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LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA
pubblicato il 27/11/ 2007 su http://www.limesonline.com
KOSOVO E MACEDONIA:
IL FIUME VARDAR COME L'IBAR?
di Ivo Marussi
La definizione di polveriera si addice ai Balcani per la dinamica con cui gli effetti di
crisi localizzate si propagano velocemente. In tal senso la situazione del Kosovo
potrebbe incendiare anche la vicina Macedonia.
I
zet Mexhiti 1, sindaco di Cair, la più
popolosa circoscrizione a maggioranza albanese di Skopje, ha recentemente affermato che
«il fiume Vardar assomiglia sempre di più all’Ibar» 2.
Il fiume Vardar è il più importante della Macedonia e divide in due parti la capitale
Skopje; la parte occidentale a predominanza slava e quella orientale ove la maggioranza
degli abitanti è di etnia albanese. In Kosovo, il fiume Ibar, un corso d’acqua secondario dal
punto di vista idrografico, attraversa la città di Kosovska Mitrovica, tagliandola in due: a
Nord i serbi, a sud gli albanesi. Esso è diventato l’emblema della guerra fredda kosovara,
costituendo un muro divisorio di due reatà che non riescono a conciliarsi.
Anche in Macedonia, 6 anni dopo la fine degli scontri etnici, non si vede ancora il
superamento della contrapposizione tra la comunità albanese e quella slavo-macedone.
All’opposto, il divario tra le due comunità, storicamente contrapposte, cresce e si identifica
sempre più con la distanza tra le due sponde del Vardar.
Il Kosovo: cenni storici
In Kosovo, a partire dal VII secolo D.C., la storia ha posto in contatto gli Illiri, da cui
discendono gli albanesi, ed i popoli slavi, prevalentemente dell’etnia serba (che i Greci
chiamavano Scaviniai). La maggioranza illirica, sopravvissuta al dominio romano e
bizantino, fu sommersa dalle migrazioni slave che assunsero un ruolo egemonico sino al
1389, quando gli slavi vennero sopraffatti dagli Ottomani nella battaglia di Kosovo Polje.
Sotto il giogo turco alcune popolazioni balcaniche accettarono l’islamizzazione, altre invece
mantennero la fede degli avi. Più che l’aspetto spirituale contò una valutazione di
opportunita basata sul diverso trattamento fiscale cui erano soggetti i fedeli musulmani
rispetto a cristiani ed ebrei. In tale ottica gli Albanesi si convertirono all’Islam senza però
rinunciare a seguire le regole del Canun, il codice di consuetudini tribali compilato dal
leader cristiano (anti ottomano) Lek Dukagjini. A tutt’oggi l’appartenenza religiosa
costituisce uno dei caratteri distintivi piu’ significativi della differenziazione delle genti
balcaniche.
1 Izhet MEXHITI è uno dei più giovani ed influenti sindaci della citta’ di Skopje. Di etnia albanese, colto e abile arringatore, è un
membro influente del DUI, partito albanese di opposizione al governo in carica.
2 Incontro del 5 settembre 2007 tra l’autore del presente articolo e Izet Mexhiti, sindaco del distretto Cair di Skopje
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Le difficili condizioni di vita a cui erano soggetti i non convertiti provocò nel 1690
un forte esodo dal Kosovo delle popolazioni serbe cristiano ortodosse, sostituite dalla
popolazione albanese in movimendo da ovest verso est.
La decadenza delll’impero Ottomano vedeva risorgere le aspirazioni delle
popolazioni sottomesse. Alla fine delle guerre balcaniche del 1912–1913 i serbi si
riappropriarono dell’area centrale del Kosovo, lasciando però la parte occidentale (che essi
chiamano Metohjia e gli albanesi Dukagjini) sotto il controllo del Regno del Montenegro,
ove si concentrarono gli albanesi. Dopo la Ia guerra mondiale il Kosovo e la Metohjia
furono incorporati nel regno della Jugoslavia. Nel secondo conflitto mondiale questo
territorio fu nuovamente scisso in aree di influenza: la Metohjia entrò a far parte della
grande Albania a reggenza italiana, mentre il resto del terriorio kosovaro fu diviso nelle
zone di influenza tedesca e bulgara.
Dopo la guerra la Jugoslavia dichiarò il Kosovo regione autonoma (1946) e quindi
provincia autonoma (1963). La costituzione del 1974 garantì al Kosovo un ampio
autogoverno, che risvegliò il sogno albanese della creazione di un territorio etnicamente e
culturalmente unificato. Tale sviluppo condusse a una recrudescenza dei contrasti tra quella
etnia, numericamente dominante, e la serba, demograficamente meno competitiva (cfr. la
Tabella).
Gruppi etnici in Kosovo
Anno
Albanesi Serbi(1.) Altri
1948
68.48 %
27.5 %
8%
1953
65 %
27.4 %
8%
1961
67.1 %
27.4 %
8%
1971
73.7 %
20.9 %
8%
1981
77.42 %
14.9 %
9%
81.6 %
10.94 %
5%
88 %
7%
5%
1991
(2.)
2000/2003
(2.)
2007
92 %
5.3% % 2.7% %
(1.) inclusi Montenegrini
(2.) dati: Statistical Office of Kosovo,
World Bank (2000), OSCE (2005)
Mentre i serbi lamentavano di essere discriminati e vessati dalla dirigenza albanese
kosovara, nonché di essere dimenticati da quella serba di Belgrado, le spinte centrifughe
albanesi si scontrarono con la politica nazionale del nuovo leader jugoslavo, Slobodan
Milosevic, che fece della difesa dei serbi del Kosovo un punto fermo; come conseguenza,
nel 1989 l’autonomia del Kosovo venne drasticamente ridotta. Gli Albanesi boicottarono le
istituzioni statali e le elezioni, istituendo un governo sotterraneo incaricato della gestione
delle scuole e delle istituzioni locali, e che nel luglio 1990 dichiarò l’indipendenza del
Kosovo albanese (solo l’Albania riconobbe tale atto di autonomia).
Ormai la Jugoslavia si stava disgregando e iniziava una stagione di violenze. Mentre
le istituzioni federali implodevano trascinando nel baratro le ex repubbliche federali
(risparmiando la Macedonia e, per un soffio, la Slovenia), il Kosovo entrò in una profonda
crisi. Attenzioni esterne si intrecciarono con gli eventi locali. Questa situazione permane
tuttora.
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La Macedonia: cenni storici
L’area geografica della Macedonia ha vissuto travagli storici simili a quelli del
confinante Kosovo. Le comunità umane dei Traci e degli Illiri sono le prime di cui si ha
conoscenza. Questo territorio guadagna un posto nella storia con il nome di antica
Macedonia sotto il regno di Alessandro Magno. Seguono le dominazioni romana e
bizantina; bulgari, serbi ed Ottomani completano il panorama storico politico dei secoli
successivi.
Nel VII secolo D.C. le tribù slave muovendo da est scacciano alcune popolazioni ed
assimilandone altre, tra cui quelle illiriche, trace e greche. La presenza slava si estende su
tutti i Balcani e gran parte della Grecia, tanto che l’Impero bizantino finisce per optare per la
loro ellenizazione, anzichè tentare di distruggerle. Questo scopo fu parzialmente raggiunto,
anche se una cospiqua percentuale di abitanti mantenne la propria autonomia e indipendenza
da Bisanzio. La costituzione del primo Impero bulgaro nell’anno 1018 rafforzò il carattere
slavo del territorio, le cui tribù si convertirono al cristianesimo nel IX secolo. Per tre secoli i
bizantini erano ancora in grado di contendere il definitivo controllo della regione a bulgari e
serbi poi, nel XIV secolo, la Macedonia diviene parte dell’Impero serbo e Skopje diventa la
capitale dello zar Stefan. Poi la supremazia Ottomana allontana quest’area dall’Occidente
per 500 anni.
I primi cenni di indipendentismo macedone appaiono alla fine del 1800’ con il
Comitato rivoluzionario Bulgaro Macedone di Adrianopoli. Tale movimento, che si sviluppa
e trasforma agli inizi del 1900, non presenta inizialmente alcuna coloritura etnica,
rivolgendosi piuttosto ʺa tutti gli elementi insoddisfatti in Macedonia, indistintamente dalla
loro nazionalitàʺ, come recita l’atto costitutivo. Invero la maggioranza dei membri di tale
movimento sono di lingua slavo/bulgara. L’iniziativa indipendentista del 1903, detta
sollevazione della regione di Ilindia, viene repressa nel sangue dai turchi. A fronte della sua
breve vita, tale moto dà luogo all’istituzione della Repubblica di Krushevo (dal nome della
cittadina situata a sud di Skopje, presso Prilep, ove tale governo aveva la sua sede), primo
vero tentativo indipendentista dell’area posta a cavallo del fiume Vardar. Questo è tuttora
considerato il fondamento della richiesta di riconoscimento internazionale della moderna
Repubblica di Macedonia (attualmente conosciuta come Former Yugoslavia Republic Of
Macedonia (FYROM), per ovviare al contenzioso sul nome, aperto con la Grecia e la
Bulgeria che rivendicano diritti sull’antica regione di Alessandro il Grande.
La dissoluzione dell’Impero turco portò a una suddivisione della regione che era stata
la patria di Alessandro Magno, tra la Grecia, la Bulgaria e la Serbia; quest’ultima si
aggiudicò la porzione più consistente, chiamata Serbia del sud. Alla fine del primo conflitto
mondiale la nascita del Regno di Jugoslavia portò al cambio del nome della Serbia del sud
in Provincia del Vardar. La seconda guerra mondiale provocò l’ennesima suddivisione di
tale provincia, spartita tra Bulgaria e Albania italiana. La sconfitta dell’Asse portò
all’inclusione della rinominata Repubblica popolare federale di Macedonia tra le sei
repubbliche della nuova Repubblica socialista federele di Jugoslavia. Nel 1991, rimosso il
suffisso federale, la Repubblica macedone dichiarò in maniera indolore la propria
indipendenza dalla agonizzante Yugoslavia.
Nonostante il distacco morbido, la nascita del nuovo stato portava con se l'agitazione
autonomista della componente di origine albanese che, in un contesto sociale multietnico,
raggiunge oggi il 25,2%, su una popolazione totale di circa 2.000.000 di abitanti.
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Gruppi etnici in Macedonia (FYROM)
Anno
Albanesi
SlavoM.
Altri
1953
10 %
83.7 %
6.3 %
1961
13 %
80.5 %
6.5 %
1971
17 %
76 %
7%
1981
19.7 %
71.6 %
8.7 %
1991
21 %
69.2 %
9.8 %
2000/2003
25.2 %
64.3 % 10.5 %
Nel 1992 la crisi inter-etnica veniva evitata mediante una accorta mediazione operata
dalla classe dirigente macedone, che trovava un compromesso con i leader della comunità
albanese garantendo loro un forte grado di controllo dell'area nord occidentale del paese,
quella al confine con il Kosovo e con l’Albania. La situazione rimaneva calma fino al 1998,
quando un'eterogenea coalizione di Destra sostituiva alla guida del paese il Partito
socialista, erede della Lega dei comunisti. All'interno di quella coalizione, il cui perno era
costituito dall'Organizzazione rivoluzionaria della Macedonia interna (VMRO), era anche
presente il Partito democratico degli Albanesi (DPA), espressione maggioritaria della
popolazione albanese di Macedonia.
La crisi del Kosovo del 1999 incideva pesantemente sulla Macedonia, consideranto
che 360.000 rifugiati di etnia albanese cercarono rifugio entro i suoi confini. In tale
momento la presenza nel governo del DPA garantì la stabilità del paese; grazie alla sua
azione mediatrice il paese, pur invaso dai profughi kosovari appartenenti sostanzialmente
agli stessi clan di quelli macedoni, non cadde in preda alla guerra in atto oltre i suoi confini.
Nonostante la massa umana fosse rientrata in Kosovo subito dopo la fine della
campagna aerea della NATO, la Repubblica cominciò a risentire della radicalizzazione di
alcune componenti albanesi, che si prefiggevano, allora come oggi, l’unificazioni delle aree
etnicamente albanesi in una grande Albania, comprendente il Kosovo, la valle del Preshevo
in Serbia e la fascia nord occidentale della Macedonia.
La guerra del 2001
Alla fine del conflitto in Kosovo la guerriglia albanese ha spostato a sud/est l’area
delle proprie operazioni. In Macedonia si è costituito l’Esercito nazionale albanese (Ushtria
Çlirimtare Kombëtare – UÇK) anche conosciuto come UÇK macedone, assai simile al
precedente UÇK kosovaro (Ushtria Çlirimtare (e) Kosovës o Esercito di liberazione del
Kosovo), in cui la K rappresenta Kosovo anziche Nazionale.
Nonostante la dichiarata separazione delle milizie (l’UÇK macedone, quello
kossovaro e l’UCPMB, l’Esercito di liberazione di Preshevo, Medveja e Bujanovac, area
della Serbia meridionale), le stesse hanno stretti collegamenti politici e operativi. Gli anelli
di congiunzione stanno nei legami, anche di parentela, tra i leader dei vari clan, mentre
comuni supporti logistici e direttivi sono facilmente intuibili. L’amalgama è quello del
background storico della nascita dell’UÇK kosovaro quale movimento che mirava, sin dalla
sua costituzione, a liberare tutti i territori albanesi della ex Yugoslavia ed unirli in una sola
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repubblica.3 I combattenti dell’UÇK macedone e di quello kosovaro, sono stati spesso i
medesimi che si sono spostati da un fronte all’altro con armi e bagagli. Tipico è il caso di
Gezim Ostreni, nativo di Debar in Macedonia, ex uffciale dell’Esercito federale jugoslavo e
poi comandante di spicco prima dell’UÇK kossovaro e poi di quello Macedone (qui, dopo la
guerra del 2001, si e’ candidato al parlamento nelle file del partito albanese Democratic
union for integration – DUI).4
Emblema dell’UÇK del Kosovo
Emblema dell’UÇK macedone
In Macedonia l’insurrezione dell’UÇK ha inizio nel febbraio del 2001, interessando
soprattutto le province di Tetovo e Kumanovo. I morti hanno superato le 100 unità, tra cui
60 appartenenti alle Forze di sicurezza. Tralasciando l’analisi delle operazioni militari, basti
ricordare che queste riassumono a grandi linee le strategie di ingaggio già usate dall’UÇK in
Kosovo, con attacchi a sorpresa seguiti da sganciamento per evitare lo scontro in campo
aperto. Come per il Kosovo, anche in Macedonia è stato provvidenziale l’intervento
diplomatico europeo e statunitense che ha imposto il cessate il fuoco, scongiurando
un`escalation militare. L’accordo di pace firmato il 13 agosto 2001 (Ohrid framework
agreement) poneva fine agli scontri e portava allo scioglimento delle milizie albanesi. Il
governo, sempre con il sostegno del maggior partito di rappresentanza albanese, il DPA,
garantiva un maggior peso politico e culturale alla minoranza albanese, mentre quest’ultima
si impegnava al pieno riconoscimento delle Istituzioni macedoni, rinunciando alle pretese
indipendentistiche dell’UÇK.
L’analisi della guerra del 2001 ripropone alcuni quesiti, fondamentali per interpretare
scenari attuali e futuri: accertato che lo stesso partito di maggioranza DPA era contrario
all’offensiva dei guerriglieri, quali potevano essere le spinte e le ragioni della campagna
militare albanese?
Queste possono essere state almeno due: una che si rifà alla guerra interna tra i clan
albanesi e una di ordine internazionale.
Il primo aspetto si collega allo scontro inter-albanese che si svolgeva in quel periodo
in Kosovo, area di provenienza e di riferimento di interessi della maggioranza della
popolazione albaese in Macedonia. In quel periodo la provincia serba (ormai, di fatto, ex
tale) era divisa tra il clan Rugova, il cui partito (LDK) aveva vinto le prime elezioni non
jugoslave nella provincia, il clan Thaci che ha guidato l’UÇK nel corso della guerra
d'indipendenza sotto la ali della NATO e che ora guida il partito PDK, e il clan Haradinaj,
leader dell'Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK). La vittoria di Rugova alle elezioni
amministrative nel Kosovo del settembre 2000 (con un buon risultato anche dell’AAK)
3 Fonte: Xhavit Haliti, ex leader dell LPK e in seguito dell’UÇK, in IWPR's Balkan crisis report, n. 440, 30.6.2003.
4 Nel luglio del 2001 il presidente amewricano George Bush firmava un ordine esecutivo con cui 24 personaggi kossovari albanesi,
sospettati di aver preso parte alle operazioni militari nella zona di Preshevo e in Macedonia, venivano inseriti in una lista nera di
soggetti indesiderati negli Stati Uniti. Uno di questi era Gezim Ostreni, ex comandante dell’U ÇK in Kosovo e poi leader della lotta
armata in Macedonia. Tuttavia il nome di Ostreni verrà quasi immediatamente stralciato da tale lista. Dopo la Guerra, Ostreni è stato
eletto nel Parlamento macedone.
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aveva scatenato la guerra aperta tra i clan, con alcune decine di morti in agguati e alcune
vittime eccellenti.
Da questo punto di vista, la destabilizzazione della Macedonia nel 2001 offriva agli
sconfitti sul terreno elettorale (ossia ai clan, sia kosovari che macedoni, legati a Thaci) la
possibilità di riportare lo scontro sul terreno militare dove essi, forti anche dell'armamento
ereditato dal recente conflitto, erano avvantaggiati. Inoltre, la possibile secessione dell'area
occidentale della Macedonia, avrebbe ribaltato i rapporti numerici di forza tra i clan,
riportando in vantaggio il clan Thaci e la sua espressione politico-militare, ossia l'UÇK.
A tale superiorità sul territorio è inoltre legato l’aspetto del controllo di un crocevia di
traffici illegali verso l'Unione europea. Come spesso capita tra i partiti albanesi l’attività
politica si coniuga con gli interessi clanici nella gestione dei traffici che scorrono lungo gli
assi est-ovest / sud-nord e che hanno proprio nell'area balcanica uno degli snodi più
importanti. Anche l'accordo del 1992 tra il governo macedone e Arber Xhaferi, il leader del
DPA, che riguardava il diritto alla lingua, alle scuole e all'università albanesi, apriva la via a
una forma di autogoverno locale albanese della Macedonia occidentale, cioé un forte
controllo sul territorio del clan politico locale5.
La seconda ragione era invece legata a poteri esterni alla regione. Di tutti i moventi è
questo che, più probabilmente, ha messo in moto le milizie armate. Esso si proponeva di
destabilizzare la Macedonia, creando così i presupposti per nuove ingerenze esterne. La
situazione venutasi a creare nel 2000, dopo le vittorie elettorali di Rugova a Pristina e di
Kostunica a Belgrado, aveva creato le precondizioni per un possibile accordo serboalbanese. Le cancellerie europee, prima fra tutte quella tedesca6, premevano per questo
accordo. Contrari invece altri soggetti, esterni alla politica europea, che avevano puntato
sulla vittoria dell'UÇK e sul mantenimento di una situazione d'instabilità quale
indispensabile presupposto per garantire una propria presenza strategica nella regione7.
Il presente imperfetto
Nonostante questi problemi, la Macedonia, anche grazie alla spinta del trattato di
Ohrid, ha fatto notevoli passi in avanti nel garantire i diritti delle minoranze. La FYROM
assicura la protezione dell’identità etnica, linguistica e religiosa di tutte le componenti,
riconoscendo il diritto di istituire propri soggetti culturali e artistici, oltre che scolastici. In
campo educativo è assicurato l’accesso all’istruzione a tutti i livelli dei gruppi minoritari;8
5 La merce clandestina (armi e droga) proveniente dalla Turchia e dal porto di Salonicco attraverso la Macedonia verso il Kosovo,
prosegue poi verso le coste italiane o in alternativa verso Trieste e la Germania, transitando per le mani dei clan albanesi, kosovari o
montenegrini, oppure per quelle croate o bosniache. Ognuno di questi passaggi permette a chi li controlla di ricavare un valore
aggiunto pari anche al 400% del valore della merce, costituendo così la principale di reddito per le popolazioni dell'intera area.
6 Un'eventuale pacificazione dei Balcani porterebbe con sé lo sviluppo dell'area e il suo inserimento nella rete commerciale EuropaMedio oriente, ragione prima dei movimenti della diplomazia tedesca nell'area.
7 Da diversi soggetti, sopratutto macedoni ma anche albanesi, sono arrivate dichiarazioni che attestano come il conflitto del 2001
aveva visto la partecipazione di appoggi esterni sul lato albanese. Nel caso dei combattimenti di Aracinovo, villaggio situato a 10 Km
da Skopje, la polizia macedone ha espresso informali assicurazioni che, con i gueriglieri dell’UÇK si trovavano sul campo anche
istruttori stranieri.
8 Cfr. The Us Department of state: Report on human rights, year 2000: “La minoranza albanese ha istituzioni scolastiche nella sua
madre lingua, inclusa l’università. Inoltre le pratiche di amissione alle Universita’ di Skopje e di Bitola prevedono facilitazioni
d’ingresso per le minoranze fino ad un massimo del 23% dei posti disponibili. Tale quota invero non è mai stata completata per
mancanza di candidati”. A fronte di tali ampie concessioni, in un rapporto del 2000, lo stesso Us Department of state vedeva nella
scarsa scolarizzazione intermedia della popolazione albanese, specialmente femminile, il maggior ostacolo all’accesso universitario.
Per sopperire a tale gap, nel luglio del 2000 il governo macedone varava una legge di implementazione delle Istituzioni scolastiche
universitarie con insegnamento della lingua albanese.
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non di meno la Repubblica riconosce i titoli conseguiti, in lingua albanese, all’Università di
Pristina (dove sono si sono laureati quasi tutti i ministri albanesi della Macedonia).
Riguardo alla facolta’ di espressione, molte TV e radio trasmettono programmi albanesi,
mentre vi sono numerosi quotidiani e riviste in lingua albanese, sia privati sia sovvenzionati
dallo stato, come del resto i teatri, che ricevono contributi pubblici per mettere in scena
rappresentazioni in lingua albanese. Dal punto di vista sociale e lavorativo, nell’apparato
dell’amministrazione pubblica vi è una discreta rappresentanza della minoranza albanese9,
mentre dal 2001, nelle municipalità dove un gruppo etnico supera il 20% dei residenti, la
sua lingua diviene lingua di comunicazione ufficiale. Attualmente, 30 dei 120 membri del
parlamento macedone sono delegati della minoranza albanese, appartenenti ai diversi partiti
d’opposizione o di governo.
Sebbene conclusa con un accordo sostanzialmente recettivo delle richieste albanesi, il
cessate il fuoco non ha completamente disinnescato il dispositivo esplosivo costituito
dall’agguerrita compagine albanese. A piu’ di 6 anni dalla fine delle ostilità in Macedonia si
respira un aria di tregua, piu che di disarmo.
Mentre il gruppo macedone stenta a recepire totalmente le richieste dell`Unione
europea in fatto di decentralizzazioni dei poteri governativi (tanto da vedere postposta la
candidatura di adesione all’Unione europea), quello albanese non è più deferente. I partiti,
sia al governo sia all’opposizione, non perdono occasione per assumere posizioni populiste
o radicali, dogmatiche e spesso incoerenti, dettate più da interessi di parte che da una
visionie di un paese con aspirazioni di integrazione europea. A complicare il tutto vi è la
loro estrema rissosità, come dimostrato il 25 settembre 2007 quando, nel parlamento di
Skopje, delegati del PDA, del PDP e del DUI si sono azzuffatti; l’intervento di collaboratori
armati dei tre partiti, con successivo blocco di alcune strade cittadine, ha creato uno stato di
forte allarme.
La guida politica albanese ha, in Macedonia come in Kosovo, un ruolo particolare in
questa situazione di crisi. Il suo uditorio, su entrambi i lati del confine, è poco scolarizzato,
con poche capacità di analisi razionale degli avvenimenti. La società albanese, inoltre, si
basa tuttora sulla mediazione clanica ed è spesso vittima di facili esplosioni di entusiasmo
militante, facilmente strumentalizzato da leader che perseguono cosí i propri interessi di
affermazione personale. Come durante la crisi del 2001, allorché la massa albanese si è
mossa su input dei capi clan locali10, cosí l’attuale politica partitica albanese ha qualche
responsabilità nella crescita della tensione inter-etnica. Alcuni recenti fatti mostrano come la
sicurezza in questa regione viva un momento delicato:
Luglio 2007: Fazli Veliu, parlamentare del partito albanese di opposizione NDP
presidente dell’associazione dei veterani di guerra dell’UÇK macedone, afferna che “12.000
veterani sono immediatamente disponibili per prendere le armi in difesa dell’indipendenza
del Kosovo e per la protezione dei diritti degli albanesi in Macedonia”. Contestato da piu’
parti, Veliu ribadisce che “le armi ritorneranno in Kosovo e Macedonia se necessario”.
9
Vedere The Us Department of state: Report on human rights, year 2000: Nell’Esercito macedone il vice ministro della difesa e 2
su 10 generali sono albanesi, come pure il vice ministro dell’interno. Dal 2001 sono stati aumentati inoltre il numero di poliziotti
arruolati su base etnica minoritaria.
10 Una testimonianza raccolta dall’autore di questo articolo presso le strutture di polizia macedoni riferisce di militanti albanesi
impegnati negli scontri del 2001 che, in tempi successivi, avevano ammesso di non sapere le ragioni per cui si erano ritrovati a
sparare contro la polizia, ma che semplicemente gli era stato dato un fucile ed un ordine: spara.
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Agosto 2007: La Stazione di Polizia di Gosince, un villaggio nella provincia di
Kumanovo al confine con il Kosovo, viene attaccata con armi pesanti da ignoti che poi si
dileguano. La matrice dell’attacco non viene chiarita ma la zona stessa dell’attacco fa
propendere gli investigatori per una matrice estremista e/o criminale albanese.
Nello stesso periodo, nell’area di Tetovo, durante la festa nazionale non vengono
esposte le bandiere macedoni; la popolazione ritiene infatti che la bandiera esposta dovrebbe
essere quella albanese.
Ancora agosto: due colpi di lanciarazzi RPG vengono sparati da ignoti nei pressi del
Palazzo del Governo a Skopje. Ignoti gli attentatori ed i moventi.
A fine mese, per voce di un ex parlamentare locale, Xheazair Shaqiri 11, il Villaggio di
Tanusevici (da cui era cominciata la guerra del 2001) rivendica il proprio diritto di
annessione al vicino Kosovo. Il leader che pronuncia tale richiesta è in attesa di
convocazione da parte della magistratura macedone per fatti di criminalità ordinaria, cosí
che questo fatto viene ufficialmente presentato come puramente opportunistico. Nondimeno
la provocazione crea agitazione tra le due comunita’.
Ad agitare le acque, sempre in agosto, si pronuncia un gruppo ribelle con base in
Kosovo, l’Esercito nazionale albanese (Albanian National Army o AKSh in albanese), il
quale accusa i politici albanesi di Macedonia di lavorare per “i colonialisti slavo macedoni”.
Il comunicato si conclude affermando che “la prossima querra sarà per l’unificazione di
tutti i territori albanesi”.
Settembre 2007. Nei pressi del villaggio di Vaksince, area di Kumanovo, una
pattuglia della Polizia cade in un’imboscata. Il comandante della locale stazione muore e
altri due poliziotti sono uccisi. Dal lato opposto due assalitori rimangono sul terreno mentre
il leader del commando, ferito, si rifugia in Kosovo. Si tratta di soggetti albanesi “ben
conosciuti”, che costituiscono l’ala più intransigente dell’opposizione alle istituzioni.
Nonostante il fatto costituisca una seria escalation, il partito di opposizione del DUI non
perde occasione per sostenere la teoria del complotto macedone.
Il 14 settembre a Tetovo si incontrano i rappresentanti dell’associazione World
Albanian Union, provenienti da diversi paesi europei, oltre che dall’Albania, dal Kosovo e
dalla Macedonia. Nell’occasione il presidente, Simeon Kuzani, chiama tutti gli albanesi
all’unione spirituale ed amministrativa, mentre Miljaim Fejzi che insegna all’Università di
Tetovo, denuncia la “discriminazione nazionale e religiosa a cui sono soggetti gli Albanesi
in Macedonia”. Conclude dicendo che “la nazione Albanese, che è ora divisa in 5 diveri
paesi (Albania, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Grecia), come ogni nazione al mondo ha
il diritto di vivere in un unico stato” e che “noi guardiamo alla Macedonia come al terzo
stato albanese dei balcani e ci batteremo per una forma di unificazione di tutti gli stati
albanesi nei balcani”.
In ottobre la Corte costituzionale dichiara l’incostituzionalità di esporre sugli edifici
pubblici bandiere diverse da quella nazionale Macedone. Il provvedimento provoca uno
scontro politico che vede quasi tutti i partiti albanesi schierati contro il provvedimento,
considerato come un attacco diretto alla comunità albanese.
11 Xhezair Shaqiri, nato a Tanushevci nel 1965, ha partecipato al conflitto del 2001 in posizioni di comando quale Ispettore
Generale del KLA. Dopo la guerra è entrato in “politica” con il leader del DUI, Ali Ahmeti, per poi diventare presidente del National
Democratic Party (Nacionala Demokratska Partija). Durante un “meeting” tenuto a Kacanik, in Kosovo nel Dicembre del 2001,
veniva ferito gravemente durante una sparatoria scoppiata per divergenze politico imprenditoriali. Fortunatamente riceveva le cure
necessarie alla Base Statunitense in Kosovo di “Camp Bondsteel”, ritornando poi in Macedonia per continuare la sua “attività
politica”.
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LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA
pubblicato il 27/11/ 2007 su http://www.limesonline.com
Il 25 ottobre l’ennesimo agguato alle forze di polizia. Una pattuglia della guardia di
frontiera viene mitragliata nella zona del villaggio di Brest, non distante da Tanusevci. Uno
degli agenti muore, altri due rimangono gravemente feriti. Gli assalitori si dileguano prima
dell’arrivo dei rinforzi. La matrice e il movente dell’attacco non sono conosciuti.
Operazione “Mountain Storm”
Alle ore 00.30 del 30 ottobre 2007 scatta l’operazione di polizia denominata
Mountain storm. Con il dispiegamento di 830 uomini essa mira a neutralizzare un gruppo
estremista che effettua apparizioni armate, disponendo posti di blocco e controllo sulle
strade della zona di Tetovo.
La tattica usata ricalca esattamente quella adottata sin dal 2003 in Kosovo dai
guerriglieri dell’AKSh e mira principalmente a dimostrare agli abitanti della zona che la
stessa non è sotto il controllo del governo ma degli indipendentisti.
In un cruento combattimento all’interno dell’abitato di Brodec (Tetovo) vengono
uccisi 6 militanti ed altri 13 catturati, mentre alcuni riescono a darsi alla fuga. Non ci sono
perdite tra la popolazione civile. L’operazione rappresenta un successo per le forze di
sicurezza macedoni che, per l’occasione, schierano un dispositivo altamente professionale,
multietnico (alcuni degli operatori delle forze speciali sono di etnia albanese) ed attento ai
contraccolpi politici a cui potrebbe condurre una tale operazione condotta nelle ex zone di
crisi del 2001.
Il risultato è positivo e consente il ritrovamento di un imponente arsenale a
disposizione del gruppo, utile ad alimentare vere e proprie azioni di guerra. Cosa ancora più
importante, questa volta le forze dell’ordine sono state appoggiate dalla popolazione locale,
stanca delle continue sopraffazioni da parte di insorgenti con interessi più criminali che
politici.
Anche questa volta il DUI ha criticato le istituzioni macedoni, accusando la polizia di
un uso sproporzionato della forza. Dopo alcuni giorni il pubblico albanese, sensibile al
richiamo nazionalistico, ha risponde in sintonia: il villaggio di Kondovo, vicino alla capitale
Skopje, ha dichiarato che «se la polizia attaccherà ancora la comunità albanese, questa non
esiterà a prendere le armi per difendersi».
Epilogo
I Balcani possono essere tranquillamente definiti una polveriera a causa della rapidità
con cui le crisi locali si propagano. In questo momento il “fattore Kosovo” costituisce una
miccia a combustione rapida che potrebbe far detonare le “polveri nere” degli stati
confinanti.
Con quel paese la Macedonia presenta una contiguità fisica e storica, con problemi e forse
destini comuni; se il fiume Vardar avrà un destino simile a quello dell’Ibar dipende da
fattori non ancora pienamentre sviluppati e sfruttati da parte delle leadership locali ed
internazionali.
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