Il sangue acquatico - Formazione in Psicologia

Transcript

Il sangue acquatico - Formazione in Psicologia
Il sangue acquatico
Dott. Diego Frigoli
Sebbene l'eziologia di questa sindrome non sia ancora totalmente chiarita, esistono alcuni dati su
cui tutti gli autori sono d'accordo; in primo luogo un ruolo patogeno della figura materna, spesso
incapace di fornire risposte affettive esplicitamente significative per una struttura caratteriale
particolarmente rigida, tale da ostacolare il cammino della figlia verso l'autonomia e
l'indipendenza. In generale, come ci ricorda Mara Selvini Palazzoli, i genitori dell'anoressica "sono
totalmente dediti al lavoro e alla casa, ligi al dovere, alle norme sociali e convenzionali,
acutamente preoccupati delle apparenze esterne, spesso puritani e bigotti", e l'ambiente
familiare, pur non essendo perturbato da liti grossolane, mantiene sempre "uno stato di
permanente tensione sotterranea, una tendenza al malumore e all'irritabilità o, cosa
assolutamente caratteristica, una spiccata propensione alle discussioni interminabili e sfibranti
sopra i più futili argomenti, sintomatica di aggressività nascoste bisognose di sfogo. Con frequenza
direi totale la figura dominante nella famiglia delle anoressiche è la madre: il padre è spesso
emotivamente assente, sopraffatto segretamente o apertamente svalutato dalla moglie". In
questo ambiente familiare frustrante, incapace di comunicare il senso emotivo di un bisogno
affettivo se non in termini di possesso oggettuale (cibo, regali, giocattoli, ecc.) la bambina futura
anoressica, per un normale processo identificativo con la figura materna, finisce per introiettare
un comportamento eccessivamente superegoico, invadente e ipercritico, che le impedisce di
esperire il senso normale della propria interiorità psichica. Come rileva ancora Palazzoli Selvini "si
ha spesso l'impressione che queste figliole trapassino bruscamente, alla pubertà, dalla fase del
lattante a quella dell'adolescente, dopo un periodo lunghissimo di latenza, vuoto di esperienze
proprie di successive dis-identificazioni dalla persona invadente, carenti quindi di una verace
consapevolezza di sé medesime. In tal modo il ruolo di donna si impone alla ragazza in pubertà in
maniera improvvisa e scuotente, senza fasi intermedie." Risultato di questo processo alterato di
identificazione con la madre è il vissuto di un corpo pesante, ingombrante, e minaccioso, vero e
proprio tiranno che va affamato con la diminuzione del cibo, onde impedirgli di diventare
immenso, opprimente e pericoloso.
Insorge durante l'adolescenza
Questo vissuto psicopatologico del corpo appare nell'adolescenza, ovvero in quell'età in cui si
rende indispensabile un rinnovamento dei rapporti esistenziali con il mondo esterno, ma che
nell'anoressica finisce per diventare paradossalmente il periodo più critico, quando sperimento
l'incapacità di far fronte alle richieste degli adulti a causa della propria passività e inadeguatezza di
rapporti. "Le nuove difficoltà di rapporto col mondo esteriore, che la ragazza incontra in questa
particolare età della vita, vengono allora in un movimento di difesa convogliate e racchiuse
soltanto nel corpo, che è sempre stato considerato come il ricettacolo degli oggetti malvagi
incorporati: solo così resterà libero il campo, perché su un altro piano le relazioni coscienti fra l'Io
e il mondo esteriore possono essere mantenute nell'ambito della normalità". Anche l'arresto delle
mestruazioni rientra in questa interpretazioni. Segnalando alla paziente un suo essere adulta
(stato psicobiologico inaccettabile per la precarietà e instabilità della sua identità) esse la
obbligano a rifugiarsi, regredendo somaticamente, in quel limbo dell'esistenza in cui l'assenza di
una sessualità manifesta le risparmia la scelta direzionata delle pulsioni e dei suoi desideri, e la
protegge dalla implicita minaccia di maternità, un ruolo in cui le è impossibile identificarsi. In
questa prospettiva il "corpo" rappresenterà l'oggetto materno cattivo introiettato, che dovrà
essere attaccato e affamato perché la sua integrità sarebbe mortale per l'Io della malata. Il rifiuto
dell'alimentazione dunque, con il suo carattere particolarmente ostinato, non esprimerà soltanto come vuole O. Fenichel - una componente anale legata al non voler essere controllata e al
mangiare solo quanto le piace, ma diverrà la sola via di scampo per risolvere, attraverso un
meccanismo di difesa paranoide intrapersonale, il conflitto tra la posizione schizo-paranoidea e
quella depressiva definite da Melanie Klein. La falsa sicurezza e onnipotenza che ne deriveranno l'anoressica vive quasi senza cibo, contrariamente ai comuni mortali - rappresenteranno sul piano
fenomenologico il riflesso di quel narcisismo primario di cui parla Freud, caratterizzato come è
noto dall'esperienza di scariche non coordinate della libido e dal sentimento oceanico di piacere.
"La stima di se stesso - ci ricorda Fenichel - è la coscienza di quanto sia vicino l'individuo alla sua
onnipotenza originale", e l'anoressica per ristabilirla deve eliminare ogni stimolo spiacevole, ogni
tensione istintiva in grado di opporsi alla regolazione della stima di sé.Poiché però il primo
contributo di soddisfazione conferito dal mondo esterno è il nutrimento, esso diviene
contemporaneamente il primo regolatore della stima di sé stessi; ma se il nutrimento, ovvero
l'amore implicito in questo atto, è stato disturbato perché conferito da una figura materna sadica,
diventerà ovvio che, per mantenere la proprio onnipotenza - legata come si è detto alla stima di sé
- l'anoressica deve ricorrere al vomito o al rifiuto del cibo come espressione di fuga da una realtà
inaccettabile. Possono essere interpretati in questo senso molti dei sintomi: oltre al vomito,
l'iperattività motoria, la provocazione di fenomeni diarroici, ecc. Essi rappresentato tutti dei
disturbi di investimento oggettuale, originati da quelle primitive difficoltà di incorporazione e di
introiezione che hanno messo in forse la solidità delle posizioni depressive dello sviluppo dell'Io,
così essenziali per permettere all'adulto una capacità di amare e di rispettare le persone come
individui diversi e autonomi.
La scelta del cibo è ossessiva
Questo succinto quadro d'interpretazione psicodinamica dell'anoressia mentale, benché in grado
di gettare molta luce sull'ambiguità di questa forma morbosa, lascia tuttavia in ombra vari aspetti
psicosomatici che risultano difficilmente spiegabili sulla base delle teorie correnti.
Innanzi tutto è bene chiarire che l'anoressica dimagrisce non soltanto perché ha ridotto la quantità
di cibo assunto, ma soprattutto perché ha modificato profondamente la qualità degli alimenti. Si
potrebbe anzi affermare che il livello di gravità dell'anoressia è proporzionale alla qualità del cibo,
nel senso che negli stadi più gravi l'alimentazione è esclusivamente vegetariana, con scarsissima
introduzione di proteine, mentre negli stadi più vicini alla guarigione cominciano ad affacciarsi
fantasie di cibi carnei, seguiti da un principio di assaggi. All'interno di una stessa categoria di cibi,
per esempio i vegetali, le pazienti in genere prediligono le verdure verdi come l'insalata piuttosto
che i tuberi come le patate o le barbabietole, e nella frutta le ciliegie, albicocche, pesche ecc. in
luogo della frutta secca o di quella esotica. Nella scelta di questi alimenti, che le pazienti ricercano
in genere con ossessiva attenzione, non va vista soltanto l'esigenza di cibi che diano una illusorietà
di sostentamento, calmando gli acuti morsi della fame attraverso la rapida dilatazione delle pareti
dello stomaco; si tratta piuttosto di una vera e propria "intelligenza biologica" in azione, volta ad
assimilare tra gli alimenti quelli più "puri" - così li definiva una paziente - e carichi di energia solare
grazie alla fotosintesi clorofilliana. Nella psiche delle paziente affette da anoressia vi è infatti,
costante e ossessiva - difficilmente espressa in termini espliciti ma sempre presente nelle scelte
inconsce dei cibi - una latente esigenza di rifiutare tutto ciò che possa fare ingrassare il corpo. Se
andiamo in profondità al concetto dell'"ingrassare" ci accorgiamo che non si tratta di un semplice
meccanismo fobico connesso al timore di essere meno attraenti. Nemmeno nasconde
semplicemente l'impossibilità, da parte dell'Io della paziente, di sopportare un mutamento dello
schema corporeo, anche se è ben vero, come ci ricorda G. Pankow, che un Io corporeo sano,
strutturato su un'immagine corporea solida, è la premessa fondamentale per permettere
l'esperienza primaria dell'Io psichico. Se pensiamo che l'anoressica mentale presenta una
grossolana ferita narcisistica localizzata proprio in quelle arcaiche fasi dello sviluppo psicosessuale
importantissime per edificare un'immagine corporea adeguata, è evidente che la fragilità dello
schema corporeo sarà in parte responsabile della sua paura di ingrassare. D'altra parte è però
anche vero che questa alterazione dell'immagine corporea è molto strana, quasi selettivamente
orientata sul cibo e sul suo significato introiettivo, perché su altri piani, che presuppongono l'uso
del corpo (divertimento, ballo, estetica, ecc.) non si evidenziano particolari alterazioni nella
capacità di servirsi del corpo in modo adeguato. Evidentemente nella fobia di ingrassare si deve
nascondere un meccanismo più arcaico, collegabile con altri comportamenti specifici di queste
malate. Molte pazienti ad esempio ricorrono con modalità quasi tossicofiliche all'uso continuo di
lassativi, per diminuire la tensione addominale dopo l'ingestione delle pur modeste quantità di
cibo, mentre altre, per risolvere lo stesso inconveniente, ricorrono più frequentemente al vomito.
Altre ancora, nonostante l'estremo dimagramento, sono assidue frequentatrici di saune e palestre,
oppure mantengono un'attività fisica altamente dinamica in netto contrasto con lo scadimento
delle loro condizioni fisiche.
Perché tanta attività fisica
L'interpretazione di quest'ultimo fenomeno mi venne offerta da una paziente: durante una seduta
essa affermò che ricercava l'attività fisica continua per due particolari ragioni: in primo luogo
dimostrare a sé stessa, e indirettamente agli altri, di "essere capace di vivere senza cibo" onnipotenza primaria - ma soprattutto perché il sudore che emetteva dalla pelle rappresentava
per lei un "vomito" molto più radicale di quello alimentare, un vero e proprio "vomito del sangue",
emesso da infinite "bocche", i pori della pelle. In altri casi osservai come negli stadi avanzati della
malattia molte pazienti tendevano ad esporsi molto frequentemente al sole, non per abbronzarsi
o per essere attraenti, ma per l'esigenza, come disse una paziente, di "bere il sole per nutrirsene".
Guidato dai miei interessi per la psicosomatica e dalla conoscenza delle medicine tradizionali e dei
loro simboli, osservai ben presto che il vomito, le purgazioni, le sudorazioni, come pure l'erotismo
arcaico della pelle (esposizione al sole), potevano essere ricondotti a un'identica linea
interpretativa, che vede nel sangue e nell'esigenza di purificarlo "rendendolo acqua" il substrato
funzionale archetipico riattivato dalla regressione operante nella patologia. È noto infatti che nelle
antiche medicine vitalisitiche orientali e occidentali si ritrovano spesso tecniche terapeutiche
(vomificazione, purgazioni, sudorazioni, ecc.), curiosamente sovrapponibili agli strani rituali
fisiologici presenti come sintomi nell'anoressia mentale. Ciò che spesso non viene posto nella
dovuta evidenza è che tali tecniche terapeutiche non avevano soltanto lo scopo di recuperare uno
stato di salute al corpo ammalato, ma per la sostanziale corrispondenza che il corpo ha con la
psiche, rappresentavano anche utili ricette per risolvere esperienze conflittuali radicate
nell'inconscio dei malati. È alla luce di questi dati che ho strutturato le successive indagini nelle
pazienti. Devo purtroppo in questo breve articolo, a rischio di apparire dogmatico, riassumere
tutta una vasta mole di lavoro condotto per più anni su svariate pazienti, onde presentare al
lettore un quadro sufficientemente omogeneo dei risultati ricavati dalla elaborazioni
fantasmatiche delle anoressiche, secondo il loro grado di regressione. Ho parlato più sopra di una
riattivazione funzionale, nell'anoressia mentale, dell'archetipo del sangue. A questa conclusione
ero giunto constatando che, per prima cosa, esiste in tutte le paziente anoressiche sin dall'esordio
della malattia una vera e propria fobia della carne, in particolare di quelle rosse, a causa della
presenza del sangue. Inoltre tra le verdure che si concedono come alimento molte escludono il
pomodoro, definito da una paziente come un "utero ripieno di sangue mestruale".
Un'altra paziente, a un particolare livello di terapia, considerava un successo l'essere stata capace
di mangiare tutta una pera. Mi spiegava tale successo con il fatto che, mentre nelle fasi più gravi
della malattia riusciva a mangiare solo la parte più appuntita gettando il resto, in seguito era
riuscita a inghiottire la parte tonda. Affermava infatti che la parte appuntita rappresentava un
piccolo pene che lei poteva "dominare" - come d'altra parte i cetrioli sott'aceto o le carote, purché
"piccole e tenere", non le banane perché "troppo grosse" - mentre la parte più larga della pera le
ricordava un "utero grosso", che non poteva assimilare. Era evidente il trasferimento sugli alimenti
delle caratteristiche psicologiche dei propri genitori: il padre, "un ometto inoffensivo" la madre,
una virago dotata di un utero enorme. La sua intelligenza viscerale, nelle fasi più gravi della
malattia, era intervenuta ad eliminare proprio il frutto che più di altri le evocava il rapporto
conflittuale con la madre. D'altro canto che la pera, tra tutti i frutti, sia la più dotata di
caratteristiche materne è dimostrato, oltre che dalla sua forma, dal rituale misterico di Eleusi, in
cui il Gran Jerofante, davanti al miste in attesa di vedere la dea della fecondità, estraeva dal
tabernacolo sacro proprio una pera, per indicare nella forma del frutto il simbolo di una fecondità
agraria rituale. Mangiare la pera diventava per la paziente assimilare una funzione femminile
archetipica che inevitabilmente doveva interferire con la sua funzione femminile non ancora
sviluppata. Un'altra paziente a un livello meno grave di malattia aveva vissuto un'analoga
esperienza. Per lei il cibo vissuto con particolare conflittualità era stato il pesce, che considerava
un gradino più avanti rispetto ai normali insaccati di cui frequentemente si cibava. La motivazione
addotta per questa "conquista" alimentare era che il pesce per lei rappresentava un cibo più
costoso degli insaccati, quindi maggiormente gratificante per il suo Io; il fatto di essere un cibo in
sé "completo come forma", in quanto dotato di testa e di coda, la induceva a pensare di
cominciare a poter accettare in modo completo la realtà. Per tutte lo scoglio alimentare era
rappresentato dal "famigerato filetto al sangue" - così l'aveva definito un'altra paziente,
terrorizzata letteralmente dall'eventualità di sentire in bocca un sapore di sangue.
Mangiare solo i "frammenti"
Da queste brevi osservazioni e numerose altre, è possibile fornire una serie di punti di riferimento
sufficientemente definitivi per inquadrare in modo più preciso che non l'intuizione clinica
transferale, lo specifico livello di regressione presente ai vari stadi della malattia; inoltre è anche
possibile, una volta che si comprenda la maggiore o minore gravità dello specifico livello di
malattia, fornire ad essa risposte terapeutiche particolarmente sintoniche, evitando o limitando
quelle esperienze frustranti d'impotenza terapeutica così frequenti nella cura di questa patologia.
L'osservazione clinica mi ha portato alla convinzione che un'accurata semeiotica della scelta del
cibo e della sua assunzione è fondamentale per stabilire il livello di regressione di queste pazienti.
Ho già più sopra distinto il differente significato di assunzione dei cibi vegetali rispetto a quelli
animali, evidenziando come il ricorso a un'alimentazione quasi esclusivamente vegetale denoti un
livello di regressione più grave. All'interno di questa regressione è poi importante la funzione di
assimilazione legata o meno all'incorporazione di "forme" di cibi più o meno complete. Negli stadi
più gravi dell'anoressia si registra, infatti, con puntuale regolarità la tendenza ad assumere cibi non
integri nella loro forma naturale (es. bocconi di frutta, di verdura, assaggi di pane, briciole ecc.),
come se esistesse la necessità inconscia di "spezzare" o frantumare l'originaria struttura formale
del cibo. A questo livello di regressione sul piano esistenziale, la malata riduce le proprie relazioni
con il mondo esterno a piccoli "frammenti", proprio come fa con il cibo. Un ulteriore livello
regressivo lo si registra quando l'alimentazione si fa progressivamente più liquida, scegliendo
bevande di nessun contenuto calorico come il caffè o bibite povere di zuccheri. In particolare nella
scelta dell'alimentazione liquida abbiamo la riprova della validità delle osservazioni di K. Abraham,
quando distingue nella fase orale, un aspetto pre-ambivalente del rapporto oggettuale legato al
piacere del succhiare da uno ambivalente legato al piacere del mordere. Aggiungerei poi che
l'alimentazione liquida, per l'assenza di una forma specifica in sé del liquido, risparmia alla
paziente un confronto acuto, e per lei angoscioso, con una realtà esterna sufficientemente
organizzata in strutture formali definite simbolicamente (quelle dei cibi solidi) e come tali difficili
da assimilare. Ciò fa pensare che nell'inconscio di queste malate siano attive cariche distruttive tali
da permettere la sopravvivenza solo di frammenti di un Io fluido e quasi senza consistenza, allo
scopo di risparmiarsi il confronto con una realtà esterna "formale" rigidamente strutturata. Va
anche notato che in sé questa regressione ha comunque un fine parzialmente incorporativo nei
confronti del mondo esterno, perché una "forma solida" può appunto essere assimilata oltre che
frantumata a piccoli pezzi (aggressività attiva e manifesta) anche sciogliendola e disperdendola
nella struttura del liquido (aggressività larvata e passiva). Ciò significa che dal punto di vista del
livello regressivo, a questo stadio di malattia nell'anoressica risultano attive due componenti:
1) Una necessità di introiettare comunque il mondo esterno, mantenendo con esso una possibilità
di relazione ai fini della sopravvivenza dell'Io.
2) Una incapacità a strutturare un rapporto oggettuale se non sulla base di una preventiva
"disorganizzazione" della forma esterna dell'oggetto, fino a renderlo omogeneo nella sua fase
liquida.
Il significato del digiuno
La psicoanalisi parlerebbe a questo punto di regressione alla posizione schizoparanoidea della
Klein, fase in cui il lattante ha un esclusivo rapporto con il seno materno; tuttavia l'osservazione
clinica che quasi tutte le anoressiche detestano il latte e che nella massima regressione ricercano
bevande e liquidi assolutamente non nutritivi sul piano della vita animale, mi ha indotto a
formulare l'ipotesi, poi confermata da una mia paziente, che sia in atto in questa malattia una
regressione psichica di tipo filogenetico ai confini della vita vegetale. Cercherò di spiegarmi meglio.
Ho osservato nelle anoressiche, man mano che cessano di nutrirsi, alcuni fenomeni curiosi che
meritano un'attenzione particolare. Innanzi tutto le pazienti, anche nelle fasi estreme della
malattia sono molto lucide, e in grado di ragionare perfettamente e coerentemente su tutti i
problemi della loro vita, ad esclusione del loro rapporto col cibo; poi, e questo è un dato non
adeguatamente valorizzato dalla letteratura, negli stadi avanzati della malattia denotano una
sensibilità quasi morbosa verso i colori, i suoni e gli odori, quasi che la loro capacità percettiva sia
improvvisamente aumentata e resa più sofisticata; sono in grado di distinguere perfettamente un
accordo musicale armonico, e osservano i colori con studiata attenzione, percependo sfumature
quasi del tutto inapparenti.
Hanno poi una spiccatissima sensibilità verso la luce solare, ricercata in un continuo contatto con
l'epidermide, mentre l'avvertono fastidiosa per gli occhi; la temperatura corporea, nonostante
l'estrema riduzione dell'apporto calorico, non è particolarmente bassa, e sul piano dinamico,
nonostante l'estrema atrofia dei muscoli, si muovono come se non avvertissero fatica.
Guidato dai miei studi antropologici sulla funzione della fame e del digiuno, osservai in accordo a
vari autori, che presso gli antichi come anche fra i primitivi, l'abolizione del cibo in precise
situazioni rituali aveva lo scopo di purificare il corpo in vista dell'unione con la divinità. In più
l'esperienza del digiuno, condotta per esempio dai seguaci del Jainismo, con lo scopo non di
castigare il corpo ma di portarlo progressivamente a una sorta di indipendenza dai suoi bisogni,
conduceva i praticanti ad avere fisiologicamente delle esperienze di estrema lucidità, al fine di
raggiungere uno stato di identificazione con la divinità. Ma qual è la premessa funzionale affinché
il digiuno sia effettivamente purificatore? Me lo chiarì una paziente anoressica, spiegandomi
lucidamente il significato inconscio e funzionale del digiuno. Si trattava di una giovane paziente
molto intelligente e addentro agli studi di biologia, come molte altre pazienti aveva letto le opere
classiche della psicoanalisi, apparentemente nel tentativo, come affermava, di "comprendere
meglio", in realtà per esercitare un più attento controllo sul terapeuta. In occasione di una seduta
affermò che "nessun terapeuta aveva capito molto dell'anoressia, perché il vero motivo del
digiuno era un altro... Quando noi non mangiamo, lo facciamo perché desideriamo che il nostro
sangue diventi sempre acqua, infatti se il nostro sangue è "pulito", allora il nostro cervello non ha
più emozioni e il nostro corpo non più schifosamente grasso non è più un problema... Se potessi
vorrei vivere d'aria e di luce, come le piante...".
Fui colpito da questa interpretazione che mi riportava pari pari in piena filosofia orientale, là dove
è detto che lo scopo dei rituali purificatori era quello di trasformare l'uomo animalesco, dominato
dai bisogni e dalle passioni, in un essere sacralizzato, libero dalle "infezioni" della carne e delle
bevande inebrianti e aprirlo così all'assimilazione degli elementi sottili della vita.
Nella spiegazione della malattia fornitami dalla paziente si poteva ritrovare una sorprendente
analogia con il significato simbolico della purificazione presente come rituale in tutte le filosofie
tradizionali (ricordiamo a questo proposito il significato di purezza rituale che i sacerdoti e le
sacerdotesse di Artemide Hymnia dovevano rispettare nel culto della dea presso Orcomeno di
Arcadia, come pure la purezza morale delle vergini sacra al culto di Innini Ishtar ecc.), ma
emergeva anche il senso perenne di un archetipo funzionale attivato, che poteva contribuire non
soltanto a spiegare il conflitto profondo di questa forma morbosa, ma soprattutto a gettare uno
sguardo illuminante e preciso sul significato di una fisiologia occulta degli organi, ritrovata come
simbolo nelle produzioni immaginarie delle pazienti. Nella fantasia del "sangue purificato come
acqua" emergevano oscuri significati di ritorno a quelle condizioni filogenetiche parzialmente
descritte da Ferenczi nel saggio Thalassa.
La regressione "vegetale"
La scelta di rinunciare all'alimentazione carnea e quindi alla masticazione, rappresentava un rifiuto
del cannibalismo, ovvero di quella condizione libidinosa per cui "i denti rappresentavano degli
strumenti grazie ai quali il bambino tenta di penetrare nel corpo materno". Nella nostra situazione
la regressione era più totale: nel desiderio fantastico di vivere come una pianta, i denti
rappresentavano le simboliche radici che, affondate nella Madre Terra, traevano da essa il
nutrimento per la propria sopravvivenza, mentre dalle foglie veniva assimilata l'energia del Padre
Sole, quel padre che non era mai esistito, ma che ora era indispensabile alla vita.
Ciò che la paziente tentava di esprimere con quel simbolismo arcaico, era la necessità di
ricostruirsi una propria identità, ancorché filogeneticamente regredita, fra una Madre (la Terra)
finalmente nutrice benevola, e un Padre (il Sole), finalmente protettore e carico d'amore. Per
realizzare questa regressio, sorprendente era poi la notazione della trasformazione quasi
alchemica del "sangue in acqua". Evidentemente il sangue, nelle sue fantasie inconsce, rimandava
ad una carne-corpo-madre cattiva introiettata che non potendo essere trasformata in una
creatura nutritiva e benigna, poteva essere recuperata come tale solo ricorrendo ad una
regressione filogenetica arcaica: la Terra come archetipo della Vita. La stessa osservazione poteva
essere fatta per la scelta del simbolismo del Sole come Padre, in quanto nulla più del Sole esprime
l'archetipo di un'onnipotenza protettrice e fecondante.
Collocandosi come vegetale-creatura che vive tra la terra e il sole, la paziente esprimeva dunque la
propria necessità di una famiglia, nel nostro caso cosmica, in cui il ruolo nutritivo e quello di
protezione fossero esattamente stabiliti al fine della propria identità. È forse su questa base che si
può spiegare perché l'anoressia cominci spesso con un arresto delle mestruazioni, anche perché
non si raggiunge una guarigione completa finché le mestruazioni non ricompaiono. L'amenorrea e
il dimagrimento non rappresentano, come vogliono alcuni psicanalisti semplicemente "un
tentativo di arrestare il tempo, di non crescere, di tornare all'infanzia e nelle dimensioni e nel
comportamento....." ma stanno ad indicarci una vera e propria fobia del sangue inteso come
simbolo che identifica la madre (in quanto segnale del potere generativo femminile) - la cui
comparsa alla pubertà impone violentemente alle pazienti di essere simili alla genitrice,
inconsciamente odiata. Con le mestruazioni la paziente è sempre più identificata alla madre (la
quale a sua volta ha avuto le mestruazioni per poterla generare), che ora, nell'analogia comune del
sangue finisce per perseguitarla non più solo dall'esterno con la sua presenza reale, ma
soprattutto dall'interno del suo stesso corpo con la propria funzione fantasmatica.
In questa prospettiva la mestruazione finisce per assumere il significato concreto e fisiologico di
un'introiezione materna avvenuta malgrado il rifiuto inconscio primario ad assimilarla come figura
tirannica e oppressiva. A questo punto, onde evitare di essere divorata dall'interno, senza
possibilità di scampo, l'unica via che rimane aperta nell'anoressia è quella di trasformare il sangue
(madre cattiva) in acqua (nutriente e feconda), onde pervenire a quella condizione ideale di
famiglia finalmente ricostruita. Per inciso, vorrei notare a sostegno di questa tesi come nella
nutrizione vegetariana e liquida povera di proteine, la quantità di sali minerali è invece
elevatissima, sali che si possono disciogliere nel sangue-acqua e vengono elaborati nel processo di
fotosintesi determinato dall'esposizione della pelle-foglie al sole.
Immagini eloquenti
Ho ritenuto utile inserire in questo articolo alcuni disegni di pazienti anoressiche, in quanto meglio
di ogni altra osservazione possono contribuire a evidenziare il vissuto inconscio di alcuni aspetti
psicopatologici prima accennati:
n. 1: Un disegno molto preciso per indicare il profondo stato di depersonalizzazione somatopsichica della paziente. "La mia testa è piena di tante formiche come in un formicaio. Sono le mie
idee sul cibo. Se le scaccio o le uccido ce ne sono altre che nascono dalle uova che un giorno si
schiuderanno, impedendomi di vivere". In questo disegno carico di angoscia, Anna non ha più
un'identità, ma sembra quasi un pupazzo con parvenze femminili.
n. 2: Questo disegno evidenzia il profondo vissuto di depersonalizzazione e derealizzazione della
stessa paziente, dominata dall'aggressività materna. "Gli altri sono per me tanti fantasmi, che mi
girano attorno senza che io possa impossessarmi della loro gioia o del loro dolore..."
n. 3: "L'utero e le mestruazioni, con la mia paura di essere incinta". Anna qui raffigura nell'utero
un'espressione malvagia, quasi di sordido sberleffo per delle mestruazioni che non arriveranno
mai. Per ribadire come l'utero-sangue appartenga a una madre cattiva introiettata. È interessante
notare come nella parte interna dell'utero vengano disegnate due curve simmetriche, due
mammelle mostruose e persecutorie (perché dotate di occhi) e una bocca con lingua che sporge
(una vagina larga con un fallo in evidenza) appartenente a una virago-madre che sparge con
abbondanza il sangue derivato da una figura ambigua, ma che ricorda un embrione immerso nel
liquido amniotico. È presente anche il tema del fiore-essere vegetale come possibile compenso
regressivo a quella scena da "festa di sangue" messa in atto dall'utero mostruoso.
n. 4: "Noi uomini siamo come le piante, che diamo i nostri frutti quando siamo coltivate con
amore". Ancora ricorre il tema della pianta come regressione filogenetica rispetto al mondo del
sangue diventato insopportabile. La pianta disegnata è caratterizzata da evidenti segni persecutori
(gli occhi) e dal tema della voracità feroce (la bocca smisurata). La tavola è dominata dalla
presenza di un grosso frutto, una specie di melanzana vistosa.
n. 5: La malattia vissuta come pesce cannibale o vampiro. La paziente aveva interpretato questo
disegno come la "realtà che si nasconde dietro la mia maschera". "Mi sento come un vampiro che
succhia il sangue o anche un pesce cannibale che divora tutto...". Evidente è qui il tema,
dell'aggressività orale come manifestazione diretta della libido materna introiettata. La madre
cattiva dispersa nel sangue come un vampiro impone sacrifici crudeli per la propria
sopravvivenza...
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Scheda: Il 97% è di sesso femminile. La storia dell'anoressia mentale e quanto mai controversa.
Nonostante sin dal 1500 un medico italiano, Simone Porta, avesse descritto le linee essenziali di
tale forma morbosa, si deve aspettare il trattato di R. Morton del 1689 per avere un
inquadramento sufficientemente preciso di questa strana forma di "consunzione nervosa" che
portava il corpo dei pazienti a dimagrire vistosamente sino a ridursi allo stato di "scheletro
rivestito solo dalla pelle". Si arrivava a tale estrema condizione in seguito a una progressiva perdita
dell'appetito, accompagnata da disturbi della funzione digestiva, ad amenorrea e a una incessante
attività motoria, palesemente in contrasto con lo stato di estremo dimagramento del corpo. È solo
con le fondamentali osservazioni di Freud e dei suoi discepoli come K. Abraham e M. Wulff che
nella patogenesi dell'anoressia mentale si riconosce la presenza di conflitti inconsci, regressivi a
fasi pregenitali dell'organizzazione libidica, opponendosi in ciò alle concezioni cliniche del tempo
(C. Lasègue) e a quelle dei neurologi (W. Gull) che la consideravano come una generica
"perversione intellettuale", o come il risultato di un'alterazione delle branche gastriche del nervo
pneumogastrico su base cerebrale. Negli anno 1940-50 la nozione di anoressia mentale viene ad
assumere un significato più preciso, distinguendosi sia dalla cachessia di Simmonds - malattia
legata a insufficienza ipofisaria - sia dalle altre forme di anoressia legate a rifiuti alimentari isterici
o schizofrenici. Attualmente per anoressia mentale si intende una sindrome clinica che colpisce nel
97% dei casi ragazzi nel periodo della pubertà o della prima adolescenza e si caratterizza per una
perturbazione dell'appetito con riduzione dell'alimentazione a proporzioni estremamente basse.
Altre volte l'assunzione del cibo, pur ridotta, è ancora conservata, ma subentrano allora vomiti
ripetuti e disturbi intestinali (diarree), provocati artificialmente dalla paziente; la riduzione
dell'alimentazione ben presto procura un'emaciazione completa, con atrofia cutanea, perdita di
capelli e in qualche caso un'abnorme pelosità agli arti e al pube. L'aspetto è particolarmente
sofferente. Il viso pallido, tirato, con gli zigomi e la mandibola in evidenza, i grandi occhi cerchiati e
la quasi completa atrofia muscolare, contrastano spesso con una certa iperattività motoria e con la
tendenza in queste pazienti a mantenere una cura accentuata del viso, che viene truccato con
maniacale attenzione, raggiungendo l'effetto estetico di una maschera funebre, come nelle
pratiche paradossali delle imprese di pompe funebri americane quando vogliono camuffare con il
belletto l'espressione della morte. Accanto a questi sintomi esiste sempre un'amenorrea, che in
alcuni casi precede addirittura il dimagrimento, mentre in altri casi è la conseguenza delle turbe
ormonali indotte dall'emaciazione.