Elezioni americane e mercati
Transcript
Elezioni americane e mercati
Lettera finanziaria Financial Services 10/2004 Elezioni americane e mercati Le elezioni presidenziali USA si terranno il 2 novembre prossimo. Come sempre, saranno seguite dal mondo intero per l’influenza che l’America ha sulle fortune economiche, e non solo, del pianeta. Questa volta il portato non strettamente economico si riferisce al teatro iracheno.Va detto comunque che da quello si torna poi, inevitabilmente, a conseguenze economiche. Questo è chiaro a chi opera sui mercati quotidianamente in quanto, al di là dell’impatto sul sentiment che le vicende irachene hanno, v’è un impatto diretto sulla borsa tramite variazioni dei profitti aziendali attesi ogni qualvolta il prezzo del petrolio, influenzato dalle vicissitudini medio-orientali, fluttua significativamente. Questa nota non aspira tanto a prevedere chi vincerà le elezioni, quanto a sviscerare le differenze politiche tra i due candidati principali, George W. Bush e John Kerry. Di qui i possibili impatti sui mercati nei due differenti scenari: quello di vittoria repubblicana o democratica. In sede di previsione politica ci limitiamo a dire che è statisticamente difficile che si ripeta lo scacco elettorale del 2000, quando il voto fu inconcludente ed ambiguo. Inoltre, per quel che vale, attualmente Bush è in vantaggio nei sondaggi, circa 51% contro 45% mentre scriviamo (28 settembre). Stando al Washington Post, alla base del vantaggio di Bush è l’essere visto come leader forte e con visione chiara, nonostante dubbi e preoccupazioni su Iraq ed economia. Per converso, Kerry soffre dell’immagine di indeciso e non affidabile, almeno per il momento. Bush vs. Kerry Guardiamo ora alle differenze tra i due, partendo dalla politica estera, per passare a quella economica e chiudere poi con le implicazioni del voto per i mercati. La politica estera è questa volta più importante del solito in quanto decisioni diverse sulla situazione irachena possono avere impatti diversi sul premio al rischio e petrolio, variabili interconnesse. Quel che il mercato vorrebbe è una bacchetta magica con cui far sparire gli orrori iracheni, e con essi la variabilità (all’insù) del prezzo del greggio. Sfortunatamente, crediamo che tale bacchetta non apparirà sulla scena. Certamente non con Bush, ma probabilmente neanche con Kerry che, ricordiamo, aveva a suo tempo votato in Congresso a favore della guerra. Infatti, se Bush ha chiaramente annunciato che sull’Irak non vi sarà “turning back”, Kerry è risultato notevole nella sua ambiguità iniziale, per poi abbracciare posizioni che, per certi versi, sembrano tanto “guerrafondaie” quanto quelle di Bush. Infatti, ad un inizio di campagna in cui Kerry ha espresso forti critiche alla guerra ha fatto seguito la trasformazione dello sfidante in “soldato John”, rispolverando il suo record militare in Vietnam. Questo nel goffo tentativo di tranquillizzare gli elettori che, con lui in testa, l’America sarebbe meglio protetta dal terrorismo. D’altro canto, Bush ha recentemente diluito il suo aspetto belligerante, coinvolgendo l’ONU nella formazione del governo ad interim iracheno. Quindi, in definitiva, la posizione dei due è simile, fatta salva la sfumatura che una vittoria di Kerry alimenterebbe il “dialogo” tra USA e “vecchia Europa”. Grafico 1 USA: saldo finanziario federale (cumulato 12 mesi, USD mio) 600'000 400'000 200'000 0 -200'000 -400'000 15.07.'04 15.01.'04 15.07.'03 15.01.'03 15.07.'02 15.01.'02 15.07.'01 15.01.'01 15.07.'00 15.01.'00 15.07.'99 15.01.'99 15.07.'98 15.01.'98 -600'000 Lettera finanziaria Financial Services 10/2004 Guardando alla politica commerciale, tradizionalmente i democratici tendono ad essere relativamente protezionisti, ma John Kerry è atipico in tal senso. Infatti, in circa 20 anni al senato, ha sistematicamente votato a favore di leggi per il libero commercio, a volte svincolandosi da posizioni di partito: ad esempio sulla legge per ratificare l’area commerciale nordamericana, NAFTA. Dove le differenze si vedono è “a casa”, sulla politica fiscale (quella monetaria è nelle mani di Alan Greenspan), energetica e di approccio ad altri settori chiave. In tema fiscale, è innegabile che se Bush può vantare credito per aver portato gli USA fuori dalla recessione del 2001, questo è avvenuto al prezzo di forti sbilanci nei conti pubblici. Se solo nel 2000 il saldo finanziario segnava il quarto surplus consecutivo, a circa 2.5% del PIL, con previsioni di surplus trilionari per gli anni a venire, la situazione odierna è ben peggiore. Spese (militari, ma non solo) in aumento e, particolarmente, forti tagli alle tasse, hanno favorito un veloce ritorno al deficit. Per quest’anno ci si attende oltre il 4% del PIL per il settore pubblico allargato, e le autorità prevedono deficit cumulati per USD 2.300 miliardi nei prossimi 10 anni. Ebbene, Kerry ha promesso una forte cura fiscale in cui i tagli alle tasse fatti da Bush non solo non vengono resi permanenti, ma anzi le tasse (sui “ricchi”) vengono aumentate. Bush è contrario a ciò. Nel suo scenario la crescita economica sarebbe tale da curare il deficit, e un ulteriore aiuto verrebbe dalla privatizzazione (parziale) della sicurezza sociale oltre che da risparmi sulla spesa medica. A sua volta, Kerry si oppone a questo e vede le tasse come principale, se non unico, mezzo per “raddrizzare la baracca”. Sul fronte energetico, Kerry si posiziona a sinistra. È infatti più favorevole allo sviluppo di fonti energetiche alternative oltre che ad una maggior tutela dell’ambiente, la cui mancanza ha alienato Bush al resto dell’Ovest (riferimento alla mancata stipula del trattato di Kyoto). Su fronte della salute pubblica, Bush favorisce controllo dei costi cambiando il set di incentivi all’uso delle risorse pubbliche da parte dei privati. In contrasto, Kerry difende il ruolo della sanità pubblica, con l’obiettivo di finanziarne un più facile accesso da parte delle famiglie. Implicazioni di investimento In conclusione, le differenze principali tra Bush e Kerry sono sulle politiche domestiche, non su quella estera. Ci sembra che le politiche di Bush sarebbero favorevoli alla crescita nominale del PIL, mantenendo una stance fiscale relativamente (eccessivamente?) rilassata. Almeno inizialmente, questo aiuterebbe le azioni, mentre l’attitudine fiscale di Kerry dovrebbe contenere i deficit e, quindi, supportare i bond. Sul fronte valutario, pensiamo che l'attitudine più autarchica di Bush renderebbe il dollaro più debole che con Kerry al comando, anche perché il Democratico sarebbe più aperto ad eventuali richieste di coordinamento delle politiche monetarie (leggi stabilizzazione dei cambi) da parte di Europei e Giapponesi. Giorgio Radaelli Analisi e Strategie Grafico 2 USA: borsa e bond decennale (gov.), prezzo da inizio anno (1° gennaio=1) 1,06 1,04 Borsa 1,02 1,00 0,98 Bond 0,96 1.10.'04 1.09.'04 1.08.'04 1.07.'04 1.06.'04 1.05.'04 1.04.'04 1.03.'04 1.02.'04 1.01.'04 0,94 “Nulla di quanto contenuto in questo documento può essere interpretato come un invito, un'offerta o una raccomandazione ad acquistare o a collocare investimenti di alcun genere o ad effettuare una qualsiasi altra transazione. Le informazioni e le opinioni contenute nel documento vengono fornite da BSI esclusivamente ad uso personale e a scopi informativi e possono essere modificate senza preavviso. Nulla di quanto contenuto nel documento rappresenta un consiglio d'investimento, legale o fiscale o di altra natura né vi si può fare affidamento per effettuare un investimento o prendere altre decisioni. Prima di prendere qualsiasi decisione in materia di investimento si raccomanda di chiedere in proposito una consulenza specifica e professionale.”