolognese. Per non parlare di Cocullo, dove san Domenico, protettore locale, si festeggia con una processione in cui i protagonisti assoluti sono i serpenti, e cioè cervoni, biacchi ed altri rettili innocui. Come mai il serpente è simbolo positivo? Innanzitutto, quando è in stato di riposo, esso si arrotola e prende la forma di una ciambella, cioè una figura circolare; e noi sappiamo che geometricamente il cerchio è una figura perfetta, essa non comincia e non finisce: con il cerchio, infatti, si indica Dio, l’essere perfettissimo che non ha principio né fine. Per lo stesso motivo il cerchio è simbolo del tempo infinito, dell’eternità. Se ne deduce che il serpente rappresenta l’eternità. Ma c’è di più: il serpente vive sottoterra, là dove ci sono le misteriose divinità ctonie, quelle che miracolosamente fanno germogliare i semi e le radici delle piante, creando annualmente nuova vita. Nel periodo invernale, inoltre, sta in letargo, dorme, come fanno esattamente i semi del grano e di altre piante alimentari; poi rispunta in superficie nel periodo primaverile, cioè in quei lunghi mesi che vanno dal solstizio invernale all’equinozio di primavera e poi all’estate. Insomma il serpente fa parte del mondo sotterraneo, ha qualcosa di divino o è il simbolo della divinità che presiede alla vita degli uomini. Pensiamo al mito di Proserpina, per sei mesi regina dell’Oltretomba e per sei mesi regina della natura fiorente e rigogliosa. Ecco, “la pizza figliata” rimanda a tutti questi significati che inconsapevolmente ci portiamo nella nostra cultura, che non è solo quella che ci costruiamo giorno per giorno, ma è anche quella che abbiamo ereditato dai nostri antenati e che in buona parte abbiamo dimenticato. Ma le tradizioni popolari sono a testimoniare la validità di questa antica cultura; e la “pizza figliata” è una di queste grandi tradizioni. L’unica cosa che rimane misteriosa è l’aggettivo “figliata”: cosa vorrà dire? Che quello che l’involucro di pasta nasconde è come l’essere che cresce nel grembo materno? Chissà … Non facciamoci domande cui non sappiamo rispondere; per intanto mangiamoci una bella fetta di pizza, con le noci pestate intrise di miele e odorose di arancia. Caserta, Natale 2014