cessione di azienda e trasformazione di azienda

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cessione di azienda e trasformazione di azienda
CESSIONE DI AZIENDA E TRASFORMAZIONE DI AZIENDA : IPOTESI ELUSIVE
Sommario: 1. Premessa - 2. Disciplina delle trasformazioni eterogenee - 3.Profili di “rischio” elusivo - 4.
Artifici per realizzare gli illeciti vantaggi tributari: a) Sottovalutazione dell’Avviamento; b) Mancata
inclusione del valore delle merci nel calcolo della plusvalenza da cessione; c) Cessione frazionata,
sottrazione ad imposta di registro ed illecita detrazione IVA - 5. Illeciti vantaggi fiscali.
1. PREMESSA
L’elusione di imposta può essere “nascosta ” anche in una trasformazione societaria “camuffata ” da
cessione di azienda.
Ci possono essere infatti casi in cui un’operazione, formalmente inquadrata come cessione di
azienda a titolo oneroso, nella sostanza, in realtà, rappresenta invece una trasformazione eterogenea.
In particolare questo può succedere quando il venditore e l’acquirente sono gli stessi soggetti
(stessi soci) e cambia soltanto il tipo di società, che si trasforma magari da società di persone in società
di capitali, cessando di esistere subito dopo la trasformazione.
Un tale tipo di operazione, tuttavia, a prima vista, può sembrare assurda, dato che, mentre la
trasformazione societaria è fiscalmente neutra, la cessione di azienda può dar luogo a plusvalenze.
La trasformazione dunque, in teoria, dovrebbe essere più (fiscalmente) conveniente: perché
allora “camuffarla” da cessione di azienda?
Per capirne la ratio, è bene, prima di tutto, evidenziare i principi che regolano le operazioni di
trasformazione.
2. DISCIPLINA DELLE TRASFORMAZIONI ETEROGENEE
La trasformazione è un’operazione straordinaria con la quale un’impresa cambia la propria
forma organizzativa.
Essa non incide sui beni e sulla situazione patrimoniale: la trasformazione quindi non determina
alcun trasferimento di beni, dato che l’impresa continua ad esistere, anche se in forma giuridica diversa.
La trasformazione è eterogenea quando avviene la modifica della forma societaria (per esempio
da società di persone a società di capitali).
PROFILI FISCALI :
Gli effetti fiscali della trasformazione sono neutrali: la trasformazione non origina né
plusvalenze tassabili, né minusvalenze deducibili.
Se i beni strumentali passano in carico alla società trasformata agli stessi valori fiscalmente
riconosciuti in capo alla trasformanda, essa proseguirà gli originari piani di ammortamento dei beni o di
deducibilità delle spese di manutenzione.
Se invece i beni sono iscritti ai valori di perizia, allora si verificherà uno scostamento fra
ammortamenti civilistici e fiscali e quelli fiscali continueranno secondo il precedente criterio.
Le quote di ammortamento e le quote deducibili delle spese di manutenzione vanno ragguagliate
in relazione al periodo dell’anno in cui si verifica il passaggio dei beni.
Le riserve di capitali sono fiscalmente irrilevanti.
Per quanto riguarda invece le riserve di utili bisogna evidenziare che, al momento della
distribuzione delle riserve, gli utili non vengono tassati, a condizione però che siano stati iscritti in
bilancio con indicazione della loro origine.
In caso di trasformazioni eterogenee infine non è possibile riportare a nuovo le perdite non
utilizzate: le società di capitali infatti non possono dedurre le perdite non utilizzate da un socio di una
società di persone, perché esse sono state già imputate per trasparenza.
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La trasformazione non è soggetta ad IVA.
L’atto è soggetto dunque ad imposta di registro in misura fissa.
3. PROFILI DI “RISCHIO ” ELUSIVO
Evidenziati, in maniera molto schematica, i principali profili fiscali delle operazioni di
trasformazione eterogenea, cosa può spingere dunque un contribuente ad inquadrare un’operazione,
anziché come trasformazione, come una cessione di azienda?
Evidentemente nella maggior parte dei casi sussisterà un qualche illecito vantaggio tributario,
che potrà allora essere disconosciuto dall’Ufficio ex art. 37 bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
In particolare i profili su cui l’Ufficio dovrebbe appuntare l’attenzione (e il controllo) possono
essere i seguenti:
- se la trasformazione non genera plusvalenze tassabili, è vero anche che non genera
minusvalenze deducibili;
- con la trasformazione la società risultante deve proseguire gli originari piani o criteri di
ammortamento dei beni o di deducibilità delle spese di manutenzione; con il rischio dunque di non
poter dedurre più niente;
- se le riserve di utili non sono state iscritte in bilancio con indicazione della loro origine, al
momento della loro distribuzione, generano un reddito tassabile in capo ai soci percipienti;
- in caso di trasformazioni eterogenee non è possibile riportare a nuovo le perdite non utilizzate
dai soci;
- la trasformazione non è soggetta ad IVA (e non può dunque neppure dar luogo a detrazioni o
al rimborso di eventuali crediti IVA).
Qualche contribuente, quindi, per evitare tali “inconvenienti fiscali” ed ottenere degli illeciti
vantaggi fiscali potrebbe cercare di “camuffare” una trasformazione di azienda in cessione di azienda.
Ma anche la cessione di azienda, però, se posta in essere senza “accorgimenti” presenta profili di
svantaggio per il contribuente.
La via di fuga, dunque, sarebbe più pericolosa della strada maestra.
La dimostrazione, da parte degli Uffici Finanziari, degli “artifici” posti in essere dal contribuente
per neutralizzare i profili di svantaggio insiti nella cessione di azienda, costituisce, allora, un’ulteriore,
necessaria prova ai fini della dimostrazione della elusione di imposta; anzi ne costituisce il suo
presupposto.
La cessione di azienda infatti, a differenza della trasformazione, può dar luogo ad una
plusvalenza tassabile.
E’ soggetta inoltre non ad imposta di registro in misura fissa, ma in misura proporzionale.
A prima vista, quindi, come detto, potrebbe apparire fiscalmente preferibile porre in essere una
trasformazione, anziché una cessione di azienda.
Per tale motivo bisogna allora valutare se il contribuente, sempre nell’ottica della sua generale
strategia di elusione di imposta, ha posto in essere degli “accorgimenti” per ridurre al minimo il carico
fiscale.
Vediamo quali accorgimenti il contribuente potrebbe a ver posto in essere.
4. ARTIFICI PER REALIZZARE GLI ILLECITI VANTAGGI TRIBUTARI
A) SOTTOVALUTAZIONE DELL’AVVIAMENTO:
Dato che con la cessione di azienda (a differenza della trasformazione) possono emergere
plusvalenze tassabili, un primo controllo dovrà riguardare innanzitutto quegli accorgimenti tesi a ridurre
al minimo eventuali plusvalenze da sottoporre a tassazione.
In quest’ottica, nel caso di cessione di azienda, l'attività di controllo deve essere innanzitutto
incentrata sulla valutazione dell’avviamento.
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L’avviamento infatti è un valore che concorre a formare l'eventuale plusvalenza, tassabile ai fini
dell'imposizione sul reddito.
L’art. 51 del D.P.R. n. 131 del 1986, in tema di valutazione dell’avviamento, pone i seguenti
principi:
Comma 1: “ai fini dei precedenti articoli si assume come valore dei beni o dei diritti, salvo il
disposto dei commi successivi, quello dichiarato dalle parti nell'atto e, in mancanza o se superiore, il
corrispettivo pattuito per l'intera durata del contratto…..
Comma 4: “per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore di cui al
comma 1 è controllato dall'ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono
l'azienda, compreso l'avviamento ed esclusi i beni indicati nell'art. 7 della parte prima della tariffa e
art.11-bis della tabella,al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti
aventi data certa a norma del codice civile…..”
Quindi, in generale, il valore dell’avviamento, che contribuisce alla plusvalenza tassabile, è pari
alla differenza tra il valore all’atto di acquisto (se c’era), meno il valore effettivamente ammortizzato.
Le scritture contabili relative alla cessione dell’azienda dipendono quindi dai valori indicati nel
contratto di cessione.
Nel contratto di cessione si determinano:
- il prezzo attribuito al complesso aziendale;
- le attività cedute e le passività accollate, con i loro valori di cessione;
- l'avviamento (eventuale) riconosciuto al cedente.
Tutti i beni sono caratterizzati da uno specifico valore contabile.
La plusvalenza da cessione dell’azienda corrisponde quindi alla differenza tra il prezzo di vendita
dell'azienda e la somma dei valori contabili dei beni.
Per prima cosa, dunque, andrà controllato il valore dell’avviamento, confrontando i diversi
valori contabili:
- l’eventuale costo di acquisto +
- gli oneri diretti di costituzione - gli ammortamenti già effettuati
La plusvalenza tassabile è infatti costituita dalla differenza tra il corrispettivo conseguito (e non
semplicemente dichiarato) e il costo non ammortizzato; laddove per costo non ammortizzato si intende
il costo di acquisto, compresi gli oneri di diretta imputazione (come per esempio le spese notarili ecc.),
meno gli ammortamenti effettivamente dedotti.
Quindi, il primo illegittimo espediente che l’Ufficio deve rilevare al fine di dimostrare il tentativo
del contribuente di eliminare gli inconvenienti della cessione di azienda, usufruendo però al tempo stesso
dei vantaggi di non considerarla trasformazione, è quello dell’abbassamento del valore di avviamento.
B) MANCATA INCLUSIONE DEL VALORE DELLE MERCI NEL CALCOLO DELLA PLUSVALENZA DA
CESSIONE:
Un altro illecito accorgimento che viene di solito utilizzato dal contribuente per abbassare il valore
della plusvalenza può essere inoltre quello di non considerare nel calcolo della plusvalenza le merci in
carico alla società al momento della cessione.
Nel calcolo della plusvalenza si devono infatti, necessariamente considerare anche le merci, dato
che, come riconosciuto dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione “fanno parte dell'azienda
tutti gli elementi della stessa che sono destinati all'esercizio dell'impresa, ivi comprese, tra questi, le merci qualora formino
oggetto della produzione e del commercio dell'impresa. Pertanto, in assenza di una espressa o comunque chiara volontà di
esclusione delle merci dal complesso dei beni aziendali trasferiti, si deve presumere che l'atto di cessione dell’azienda
comprenda anche le scorte del cedente..”1.
L'azienda infatti costituisce un complesso unitario comprendente anche le merci destinate
all'esercizio dell'impresa commerciale.
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Sent. Corte cass. n. 753 del 24 gennaio 1997 (http://home.ilfisco.it).
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La cessione separata della merce, con fatturazione soggetta all'IVA, costituisce quindi un mero
espediente per sottrarre all'imposta di registro (proporzionale in caso di cessione di azienda) parte del
valore dell'azienda.
C) CESSIONE FRAZIONATA , SOTTRAZIONE AD IMPOSTA DI REGISTRO ED ILLECITA DETRAZIONE IVA:
Il problema è complicato dal fatto che, soprattutto quando i contribuenti e l'acquirente, sono
soggetti Iva, e possono quindi in pratica neutralizzare l'onere di questa imposta per effetto della rivalsa e
della detrazione, vi è indubbiamente convenienza ad assoggettare all'Iva queste operazioni, magari
ricorrendo all'espediente dell'effettuazione di una serie distinta di operazioni.
La cessione di azienda, quindi, in questi casi, sarebbe soltanto l’atto finale con cui trasferire un
complesso aziendale in realtà “svuotato” dalla già avvenuta vendita frazionata dei beni dell'azienda.
L'imposta di registro proporzionale (che è alternativa all'Iva, e deve essere applicata appunto
quando si effettua una cessione di azienda) finisce invece per pesare come un onere assoluto.
La vendita frazionata dei beni e delle merci dell’azienda deve quindi essere ricondotta
nell'ambito di un unico negozio unitario di cessione d’azienda.
A questa conclusione si deve pervenire anche in applicazione di quanto disposto dall'art. 1362
del c.c., secondo il quale, in tema di interpretazione di un contratto, si deve sempre capire quale sia la
concreta e comune intenzione delle parti, al di là del senso letterale.
Come ha affermato la Corte Suprema2, quindi, “ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro,
l'interpretazione degli atti deve avvenire secondo il criterio fissato dall'art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986,
n. 131, dell'intrinseca natura e degli effetti giuridici da essi prodotti. Perciò, nell'imposizione di un
negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi
effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali,
cosicché l’Amministrazione ben può rilevare come attraverso il collegamento di contratti di diverso
oggetto e diversa causa è stato raggiunto un intento elusivo di una fattispecie tributaria”.
Per questo motivo, la cessione, prima di beni e di merci e poi dell’azienda, deve essere
considerata nella sua "unicità" e conseguentemente esclusa dall'Iva.
Come ha affermato ancora la Corte di cassazione3, infatti, “qualora sussista una cessione di beni
strumentali, atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all'esercizio di impresa, si deve
ravvisare una cessione di azienda, soggetta ad imposta di registro, mentre la cessione di singoli beni,
inidonei di per sé ad integrare la potenzialità produttiva propria dell'impresa, dovrà essere assoggettata
ad Iva. Ai fini dell'assoggettamento all'imposta di registro non si richiede che il suddetto complesso di
beni costituisca un'organizzazione "vitale", ossia che l'esercizio dell'impresa deve essere attuale, essendo
sufficiente l'attitudine potenziale all'utilizzo per un'attività di impresa”.
Non si può quindi per esempio dubitare che le attrezzature, i macchinari e le merci siano idonei
all’esercizio di impresa.
Purtroppo però nella pratica commerciale è frequente la consuetudine di trasferire l'azienda
mediante una pluralità di atti, assoggettandoli ad Iva.
All'imposta proporzionale di registro, in questi casi viene di solito fraudolentemente
assoggettato solo il valore dell'avviamento commerciale (magari, come visto, debitamente “abbassato”).
L'espediente permette così all'acquirente di usufruire anche della detrazione dell'Iva assolta sugli
acquisti dei singoli beni aziendali.
Per poter effettuare la detrazione dell'imposta assolta nell'esercizio di imprese, arti o professioni
non è sufficiente però che l'imposta sia distintamente indicata in fattura e regolarmente registrata, ma è
anche necessario che l'operazione rientri effettivamente nel campo di applicazione del tributo.
Pertanto, in questi casi, l'Ufficio deve provvedere ad effettuare gli accertamenti necessari per il
recupero del tributo (IVA) irregolarmente detratto.
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Sent. n. 10660 del 7 luglio 2003, in Servizio di Documentazione Economica e Tributaria (http://dt.finanze.it).
Sent. n. 897 del il 25 gennaio 2002 in Servizio di Documentazione Economica e Tributaria (http://dt.finanze.it).
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Se infatti l'operazione non è assoggettabile all'IVA, il soggetto che effettua la cessione del bene
non ha alcun diritto-dovere di rivalsa nei confronti del cessionario e questi, correlativamente, non ha
alcun diritto di detrazione.
L'esercizio della detrazione dell'imposta, in sostanza, può ritenersi legittimo se è legittimo
l'esercizio della rivalsa.
Cosa questa che non si verifica nelle fattispecie prospettate, dato che qualsiasi negozio stipulato
per eludere una norma tributaria deve considerarsi nullo (art.1418 c.c.) o comunque inefficace ai fini
fiscali.
5. ILLECITI VANTAGGI FISCALI
Una volta individuati gli espedienti utilizzati per eliminare gli inconvenienti della cessione di
azienda, è necessario quindi individuare quali sono gli (illeciti) vantaggi fiscali per conseguire i quali la
trasformazione è stata “camuffata ” da cessione di azienda.
Gli eventuali recuperi fiscali da effettuare ex art. 37 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, nelle
fattispecie in esame, potrebbero essere quindi i seguenti:
- dato che la trasformazione non genera minusvalenze deducibili, si potrebbero recuperare le
eventuali minusvalenze (illecitamente) dedotte;
- dato che con la trasformazione la società risultante deve proseguire gli originari piani di
ammortamento dei beni o di deducibilità delle spese di manutenzione, si potrebbero recuperare le quote
di ammortamento o le spese di manutenzione illecitamente dedotte ex novo;
- dato che se le riserve di utili non sono state iscritte in bilancio con indicazione della loro
origine generano un reddito tassabile in capo ai soci percipienti, si potrebbe recuperare (a carico dei
soci) le imposte dovute sulle riserve di utili distribuite e non iscritte in bilancio nella società
trasformanda;
- dato che, in caso di trasformazioni eterogenee, la società di capitali che succede alla società di
persone non può riportare a nuovo le perdite non utilizzate, andrebbero recuperate le perdite
eventualmente utilizzate negli anni successivi alla trasformazione;
- dato che la trasformazione non è soggetta ad IVA, non può dunque neppure dar luogo a
detrazioni o al rimborso di eventuali crediti IVA.
Come si vede, dunque, ogni operazione deve essere valutata nelle sue potenzialità prospettiche,
anche (e soprattutto) al fine di evidenziarne eventuali profili elusivi.
Giovambattista Palumbo
Funzionario dell’Agenzia delle Entrate
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