[nazionale - 27] lastampa/esteri/04 15/04/08

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[nazionale - 27] lastampa/esteri/04 15/04/08
LASTAMPA
MARTEDÌ 15 APRILE 2008
Le pietre preistoriche
contro le multinazionali
Reportage
STEFANO GULMANELLI
MELBOURNE
Straordinari
ritrovamenti
nel deserto
L
i hanno trovati due metri
sottoterra, in una sperduta grotta di Hope Downs,
nel Nord-ovest dell’Australia, e ora potrebbero
rivelarsi decisivi per chiarire molti
aspetti della migrazione dell’uomo
moderno dall’Africa ancestrale verso il resto del mondo. Sono una serie di attrezzi in pietra lavorata in
modo rudimentale, che il test del radiocarbonio ha rivelato risalire a 35
mila anni fa. Protagonisti della scoperta sono stati gli archeologi appositamente assunti dalle comunità
indigene della regione di Pilbara,
l’area del ritrovamento, dove gli
abitanti hanno sempre «sospettato» che quella porzione di territorio
fosse stata abitata da tempo immemorabile dai propri antenati.
«Lo dicevano le storie e le canzoni che ci tramandiamo da generazioni - è stato il commento di Slim
Parker, uno degli anziani della comunità dei Martidja Banyjma, la
popolazione aborigena originaria
della zona -. Vedere che anche gli
archeologi lo confermano ci rende
felici. Ora però vogliamo che questo sito sia preservato e tutelato come merita». Pilbara - un’area di
mezzo milione di chilometri quadrati situata nella porzione settentrionale dello Stato del Western
Australia - non è un pezzo di deserto qualsiasi. Lì si trovano giacimenti di metalli, soprattutto ferro e
manganese, fra i più estesi al mondo. E proprio a Hope Downs è localizzata una delle miniere di ferro potenzialmente più produttive del pianeta, in concessione al gigante minerario Rio Tinto e alla società di
prospezione Gina Rinehart’s Hancock Prospecting.
SCAVI STORICI
Utensili e strumenti di
35 mila anni fa ribaltano
le teorie degli scienziati
Australia, gli aborigeni assoldano gli archeologi per fermare le miniere
Una terra ai confini del mondo
1.
2.
3.
È stata la prospettiva di vedere
la zona sconvolta dallo sviluppo dell’attività mineraria a convincere gli
aborigeni di Martidja Banyjma a
cercare nella scienza e negli archeologi la conferma di quanto loro
«istintivamente» già sapevano: i loro antenati erano vissuti in quell’area per oltre mille generazioni.
Il sito ovviamente non ha solo
grande valore per la popolazione
aborigena, ma è a questo punto di
straordinario interesse per tutta la
comunità scientifica internazionale. «Questa è una scoperta importante, che può avere ricadute decisive per la comprensione del modo
in cui l’area è stata inizialmente popolata - ha sottolineato Neale Draper, uno degli archeologi-consulenti dei Banyjma - il sito scoperto potrà fornirci una quantità enorme di
dati e di informazioni anche per capire meglio i cambiamenti climatici
occorsi durante l’ultima glaciazione». L’eccezionalità del ritrovamento è confermata da Jim Bowler, geomorfologo all’Università di Melbourne e capo del team che
trent’anni fa scoprì i resti di «Mungo Lady», una donna vissuta 25 mila anni fa, e a tutt’oggi il più antico
esemplare di essere umano sepolto
dopo cremazione, e «Mungo Man»,
un uomo la cui epoca di esistenza
viene collocata intorno a 40 mila
anni fa. «È una scoperta straordinaria - dice Bowler - che potrebbe persino aprire un nuovo capitolo nella
storia dell’Australia aborigena» (secondo cui l'Homo Sapiens arrivò 45
mila anni fa su queste coste, mai raggiunte dal predecessore, l’Homo Erectus).
Come se non bastasse, sono state
già identificate nell’area - ancora
una volta con l’aiuto degli aborigeni
del luogo - alcune grotte che sembrerebbero essere state deliberatamente chiuse dal di fuori e che lasciano
ipotizzare si possa trattare di siti di
sepoltura, forse collegati agli «autori» degli attrezzi appena ritrovati dagli studiosi.
Non è quindi più solo la richiesta
aborigena di non vedere distrutta
un’area ancestrale del loro popolo,
ma anche l’oggettiva rilevanza scientifica del sito a creare ostacoli contro
cui si dovranno ora confrontare i vertici di Rio Tinto e Gina Rinehart’s
Hancock. «Per ora in quella zona non
sono previsti lavori di scavo. Comunque prevediamo di cambiare il piano
di sviluppo della miniera in modo da
INTERESSI INDUSTRIALI
L’intera area è ricca di ferro
e i colossi minerari hanno
avuto i diritti per sfruttarla
PATRIMONIO UNICO
Ci sono altre grotte antiche
da esplorare e gli indigeni
vogliono bloccare le trivelle
Città
Porto
Hedland
Parchi Nazionali
Miniere di ferro
Milistream
Pannawonica Chichester
LA TRIBÙ ESULTA
«Abbiamo sempre detto
che questa era la terra
dei nostri antenati»
Estero 27
Mesa
Brockman
Marando
Tom Prince
Exmouth
Kaijini
Tom Prince
Yandicoogina
Paraburdoo
Lyndon
Eastern
Range
Angelo
River
Collier Range
AUSTRALIA
Peak Hill
West
Angelas
Sabbia e metallo
1. Un indigeno dello Stato del Western Australia con la sua birra. Lo
Stato è uno dei territori al mondo più
ricchi di materie prime e negli ultimi
anni la sua ricchezza è cresciuta moltissimo grazie alle miniere. Ma questo boom non ha portato benefici
agli aborigeni. 2. Uno degli attrezzi
dell’età della pietra trovati durante
gli scavi archeologici a Pilbara: è un
coltello di pietra, affilato dalle mani
di un antenato degli indigeni odierni, che l’analisi ha datato vecchio di
almeno 35 mila anni fa. 3. Uno scorcio della sperduta terra di Pilbara, dove un piccolo bar è perso nell’immenso deserto. Sembra un paesaggio da
western, che però potrebbe presto
cambiare: il sottosuolo di questa zona dell’Australia è ricchissimo di ferro, manganese e altri metalli, e i giganti minerari internazionali vorrebbero sfruttarne le ricchezze cominciando a estrarre le materie prime.
garantire la conservazione del sito»,
è stata la comunicazione rilasciata
dalla compagnia mineraria quando è
giunta la notizia della rilevanza archeologica dei ritrovamenti a Hope
Downs.
Un paio di giorni è arrivata la dichiarazione di Bill Hart, general manager di Rio Tinto per i rapporti con
le comunità indigene: «Ci confronteremo con la popolazione locale. So
che in passato può non essere sempre stato così - ha ammesso Hart, riferendosi agli storici contrasti fra comunità aborigene e compagnie minerarie titolari dello sfruttamento del
sottosuolo dei territori di proprietà
indigena -. Questa volta però, anziché litigare, cerchiamo di sederci insieme e trovare una soluzione». Soluzione che, nella testa dei vertici della
Rio Tinto, dovrà comunque tener
conto che lì sotto il deserto dei Martidja Banyjma ci sono 30 milioni di tonnellate di ferro da estrarre ogni anno
per vendere a una Cina disperatamente affamata di materie prime.
SCIOPERO A «LE MONDE»
Giornalisti in strada
contro i licenziamenti
Per la prima volta nei suoi 64 anni
di vita il quotidiano «Le Monde» non è
uscito in edicola per uno sciopero dei
giornalisti contro la drastica ristrutturazione presentata dalla direzione. Il piano, varato dal direttore Eric Fottorino,
prevede il licenziamento di 130 dipendenti, tra cui 85-90 giornalisti, un quarto nella redazione centrale. I giornalisti
del sito internet, dipendenti di una società distinta, hanno espresso la loro solidarietà ai colleghi del quotidiano e si
sono rifiutati di mettere in rete contenuti provenienti dal giornale. Il prestigioso quotidiano parigino è alle prese da
anni con perdite crescenti, che nel 2007
hanno raggiunto i 20 milioni di euro. A
fianco, uno degli slogan della protesta:
«Le Monde divora le sue creature».
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