pizzo calino - Le Montagne Divertenti

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pizzo calino - Le Montagne Divertenti
LE
PIZZO STELLA
Un anello alpinistico
ricordando le battaglie
partigiane
FUNGHI
MO N TA G N E
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
TRIMESTRALE DI ALPINISMO E CULTURA ALPINA
AUTUNNO 2007 - € 2
Diver tenti
LE
PIZZO STELLA
Un anello alpinistico
ricordando le battaglie
partigiane
FUNGHI
Passione mortale
Passione mortale
PIZZO CALINO
PIZZO CALINO
Un vulcano in
Val Fontana
Un vulcano in
Val Fontana
VALGEROLA
VALGEROLA
Il sentiero Tre Signorie:
l’alta via dei formaggi.
Il sentiero Tre Signorie:
l’alta via dei formaggi.
IL MORSO DEL
BASILISCO
IL MORSO DEL
BASILISCO
Viaggio nelle valli di
Piateda e ascesa alla
Punta di Scais
Viaggio nelle valli di
Piateda e ascesa alla
Punta di Scais
LAGHI SEROTI
LAGHI SEROTI
Una costellazione di
laghi a pochi passi dal
Mortirolo
Una costellazione di
laghi a pochi passi dal
Mortirolo
VALMALENCO
VALMALENCO
A caccia di minerali e
contrabbandieri
A caccia di minerali e
contrabbandieri
IL TESORO DI
VETTA
IL TESORO DI
VETTA
A caccia delle bottigliette nascoste fra picchi e valli per vincere
ricchi premi.
A caccia delle bottigliette nascoste fra picchi e valli per vincere
ricchi premi.
E INOLTRE
POESIE, NATURA,
PARAPENDIO,
RICETTE, GIOCHI ...
E INOLTRE
POESIE, NATURA,
PARAPENDIO,
RICETTE, GIOCHI ...
Viaggi nelle nostre valli
alla riscoperta di territorio, cultura e tradizioni
VALCHIAVENNA  BASSA VALLE  VALMASINO  VALMALENCO  VERSANTI RETICO E OROBICO  ALTA VALLE
MO N TA G N E
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
TRIMESTRALE DI ALPINISMO E CULTURA ALPINA
AUTUNNO 2007 - € 2
Diver tenti
Viaggi nelle nostre valli
alla riscoperta di territorio, cultura e tradizioni
VALCHIAVENNA  BASSA VALLE  VALMASINO  VALMALENCO  VERSANTI RETICO E OROBICO  ALTA VALLE
EDITORIALE
Beno
A
gambe incrociate sullo stretto
cocuzzolo di quest’alta montagna.
Vorrei il tempo si fermasse.
Due piccole croci accanto a me e Matteo.
Il vento s’intrufola nella nostre magliette per farci
scendere, ma non ci riusciamo a muovere tanta è la
bellezza di questi luoghi, tanto siamo stanchi per le nebbie,
per le gande e i canali saliti a vuoto finchè l’anima del
grande Bonomi non ci ha aperto le nubi e illuminato la via
giusta per arrivare quassù.
Punta di Scais. Nessuno parla.
Vorrei il tempo si fermasse.
Quante sono le vette contro cui s’infrangono gli ultimi raggi di sole?
Non le conosco nemmeno tutte.
Le vette dimenticate, una costellazione, ma se lo raccontassimo nessuno ci
crederebbe, se le fotografassimo stenterebbero a chiamarle Valtellina.
Invece io stenterò a chiamare autunno questa stagione se non sentirò più i
campanacci delle mucche chì müda o l’odore dei braschè, se la mia schiena non
appiccicherà ancora per il succo dell’uva nella brenta, se non vedrò più -le prime
brinate su-i prati del fondovalle, se non la smetteremo di fare a pezzi tutto.
Vorrei il tempo si fermasse.
SANT SIMÙN
ARTURO BARACCHI (BARACHÌN) *
In utùbra, el vintòtt, Sant Simùn
al pitüra tütt quànta la vall
de rus föc e pö d’or e marùn,
de viölla, de vert e de giàlt.
Dai invòlt ün prufüm de turciàdech
al se spant per i pòrtech di cà,
i braschè de marùn e salvàdech
sur la bràşa i-è dré a bruşegà.
SAN SIMONE
In ottobre, il ventotto, San Simone
pittura tutta la valle
di rosso fuoco, di oro e di marrone
di viola, di verde e di giallo.
Dalle cantine un profumo di vino appena torchiato
si spande per i portici delle case,
le caldarroste di marroni e di castagne selvatiche
sulla brace si stanno rosolando.
Gh’é la breva che ven sü dal lach
che ingubìs i salésc de Bustéggia,
al gh’é ‘n pass d’ulscelìn che va strach
vers el su che da giù ch’al gurghéggia.
C’è la brezza che vien su dal lago
che ingobbisce i salici di Busteggia,
c’è un passo di uccellini che stanchi
vanno verso il sole che tramonta gorgheggiando.
Du vachìnna int ün prà i fa butìn
tüta urnàda de brunza, e, ün po’ in giù,
cun tre frasca e quài ramelìn
al fa ‘l ròcul ün vécc’ casciadù.
In un prato due vaccherelle ornate di campanacci
pascolano l’ultima erba,
poco sotto, con tre frasche e qualche ramoscello
prepara il suo appostamento un vecchio cacciatore.
Sur i türch gh’é vergùtt che brigùla
che se möf tra l’umbrìa e ‘l sulìf:
l’è ‘n gul d’òdula che cunt la gula
a Diu i trilla la gioia de vif.
Sopra i campi di granoturco c’è qualcosa che freme,
che si muove fra l’ombra e il soleggiato
è un volo di allodole che con la gola
trillano a Dio la gioia di vivere.
Sü dal ròcul al ven ün gran trun
ch’al rembumba tra munt, vai e cà,
‘n ulscelìn cunt ün ala a dun-dùn
al se gira e dagiù sur al prà.
Dall’appostamento viene un gran tuono
che rimbomba fra monti, valli e case,
un uccellino con un ‘ala spezzata
si gira e cade sul prato.
L’è scià nocc’... tütt l’è fermu... ‘n incànt
Par che i man l’abi stes si la terra...
tütt l’è citu, gnè trilli gnè cant,
gh’è ciü niént che se möf u fa guèrra.
...sul du ciümma bagnàda de sanch
sur un bòsul che spüzza da mort.
* poeta dialettale di Montagna in Valtellina
Si fa notte ... tutto è fermo ... una magia
sembra abbia steso le mani sulla terra.
tutto tace, non ci sono più nè trilli nè canti,
nulla più che si muove o fa guerra.
...solo due piume bagnate di sangue
sopra un bossolo che puzza di morte.
traduzione in italiano dal dialetto muntagnùn
Le Montagne Divertenti
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e
Valchiavenna
Registrazione
Tribunale di Sondrio n° 369
Editore
Beno
S OMMARIO
Direttore Responsabile
Maurizio Torri
Caporedattore
Enrico Benedetti (Beno)
Redazione
Roberto Moiola
Gioia Zenoni
Realizzazione grafica
Beno
Hanno collaborato
Massimo Dei Cas, Giordano Gusmeroli, Carlo Pelliciari, Roberto Lisignoli, Mario Pagni, Marino Amonini,
Luciano Bruseghini, Luciano Benedetti, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Josef Ruffoni, Arturo Baracchi,
Franco Benetti, Michele Corti, Elia Negrini, Gianfranco Conforti, Matteo Tarabini, Damiano e Samuele
Miotti, l’Associazione Micologica Retica di Sondrio,
Paolo Della Torre, Fabio Pusterla.
Si ringraziano inoltre
Franco e Marina Monteforte, Franco Pinchetti,
Eugenio Formolli, Gianna Baldini, Enzo e Laura di
Altroverso, Luigino Negri, Nino Gianola, Marco De
Gasperi, Floriano Lenatti, Mirko Rosina, Johnny
Mitraglia, Maurizio Cittarini, Fabrizio Picceni, Maria
Della Torre, Mirko Farina, Giulio Bongiascia, Miriam
Cipriani, Luca Salini, Serena Piganzoli, Sonia Travaini, Foto Bongiascia a Sondrio, tutti gli edicolanti che
ci aiutano nel promuovere la rivista e tutti gli sponsor
che credono in noi e in questo progetto.
Un saluto speciale a Ferruccio Vanotti.
Redazione
Via S.Francesco, 33 – 23020 Montagna (SO)
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21 dicembre 2007 - E 2,00
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Tipografia Altroverso
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Disegni Carlo Pelliciari ([email protected])
Cartografia Beno
Referenze fotografiche
Amonini Marino (sommario,33,56)
Archivio CAI Valtellinese (22a,51a,57b)
Archivio Nino Gianola (64b)
Ass. Micologica Retica (74,75,76,77,78,79,80,81)
Benetti Franco (52a,53a-b-c)
Beno (editoriale,4,5a,6a-b,7,11,12a-b,13,15a-b-c,17,2
4,26,29,30,31,32,34,35,44,45,46b,52a,60,61,71a,72)
Conforti Gianfranco (41,42,43)
Fabio Pusterla (17b)
Dina Pollini (22a)
Gioia Zenoni (18,19)
Luciano Bruseghini (58,59)
Roberto Moiola (copertina,poesia,5b,47,50,51b.62,6
3,64a,65a-b,66,69,70,71b,76,77,82)
Roberto Lisignoli (8a)
Riccardo Scotti/SGL (1,8b,37,38)
Matteo Tarabini (3a)
Mario Pagni (56)
Josef Ruffoni (46a)
Elia Negrini (57a)
Alberto “Ometto di Sasso” (3b)
Gianmario Lucini (27)
www.lemontagnedivertenti.com
In copertina: L’autunno a Sacco in Val Gerola. Foto Roberto Moiola (www.sysaworld.com).
Editoriale: 15 ottobre 2006, il tramonto dalla Punta di Scais. Foto Beno (www.vai.li/montagne-divertenti).
Sfondo poesia: Foglia d’uva. Foto Moiola.
A fianco: Autunno 1989, letto di foglie a Cà Bongiascia (Montagna). Foto Marino Amonini.
Ultima di copertina: 12 novembre 2006. Le ultime luci dell’autunno fra i larici di Selva in Valfontana. Foto Beno.
Prossimo Numero in uscita il 21 dicembre a soli 2 euro!
LEGENDA
SPIEGAZIONE DELLE SCHEDE TECNICHE
Una breve e divertente spiegazione dei gradi di difficoltà (“scala Beno”) che vengono assegnati agli itinerari nelle schede
sintetiche, così che possiate scegliere quelli a voi più congeniali. I gradi si riferiscono alla giornata in cui è stato compiuto
l’itinerario, sono quindi influenzati dalle condizioni meteo trovate. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano
dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. In DETTAGLI, invece, viene espressa la difficoltà in caso di condizioni ideali del tracciato secondo la scala alpinistica convenzionale.
Grado difficoltà
Spiegazione
0
Ottimo anche per anziani non autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale
per la camporella, anche per le coppiette meno esperte.
1
Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio
mettere qualche provvista e qualche vestito.
2
Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche.
3
Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (d’obbligo abito da sera e mocassini). E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate!
4
E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e
muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia.
E’ consigliabile una guida.
5
Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a
tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati.
6
E’ una valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisico-atletica, buona esperienza alpinistica, sprezzo del pericolo con barba lunga e incolta.
SIMBOLI
Con una scala da 0 a 3, le faccine vi riassumeranno
per ogni itinerario
bellezza
Alpinismo
Escursionismo
fatica
Ricette
pericolosità
Natura
Valchiavenna
PIZZO STELLA
(m 3163)
L
a più famosa vetta della Valchiavenna, fu spettatrice delle
battaglie partigiane nella seconda guerra mondiale.
ASCENSIONE A
VA
L C H I A V E N N A
PIZZO STELLA E PIZZO PELOSO
Enrico Benedetti (Beno)
28 ottobre 2006.
La testata della valle di Angeloga vista dal lago Caldera.
PARTENZA: Soste (m 1442).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Chiavenna prendere la SS 36 per il Passo dello Spluga (direzione N). Dopo aver
superato San Giacomo Filippo e Prestone (11 km) si giunge a Campodolcino. Si devia a dx e si salgono 4 ripidi
km di tornanti per Fraciscio (m 1341) e si lascia l’automobile in
località Soste (m 1440).
ITINERARIO SINTETICO: Le Soste (m 1440) - Angeloga (m 2044) - Pizzo
Stella (m 3163) – Ghiacciaio Ponciagna - Pizzo Peloso (m 2780)
- Lago Nero e Lago Caldera (m 2351) - Angeloga - Fraciscio.
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 9 ore per l’intero giro.
ATTREZZATURA RICHIESTA:
imbracatura.
Scarponi, piccozza, ramponi, corda,
DIFFICOLTÀ: 3- su 6 per lo Stella dalla normale, 4 per la discesa dal versante
N e Pizzo Peloso.
DISLIVELLO IN SALITA: complessivamente oltre 2000 metri.
DETTAGLI: PD = Scalata con difficoltà alpinistiche fino al III grado. Passaggi
molto ripidi su ghiacciaio. EE/f- per il solo Pizzo Stella dalla
Via Normale.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
PIZZO STELLA
- 3
A
VA
L P I N I S M O
I
l pizzo Stella è la montagna più
conosciuta della Valchiavenna, e al
contempo uno dei 3000 più panoramici e facilmente raggiungibili delle
nostre montagne. Si distingue per la
sua forma piramidale e per la vasta
superficie glacializzata che ne ricopre
il versante N, quello che guarda la
Svizzera e il lago di Lei. Basta avere
un po’ di gamba, un minimo d’esperienza di montagna e la vetta è conquistata.
27-28 ottobre 2006
Arriviamo a Fraciscio che è già
buio, così ceniamo e dormiamo alle
Soste, accampati in un piccolo
cenacolo d’abeti e betulle.
La notte passa tranquilla. Né freddo,
né vento. Strano,
è quasi novembre.
C
i
svegliamo molto
prima del
sole e,
rimesse le
tende in
macchina,
c’incamminiamo lungo la
pista sterrata (E)
che costeggia il torrente Rabbiosa.
Sempre sulla dx idro-
grafica, dopo circa un chilometro,
la strada si riduce a mulattiera, poi
s’allontana dall’alveo del torrente. Alcune serpentine risalgono la
scarpata settentrionale della valle e
ci portano a una fascia rocciosa. La
traversiamo verso E su una comoda
cengia e, dopo uno strappetto fra
pietre bagnate, sbuchiamo nella
placida piana di Angeloga. Aggiriamo da sx la prominenza erbosa su
cui è issato il Monumento ai Partigiani, nell’aprile del ‘45 qui lottarono contro le Camicie Nere.
Ed ecco il Rifugio Chiavenna (m
L C H I A V E N N A
Angeloga, l’eco
d’una tradizione
alpina oggi
irrimediabilmente
scomparsa
2044, ore 1), sipario di un simpatico
paesino. Angeloga è l’eco d’una tradizione alpina oggi irrimediabilmente scomparsa. Ci perdiamo in giudizi
sulle minuscole baite. Alcune sono
state ristrutturate con buon senso,
altre sono figlie di una modernità che non s’addice a queste
quote. Speriamo non sia
già in cantiere una carrozzabile a quattro
corsie!
Del
sole
non c’è ancora
traccia.
Il
vento sibila
fastidioso e increspa l’acqua
plumbea
del
laghetto. Lontano le
cime cominciano a illuminarsi,
ma la costiera dello
Stella ci segrega all’ombra.
Traversiamo verso SSE.
Orliamo il laghetto, poi ci alziamo
per alcuni crinali morenici. E’ tutto
segnalato, nonché ovvio.
La quota trasforma l’erba in macereti. Attraversiamo l’amplissimo
bacino detritico che un tempo era
la culla del ghiacciaio del Morteè.
La vedretta è in forte ritiro e, come
peraltro già previsto dal censimen-
28 ottobre 2006, il lago di Lei e la cresta N del Pizzo
Stella.
Luglio 2007, Angeloga, il lago di Angeloga e il Pizzo
Stella.
Pagina a fianco: 28 ottobre 2006, l’alba dal lago di
Angeloga. Foto Beno.
4 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
PIZZO STELLA
- 5
A
to glaciologico del 1990,
smembrata in due apparati ben distinti: la
misera falda centrale,
alimentata dal canalone O, e una modesta
lingua più a dx, parzialmente coperta
di pietrisco.
Superate due
scomode rampe
pietrose, guadagniamo la cresta
occidentale dello
Stella, la cossidetta
“Cresta del Calcagnolo” (ore 2:30).
Seguendo lo spartiacque (E, quindi
N) c’inerpichiamo sui
marciumi che portano
alla croce di vetta (Pizzo
Stella, m 3163, ore 1).
Una graziosa rosa delle
cime permette di distingue-
VA
L P I N I S M O
re le principali elevazioni di Orobie, Retiche
e Lepontine, nonché
alcuni lontani 4000.
La cresta N dello
Stella è aguzza e
tormentata
da
profonde incisioni e ardite guglie:
lo Stellino, il
Dente, il Pizzo
Peloso, quindi
una lunga striscia di blu: il
lago di Lei. La
neve caduta sulle
quote maggiori
accentua i colori
dell’autunno, oggi
ancor
confinato
oltre la linea delle latifoglie.
28 ottobre 2006, fra i crepacci
del ghiacciaio della Ponciagna.
I laghi della Val di Lei.
E’ l’una passata. Siamo quattro
lucertole al sole. Altre tre persone
accanto a noi. Un tedesco monta un
cavalletto enorme, poi estrae la sua
macchina fotografica ultracompatta, quasi invisibile se paragonata al
piedistallo. Si fa qualche autoscatto
tutto impettito.
A
novembre il sole tramonta
presto, per cui ci diamo una mossa
e, salutati Gioia e Nicola che torneranno dalla via di salita, io e il Tarabini attacchiamo la cresta N. Senza
ramponi si scivola sul film di ghiaccio che ricopre le rocce, ma se li si
mettesse si scivolerebbe sulle rocce
perchè non c’è abbastanza neve. Che
fare?
Teniamo la cresta fino alla prima
anticima, poi, laddove il crinale
diviene più scosceso, ci gettiamo
negli erti colatoi sulla dx e, fra il
fragore delle pietre che c’inseguono, raggiungiamo il ghiacciaio della
Ponciagna, quasi cento metri sotto
la cresta. La vedretta è molto ripida,
specialmente nel suo tratto centrale.
La affrontiamo con ramponi e prudenza tenendoci a ridosso delle rocce
di sx, quindi, aggirata la prima anticima, traversiamo prossimi ad alcune
golose crepacce. Di nuovo in cresta
ci abbassiamo di qualche metro per
tiepide rocce, quindi pianeggiamo
L C H I A V E N N A
Angeloga si corica sotto
un velo d’ombra, mentre
una sinistra nebbiolina abbraccia tutto.
Il vento sembra emulare
le grida dei pastori che richiamano
le bestie al crepuscolo.
Eppure queste cose quassù non
accadono più...
fino all’ostile versante SO dello Stellino, imponente dente di friabile
pietra rossa.
Il tempo scorre inclemente fra le
difficoltà dovute alle pessime condizioni del fondo.
Dalla base dello spigolo SO dello
Stellino imbocchiamo un canalino
detritico che ci porta ai piedi della
parete S dello Stellino stesso. Sassi,
frane e polvere. Siamo di nuovo sul
ghiacciaio, pendenze lievi verso NE.
Al successivo salto la lingua glaciale
s’esaurisce e lascia il posto a ripidi e
levigati salti rocciosi. Entrati in una
grossa fenditura fra roccia e ghiaccio, ci abbassiamo di una ventina di
metri fino a un primo ripiano. Un
poggio pianeggiante lungo un centinaio di metri, poi di nuovo verticalità. Un labirinto fra terrazzini di
roccia. Quanto tempo perso! Final-
mente siamo ai due torbidi laghetti di disgelo che giacciono ai piedi
del ghiacciaio (m 2470, ore 2:30).
Colori buffi, così vicini e con due
tonalità di verde così diverse. Chissà
che succede all’acqua? Il lago di Lei,
in cui si travasano i laghetti, è di
un blu talmente puro e intenso che
non sembra nemmeno loro lontano
parente.
In alto a sx (O) svetta il Dente,
quindi, in senso orario, una cresta
aguzza e frastagliata, un intaglio
erboso (Colle Brasca, m 2678) e le
rocce sommitali del Pizzo Peloso.
S’intravede controluce la croce.
Pianeggiamo verso NNO e ci
portiamo alla base del ripido colatoio
a cui culmina il Colle Brasca. Con
molta fatica lo risaliamo, quindi,
sempre a cavalcioni dello spartiacque fra l’Angeloga e il Vallone dello
28 ottobre 2006, il massiccio dello Stella
dalla vetta del Pizzo Peloso.
6 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
PIZZO STELLA
- 7
A
Stella,
arrampichiamo su roccia
ed erba. Qualche
passaggio è un po’
esposto (III). Forse
esistono vie alternative, ma non abbiamo certo il tempo
di cercarle. Alle 17 siamo sul Pizzo
Peloso (m 2780, ore 1:30).
una sinistra nebbiolina abbraccia
tutto. Il vento sembra emulare le
grida dei pastori che richiamano le
bestie al crepuscolo. Eppure queste
cose quassù non accadono più.
Sono le cinque e mezza, inizia la
discesa. Dapprima la cresta è esposta
e non banale, ma, per fortuna, una
L P I N I S M O
volta guadagnata l’anticima settentrionale, raggiungere il passo dell’Angeloga è una pura formalità (N,
m 2391, ore 1:10).
Il sentiero segnalato facilita la
discesa e ci consente di tornare alla
macchina senza dovere ricorrere ai
frontalini (Le Soste, ore 1:10).
A
ccucciati sotto la striminzita
croce di vetta (due assi di legno incrociati), io e Tarabini rubiamo il calore
degli ultimi raggi di sole. Attorno a
noi regna la serenità alpina che annuncia il tramonto. Angeloga si
corica sotto un velo d’ombra mentre
Massimo Dei Cas
a profonda quiete bucolica della piana di Angeloga suggerisce stati d’animo improntati alla serena
meditazione, ispira un senso di pace legato alla natura e
ai suoi spettacoli.
In una lontana mattinata di oltre sessant’anni fa,
precisamente nell’aprile del 1945, la pace venne turbata
da un fatto d’armi, passato alla storia come battaglia di
Angeloga e che si inscrive fra gli ultimi atti della tragica
lotta fra partigiani e repubblichini durante la seconda
guerra mondiale.
P
er capirne gli antefatti bisogna considerare il
contesto di quell’aprile che si sarebbe concluso con la liberazione dell’Italia settentrionale dal regime nazifascista
espresso dalla Repubblica di Salò. Alessandro Pavolini,
segretario del Partito Fascista Repubblicano, aveva elaborato un piano di resistenza estrema contro l’avanzata
degli Alleati. Tale piano prevedeva la costituzione di un
Ridotto Alpino Repubblicano con opere di fortificazione proprio in Valtellina e Valchiavenna, dove avrebbero
dovuto asserragliarsi le residue forze fasciste e naziste in
attesa di una ormai improbabile svolta clamorosa della
guerra legata alle misteriose armi in allestimento in Germania. Nonostante i preparativi dello stesso Pavolini
che venne a Sondrio il 5 aprile, tale progetto non venne
attuato, ma determinò tuttavia un movimento di truppe
che fu all’origine di diversi scontri con i partigiani. Fra
questi la battaglia di Angeloga.
Affluirono in Valtellina e Valchiavenna numerose
truppe delle Brigate Nere, cui si affiancavano truppe
tedesche, e vennero pianificate azioni di rastrellamento
finalizzate a ripulire della presenza partigiana la Valchiavenna e la Bassa Valtellina. Il fine non era solo quello
della resistenza a oltranza, ma il controllo di queste zone
avrebbe consentito, in caso di disfatta, una fuga in Svizzera dei maggiori esponenti del regime repubblichino.
Sarebbero sfuggiti così alla cattura scappando attraverso
il passo dello Spluga o la Val Bregaglia.
I partigiani controllavano l’intera Valle di S. Giacomo:
loro obiettivo era, in particolare, quello di tenere liberi
dalla presenza nazifascista la Val di Lei ed il Pian dei
Cavalli, luoghi idonei per il lancio paracadutato di armi
promesso dagli Alleati nell’ottica dell’offensiva finale
contro la Repubblica di Salò. La Val di Lei assunse in
quelle settimane una rilevanza strategica, e siccome il più
agevole accesso alla valle era (ed è) il passo dell’Angeloga,
per impedirne l’occupazione venne stanziato nel rifugio
CAI Chiavenna all’alpe Angeloga un presidio composto
da una ventina di partigiani.
Foto invernale della cresta N del Pizzo Stella.
Il ghiacciaio della Ponciagna nel 1991. Il
ritiro della massa glaciale negli ultimi anni
è impressionante. Evidenziato il tracciato di
discesa per il versante N.
8 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
LA BATTAGLIA DELL’ANGELOGA
L
I
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
l temuto rastrellamento partì con ingenti forze.
500 fascisti e 200 tedeschi circa giunsero all’alba del 19
aprile lungo tre direttrici: Savogno, la Val d’Avero ed il
fondovalle. Dal 21 al 23 aprile Campodolcino, Madesimo e Montespluga vennero occupati dalle forze nazifasciste, che si erano così aperte il passaggio per la Svizzera
(anche se il passo dello Spluga, ancora innevato, non era
transitabile con mezzi meccanici). Era invece fallito il
tentativo di passare in Val di Lei dall’omonimo passo, a
monte del lago dell’Acquafraggia.
Ecco, allora, il tentativo di passare per l’Angeloga operato da una compagnia speciale della Milizia di
Dongo. Oltre 100 uomini da Madesimo risalirono le
pendici del pizzo Groppera, sorprendendo, nella nebbiosa mattina del 26 aprile, il presidio partigiano dell’Angeloga. Un intenso fuoco di mitragliatrici, sostenuto anche
da una mitragliera e da un mortaio da 81, costrinse i 20
partigiani a ripiegare
Il tragico racconto può essere affidato alle parole di un
partigiano superstite, Guido Carnazza detto Mosquito:
“N
icolin alla mia destra sparava e rideva, S’ciopp
alla mia sinistra sparava e imprecava perché non si dava
pace per aver lasciato in capanna uno zaino contenente una
mezza forma di formaggio, che rappresentava la scorta di
viveri segreta e di estrema emergenza. “Vado a prenderlo”,
disse rabbiosamente. Gli urlai che era una follia, ma Sciopp
schizzò ugualmente in basso verso la capanna. Sparavo,
sparavo, ed il tempo non passava mai. Ad una decina di
metri, sulla mia sinistra, in basso, ricomparve S’ciopp, che
arrancava per il grosso peso sulle spalle. “Non ne posso più”
gridò stremato dalla fatica. “Getta quello zaino” gli urlai.
Pochi secondi dopo cadeva colpito da una raffica nemica”.
(Da un articolo di Guido Carnazza citato in “Antifascismo e resistenza in Valchiavenna, 1922-1945”, di Renato
Cipriani, pubblicato dall’Officina del Libro di Sondrio
nel 1999).
I
l ripiegamento partigiano, complice la nebbia,
riuscì, a prezzo, però, di due morti (i sopra citati S’ciopp
e Nicolin) e di numerosi feriti; i partigiani superstiti varcarono il passo dell’Angeloga e si attestarono in Val di
Lei. I miliziani, invece, incendiarono il rifugio e le baite
dell’alpe Angeloga, tornando alla sera a Madesimo.
M
ilano era già stata liberata il giorno prima.
Chiavenna venne liberata il giorno dopo.
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- 9
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10 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
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Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
PIZZO CALINO
- 11
L
VA
L F O N T A N A
PIZZO CALINO PER IL CANALE SSE
a luce davanti, l’oscurità dietro di me,
diceva Goethe, ed io vado a cercare la luce
lassù, sull’alta montagna, in questo mattino
radioso.
[Alpe Montirolo, ore 9] Sopra l’alpe si rizza
il Pizzo Calino a cui sono diretto. [...]
E’ una cima curiosa che ha sempre attirato la mia attenzione ogni qualvolta l’ho vista
dalle altre cime. E’ un tronco di cono un po’
schiacciato in uno dei suoi diametri, presenta
una superficie che il mio compagno valuta di
circa 2000 mq.
L’aspetto di questa montagna, le cui pareti
eccetto dal versante del Montirolo, cadono
assolutamente a picco, possono paragonarsi
a quelle di un “Amba” abissina o d’un vulcano
spento.
A mia conoscenza, nessuna delle montagne
delle alpi presenta un aspetto simile.
Beno
Bruno Galli-Valerio, 15 agosto 1909.
Foto del 30 settembre 2005 dalla Cima di Ron. Dal pizzo Painale si stacca un possente
costolone che oltre il Colle di Val Molina dà vita al Pizzo Forame. Quindi la dorsale si biforca.
La linea leggermente inflessa a N si distingue per alcune guglie aguzze e prende il nome
di Filone d’Aiada, quella leggermente inflessa a S stacca rovinose ed inaccessibili torri: le
anticime occidentali del Pizzo Calino. Infine entrambe le costiere discendono rapide verso
la Val Fontana.
PARTENZA: Selva (m 1450).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Sondrio prendere la Strada Panoramica per Teglio (SP21). Si passano Montagna
(al km 2), Poggiridenti (al km 4) e Tresivio (al km 5,5). Giunti a Ponte, alla chiesetta di San Gregorio (al km
9), svoltare a sx per Teglio (SP76). Dopo una breve salita, immettersi sulla strada a sx che porta in Val Fontana
(al km 9,4). Si attraversano i meleti e, appena dopo il centro sperimentale per la salvaguardia della selvaggina, si
incontra la chiesetta di S. Rocco. 100 metri e si ignora la svolta sulla sx per S. Bernardo. Si seguita sulla stretta
via asfaltata che penetra in Val Fontana. Dopo il ponte di Premelè si passa sul lato idrografico sx della valle.
Alcuni tornanti conducono prima a S. Antonio, poi al guado in prossimità del rifugio Erler (m 1400), dove si
lascia l’automobile.
ITINERARIO SINTETICO: Selva (m 1450) - Alpe Bassalone (m 1629) - Alpe Vicima (m 2133) - Pizzo Calino (m 3022) per
il canale SSE - discesa per lo spigolo ENE (via Normale) - possibilità di ritorno per la Val Vicima o per l’Alpe
Montirolo (m 2156).
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 8 ore per l’intero giro (per entrambe le varianti).
ATTREZZATURA RICHIESTA: Abbigliamento per alta montagna, corda, imbracatura, fettucce.
DIFFICOLTÀ: 4 su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 1602 metri.
DETTAGLI: PD = nel canale SSE passi su roccia fino al III, il resto è alpinistica facile.
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
PIZZO CALINO
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A
VA
L P I N I S M O
30 agosto 2005
A
ttraversiamo
m il ponte sul torrente Fontana e saliamo
re
la
l carrozzabile fino a
Selva. Puntando a O,
seguiamo le tracce di sentiero che fra
pascoli e bosco portano dapprima all’Alpe Basalone (m 1629), poi all’Alpe Vicima, appena oltre il limite degli
alberi (m 2133, ore 2). Di entrambi
questi alpeggi restano solo dei ruderi,
ancora in buone condizioni all’Alpe
Basalone (una baita e un magazzino
per il formaggio), mentre all’Alpe
Vicima solo i muri perimetrali di uno
stallone e qualche relitto di baita [
dall’estate 2006 una fontana in sasso
e legno è stata installata qualche centinaio di metri sotto l’Alpe Vicima.
Un tentativo di non lasciare cadere
nella più totale desolazione questi
luoghi].
Dall’alpe puntiamo a NE risalendo i ripidi pascoli della sponda settentrionale della Val Vicima. Da queste
prospettive le distanze s’accorciano. Il
Calino s’appiattisce e non sembra più
quella vetta possente e slanciata che
guardavamo con timore da Selva. Ma
è tutta un’illusione.
Incontriamo rarissime e sbiadite
tracce e segnavia dell’Alta Via della
Val Fontana. Il vento soffia da S e
ci spinge su lungo gli erti pascoli del
versante meridionale del Calino. Cera
scivolosa, scivolosissima, e il sentiero
non c’è più. Ogni tanto qualche metro
di simil-pista delle capre totalmente
inaffidabile. Decido così di puntare il
canalino SSE del Calino dalla linea di
massima pendenza.
A metà della lunga scarpata abbandoniamo l’erba in favore delle rocce
del vallone che culmina al canale.
Spesso lisce piodesse foderano il
pendio. Un’ora e mezza di faticosissimo cammino e dall’alpe Vicima siamo
alla strozzatura del vallone, quello che
si può ritenere la foce del canalino. Ci
troviamo all’incirca a m 2700.
L F O N T A N A
Passi d’arrampicata facilissima
(II+) entro il ripido solco ci portano
a un ripiano. Ci spostiamo leggermente sulla dx e raggiungiamo l’ultima depressione della cresta E del
Calino.
Lo sviluppo del
camino conclusivo
del canale SSE è di
circa 70 metri, interrotti da piccoli e
provvidenziali
terrazzini.
Le vie al Calino: in verde la salita per Val Vicima e canale SSE, in giallo la bretella che consente di tornare in Val Vicima dopo esser scesi dalla cresta E (via
Normale), in rosso la via Normale con discesa per l’Alpe Montirolo. La prima ascensione al Calino porta i nomi di Cederna e Della Valle.
Le vie al Calino viste dalla Val Vicima. In verde la salita per Val Vicima e canale SSE, in giallo la bretella che consente di tornare in Val Vicima dopo esser scesi
dalla cresta E (via Normale). Sopra: 30 agosto 2005, divagazioni sulla cresta SE e la salita nel canalino SSE.
14 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
PIZZO CALINO
- 15
A
Dopo una scampagnata sulle
guglie a E dell’intaglio, torniamo
al centro del colatoio e iniziamo a
scalare.
Lo sviluppo di questo camino è di
circa 70 metri, interrotti da piccoli e
provvidenziali terrazzini. Nel primo
tratto presenta una sezione a V, poi
diventa a W, con la possibilità di utilizzare entrambi i solchi per la salita
(conviene muoversi da un camino
all’altro, sostando alternativamente
onde non far cadere pietre su quelli
che stanno sotto). La roccia è inizialmente buona, ma nel tratto finale si
fa marcia e inaffidabile.
La salita non è delle più semplici: alcuni appigli si sgretolano e
lo zio Luciano si ritrova coi piedi a
penzoloni.
Al culmine del canale seguiamo il solco di sx (l’altro è a fondo
cieco), poi pianeggiamo lungo una
cengia in direzione O e siamo così
sull’ultimo tratto della dorsale SE.
Proseguiamo su marciumi fino
all’amplissimo testone della vetta
(Pizzo Calino, m 3022, ore 1:10).
Il cocuzzolo è grande quanto un
campo da calcio, strapiombante su
tutti i suoi lati. Contrasti incredibili.
Camminandoci sul bordo si ammirano tanto orridi quanto spettacolari
scorci sulla Val Molina a NO, sulla
Val Vicima a SO, sulla Val d’Aiada
a E, dimora di due piccoli glacionevati. A S s’intuisce la Val Fontana, di
cui si fatica però a vedere il fondovalle. Si è veramente fuori dal mondo,
contagiati dalla solitudine della Val
Molina e lontani dall’alpinismo di
massa che qui non ha trovato radici.
Il grande impegno di energie necessario a raggiungere questi luoghi
selvaggi e isolati, unito all’assenza
d’artificiose infrastrutture che agevolano l’avvicinamento, ha reso le cime
che contornano la Val Vicima poco
appetibili.
P
er scendere scegliamo la via
Normale, la cresta E. Ci manteniamo sulla scoscesa spalla rocciosa che
domina la Val d’Aiada. Aggirando le
balze che interrompono la regolarità del pendio e cercando di tenere
quanto possibile il filo, ci abbassiamo
fino a un tratto decisamente meno
ripido (ore 0:35). Fra i numerosi e
ripidi canalini franosi che si staccano
a dx dello spartiacque, prendiamo il
primo che, senza salti, raggiunge la
vasta pietraia a E del Calino.
Ci troviamo nel versante settentrionale di un anfiteatro di chiare
origini glaciali, la testa della Valle del
Montirolo. Attraversiamo il vallone
(SSE) abbassandoci leggermente.
Scavalchiamo lo spartiacque per un
valico marcato da una grossa pietra
accuminata che ha la punta verniciata di rosso. Dopo una prima valletta,
scendiamo una pietraia e, inventandoci un itinerario fra i ripidi pascoli
(piegare a O) siamo di nuovo all’Alpe Vicima (ore 2), quindi, per la medesima via della salita, a Selva (ore
1:30).
16 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
VA
L P I N I S M O
Autunno 2007
L’amplissimo testone del pizzo Calino. Sullo sfondo il Combolo e il Pizzo Malgina.
12 novembre 2006
In vetta al Calino...stupendo
come sempre! Nel primo grosso gendarme, quello più a E, troviamo una
scatola di latta con il libro di vetta.
Leggiamo che è stato lasciato qui nel
novembre dell’anno scorso e da allora
nessuno ha scritto il proprio nome!!!
Aggiungiamo i nostri quattro per
onorare questa splendida montagna,
poi compiamo il classico tour sull’immenso testone sommitale. Vista amplissima, ma anche freddo becco. La
cresta O del Calino è frastagliata da
torrioni marci e invalicabili, mettono
paura solo a guardarli. In Val d’Aiada
è già notte, mentre il massiccio della
Vetta di Ron stende lunghe e lugubri
ombre sulla Val Vicima.
Ci nascondiamo dal vento e
pranziamo velocemente: la discesa è
ancora lunga.
Attacchiamo la facile cresta
ENE, oggi sporca di neve. Raffiche
di vento vogliono portarci via, ma
noi manteniamo, dove possibile, la
linea spartiacque. La cresta spiana.
Ci voltiamo. “Sembra impossibile
che si riesca a scendere di lì”, esclama
qualcuno. Io ripenso come era stato
un azzardo inventarsi una via l’anno
scorso con lo zio, quando nessuno di
noi sapeva da che parte si passasse.
Eppure ce l’avevamo fatta al primo
colpo!
Guardo l’orologio: la luce è ancora
LE MONTAGNE DIVERTENTI
poca. Decidiamo perciò di scendere
direttamente nel fondovalle senza
tornare in Val Vicima. Molti metri
sotto di noi, poco sopra al limite
della vegetazione, c’è un maggengo
abbandonato immerso in un ampio
pascolo (Alpe Montirolo, m 2156).
Lo puntiamo, certi che da lì, anche se
fatiscente, debba esserci una traccia
che arriva in Val Fontana. Se no come
ce le portavano su le mucche? Smontata la cresta per un valido colatoio
detritico, lo stesso scelto lo scorso
anno, ci manteniamo sempre sulla
sx orografica del vallone. I passaggi
fra i vari ripiani detritici sono eviden-
L F O N T A N A
ti e facili e, senza troppo
penare, giungiamo ad
incrociare la vecchia Alta Via della
Val Fontana. La traccia si riporta fra
i macereti fin sotto lo spartiacque
con la Val d’Aiada. Quindi, per aggirare una scomoda ganda, si torna
nel centro del vallone e, finalmente,
calpestiamo le pasture adiacenti al
vecchio maggengo. Di fronte a noi
il Combolo s’esibisce maestoso in
strani giochi di luce. C’è una pace
surreale, pure il vento sta in silenzio
ad ascoltare i ruscelli lontani.
Una breve pausa. Nessuno parla.
Solo il rumore del tè che esce dal
thermos e vaporeggia.
Ci sono due ruderi più in basso
sulla dx. “S’al gh’è ‘n sentèe al pasa
d’ilò”, ripeto io. E c’incamminiamo.
Un po’ guidati dalle tracce e dai segnavia, un po’ capre guidate dall’istinto, ci abbassiamo serpeggiando fra i
larici ancora verdi. Nello scendere ci
spostiamo sempre più verso S, fino a
superare tutto il Pian dei Cavalli. Gli
ometti di pietra superstiti ci ricuorano: stiamo facendo giusto! Siamo
nel fondovalle poco sotto il Piano,
quindi pochi minuti di bella mulattiera e riemergiamo nelle pasture di
Selva. Una luce rossiccia filtra dai
larici e lascia il posto alla notte.
29 ottobre 2006. Il pizzo Calino da Dalico. Foto Fabio Pusterla (www.pusterlafabio.it).
PIZZO CALINO
- 17
IL MORSO DEL
Sguardo su Piateda
Con cautela e prudenza visiteremo la terra del basilisco, il leggendario
serpente assassino che uccide un uomo senza nemmeno toccarlo.
Le valli di Piateda: emblema dei mutati rapporti fra uomo e montagna,
simbolo del moderno e sconsiderato sfuttamento delle risorse.
18 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
BASILISCO
e le sue valli
Sulle orme della mitica guida alpina Giovanni Bonomi, saliremo assieme
la Punta di Scais, la più difficile vetta dell’intera catena orobica.
Alpeggi e ghiacciai, acqua e uranio, Passi e Punte.
E poi... un’esclusiva intervista a un operaio delle miniere in Val Vedello.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
IL MORSO DEL BASILISCO
- 19
Un altro Pianeta
VERSANTE OROBICO
Beno
Anni ‘20. Giovanni Bonomi e Giulio Messa (il bambino) lungo la mulattiera per
Agneda. Foto Giancarlo Messa, già presidente del Tribunale di Sondrio.
L
e “Orobie dimenticate”. Ecco l’appellativo che a metà anni ‘80 Gogna e Miotti scelsero in “A piedi in Valtellina” per
il gruppo Scais-Redorta.
Cosa strana, visto che un tempo la regione era la meta prediletta dell’ “alpinismo dei pionieri”, quell’alpinismo che vedeva
nelle inesplorate vette valtellinesi un obbiettivo di indiscusso prestigio. Persino il Principe Scipione Borghese, vincitore con
la Itala del raid Pechino-Parigi, volle raggiungere la Punta di Scais e il Redorta. Lo fece il 24 settembre 1896, accompagnato
dalla fortissima guida di Agneda Giovanni Andrea Bonomi.
A inizio ‘900 Bruno Galli-Valerio riferiva, inoltre, della copiosità di mucche e capre nei pascoli di Caronno, quelle stesse
pasture su cui si ambientavano le favole di diavoli e orsi che lo stesso Galli-Valerio ascoltava la sera dinnanzi ai focolari di
Scais e Agneda. In Cols et Sommets furono trascritte e salvate alcune di queste gemme della nostra tradizione orale che altrimenti si sarebbero irrimediabilmente perse.
Ancora negli anni sessanta Guide ai Monti d’Italia esaltava la Punta di Scais come “Seconda celebratissima vetta delle Alpi
Orobie”.
M
a negli ultimi trent’anni lo scenario è cambiato radicalmente. Gli scalatori e i pastori si sono dileguati come le
nevi perenni, Scais è sott’acqua, Agneda spopolata per la maggior parte dell’anno e addobbata con orrende antenne paraboliche.
“Chi decide di abbandonare l’asse viario principale poco dopo Sondrio per imboccare le strade e i sentieri del versante orobico,
scriveva Claudio Lugaresi all’inizio degli anni ‘90, scoprirà veramente un altro “pianeta” che difficilmente dimenticherà. La
viabilità stradale con percorsi stretti e spesso sterrati, allontana i turisti frettolosi ed impazienti di raggiungere zone più note ed
accessibili; le strade che conducono alle testate delle valli si fermano poco sopra i 1000 metri, a volte anche prima. La ripidità dei
versanti e l’esposizione dei settori a settentrione ha impedito un forte sviluppo antropico; le uniche massicce opere umane sono le
dighe e le prese d’acqua della Falck, che alcune decine di anni fa iniziò lo sfruttamento idroelettrico della zona utilizzando, per la
costruzione delle sue opere, un ingegnoso sistema di trenini e gallerie tuttora funzionante. Ciò ha risparmiato la zona dagli scempi
altrove provocati dall’apertura di rotabili in quota, di cui la strada ormai impraticabile che raggiungeva la miniera d’uranio della
Val Vedello costituisce un chiaro esempio.”
Quassù nelle valli di Piateda sopravvive una montagna d’altri tempi, povera di servizi ed infrastrutture, unica ed eccezionale per gli amanti del genere, oasi lontana dal turismo e dallo stile di vita moderni che hanno contaminato la Valtellina.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
IL MORSO DEL BASILISCO
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Ci fu un tempo...
VERSANTE OROBICO
Marino Amonini
N
Il paese di Scais nel luglio 1935 (foto Archivio CAI sez. Valtellinese) e il 7 luglio 2007 (foto Dina Pollini).
Sul grande alpeggio di Scais fu creato un primo modesto invaso nel 1923, che rese addirittura il paesaggio più bucolico. Tra il 1936 e il 1938 si diede vita ai
colossali lavori d’ampliamento del bacino artificiale: il fondo della piana fu completamente escavato per guadagnare capacità d’invaso e ottenere gli inerti per
la costruzione della diga. Con i suoi 9.000.0000 di metri cubi di capienza fu la prima diga a gravità alleggerita in Italia.
La sequenza fotografica è inoltre un’emblematica testimonianza del ritiro del ghiacciaio del Pizzo del Salto.
22 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
on è facile immaginarsi le
condizioni di vita delle genti che abitavano le valli nei secoli passati, né ci
aiutano gli squarci di luce proiettati su questo buio storico dalla visita
del vescovo Feliciano Ninguarda del
1589.
Sappiamo così che nella vallata
a cui fa capo Ambria si contavano
venti famiglie e nella poco lontana
valle a cui fa capo Agneda vivevano
ben trentacinque famiglie tutte cattoliche; due comunità ora unite dalla
miseria, ora divise nella spartizione
delle magre risorse per combatterla.
Nonostante alcune relazioni annotino presenze di miniere di ferro
ed altri minerali, di cospicui patrimoni bovini ed ovini. Nonostante le
fatiche dei nostri progenitori nel modellare il territorio a pascoli e campi,
strappandoli all’arcigna e selvatica
natura dei luoghi, la vita era davvero
miserevole e durissima.
A queste povertà si aggiungevano
le condizioni climatiche, l’isolamento vallivo, le catastrofi naturali che
sempre hanno punteggiato di lutti
le valli.
Sul finire dell’800 prima un
modesto refolo di viaggiatori inglesi,
poi un crescente ed impetuoso vento
di alpinisti nostrani ruppe questo
atavico isolamento portandovi il
colore di qualche soldo, un’arcaico
modello di turismo e quel tanto di
notorietà per picchi e vette da essere
citate ed inserite tra le ascensioni che
diedero inizio e vita alla storia dell’alpinismo.
Il mondo raccontato da Bruno
Galli-Valerio e da Antonio Cederna,
quello documentato da Alfredo
Corti ci consegnano luoghi in cui
la miseria è sempre tale ma le atmosfere, la natura e le presenze si incastonano in un contesto di indiscussa
bellezza ed armonia.
Una stagione, quella del periodo
a scavalco dell’800 e ‘900, alimentata
da nuovi impulsi, molte aspettative
e tramontata troppo presto anche a
LE MONTAGNE DIVERTENTI
causa del primo conflitto mondiale.
Ma è nei decenni successivi che
i segni del cambiamento iniziarono
ad incidere pesantemente nei luoghi
e negli animi dei valligiani.
Con la colonizzazione delle Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck
tutto il territorio di Piateda, tutte
le valli che vi insistono subirono
colossali stravolgimenti per i quali
l’apporto di ricchezza economica
mal ripagò di quanto irrimediabilmente fu cancellato dagli sguardi e
dal cuore di chi lassù vide nascere e
morire intere generazioni.
La mutazione genetica di quei residenti fu piuttosto rapida; da pastori
a manovali o minatori fu un passo di
emancipazione quasi obbligato e un
filone di presunta ricchezza accompagnò questo passaggio.
I nuovi accessi alle valli, più che
sollevare dalle fatiche quanti andavano lassù, fecero scivolare in fondovalle queste genti. Iniziò un lento,
inesorabile abbandono, prima stagionale poi definitivamente residenziale.
Tramontata la luminosa cometa
dell’alpinismo, abbandonati o cancellati dai lavori i verdi pascoli con
conseguente riduzione di capi bovini
ed ovini, spenta la vita dei borghi per
la “smonticazione” dei residenti al
piano in quei luoghi crebbe il silenzio ed il silenzioso abbandono.
Per l’importanza dei numeri un’altra riflessione va annotata: la “mejo
gioventù” – ritratta fiera in ingiallite foto degli anni ‘30/40 – fu precocemente seppellita, divorata dalla
silicosi, la subdola malattia contratta
bucando gallerie e impilando calcestruzzi su dighe, canali e centrali. E
la citata bellezza ed armonia?
Ricordi, consegnati dalla malinconia dei vecchi e dalle splendide
fotografie del Corti, del Credaro,
dei Messa e finanche da quelle dell’archivio Falck che documentava in
egual misura gli scempi ed i colossali
cantieri.
T
ornare in quei luoghi e in
quei borghi oggi non fa certo sussultare di emozioni; le infezioni che si
osservano al piano e le intossicazioni
che attanagliano l’attuale società in
questi microcosmi si evidenziano ulteriormente.
A cominciare dagli impianti
idroelettrici, resi corpi estranei, senza
vita, telecomandati e gestiti dalla
borsa dell’energia; in un ventennio
tre passaggi societari, una drastica riduzione di personale ed un imperativo: il minimo costo per il massimo
profitto, ne hanno rivoluzionato la
presenza.
Le vecchie casupole in sassi hanno
subito ristrutturazioni che virano
dallo sconsiderato al piacevole con
una ampia varietà di giudizi, soggettivi, ma che lasciano un unanime
senso di smarrimento, di irreale
identità montana.
Una pletora di parabole offende
il visitatore ed i luoghi più di qualsiasi orrore estetico, ma la dice lunga
anche sulle persone che vi passano
qualche ora di relax domenicale.
La filosofia della lentezza, lo slow
food, il collante delle sagre paesane,
il sentimento religioso e l’orgoglio
di far parte di quella minuscola comunità è nel migliore dei casi sbiadito, per altri aspetti inesorabilmente
cancellato dal frastuono mediatico
e dai suoi virus; fretta, ansie, status,
cultura del vuoto ...
L’analisi soggettivamente amara
dell’osservatore di queste valli trova
però formidabile vigore quando lo
sguardo sale ai profili più alti, agli
orizzonti più lontani.
Le vette dimenticate conservano
intatto il patrimonio di emozioni per
tutti coloro che faticosamente ma
gioiosamente le salgono; i sampogn
delle poche mucche al pascolo riconciliano il presente al passato, le fioriture e le rarità botaniche regalano
ieri come oggi valide occasioni per
salir lassù e sentirsi in pace.
IL MORSO DEL BASILISCO
- 23
Le miniere d’uranio
Beno
S
iamo a metà degli anni
’70. In molti si sono ormai abituati alle dighe, divenute parte integrante del paesaggio, ma questa
volta è nel cuore della montagna
che qualcuno vede la possibilità
d’arricchirsi. Fasi di prospezione
mineraria evidenziano la presenza
di filoni uraniferi in Val Vedello
a quasi 2000 metri di quota.
Inizia così una nuova ondata di
sconvolgimenti ambientali che si
concluderà dieci anni dopo con
l’abbandono del progetto.
Ho voluto raccontarvi questa
vicenda attraverso le parole di chi,
come il mio amico Piero, in quei
posti ci ha lavorato e, pur pensando ai benefici energetico-economici che si possono trarre dall’uranio,
ha visto gli effetti collaterali e i pericoli dell’attività estrattiva.
24 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
“P
er quanto tempo hai lavorato lì? Che facevi?”
“Dal 1979 al 1983, due anni
prima della definitiva chiusura delle
miniere. Ero addetto ai carotaggi.
Estraevamo i campioni di roccia
dove lo diceva l’Agip”.
“L
e miniere furono chiuse
perché non fu trovato abbastanza
uranio?”
“Non so se fosse quella la ragione.
A quel tempo si diceva che la fascia
orobica da Agneda a Castello Dell’Acqua era una delle zone d’Europa
più promettenti per la coltivazione
dell’uranio. Il progetto di ricerca
nella Val Vedello fu frutto di un’iniziativa italiana nata in seguito ad
alcune rilevazioni e studi geologici
sul territorio. Vide l’interesse di con-
sulenti e gruppi di universitari stranieri che venivano spesso a visitare la
miniera.
Può darsi, però, che i filoni del
minerale all’interno della montagna
non avessero la consistenza sperata
e perciò si decise d’abbandonare la
costosa ricerca.
“C
osa mi dici
miniera e della vita lassù?”
della
“Nella spianata a quota 2000
c’erano le baracche con la mensa, i
dormitori, l’infermeria e gli uffici.
Se sali si vedono i ganci nel cemento
che le ancoravano a terra, l’ultima
volta che sono stato lassù ho ancora
riconosciuto la dislocazione di tutte
le strutture. Poco dopo la diga di
Scais c’è la tettoia di metallo da cui
partiva la funicolare. Insomma, era
una città in miniatura con tutti i
Autunno 2007
in Val Vedello
servizi. C’era pure un guida alpina
che, essendo infermiere diplomato,
diventava all’occorrenza “medico”
per il primo soccorso.
Salivamo nella stagione buona
con le gip o le moto da Agneda, una
ditta si occupava del trasporto. In
inverno, invece, quelli dell’Agip non
si fidavano a passare sotto la costa
della montagna, per via delle valanghe. Allora si prendeva l’elicottero da
Piateda. Lì c’era un hangar costruito
apposta.
Nelle miniere si facevano i turni,
eravamo più squadre. Gli scavi non
si fermavano mai, ventiquattro ore
al giorno tutta la settimana. Gli
orari erano pesanti, i turni erano di
dodici ore. Si lavorava per 10 giorni
consecutivi, poi eri mandato a casa
per tre. Lassù non c’era nient’altro
da fare e allora si scavava finché si
riusciva. Pensa, d’inverno, quando
avevi il turno di giorno, non vedevi
mai la luce del sole perché era notte
sia quando entravi nella montagna
sia quando ne uscivi.
All’interno delle gallerie si facevano carotaggi profondi fino a
cinquanta metri, entro nicchie che
quelli dell’Agip comandavano ai
minatori, mentre all’esterno siamo
scesi fino a trecento metri. Il macchinario in quei casi era ancorato
alla roccia perché non si ribaltasse. I
minatori ci preparavano i ganci. Una
volta, per un gancio messo male, ce
la siamo vista brutta. La torre su cui
era montata la fresa è caduta su un
lato. Per fortuna nessuno si è fatto
male. Da allora la ancoravamo anche
a mezza altezza con degli ulteriori
ganci di sicurezza.
Durante i carotaggi a volte filava
tutto liscio e dovevi solo badare alla
pressione dell’acqua, altre volte s’incontravano fasce di roccia lamellare
e marcia che intasavano la punta diamantata. Dovevamo quindi estrarre
tutti gli assi, ed erano lunghi tre metri
l’uno, ripulire la punta e rimontare il
tutto. Nei momenti peggiori ciò accadeva ogni 30 centimetri di scavo.
Le carote estratte andavano
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Q
riposte ordinatamente in
uando avevi il
cassette di legno. I tecnici
dell’Agip facevano una prima
turno di giorno, non
analisi sommaria. Quelle
ritenute interessanti erano
portate via dall’elicottero, le
vedevi mai la luce del
altre gettate. Un mio collega
con 2 carote grosse ci ha fatto
sole perché era notte
il caminetto”.
“Che s’illumina anche
sia quando entravi nella
quando è spento!” aggiunge
scherzando Alan, che è lì ad
montagna sia quando
ascoltare.
“La gente andava in diuscivi.
scarica a prenderne altre per
scopi edili, - continua Piero
- sono rocce molto belle e poi
già perfettamente lavorate”.
Piero va in garage a prendere
due spezzoni di carote per mostrarei danni ambientali non ne sai nulla? Pare che in
meli, mentre Alan, ridendo, finge di
quegli anni ci fossero accese poleschermarsi dalle radiazioni usando
miche per l’impennata dei valori
un vassoio di rame. Piero mi regala
di radioattività nelle acque degli
uno di quei frammenti, che ora tengo
effluenti della diga di Scais.”
sulla scrivania contro il malocchio
e gli errori di battitura al compu“Devi sapere che la sonda iniettater. E’ molto appariscente, specie se
va nel foro grandi quantità d’acqua
bagnato. Ha venature verdi e grigie
che poi riuscivano in superficie e decon macchie rossastre.
fluivano liberamente. Queste acque,
che avevano concentrazioni d’uranio
nettamente superiori a quelle delle
on era pericoloso quel
acque superficiali raggiungevano la
lavoro?”
diga di Scais e quindi finivano a valle
[ndr. si parla di concentrazioni 10“Eravamo molto controllati. Ci
100 volte superiori, fra i 10 e i 120
mandavano ogni due mesi a Sondrio
mg/L, come confermano i dati ufficiali
a fare gli esami, ogni quattro a Pavia
pubblicati agli inizi degli anni ’80 in
a farne altri più completi. Vestivamo
fase di prospezione mineraria ].
una piastrina come quella dei tecnici
Quando fu dato l’ordine di
in radiologia che misurava quante
smantellare si sapeva che, secondo
radiazioni avevamo assorbito. Ogni
accordi presi dall’Agip all’apertumese consegnavi la piastrina e te n’era
ra della miniera, si sarebbe dovuto
data una nuova. Una volta risultò che
ripristinare nella valle lo stato delle
avevo preso zero virgola zero, zero di
cose antecedente ai lavori. A quanto
radiazioni, insomma nulla di pericopare gli accordi non furono rispettaloso. Per il resto non è mai successo
ti e molte cose sono state lasciate alniente”.
l’abbandono, come può facilmente
Piero ci guarda e capisce che le
constatare chiunque salga lassù ”.
ragioni non bastano e aggiunge: “Poi
ci davano tre milioni al mese, che per
Intervista tratta da “Beno Le moni primi anni ottanta erano un sacco di
tagne divertenti. Viaggio fra le vette disoldi. Da nessuna parte ti avrebbero
menticate, Tipografia Bettini, Sondrio
pagato tanto”.
2005 “.
“D
“N
IL MORSO DEL BASILISCO
- 25
A
L P I N I S M O
Punta di Scais (m 3039)
VERSANTE OROBICO
Beno
12 luglio 1894, prima ascensione per il “Canalino”
Il 12 luglio 1894 Bruno Galli Valerio e Giovanni Andrea Bonomi sono i protagonisti della prima storica salita alla Punta
di Scais dal versante occidentale. In Cols et Sommets Galli-Valerio* racconta con grande enfasi gli ultimi terribili metri per
raggiungere la vetta. Marino Amonini ha tradotto per me quel passo in valdambrino, il dialetto delle valli d’Agneda.
….M’à pruàt a rampegà sü, ma n’gh’u la cà fácia.
Ilùra m’à giràt sü la sinistra d’la vedréta dul Püröla.
N’òtra piudìscia che l’èra tré sura d’òtri piudìsci la m’speciàva.
Però, a vardàli bée, li gh’éva quai scaiùu da tacàs.
Ul Bonóm ilùra l’à tentàt.
Al gù la cà fácia.
Ilùra l’à trà fò i sciàsciùu e l’à pruàt dapè.
E la remàt dréet la crapa d’la còrda.
M’ù l’à vist per quai mumént tacàt sü sura la gronda, cun li sgrifi tacàdi ai
güzzùu dul crap, i pè cùntra la piudìscia che l’èra lìsa cùme ‘l càles de ‘n prèvet,
a fà di sfors cùme ‘n mül per pasà fu sü de quai metri.
Po l’ à facc amò ‘n sfors e cun en vers da fà strimìi l’à tucàt la scima, el m’à
baiàt fò gió che l’éva truàt ‘na butìglia cun gió quai bigliètt.
* Bruno Galli Valerio, Cols et Sommets, Parigi 1912, traduzione in valdambrino a cura di Marino Amonini, revisione fonetica a cura di Franco
Monteforte
La via Bonomi alla Punta di Scais vista dal Pizzo Brunone.
A fianco il profondo solco a cui sale il Canalino Baroni, la via seguita
nel 1881 dai primi salitori alla Punta di Scais. Oltre l’intaglio c’è il
passaggio più difficile: una placca liscia alta 4 metri. Buona fortuna!
PARTENZA: Agneda (m 1223).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Sondrio si prende la SS38 in direzione Tirano fino alla fine della tangenziale.
Poco prima del passaggio a livello si svolta a dx e si segue la SP che unisce Montagna Piano e Piateda fino
a Busteggia. 100 metri oltre l’ex canile si prende la stradina sulla dx che sale a Pam per poi ricongiungersi
all’arteria principale per Piateda Alta. Dopo circa 7 km da Sondrio si è al bivio in località Mon. Si segue sulla dx
la carrozzabile che si inoltra in Val Vedello. Poco oltre la Centrale di Vedello (m 1000, 6 km ) il fondo diventa
sterrato misto cemento. Si prosegue per Agneda (2,5 km) e si lascia la macchina in fondo alla piana.
ITINERARIO SINTETICO: Agneda - Diga di Scais (m 1434) - capanna Mambretti (m 2003) - Vedretta di Scais (o quello
che ne rimane) – via Bonomi (versante SO) - Punta di Scais (m 3039). VARIANTE DI SALITA: via Baroni.
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 8 ore e mezzo per la salita, 6 ore per la discesa.
ATTREZZATURA RICHIESTA: Abbigliamento per alta montagna, corda (60m), imbracatura, fettucce, chiodi, piccozza,
ramponi.
DIFFICOLTÀ: 5 su 6. Le insidie maggiori si trovano sulla via Baroni (IV+).
DISLIVELLO IN SALITA: complessivamente oltre 2000 metri.
DETTAGLI: PD+ = Scalata con difficoltà alpinistiche su roccia fino al IV+ grado (via Baroni) o fino al III+ (via Bonomi).
26 -- LLEE M
MONTAGNE
ONTAGNE D
DIVERTENTI
IVERTENTI
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
IL MORSO DEL BASILISCO
- 27
VERSANTE OROBICO
I
pastori
dicevano
che il
Basilisco
avesse gli occhi
rotanti nelle
orbite, la cresta rossa
come il fuoco e
terribili poteri
sovrannaturali
E’
il 15 d’ottobre,
l’autunno del 2006 tarda ad arrivare.
Fa ancora caldo e gli alberi sono tutti
verdi. Solo in alta quota si intravede
qualche prato bruciato dal breve gelo
di settimana scorsa. La neve è oltre i
2500. Questo inaspettato strascico
di estate sembra l’ultima chiamata per salire quest’anno la Punta di
Scais, così decidiamo di partire nonostante l’intera zona sia avvolta da
nuvoloni minacciosi.
Il corridoio preferibile per le
vette del gruppo Scais-Redorta è la
Val Caronno, la ramificazione più
orientale della Val Venina. Per accedervi bisogna salire in macchina fino
al paesino di Agneda (m 1223).
Parcheggiamo nella piana oltre
l’abitato, sono le 8:30. Nebbia e silenzio tutt’intorno, atmosfera tetra.
La TV Svizzera ha messo bello, ma,
dopo la bufera di neve presa settimana scorsa sulla Punta Adami,
nessuno di noi si fida più delle previsioni meteo.
Siamo in fondo al vallone, là
dove inizia la strada cementata che
sale al muraglione della diga di Scais
(E). Sentiamo, senza vedere, l’acqua
che scroscia sulle rocce alla nostra
destra. L’umidità trasforma i +6°C
dell’aria in un caldo insopportabile.
Ci mettiamo a dorso nudo. Lontano
nel bosco rintocca il verso di qualche
animale.
“Dall’odore dev’essere un caprone
LE MONTAGNE DIVERTENTI
o uno stambecco in calore!”
“Se hai scoreggiato non dare la
colpa alle bestie!”, scherza il Tarabini. Poi aggiunge incuriosito “Ma qui
non vive quel serpente temutissimo?
Il basilico?”
“Il basilisco...” ribatto io. “Certo,
i pastori dicevano avesse gli occhi
rotanti nelle orbite, la cresta rossa
come il fuoco e terribili poteri sovrannaturali. Chi imprudentemente lo aveva guardato negli occhi,
oppure ne aveva ascoltato per tre
volte il fischio, era morto stecchito,
sul colpo. Per cui oggi ti conviene
stare attento!”
“D’accordo...” , aggiunge lui
ironico, “ma con questa nebbia non
corriamo certo il pericolo di incrociarne lo sguardo, a meno che non
salti giù da un albero e ci si appenda
al naso!”
A 1400, 30 minuti a piedi da
Agneda, c’è un bivio. Abbandoniamo la carrozzabile, imbocchiamo
il sentiero sulla sx con indicazioni
per la Mambretti e attraversiamo
lo sgangherato Ponte della Padella,
oscena passerella di cemento che sovrasta le splendide marmitte scavate
dal torrente nelle rocce. Serpeggiamo
nel bosco per ritrovarci a breve dinnanzi a un bizzarro cartello: “CANI
AL GUINZAGLIO, GALLINE AL
PASCOLO”. Ehh?? Nei pressi della
casa del guardiano della diga di Scais
una ventina di succulenti pennuti ci
circondano. Ecco spiegato l’insolito
avviso.
Un gallo fa il gradasso e canta a
squarciagola. Poi fa una pausa per
prender fiato e s’accorge che i nostri
stomaci brontolano. Immaginandosi già sullo spiedo sceglie d’allontanarsi per non finire nei nostri zaini.
Ridiamo.
5 luglio 2007, la capanna Mambretti dalla testa della Val Caronno.
IL MORSO DEL BASILISCO
- 29
A
ais visti
nta di Sc
Pu
ale della
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occident
di Porola
anticima
Vedretta
Porola e
la
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o
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no, Pi
on
ar
C
a di
Cim
nuovamente
te -20072007 l’alpeggio è nuo
amente
caricato].
Le irregolarità della nebbia ci
regalano brevi fotogrammi dell’imponente testata della Val Caronno
con la maestosa Cresta Corti, spartiacque fra i bacini di Scais e di
Porola. Superata l’alpe il sentiero si
fa ripido fino al limite della vegetazione, marcato dal solito cartello che
chiede di portare legna al rifugio.
Un tronco di larice su una spalla, un
abete da 15 metri sull’altra, muscoli
allo
al spasimo. Arranchiamo per un
centinaio
di metri finchè ci troviamo
ce
davanti
la Mambretti (m 2003, ore
d
1)?!
1
Ci ripariamo dalla pioggerellina
dentro
il locale invernale. Siamo tutti
d
bagnati.
Attendiamo mezz’ora nella
b
speranza
che il tempo cambi. Nulla
sp
da
d fare, dobbiamo accontentarci ed
essere
audaci. Pianeggiamo verso E
es
su sentiero segnalato, dopo di che,
al confluire del torrente di Porola
con
co quello di Scais, ci portiamo sulla
morena
centrale, il naturale prolunm
gamento
occidentale della Cresta
ga
Corti.
In epoca tardiglaciale costituiC
va la linea di divisione fra le lingue
delle
vedrette di Scais e Porola, che
d
quindi,
più in basso, laggiù dove si
q
spegne
la morena, confluivano in
sp
un fronte unico. Ora lì ci sono addirittura degli alberi [estate 2007
- la morena è divenuta un pascolo
verdeggiante e ricco di fiori di ogni
specie]!
Risalito lo spartiacque pietroso per oltre 500 metri, pieghiamo a
dx e c’introduciamo nel vallone di
Scais, incassato fra la costiera O del
Brunone e la Cresta Corti. Dopo
aver più volte assaltato la scarpata settentrionale della valle, esserci
incengiati e aver così intuito che la
VERSANTE OROBICO
Punta di Scais doveva essere da tutt’altra parte, ci riportiamo nel centro
della gola e risaliamo quel poco che
rimane del bacino ablatore di Scais.
Per gande, neve e ghiaccio ci portiamo ad un centinaio di metri dalla
cosidetta Schiena del mulo. Fino
a pochi anni fa (4 o 5) era la zona
più ripida e crepacciata dell’intera
vedretta e per superarla bisognava
mettere i ramponi. Oggi, invece, con
un ampio risalto roccioso segna il
confine fra i due lobi in cui s’è diviso
ghiacciaio di Scais (m 2600 ca., ore
2).
Alle 16, finalmente, la nebbia si
dissolve. Individuiamo la vetta e un
possibile tracciato lungo il versante
SSO. Una ripida rampa di sfasciumi e rocce sale il fianco meridionale
della valle fino alla fortezza rocciosa
dominata dalla poco evidente Punta
di Scais a sx e dallo slanciato Torrione Curò a dx. La fortezza è rossiccia e solcata verticalmente da tre
canali: il più occidentale, scopriremo, è il Bonomi, quello intermedio
è anonimo, mentre quello che s’insinua a sx del Torrione Curò è il Baroni,
percorso scelto dai primi salitori e da
molti considerato la via Normale alla
Punta di Scais. A E della fortezza si
stacca una tozza anticima, ironica-
La prim
a as
il 3 luglio censione alla Pu
nta di Sc
18
ais fu po
Valerio lu 81 (in rosso).
rtata a te
Il
ngo il ca
rm
nale da al 12 luglio 1894
ci fu la st ine dalla guida
lora deno
Anton
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minato ca
nale Bon a ascesa di Giova io Baroni e tre
omi (in
suoi clie
nni Bon
mente batgiallo).
nt
omi con
Bruno G i
allitezzata Fetta di Polenta.
E’ tardi, ma la fortuna ripaga gli
audaci. Lottiamo contro gli sfasciumi e risaliamo centralmente la rampa
fino ai piedi del canale intermedio,
quindi, al cospetto delle bastionate
rocciose della fortezza, tagliamo a sx
fino all’imbocco del canale Bonomi
(m 2900 ca., ore 1:10, abbiamo costruito un ometto fichissimo come
riferimento... se non è già crollato!)
[luglio 2007, l’ometto s’erge ancora
arrogante e fiero!].
L’angusto colatoio ha rocce talvolta friabilissime, oggi per di più
bagnate. Esitare troppo sugli appigli
equivale ad attendere che questi si
sbriciolino, quindi ci muoviamo
molto rapidamente. Dopo 50 metri
d’arrampicata (passi di III con provvidenziali terrazzini), nell’ultimo
tratto del canale dobbiamo infilarci
28 dicembre 2006, panoramica dal Pizzo Rodes. Foto e toponomastica Beno.
Costeggiamo tutta la
diga per il suo versante settentrionale. Passiamo vicino alla ex-capanna
Guicciardi. Inaugurata come rifugio
alpino il 17 settembre 1898, fu dismessa qualche anno dopo perchè ritenuta in posizione poco strategica.
Oltre un bosco di abeti, ecco il
pratone dell’alpe Caronno. Vicino
al ponte sul torrente ci sono due
malghe: le baite di Caronno (m
1612, ore 0:45). [n.d.r. da quest’esta-
bretti.
dalla Mam
L P I N I S M O
30 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
IL MORSO DEL BASILISCO
- 31
A
L P I N I S M O
L’idea
dell
vuoto prende il
mio zaino e lo
trascina
verso
l’abisso.
15 ottobre 2006, il Redorta dalla Punta di Scais assomiglia a un lontano 8000.
in un camino (10 metri, III+). Cola
acqua ma, seppur con qualche difficoltà, guadagniamo la cresta. Paesaggio stupendo, indescrivibile. Soffia
vento gelido dalla vedretta di Porola,
mentre le croci sul Redorta e sul
Pizzo di Porola luccicano freneticamente. Tutte le cime sono spruzzate
di neve fresca, l’aria è frizzante. Ma,
nonostante le bellezze della natura,
io non riesco a distendermi. Superati pochi metri di cresta verso E ci
troviamo su un poggio di fronte ad
un’erta e liscia piodessa, alta più di
10 metri. E’ l’ultimo ostacolo verso
la vetta. Tutti i racconti che abbiamo
letto concordano nel definire questa
parete la maggiore difficoltà dell’intera ascensione. Abbiamo gli scarponi bagnati, la roccia è scivolosa.
Tento inizialmente lo spigolo
che guarda l’O, le due croci di
vetta sono appena lì sopra. Quattro
appigli e volo giù. Non ce la faccio,
gli scarponi non tengono, di lì non
si passa. Torno vicino al Tarabini che
mi osserva perplesso. Mi fermo e rifletto. Noto una sottile cengia che
sale trasversalmente verso E, tutta
esposta all’orrido del canale intermedio. Non ne ho mai sentito parlare,
ma la provo lo stesso, il mio intuito
Agosto 2004, il tramonto su Scais e Porola.
dice che è la scelta giusta. L’affronto
come se stessi camminando sul cornicione di un palazzo, busto aderente
alle rocce. L’idea del vuoto prende il
mio zaino e lo trascina verso l’abisso.
Mi convinco che è solo un’ illusione
e proseguo.
Pochi passi e i miei piedi in cerca
di una passatoia scalzano alcuni sassi.
Guardando nella feritoia fra il mio
corpo e la piodessa, vedo le pietre
precipitare e frantumarsi quasi cento
metri più in basso, laggiù dove prima
stavamo mangiando pane e salame.
Un nodo in gola. Se sbagliassi anche
solo un appoggio finirei laggiù pure
io, romperei la macchina fotografica... Con quel che mi è costata devo
stare attento!
Vedendomi esitare, il Tarabini
urla: “Se vuoi torniamo indietro,
intanto è come se fossimo arrivati in
cima, questi dieci metri non fanno di
certo la differenza! Non lo diciamo
a nessuno. Torna indietro!” Ma così
facendo risveglia il mio orgoglio (o
forse la mia consapevolezza che per
32 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
G
me indietro è meglio non tornare).
Un rigurgito di grinta, pochi strappi
con le mani, e sono in vetta. La Punta
di Scais, il paradiso (m 3039, ore 1)!
Lì a fianco c’è il Redorta, tutto
sporco di neve ventata, sembra un
temibile ottomila. Poi quante cime!
Gira quasi la testa. La vista è chiusa
solo a SSO dall’anticima occidentale della Punta di Scais, pochi metri
più bassa. Ah, mi dimenticavo, il
Tarabini. Fisso la corda a un masso
e, mentre mi guardo in giro, mangio
una banana e scatto foto, fingo di
fargli sicurezza.
S
ono le 17:30, entrambi siamo
in vetta.
“Prenderemo notte.”
“Non ho il frontalino. Che
pirla!”
“Sei un pirla!!”, esclama il Tarabini. Provo a giustificarmi: “Oggi
pensavo di tornare che era ancora
giorno, invece la nebbia ci ha fatto
sprecare molte ore a vagare invano.
uardando nella feritoia fra il mio corpo e la
piodessa, vedo le pietre precipitare e frantumarsi quasi
cento metri più in basso,
laggiù dove prima stavamo
mangiando pane e salame.
Un nodo in gola.
Imprevisti.”
La Valle del Coca è completamente in ombra, il Brunone sta oscurando la valle di Scais, il vento gela
le orecchie, il pizzo del Diavolo e il
Diavoletto s’incendiano al tramonto
e le preoccupazioni per l’ora tarda
svaniscono dinnanzi a uno stupore
immenso!
Per la discesa ce la caviamo con
4 tiri in corda doppia (20 m) e una
ventina di imprecazioni per le cadute
nell’oscurità di boschi di Caronno .
Ore 21. Siamo alla macchina,
grazie alla nebbia ci abbiamo messo
il doppio del necessario, ma ce l’abbiamo fatta! Non era poi così difficile...
IL MORSO DEL BASILISCO
- 33
A
5 luglio 2007, dalla cima del canale Baroni si ha una splendida vista sul gruppo del Diavolo di Tenda (m 2914).
T
5 luglio 2007
re e mezzo di mattina, io e
Mario riempiamo gli zaini e partiamo alla volta di Agneda, quindi
Punta di Scais. La missione di oggi
prevede:
- salita per la via Baroni che non
ho mai fatto;
- nascondere nel luogo più inaccessibile la bottiglietta del gioco “Il
Tesoro di Vetta”;
- lasciare il libro di vetta sulla
Punta di Scais, che come al solito
consiste in una scatola di cioccolatini danesi con al suo interno fogli e
penne per scrivere i propri nomi e le
proprie storie.
Albeggia mentre raggiungiamo
la Mambretti. I cielo è terso. Anche
prati e fiori hanno tinte fortissime.
Credo per le piogge di fine giugno
che hanno fatto fiorire pure le grigie
morene. Ogni tanto si sente come un
forte scrosciare d’acqua, simile a una
cascata. Ma siamo lontani dai torrenti. E’ un attimo, poi tutto tace. Temo
34 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
siano raffiche di vento in quota,
ma quaggiù è calma piatta.
La morena di Scais è un
campo di fiori azzurri, bianchi e
gialli. Mai vista così.
Dobbiamo salire parecchio
per incontrare le tracce del ghiacciaio. Poi ancora su lungo le faticose gande e siamo all’imbocco
del canalone più orientale della
fortezza di Scais: il canale Baroni,
quello che giunge al netto intaglio a sx dell’acuminato Torrione
Curò.
Il vento, come temevo, inizia
a martellarci le mani. Dapprima
ci destreggiamo su una cengia
di roccia scivolosa che sale verso
dx, quindi entriamo nella parte
superiore del canale, un camino
molto inclinato e angusto. Le
rocce sono cattive, siamo costretti a salire facendo opposizione
sulle pareti esterne del colatoio
(III+). Qualche fettuccia qua e là,
ma son di quelle che han visto la
guerra. Il freddo è tale che ci gela
VERSANTE OROBICO
L P I N I S M O
le mani contro la roccia, sensazione
pessima. Per fortuna il cammino è
breve e sbuchiamo su una selletta
(attenzione nell’assicurare i compagni: i massi in cima al canale sono
instabili; scalzarli con la corda significherebbe ferire qualcuno).
Ci rannicchiamo su un terrazzino del versante S, dove il vento tace.
Precipizi ovunque, ma splendida
vista.
Riposiamo e saliamo una facile
scarpata rocciosa che guarda a levante,
traversiamo a dx, saliamo un canalino e dinnanzi a noi ecco la famigerata placca di IV+, liscia ed esposta. Ai
suoi piedi (S) un grosso masso che
probabilmente ne faceva parte fino
a qualche tempo fa. Cadendo ha lasciato un tetto di roccia. Un chiodo
del paleolitico è conficcato nella
faccia S della gronda.
Primo tentativo: lascio lo zaino
a Mario, m’appendo alla gronda e
provo a scavallarla, ma sono lento e il
vento mi ghiaccia le dita senza pietà.
Torno alla base e metto le mani in
Autunno 2007
tasca. Mario mi suggerisce una tattica per salire che vedeva dal basso,
ma lo devo deludere: “La placca è liscia, di appigli non ne trovi!”. So
che devo essere più deciso, e così è. M’attorciglio sulla gronda, poi
striscio su per la placca. Non guardo giù. Continuo a dire a Mario
di controllare che la corda che sto trascinando non s’incastri. Sono 5
lunghi metri, forse 7 al pianerottolo. Sono in salvo.
Recupero gli zaini e assicuro Mario con una fettuccia di quelle
“buone”. Lo invito a provare, ma non c’è verso. Il freddo ci sta uccidendo le dita. Allora scatta la tecnica Tarzan e, aggrappato alla liana,
Mario arriva sul pianerottolo. E’ fatta! Ci portiamo sul versante settentrionale della cresta e con facili passaggi siamo in vetta.
Fantastico come al solito.
Nascosta la bottiglietta e lasciato il libro di vetta, giù in doppia
per la migliore via Bonomi. Poi visita al Pizzo Brunone e ritorno per
il Passo della Scaletta, ma l’intero giro è troppo lungo per esser raccontato tutto.
5 luglio 2007, discesa in doppia dalla vetta della Punta di Scais.
Ai nostri piedi l’orrido del canale centrale.
www.meteopiateda.it
Artefice e protagonista del sito metereologico www.meteopiateda.it è Martino Marchesini, quarant’anni di Piateda, pompiere a
Lecco. Martino sin dall’adolescenza ha la passione per il computer, per le strumentazioni, i numeri e le loro teorie. Vanta un diploma
di radiotecnico, ma tutto il suo sapere informatico e climatico per giungere all’eccellenza odierna se l’è costruito giorno per giorno,
notte dopo notte, turno dopo turno.
Nel 2004 debutta in rete con www.meteopiateda.it. Una media di 600 pagine giornaliere consultate, con picchi di oltre 1500 e
con il ragguardevole consuntivo di oltre 200.000 pagine consultate dal 18 agosto 2005. Le visite quindi esplodono quando il tempo
volge al brutto; e la breve ma distruttiva tempestata di giugno ha richiamato oltre 290 navigatori in un sol giorno.
Entrando nel vivo del sito non ci si può che stupire per la varietà e vastità di dati; ciascuno, in funzione delle proprie capacità, dei
propri interessi, delle esigenze professionali, può trovarvi elementi attendibilissimi e di grande valenza scientifica.
Una vetrina così vasta non si limita a offrire tabelle, grafici, misurazioni e un ampio menù di link
che consentono di entrare fino nella più complessa maglia della rete e di connettersi
con gli apparati satellitari che ci spiano da chissà quali orbite ed orecchioni: un
Vivi Piateda ed una Piateda in foto, inoltre, esportano la piateditudine ovunque i
diabolici strumenti informatici possano connettersi ad internet.
Anche due webcam, posizionate sul tetto dello studio di Martino, puntano su
terra e cielo rispettivamente ad est e ovest di Busteggia, giorno e notte, consentendo
al lappone come all’aborigeno di osservare uno spicchio di Piateda, il tempo che
fa e di manifestare il loro giubilo quando il loro clima è migliore o sentirsi sfigati
quando sono i piatét a godersi il bel tempo e da loro impazzano tempeste di neve o
tifoni australi.
Brina e frécc a parte; queste sono esclusive di chi ha la bontà di vivere all’ombra
del Rodes!
LE MONTAGNE DIVERTENTI
IL MORSO DEL BASILISCO
- 35
Pechino-Parigi con svolta per Agneda
Marino Amonini
24 settembre 1896
Di ritorno da una gita che credo sia stata fatta oggi la
prima volta voglio lasciare all’ottimo Gio. Bonomi quest’attestato del quale non ha bisogno; ma che servirà almeno a
mostrargli la mia gratitudine.
Egli nella salita dello Scais e del Redorta che facemmo oggi
partendo dalle Baite di Scais alle 4 anti e ritornando alle 7 ½
pom. Vi dimostrò qual è ottima guida e piacevole compagno.
Grazie a lui di cuore!
Scipione Borghese
C.A.I. Sezione di Milano
U
n’annotazione asciutta e generosa, serbata e
messa ben in evidenza dal Bonomi sul suo libretto dove
non mancavano certo le attestazioni di stima di altri importanti clienti, ma che, data la celebrità del personaggio,
costituiva una garanzia delle qualità alpinistiche ed umane
della Guida Alpina di Agneda.
Avrà avuto pure il sangue blu, ma certamente possedeva anche i piedi buoni il principe per considerare una
gita salire in giornata due dei tre 3000 metri esistenti nelle
Orobie; evidentemente si formava ai cimenti, motorizzati
Scipione Borghese (1871-1927) durante il raid Pechino-Parigi.
ma sicuramente altrettanto faticosi, che lo avrebbero consacrato con il raid Pechino-Parigi.
Non va trascurato il fatto che il principe era socio perolto risalto mediatico ha in questi mesi il cenpetuo della Sezione milanese del CAI, ciò fa supporre che
tenario dello storico raid Pechino-Parigi, l’epica impresa
con le montagne il nostro avesse un buon feeling.
automobilistica coronata dal trionfale ingresso dei protaLe sue note biografiche lo descrivono come un uomo
gonisti a Parigi il 10 agosto 1907.
alto, dal fisico asciutto, che si esprimeva con poche parole,
Agli albori della motorizzazione questa temeraria sfida
che era dotato di modi calmi e misurati e possedeva una
rappresentava un’avventura di grande spessore; che la comgrande freddezza ed un dominio di sé.
petizione sia stata vinta da un equipaggio tutto italiano su
Il principe fu parlamentare (1904-1913), valoroso comuna vettura pure italiana ha consegnato l’evento alla storia
battente nel corso del primo conflitto mondiale e diede
ed i protagonisti alla gloria.
La celebre Itala 35/45 HP preparata da Ettore Guizl’avvio ad importanti opere di bonifica nell’Agro romano.
zardi, pilotata dal principe Scipione
Rallegra quindi sapere che un persoBorghese e raccontata dall’inviato del
naggio così celebrato, che già prima del
Corriere della Sera Luigi Barzini perraid vantava fama internazionale come
corse i 16.000 km, disseminati di ogni
viaggiatore ed esploratore, nonché come
genere di difficoltà, in 62 giorni, stacautore di libri di successo, sia giunto in
cando gli inseguitori di ben 20 giorni.
Valtellina e in particolare ad Agneda per
La letteratura ha scritto molto
conquistarne le cime.
sull’impresa, ma quello che piace riPiace anche pensare che Le Montagne
cordare in queste note è che il 24 setDivertenti, la cui filosofia sta nel riscopritembre 1896 uno dei protagonisti, il
principe Scipione Borghese, venne in
re luoghi, persone e racconti dimenticati
Valtellina per effettuare un’ascensione
ma di sicura suggestione, possa ascrivenelle Orobie.
re tra i personaggi cui sarebbe piaciuto
In quegli anni, infatti, queste godequesto tipo di approccio alla montagna
vano di una buona fama alpinistica e
anche questo importante esponente
per uno spirito intrepido come il nobile
dell’avventura, dell’esplorazione e del
pisano non poteva mancare un cimento
pionierismo del suo tempo. Personaggio
su queste vette. Testimonianza di queste
che, per almeno un giorno, ha calcato i
ascensioni è un’annotazione, scritta e
luoghi tanto amati dagli appassionati di
firmata di suo pugno sul libretto della
Guida Alpina Giovanni Bonomi.
Giovanni Andrea Bonomi (1860-1939)
montagna cui il trimestrale si rivolge.
Panoramica sui ghiacciai di Piateda
Riccardo Scotti
L
a Val Venina è una delle
poche valli delle Orobie valtellinesi a non avere andamento uniforme e rettilineo da N verso S, ma
presenta bensì una duplice suddivisione dicotomica che da’ vita a
quattro convalli. Da Est a Ovest si
hanno: Val Caronno, Val Vedello,
Val d’Ambria e Val Venina. Stupirà
sapere che nelle prime tre valli citate
esistono ancora oggi 17 ghiacciai e
glacionevati; tutti di piccole o piccolissime dimensioni. I ghiacciai
di Porola e Scais, pur minuscoli a
scala alpina, sono di gran lunga i
più grandi della valle, coprendo da
soli 516.000 m² di superficie sugli
835.000 dell’intera area glacializzata della Val Venina. Superficie che
equivale soltanto al 4,5% del grande
Ghiacciaio dell’Adamello. I numeri
lasciano erroneamente pensare che
il glacialismo orobico sia del tutto
trascurabile, ma basta un’analisi
leggermente più dettagliata per accorgersi di quanto eccezionali siano
queste manifestazioni glaciali…
nessun’altro settore montuoso lombardo e probabilmente italiano (ad
eccezione delle Alpi Giulie) ospita
ghiacciai superando in soli 3 punti
i 3000 metri di quota (Punta di
Scais m 3039, Redorta m 3039 e
Coca m 3050). In questo contesto
altimetrico del tutto sfavorevole l’altitudine mediana dei ghiacciai è di
gran lunga la più bassa della regione
non raggiungendo neppure i 2400
metri di quota. La fronte del piccolo
Glacionevato del Salto, attualmente
a m 2042 è la più bassa della Lombardia. Altri record “di bassa quota”
sono propri di questo settore che
rappresenta quindi un unicum di
eccezionale importanza per la glaciologia italiana.
A questo punto è lecito chiedersi
quale sia il motivo dell’esistenza di
un glacialismo tanto vivace. La risposta è piuttosto semplice per chi
pratica scialpinismo o per chi, pur
restando nel fondovalle, ha un po’ di
spirito di osservazione. Nelle Orobie
nevica, e pure parecchio visto che
le precipitazioni sono generalmente
doppie rispetto al fondovalle e quasi
triple rispetto alle montagne dell’Alta
Valle. Le umide correnti meridionali
fanno risalire le masse d’aria lungo
le prealpi bergamasche e quando
queste raggiungono lo spartiacque
incontrano aria più fredda presente nel versante nord scaricando qui
gran parte della loro umidità sotto
forma di acqua o, se le temperature
sono sufficientemente basse, neve. In
M
36 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
Le scarse precipitazioni nevose del 2005, accompagnate dal caldo infernale della stessa estate hanno inflitto un durissimo colpo ai ghiacciai delle valli di Piateda,
qui localizzati e numerati.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
IL MORSO DEL BASILISCO
- 37
38 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
--------------------------++
++
++
++
++
++
++
+
n.v.
n.v.
n.v.
n.v.
n.v.
n.v.
n.v.
------+++
+++
+++
+++
+++
+++
+++
+++
-----------n.v.
++
+++
n.v.
s
---+++
+++
+++
n.v.
n.v.
-
----s
n.v.
-n.v.
n.v.
n.v.
1,7
2,5
1,4
0,5
1,6
2,0
0,7
0,6
--n.v.
--25,8
25,8
2,1
0,8
5,4
7,5
---
------n.v.
----S
++
n.v.
+
+
--n.v.
--n.v.
n.v.
++
+
++
n.v.
+++
+++
--n.v.
n.v.
---
2000
1999
1998-2001
2,1
sconosciuto
4,0
2,0
3,5
2,5
sconosciuto
2,5
2,0
sconosciuto
sconosciuto
Val Vedello
Pizzo Grò
Cerich
Salto
Val d’Ambria
Pizzo Omo NW
Pizzo Omo W
Pizzo Diavolo Tenda NW
Bocchetta di Podavitt
Podavista
Aga
Aga Nord
Aga Superiore
1992
28,5
29,0
2,5
sconosciuto
4,0
8,0
ettari (ha)
1,6
0,7
2,8
----n.v.
----
2006
2005
2004
2003
2002
2001
Indice dinamico stagionale
LE MONTAGNE DIVERT
IVERTENTI
ENTI
La tabella riporta i valori misurati e le tendenze dei ghiacciai delle valli di Piateda fra il 1998 ed il 2005.
Legenda: - - - decremento forte / - - decremento moderato / - decremento lieve / S Stazionario / + incremento lieve / ++ incremento moderato / +++ incremento forte / n.v. non visitato o non valutabile.
Bibliografia:
SERVIZIO GLACIOLOGICO LOMBARDO, (a cura di Galluccio A. e Catasta G.), Ghiacciai in Lombardia, Bolis, Bergamo, 1992.
SERVIZIO GLACIOLOGICO LOMBARDO, Terra Glacialis anno V, Milano, 2002.
SERVIZIO GLACIOLOGICO LOMBARDO, Ghiacciai,Glacionevati e forme glaciali minori della Lombardia - rilievi annuali 1990/2004 (inedito)
www.sgl.cluster.it
assato, presente e futuro
Valle di Scais
Porola
Scais
Pizzo Brunone
Passo Scaletta
Cantunasc
Mottolone
P
Dal termine della PEG (Piccola Era Glaciale) ipotizzabile per le Orobie intorno al 1820-1850 i ghiacciai
area
questo modo talvolta si raggiungono valori che pongono
questo settore montuoso fra i più nevosi d’Europa. Fra
l’ottobre 2000 e il giugno 2001 la sommatoria delle
singole nevicate è stata stimata in 35-40 m a 2500 metri
di quota. Il 22 giugno del 2001 al vicino Ghiacciaio del
Lupo alla medesima quota Stefano d’Adda, operatore del
Servizio Glaciologico Lombardo, ha misurato più di 9 m
di neve al suolo in una zona non interessata da accumuli
valanghivi (!). Le grandi nevicate, seppur fondamentali,
da sole non sono in grado di “produrre” ghiacciai, occorre
anche una morfologia adeguata che favorisca un’intensa
attività valanghiva invernale e una efficace protezione dai
raggi solari in estate. Con una semplice passeggiata in Val
d’Ambria, per esempio, ci si può accorgere come i versanti N del Monte Aga, del Pizzo del Diavolo, del Pizzo
dell’Omo e del Pizzo del Salto rispettino perfettamente
queste condizioni.
alpini hanno subito un sostanziale regresso, più
evidente negli apparati di grandi dimensioni
come Porola e Scais che, nella loro massima
espansione storica, arrivavano probabilmente
ad unire le loro fronti. I ghiacciai più piccoli,
pur avendo perso in quasi due secoli gran parte
del loro spessore, sono talvolta ancora appoggiati, a valle, alle ripide ed eleganti morene frontali deposte nell’800. Ne sono evidenti esempi
i piccoli apparati della Val Vedello e della Val
d’Ambria.
Nonostante i ghiacciai orobici avessero particolarmente beneficiato della breve fase di reglaciazione degli anni settanta, gli ultimi 30 anni
hanno evidenziato un drammatico e sempre
più veloce regresso imputabile principalmente
al drastico aumento delle temperature medie.
Un temperatura media annua più elevata, oltre
che favorire in modo determinante la fusione
estiva, provoca un rialzo del limite delle nevicate nelle stagioni di mezzo (autunno e primavera), privando in questo modo i ghiacciai orobici
della loro necessaria razione di neve. In particolare, dopo una fase sostanzialmente positiva
fra il 2001 ed il 2004, favorita dalle abbondanti
precipitazioni di queste due annate, il trend di
decremento ha ripreso rapidissimo, tanto che
le ultime 3 annate (compresa quella in corso)
sono state una vera e propria catastrofe glaciologica. Precipitazioni scarsissime e temperature
estive estremamente elevate sono un cocktail
micidiale che sta portando all’estinzione, probabilmente già da quest’anno, alcuni piccoli apparati dai
nomi curiosi come Cantunàsc, Mottolone, Cerich, Pizzo
Brunone, Pizzo Omo NO e Aga Superiore. Scais e Porola,
grazie a volumi di ghiaccio superiori, garantiscono qualche
anno di vita in più pur denotando comunque segnali di
contrazione altrettanto evidenti. Il bacino d’accumulo
del ghiacciaio di Scais, posto alle pendici occidentali del
Redorta, riceve notevole esposizione alla radiazione solare
e non e più in grado di alimentare la lunga lingua glaciale che dal 2004 si è distaccata dal bacino d’alimentazione. Così, per tutta la larghezza della schiena del mulo, un
tempo ripida e crepacciata impennata mediana del ghiacciaio, è affiorata una fascia rocciosa alta una cinquantina
di metri. Lo stesso Porola, vero simbolo delle Orobie, sta
rapidamente perdendo la ripida e spettacolare lingua che
deborda dal bacino di alimentazione. Le prospettive non
sono certo rosee tanto che, ai ritmi di regresso degli ultimi
3 anni, le estinzioni saranno sempre più frequenti ed in
una decina di anni nelle Valli di Piateda tutti i ghiacciai
più piccoli saranno scomparsi. Una perdita gravissima
purtroppo inevitabile. Ottimisticamente, siamo comunque convinti che, se mai si dovesse assistere ad una sempre
più improbabile inversione di tendenza, gli ombrosi canaloni orobici saranno i primi a beneficiarne.
Ghiacciaio o
glacionevato
Un’impressionante sequenza fotografica dal Rodes che mostra il regresso dei
ghiacciai di Scais e di Porola negli ultimi 70 anni.
H I A C C I A I
I NUMERI DEI GHIACCIAI DI PIATEDA
G
IL MORSO DEL BASILISCO
- 39
VO L A R E
IN
PARAPENDIO
Testi e Foto
Gianfranco Conforti
40 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
Il volo in parapendio in Italia è disciplinato dal D.P.R. 404/88.
Per potersi cimentare in tale attività è necessario conseguire un brevetto di volo, dopo avere frequentato un corso presso una scuola riconosciuta dalla Federazione Italiana Volo Libero (per ogni informazione si può consultare il sito “www.fivl.it”) ed avere sostenuto con successo il relativo esame di
abilitazione (teorico e pratico).
Per potere volare in parapendio non è necessario possedere doti da supereroe: è sufficiente il rilascio di un certificato di idoneità psico-fisica biennale, ma non devono mancare capacità di concentrazione, determinazione ed una gran voglia di divertirsi godendo della natura, ad ogni età (si tratta
infatti di uno sport praticabile dai 16 fin oltre i 70 anni). La Valtellina rappresenta uno degli scenari
più suggestivi per il volo libero.
In provincia gli amanti di questa disciplina da ormai un ventennio si sono riuniti nel club “Volo
Libero Valtellina”, che ad oggi conta circa una ventina di associati.
Non è raro, nelle belle giornate di sole, vederli svolazzare sopra le nostre teste, godendo della
libertà che solo il cielo libero può dare.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
IL MORSO DEL BASILISCO
- 41
LA VALTELLINA VISTA DALL’ ALTO
P
vetta all’altra”. Descrivere con le parole ciò che realmente si prova
è davvero difficile: “Sfruttando le correnti ascendenti, come fanno
gli uccelli, è possibile librarsi in volo per ore coprendo distanze di
decine e decine di chilometri e raggiungendo quote prossime ai
4000 metri. Una volta deciso di ritornare a terra, dall’alto si individua un luogo idoneo all’atterraggio – generalmente uno degli
ultimi prati situati sul fondo valle – ed in planata lo si raggiunge.
Alcune semplici manovre ed in controvento delicatamente si rimettono i piedi a terra”. Dove si può praticare questo sport? Da noi vi è
solo l’imbarazzo della scelta: “I luoghi abitualmente utilizzati per il
decollo sono sul versante retico, essendo quello più esposto al sole e
quindi più generoso di termiche. I nostri favoriti, per citarne alcuni,
sono (direzione ovest-est) i Prati Nestrelli (Cino), l’Alpe Scermendone (Ardenno), Prato Isio (Berbenno), Prato Secondo (Castione),
Carnale e l’Alpe Mara (Montagna), Dalico (Chiuro) e Prato Valentino
(Teglio). Alcuni decolli sono facilmente raggiungibili con l’auto. Altri,
invece, possono essere raggiunti solo a piedi: in tal caso, lo sforzo della
salita – affrontata portando in spalla la sacca con la vela e tutta l’attrezzatura necessaria per il volo – è ampiamente ripagato dal piacere che dà
la consapevolezza che il ritorno sul fondo valle avverrà per via aerea. Se
la giornata è propizia, è possibile – sorvolando le cime delle Alpi Retiche
– percorrere l’intera valle e raggiungere Bormio. Da lì autostop per casa:
anche questo fa parte della bellezza del volo”.
er tutti gli appassionati di volo libero (parapendio – in particolare – ma anche deltaplano e aliante) la Valtellina rappresenta un luogo amato e temuto. Amato per gli spettacolari panorami che dall’alto si possono godere,
per le generose e potenti termiche che permettono voli di alta quota (nelle belle giornate di primavera non è raro
raggiungere quote abbondantemente superiori ai 3.000 metri) e spostamenti per decine di chilometri, passando
da una vetta all’altra. Temuto, e guardato con grande rispetto, perché le medesime condizioni che favoriscono i
grandi voli (una brezza di valle spesso sostenuta - la breva - e la tipica instabilità meteorologica delle aree alpine)
costituiscono elementi di potenziale pericolosità, che occorre ponderare con attenzione prima di staccare i piedi
dal suolo per librarsi in volo. Ma il volo in Valtellina, quando praticato in sicurezza, regala emozioni ed immagini
indimenticabili. Come non restare stupiti godendo di una privilegiata prospettiva su Pizzo Scalino, Cima Piazzi o
Disgrazia? Anche se si è concentrati sul pilotaggio, vi sono lunghissimi e impagabili momenti (soprattutto quando
si effettuano le “traversate” da una montagna all’altra) durante i quali ci si può rilassare, magari provando per alcuni
istanti a chiudere gli occhi e sentire il vento che accarezza il viso. E’ in questi straordinari momenti che si gode sino
in fondo dei magnifici scenari che ci circondano: non solo le cime elevate e maestose, le ampie vallate laterali quali
Valmalenco, Valgrosina, Valposchiavo, Valmasino… ; lontano dai rumori e dalla frenetica quotidianità, tutto è ammantato da silenzi e immobilità surreali. Persino la caotica SS 38, vista dall’alto, sembra così tranquilla. Per capire
in concreto come si svolge questa attività abbiamo chiesto a Giacomo – che vola in parapendio da circa quindici
anni – di trasportarci idealmente in volo con lui. “Per affrontare un volo divertendosi in sicurezza è necessario già
il giorno prima consultare i vari siti internet per acquisire informazioni sulle condizioni meteo del giorno successivo. Il mattino, dopo un giro di telefonate con gli amici, individuato il luogo più favorevole per spiccare il volo,
sacca in spalla si raggiunge il decollo. Quattro chiacchiere con i compagni di volo mentre con il naso all’insù si
analizzano i segnali che il cielo ci manda. Dispiegate le vele, non appena il vento è favorevole, pochi passi e si è in
volo. Immediatamente, quasi per magia, i problemi della quotidianità rimangono a terra e tutti i sensi si focalizzano alla ricerca della prima corrente ascensionale che ti porti su e ti permetta poi di spostarti veleggiando da una
42 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
IL MORSO DEL BASILISCO
- 43
I SEGRETI DEL
In Valmalenco a caccia di
TREMOGGE
minerali e contrabbandieri
ESCURSIONISMO
VA
Passo delle Tremogge (m 3014)
Il Tremogge: paradiso naturalistico
Franco Benetti
Franco Benetti
Bellissimo e velenosissimo: l’Aconito napello è pianta assai diffusa all’alpe Fora. Il suo viola è sgargiante, ma
se ingerito in sufficiente quantità è mortale. Raggiunge la massima velenosità in inverno.
L’itinerario per il passo Tremogge è uno dei più bei percorsi che ci
riserva la valle del Mallero. Offre scenari molto vari, l’attraversamento di zone interessanti dal punto di visto geologico e mineralogico e
la possibilità di raggiungere il confine svizzero. Si tratta di un passo
elevato. 3014 metri slm, una finestra sul crinale che divide la Valtellina
dall’Engadina. L’itinerario è riservato ai buoni camminatori.
Attualmente il valico ha un rilievo solo turistico, ma in passato
anche di transito e commercio, nonostante poco ad occidente si trovi il
ben più agevole e frequentato Passo del Muretto (2652 m), più utilizzato in tempi remoti dalle carovane commerciali o militari.
Se qualcuno è appassionato di mineralogia, può aggiungere alla bellezza della passeggiata anche il gusto magico della ricerca; è infatti divertente cercare minerali quando alle spalle si apre ampio il panorama
della valle del Mallero, con ad O il Disgrazia e là in fondo la Valtellina
e la catena orobica, mentre alzando l’occhio dai cristalli lucenti che ti
scivolano tra le mani, si può, tirando un profondo respiro, dare un’occhiata ad una stella alpina e più in su alle vette della Sassa d’Entova e
del Pizzo Malenco.
Qui l’appassionato mineralogista che ami anche l’ambiente naturale può veramente trovare pane per i suoi denti ed abbandonarsi al
sole. Seppur infangato e magari con qualche dito pesto, sarà sicuro di
non avere buttato via la giornata anche se lo zaino non sarà stracolmo
di sassi.
Consigliabile è poi, per chi avesse ancora “gambe” per procedere,
superata la cosiddetta Cengia del Caval*, raggiungere il passo Tremogge (m 3014), da cui improvvisamente si apre davanti agli occhi la Val
di Fex.
Tutti i fiori allo stadio di bocciolo sono spesso “misteriosi”; questo è semplicemente un Sempervivum
(certo) montanum (probabile) prima dell’inflorescenza.
Sulla cimetta posta ad occidente del passo è presente un piccolo
monumento in bronzo di autore ignoto e raffigura un gruppo
sacro.
Dirigendosi verso O è possibile raggiungere la Forcella di Chaputsch (=cappuccio) e quindi la Sassa di Fora (itinerario difficile).
Lungo il percorso, l’appassionato della flora alpina potrà ammirare l’aromatica Achillea clavenae, il Leontopodium alpinum o Stella
alpina, che fiorisce sui bianchi calcari della zona, varie specie di
anemoni e di senecio, il raperonzolo viola, la margherita alpina e la
Saxifraga oppositifolia dal bel color rosso vinato o la gialla aizoides e
molte altre specie interessanti.
Tra i minerali più belli della zona:
- il diopside, che seppur in cristalli di dimensioni modeste, presenta una limpidezza e una lucentezza che unite al particolare colore
verde acqua, lo fanno avvicinare in bellezza ai famosi cristalli di
questo minerale presenti in Val d’Ala;
- la clinothulite rosa, da cui validi artigiani sanno far emergere
oggetti pregiatissimi.
* Toponomastica ereditata, a quanto sembra, dall’antico uso (XV sec.) di questa
erta via come carrareccia per il passaggio di muli e cavalli carichi di merci destinate
ai mercati svizzeri. Il riferimento al cavallo o ai cavalli si ripete spesso in Valtellina,
sia in alta che in bassa valle: c’è per esempio un Sentiero delle Cavalle sopra Piatta nel
bormiese e c’è il famoso Pian di Cavalli in Val Chiavenna; secondo alcuni potrebbe
anche essere un toponimo attribuito a itinerari poco usati o semplicemente a percorsi lasciati da tracce di selvatici, spesso poi adottati dall’uomo come sentieri.
46 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
L M A L E N C O
Autunno 2007
“La Valle Malenco si apre immediatamente alle spalle di Sondrio ed il suo ingresso è vigilato, come quelle cattedrali che hanno davanti al pronao due leoni
accovacciati, dalle rupi di Triangia e di Masegra. E’ questa valle, profonda, cupa, petrosa, nel primo tratto, stringendosi i monti l’un sopra l’altro, addossati
quasi accorrenti, sul canalone della valle, e nella penombra e nell’ombra che occupa questo gran taglio, si scorgono laggiù, a nord, le torrette delle Tremogge
vestite di neve, che splendono come lumi, cime emergenti in un mondo tutto in luce”. P. Rombi. .
PARTENZA: S. Giuseppe oppure Chiareggio.
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Sondrio si sale in Valmalenco lungo la SP 15. Giunti a Chiesa
idi tornanti
in Valmalenco (km 12) si prende la biforcazione occidentale della valle. Per ripidi
si arriva a S. Giuseppe. Proseguendo per altri 7 km lungo la medesima stradaa si giunge a
Chiareggio.
ITINERARIO SINTETICO: S. Giuseppe oppure Chiareggio - rifugio Longoni (m 2450) - Passo
Tremogge (m 3014).
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 4 ore per la salita.
ATTREZZATURA RICHIESTA: abbigliamento da trekking.
DIFFICOLTÀ: 1/2 su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 1400 metri.
ibile trovare neve
DETTAGLI: EE, passeggiata priva di difficoltà ma che raggiunge quote elevate, dov’è possibile
anche in stagione avanzata.
63, ore 4), per il
VARIANTE ALLA SASSA DI FORA: La bella ascensione Longoni - Sassa di Fora (m 3363,
pinistica PD, 3+).
costolone E - cresta S, richiede capacità alpinistiche o l’ausilio di una guida (alpinistica
Il dislivello in salita è di 1600 metri, con passi su roccia molto friabile fino all II+ e facilmente
tratti su neve. Si consigliano scarponi, ramponi, corda, fettucce e piccozza.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
VALMALENCO
- 47
VA
P
er salire al passo, il punto
d’appoggio ideale è certamente il
rifugio Longoni del CAI di Seregno,
situato sopra un gradino panoramico
a m 2450 e gestito da Elia Negrini,
guida alpina nonchè appassionato di
minerali.
Per raggiungere il rifugio abbiamo
a disposizione due possibilità: partire
dall’alpe Braccia, sopra San Giuseppe, oppure da Chiareggio.
A
ll’alpe Braccia, poco sopra
S. Giuseppe, una sbarra e un cartello
segnalano la chiusura della strada ai
mezzi non autorizzati. Si prosegue a
piedi.
La vecchia rotabile un tempo
saliva fin sotto il Rifugio EntovaScerscen (m 3000), emblematico
tentativo degli anni ‘70-’80 di portare
lo sci estivo in Valmalenco. Fallì e il
rifugio fu abbandonato. Poi è stato il
turno dei vandali che hanno rubato
tutto il rubabile e fatto a pezzi tutto
quello che si poteva rompere. Ciò
che rimane lassù è un casermone fatiscente in preda agli eventi e che fra
non molto inizierà a crollare.
C’incamminiamo a NO. Strada
accidentata. Dopo una serie di tor-
nanti, inizia un tratto pianeggiante
in direzione dell’Alpe Entova. Ci
voltiamo a O, colpiti da uno dei più
suggestivi scorci dell’alta Valmalenco. Il susseguirsi di cime e vallate che
sbucano sopra e dietro la Sassa di Fora
è impressionante: da dx il Monte del
Forno (m 3214), la Val Bona con il
Passo del Forno (m 2775), la Cima di
Val Bona, (m 3033), il Monte Rosso
al centro e la chiara Cima di Vazzeda
a sx (m 3301); segue poi il circo di
vette che racchiudono la Val Sissone:
la Cima di Vazzeda, la tagliente
Cima di Rosso (m 3366), il Monte
Sissone (m 3330), la Punta Baroni
(m 3203), le Cime di Chiareggio col
il passo di Mello, quindi la Sella di
Pioda col Disgrazia (m 3678). A SO
(sx) il panorama propone in primo
piano l’aspro versante montuoso del
Torrione Porro, della Punta Rosalba
(m 2803), della Cima del Duca (m
2968), del Pizzo Rachele e del Cassandra (m 3226). Più a E, appena
sopra San Giuseppe e Chiesa, chiude
il panorama il Corno di Braccia
(2909 m).
Dopo aver guadato il torrente
Entovasco e ammirato il caratteristico gruppo di baite dell’Alpe Entova
(1917 m), lasciamo la carrozzabile
L M A L E N C O
I
l
susseguirsi
di cime
e vallate
che sbucano
sopra e dietro la
Sassa di Fora è
impressionante...
e, per abbreviare un po’ il percorso,
imbocchiamo il sentiero segnalato che parte in cima ai prati a NO
delle baite (indicazioni per il rifugio
Longoni). Raggiunto il limite del
bosco, il sentiero comincia a guadagnare quota attraverso una splendida macchia di vegetazione. Man
mano, i larici lasciano il posto ai
pini mughi e, se si è fortunati, sotto
questi ultimi si possono trovare preziosi e profumati boleti. In basso a
SO occhieggia di tanto in tanto il
laghetto d’Entova. Dopo una lunga
traversata (NO), il sentiero termina
intercettando di nuovo, a un tornante verso sx, la strada sterrata. La seguiamo e, al secondo tornante verso
dx, troviamo un piccolo spiazzo e la
Verso San Giuseppe
S
aliamo da Sondrio a Chiesa Valmalenco (SP 15) e proseguiamo poi verso l’alta Valmalenco (le indicazioni danno S.
Giuseppe a 5 km e Chiareggio a 12 km). Una serie di tornanti ci fa guadagnare rapidamente quota lungo il ramo occidentale dell’alta Valmalenco, attraversando un ambiente segnato irrimediabilmente dalle grandi lacerazioni provocate dalle
cave di estrazione del serpentino. Qui vale la pena fermare l’auto e girarci verso S ad ammirare la più straordinaria delle
opere di escavazione sotterranea e di archeologia industriale presenti in valle: il cosiddetto Giovello, quello che rimane di
secoli e secoli di lavori in galleria per l’estrazione del caratteristico serpentinoscisto con cui si producono le piode della
Valmalenco, usate ancora oggi per la copertura dei tetti; si tratta di un frammento della storia di questa valle che solo ora
si sta iniziando a mettere a disposizione del turismo tramite visite guidate su itinerari appositamente predisposti e messi
in sicurezza.
Dopo alcuni tornanti che attraversano le località di Val Rosera e di Vallascia, si raggiunge rapidamente l’ampia e
ridente conca che ospita S. Giuseppe (m 1433), dominata a N proprio dall’imponente versante montuoso di cui fa parte
il pizzo Tremogge, cui si aggiunge, più a O (sx), l’isolata e massiccia Sassa di Fora (m 3363). Oltre la chiesetta, troviamo
sulla dx la deviazione per il rifugio Sasso Nero (m 1520).
Tre tornanti e siamo al largo piazzale del rifugio (poco distante vi sono le stazioni di partenza delle seggiovie per il
Palù), da dove si imbocca la carrareccia per l’alpe Barchi e l’alpe Palù. Altri due tornanti e si prende sulla sx la deviazione
segnalata per il rifugio Longoni (il cartello indica 2 ore e mezza di cammino). Ancora pochi minuti di auto e si giunge
a quota 1640, a monte dei Prati della Costa, nei pressi dell’alpe Braccia, un gruppo di case dove una sbarra e un cartello
segnalano la chiusura della strada ai mezzi non autorizzati.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
VALMALENCO
- 49
VA
19 giugno 2005. Il Disgrazia si specchia nel laghetto della Piana di Fora.
deviazione per la Longoni (segnale
su un grande masso, m 2200 ca, ore
1:45).
Lasciata la rotabile, saliamo per
sentiero in direzione NO. Attraversiamo prima una fascia di pini
mughi, poi un ripido versante di
magri pascoli, ai piedi di un sistema
di speroni rocciosi che nascondono
alla vista il rifugio. È un tratto piuttosto faticoso; una sosta ci fa ammirare,
50 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
a SO, l’imponente cima del Disgrazia,
ora ben più visibile, a sx del poco pronunciato monte Pioda (m 3431) e del
ripido passo di Mello (m 2992), valico
tra l’alta Valmalenco e la Val Masino.
Da questa altezza il quadro delle cime
ci è molto più chiaro e vediamo bene
anche la vedretta settentrionale del
Disgrazia, ghiacciaio che, come purtroppo tutti i circhi glaciali delle Alpi,
è in forte ritiro.
Arriviamo quindi all’incrocio
dove si intercetta il sentiero che sale
da Chiareggio e dalla Piana di Fora
(vedi di seguito); girando a dx si raggiunge finalmente il rifugio Longoni
(m 2450, ore 0:35), aperto generalmente dall’inizio di luglio a metà
settembre.
anni un’attrattiva del centro turistico
malenco, e arriviamo al sentiero mineralogico, dove sono stati collocati vari
massi raccolti nelle vallate vicine e trasportati qui con l’elicottero: sono gli
esempi delle diverse rocce caratterizzanti il variegato panorama geologico
della Valmalenco.
Seguiamo i segnavia (bandierine
rosso-bianco-rosse, spesso sovrapposte ai triangoli gialli
dell’Alta Via) e, lasciate
alle nostre spalle le case di
Corti (m 1638), entriamo in un fresco bosco
di abeti. Superato il torrente della Val Novasco,
compiamo una lunga
diagonale verso NE, fino a
raggiungere il limite inferiore
dell’alpe Fora, sul lato occidentale
della Val Forasco.
All’uscita dal bosco si impongono
all’attenzione le Tre Mogge: pizzo Tremogge (m 3441), pizzo Malenco (m
3438) e Sassa d’Entova (m 3331). La
cima del Tremogge è completamente
bianca, grazie alla roccia dolomitica di
cui è costituito, mentre il secondo e
il terzo sono caratterizzati da fasce
chiare di dolomia, che attraversano
la scura roccia incassante di fondo.
Alla sx del Tremogge si trova, su una
ben visibile depressione del crinale,
il passo delle Tremogge (m 3014),
S
L M A L E N C O
u un grande
e splendido
terrazzo è
incastonato
il
laghetto dall’acqua
limpida nel quale amano
specchiarsi il Disgrazia
e l’intera testata della
Val Sissone
meta finale di questo affascinante
percorso. A dx domina il massiccio
roccioso in cima a cui è la Longoni,
e da qui par cosa dura arrivarci!
Il sentiero risale i prati inferiori
dell’alpe e, dopo aver traversato la
carrozzabile, raggiunge, nei pressi
delle baite, un pannello illustrativo
con mappa e indicazioni (Alpe Fora,
m 2053, ore 1).
Le pendenze crescono e la via
s’attorciglia in alcune anse. Oltre il
guado sul torrente, ai piedi del costolone ESE della Sassa di Fora, guadagniamo velocemente l’immensa
Piana di Fora (m 2300 ca). La baita
L’
itinerario da Chiareggio (m
1612) richiede un dislivello
pressochè identico a quello
da S. Giuseppe, se consideriamo l’inizio della camminata ai 1640 metri dei
Prati della Costa, ma offre
un ambiente e un percorso
decisamente più vari.
Da Chiareggio seguiamo le indicazioni della IV
tappa dell’Alta Via della
Valmalenco (Chiareggio
- rifugio Lago Palù) che ci
orientano verso una stradina che, in corrispondenza
di un lungo parcheggio
appena prima del paese, si
stacca a N della provinciale. Costeggiamo il parco
delle marmotte, ormai da
Autunno 2007
19 giugno 2005. Le cascate della Piana di Fora. Ai piedi dell’ultima in basso è nascosto il Tesoro di Vetta della Valmalenco. Sopra: l’Alpe Fora negli anni ‘20.
LE MONTAGNE DIVERTENTI
VALMALENCO
- 51
ESCURSIONISMO
VA
Diopside
Clinozoisite
28 luglio 2007, il tracciato Longoni - passo Tremogge visto dalle pendici della Sassa di Fora.
a quota 2309, isolata e rialzata al
centro dei prati, domina la conca.
Pianeggiamo per pascoli e acquitrini fino al guado sul Forasco. L’erba
vien cullata dal vento e, anche se
ci sono molti altri escursionisti, la
pace è la padrona di questi luoghi.
Ci voltiamo a S e, proprio in fondo
al pianoro, scorgiamo il laghetto nel
quale amano specchiarsi il Disgrazia, l’intera testata della Val Sissone
e le imponenti cascate che scendono dagli scuri gradoni rocciosi che
cingono l’alpe.
L’Alta Via prosegue verso SE: attraversata l’alpe e, superata con una
salita non severa una fascia di rocce
lisce, siamo al trivio già incontrato
nell’itinerario precedente. I cartelli indicano che scendendo a dx si
raggiunge la strada per S. Giuseppe,
salendo a sx (N) si va al Passo Tremogge, mentre proseguendo diritti
si raggiunge, dopo pochi minuti, il
rifugio Longoni (m 2450, ore 2:30).
Guardando verso E e verso Sondrio,
si possono riconoscere le cime dell’alta Val di Togno. Da sx si notano
l’inconfondibile
piramide
del
52 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
pizzo Scalino (m 3323)- il piccolo
Cervino malenco-, il selvaggio pizzo
Painale (m 3248) e la Vetta di Ron
(m 3136).
V
erso il passo
Sul grande masso dell’ormai
famoso trivio si trova l’indicazione
per il passo. Seguendo i segnavia, ci
inerpichiamo fra grandi blocchi di
pietra su cui è assai difficile mantenere un passo regolare e su cui, in
caso di pioggia, è anche facile scivolare. Via via il cammino si fa più dolce
e regolare. Un tratto in leggera discesa
ci fa attraversare una modesta conca
(m 2500 ca).
Attraversiamo senza problemi
alcuni torrentelli, e pianeggiamo. Il
terreno è umido, quasi sabbioso, cosparso qua e là di grossi massi precipitati a valle e trascinati qui dal ghiaccio
molto tempo fa. Ci sono molti fiori:
la margherita alpina, l’achillea o la
gialla saxifraga aizoides, quasi sempre
presente vicino al greto dei corsi dei
ruscelli alpini. Con una diagonale
verso NO (sx), ci portiamo sul limite
di un dosso erboso. La traccia comincia a salire puntando diritta verso N.
Ai pascoli si sostituisce un terreno di
sfasciumi e discariche. La pendenza
cresce ancora. Alla nostra dx, fino a
pochi anni fa, c’era un nevaietto, oggi
scomparso, che doveva essere fiancheggiato per un buon tratto, prima
di attraversarlo e arrivare alla cosiddetta Cengia del Caval, dove inizia la zona
più adatta per la ricerca dei minerali.
In quest’area, infatti, l’appassionato
può cominciare la ricerca, prestando
attenzione ai frammenti di micascisto presenti nella discarica, dove si
possono rinvenire cristalli lucenti di
minerali di titanio come l’anatasio e
la brookite.
Grossularia
Il sentiero affronta con ripidi tornanti un dosso erboso, descrivendo,
poi, una diagonale su un versante
meno severo. Oltre un valloncello, ricominciamo a salire per un
sistema di speroni rocciosi ricoperti
da pascoli. Arriviamo al limite inferiore di una vasta fascia di rottami,
dove si possono rinvenire con un po’
di fortuna campioni di vari minerali come diopside, clinothulite rosa
compatta, granato, lizardite, titanite rosa ecc.
Anche se appesantiti dai sassi
raccolti, proseguiamo! La traccia si
fa esile, ma sempre segnalata; attraversiamo in diagonale il versante in
direzione NO fino al suo limite superiore, dove si apre la conca terminale che ospita un laghetto di colore
verde-azzurro (m 2927).
Cerchiamo il corno di roccia che
demarca il passo, ma non lo si vede
ancora. Superiamo un primo dosso e,
guadagnando quota, avvistiamo sulla
dx un secondo laghetto gemello, immediatamente a monte del primo. I
due specchi d’acqua sono dominati
dal massiccio versante SO del pizzo
L M A L E N C O
Tremogge: una spettacolaolare parete quasi verticale
su cui corre un’emozionante via di salita
alla vetta stessa.
La traccia piega,
infine, leggermente a dx, fino al
passo Tremogge (m 3014, ore 1:30).
L’aria frizzante e lo stupendo scenario che si apre sul versante svizzero
ci lasciano un attimo intontiti: è
valsa la pena di faticare e sudare per
ammirare la vedretta del Tremogge,
sul versante svizzero appena al di là
e sotto il passo. In basso, si apre la
verde e pianeggiante Val di Fex, che
sfocia in Engadina. Si può intravedere il lembo orientale dell’ampio
Lei da Segl, cioè del Lago di Segl nei
pressi di Sils. Sullo sfondo, velate da
una nebbiolina chiara, si distendono
come tante quinte in successione i
crinali delle cime settentrionali dell’Engadina.
L
a zona mineralogica del Pizzo Tremogge è stata scoperta nel lontano 1914, come ricorda
P. Sigismund in una memoria apparsa nel 1947 sul Bollettino italiano di Scienze naturali; i primi
ritrovamenti significativi segnalati riguardano minerali come epidoto, grossularia, vesuvianite e
diopside.
In seguito la località viene citata da C.M. Gramaccioli nel 1962 e da R. Crespi con altri che
pubblicano uno studio sulla cancrinite-vishnevite e sugli originali granati triacisottaedrici ivi rinvenuti.
Nel 1984 esce I minerali del Pizzo Tremogge in Valmalenco di Franco Benetti, un lavoro monografico che intende mettere in
luce in tutta la sua importanza questo piccolo paradiso naturale. Il Tremogge è una lieta sorpresa dal punto di vista geologico
e mineralogico; vi vengono elencati circa 50 specie delle circa 300 presenti in Valmalenco, tra cui la geikielite, l’anatasio e la
brookite, minerali fino ad allora mai segnalati in questa particolare zona.
C’è infatti un posto lassù dove tra cascatelle d’acqua e prati di stelle alpine si possono rinvenire notevoli
campioni di questi due minerali di titanio, in bellissimi ottaedri e lamine, di colore bruno e giallo miele.
I cristalli di anatasio sono numerosi e tempestano le litoclasi degli gneiss limonitici della zona, brillando
come tante pietre preziose tra i detriti che cadono a ogni colpo di martello e si disgregano poi nelle acque
limpide e nelle discariche sottostanti.
Per concludere la bibliografia sulla zona citiamo alcuni articoli tra cui quello comparso sulla rivista La
Gemmologia n.1/2 (1986) di Bianchi, Crespi e Liborio sugli epidoti rosa di Valtellina (zone di Prà Isio e Tremogge) e quello comparso nel 1992 sul Bollettino n.2 dell’Istituto Valtellinese di Mineralogia di Sondrio
con un aggiornamento che in pratica completa con i nuovi ritrovamenti le specie presenti in quest’area.
Sono usciti infine alle stampe nel 1993 I minerali della Provincia di Sondrio: Val Malenco di Bedognè,
Montrasio e Sciesa e nel 1994 Guida mineralogica della Valmalenco di Franco Benetti che chiudono il
quadro della bibliografia sulla località.
Clinocloro
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
VALMALENCO
- 53
IL CONTRABBANDO IN VALMALENCO,
I
n Valtellina gli anni Trenta e Quaranta del secolo
scorso hanno visto il culmine del fenomeno del contrabbando con il territorio elvetico. La Valmalenco, come altre
importanti valli, ne è stata fortemente interessata. In un
articolo dell’annuario del CAI di Sondrio del 1989 (cui
questa scheda è largamente debitrice), intitolato “Alte Vie
del Contrabbando in Valmalenco”, il prof. Ivan Fassin ne
ha tracciato un quadro di sintesi assai efficace, appoggiandosi a quanto emerso dalla testimonianza di alcuni protagonisti.
Di solito si pensa alle attività degli “spalloni” come
circonfuse di un alone di romanticismo, legandole alla
poetica dell’avventura, del transito clandestino dei valichi
di confine, di una partita sempre aperta con i militi della
Guardia di Finanza, giocata con astuzia, prontezza, resistenza fisica. Ad uno sguardo più attento emerge, al di
sotto di questa patina, una dimensione assai più prosaica e
sofferta, quando non tragica. La redditività di questi traffici, innanzitutto, non era proporzionata agli sforzi ed ai
rischi connessi. Ma, in periodi di stenti diffusi, anche una
modesta integrazione del reddito delle magre economie
contadine era di vitale importanza. Una certa incoscienza e
la vigoria fisica della giovane età erano componenti essenziali di quelle traversate, che erano, spesso, autentici tour
de force. Si procedeva in squadre di 10-12 persone, non
solo nella buona stagione, ma anche in quella invernale,
quando la neve spesso alta obbligava ad alternarsi ogni 7-8
passi nel tracciare la via, perché lo sforzo di chi batte traccia
è assai maggiore di quello di chi segue. Provvidenziale l’ausilio degli sci, certo non moderni e tecnologici come gli
attuali, ma rudimentali, spesso ricavati in casa da tronchi
di frassino. Si procedeva con il cuore in gola, perché la
sorpresa poteva sempre materializzarsi e diventare rischio
mortale, primo fra tutti quello connesso con slavine e valanghe. Da non dimenticare, poi, le insidie del gelo e della
tormenta che ti paralizza e rischia di farti perdere del tutto
l’orientamento, perché anche il più esperto conoscitore dei
percorsi montani sa che, quando la visibilità si riduce a
pochi metri, non ci si rende davvero più conto di dove si è
e di dove si sta andando. Il più delle volte filava tutto liscio,
anche grazie ad un capillare sistema di segnalazione di
alcuni “alpeggiatori complici” che, soprattutto d’estate,
quando la vegetazione riduceva di molto la visibilità delle
persone, avvertiva i contrabbandieri degli appostamenti
dei finanzieri; qualche volta, però, al primo sentore di un
possibile incontro-scontro con gli avversari di sempre, si
doveva nascondere tutto in qualche anfratto o nella neve,
battersela a tutta velocità, per tornare, poi, a recuperare la
merce. Il prezioso carico, 25-30 kg se non più, consisteva
in tabacco e sale dalla Svizzera, ma anche formaggi, burro,
salumi, riso e lana d’angora dall’Italia, ben pigiati nello
Agriturismo
filippo
54 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
FRA POESIA E PROSA
zaino per sfruttare al massimo le faticose maratone: un
viaggio a vuoto sembrava un assurdo spreco di energie.
I valichi più frequentati non erano quelli più
agevoli, essendo questi maggiormente vigilati dai militi.
Perciò lo storico passo del Muretto (m 2560) veniva utilizzato solo di rado, sia per l’elevato rischio di valanghe, sia
per il costante appostamento della Finanza all’alpe dell’Oro, facilmente eludibile solo quando le condizioni della
neve consentivano una scivolata unica fino all’alpe Forbicina, tanto rapida da vanificare l’intervento dei finanzieri.
Più utilizzata la vicina sella del Forno (m 2775), a S-O,
con successiva discesa in Val Bona. Circostanze particolari
potevano indurre ad itinerari decisamente più lunghi, che
toccavano il passo di Zocca od altri meno agevoli valichi in
Val Masino, con rientro in Valmalenco attraverso la valle
di Preda Rossa, il passo di Corna Rossa, la val Airale e la val
Torreggio (itinerario oggi ben noto a coloro che percorrono il sentiero Roma). Ad E del passo del Muretto, invece,
si colloca il passo dal Tramoggia, o delle Tremogge, ancora
più alto (m 3014), al quale culmina l’elvetica Val di Fex.
Anche questo veniva assai utilizzato, tanto che la guardia
di Finanza costruì una piccola caserma nella zona dell’attuale rifugio Longoni, il cui nome è tristemente legato ad
uno dei pochi episodi tragici, con alcune vittime.
Spostiamoci, ora, ad oriente, considerando l’alta Val
Lanterna, che era meno esposta al rischio di valanghe e
maggiormente si prestava a varianti anche lunghe e tortuose per la sua stessa conformazione. La sezione centrale, con i giganti del gruppo del Bernina, appare del tutto
invalicabile. Così non è, per il vero, poiché proprio ad O
della triade Roseg-Scerscen-Bernina si colloca il più alto
in assoluto fra i passi praticabili, quello di Sella (m
3270), assai poco utilizzato per la quota quasi proibitiva,
ma non del tutto trascurato, come testimonia una storia
S
M. Dei Cas
abbastanza nota: una volta un gruppo di contrabbandieri, che salivano dal versante italiano con il solito carico da
smerciare in Engadina, vi incontrò un drappello di militari elvetici impegnati in una dura esercitazione. Quella
volta, si racconta, i contrabbandieri si sgravarono anzitempo del carico, vendendolo, dietro pronto compenso in Franchi svizzeri, ai soldati provati dalla fatica e
dalla fame.
La “via maestra” del contrabbando solcava il passo di
Canciano (m 2464), che si immette nella val Poschiavina; la sorveglianza dei finanzieri all’alpe di Gera veniva
talvolta elusa mediante una traversata per il ghiacciaio
di Fellaria fino all’alpe omonima. Assai praticati erano
anche il vicino passo di Campagneda (m 2632), con
accesso diretto alla conca delle alpi Campagneda e Prabello, e, più a N, il passo Confinale (m 2628), con discesa
all’alpe Gembré, quando si supponeva che questi alpeggi
fossero “liberi”. In periodi di sorveglianza intensificata,
però, uscite e rientri potevano appoggiarsi anche a vie
che gravitavano sul gruppo Scalino-Painale, e sui passi
dell’alta Val Fontana, in particolare il passo del Forame,
fra Val Fontana e Val Painale, ed il passo degli Ometti,
fra quest’ultima valle e la Valmalenco, con discesa all’alpe
Prabello. Anche la vedretta dello Scalino era praticata, se
necessario, senza troppe precauzioni.
Oggi ci rimane solo il ricordo poetico di un periodo
che rischia di essere sentito come una sorta di epopea
eroica, dimenticando povertà e sofferenze che inducevano a questi atti di “eroismo”. Resta, fra le iniziative che
vogliono tener vivo il ricordo di questo pezzo di storia
valtellinese, una skyrace internazionale che ogni anno,
nella prima metà di giugno, propone un itinerario da
Lanzada a Poschiavo, passando per i luoghi classici del
contrabbando sul versante NE della Valmalenco.
IL PANÀU
i dice che un tempo, in Valmalenco, vivesse un uccello rapace notturno, oggi scomparso, il panàu, che si appostava di notte per ghermire di sorpresa le sue ignare vittime, le quali si accorgevano della sua presenza solo quando schizzava
fuori dal suo nascondiglio, ed era troppo tardi.
Ci sono diversi luoghi della Valmalenco il cui nome è legato a questo uccello. Si tratta dei sassi o delle baite prediletti
dai finanzieri nei loro appostamenti, perché l’effetto della comparsa improvvisa dei militi sui contrabbandieri doveva
essere simile alla comparsa di questo mitico uccello predatore. Nel comune di Chiesa in Valmalenco ce ne sono almeno
tre, il Baitìgn di Panàu, piccola baita a monte della strada del Muretto, il Balùn del Ciaz o Balùn di Panàu, grosso masso
a monte della strada per Chiareggio, ed il Casign di Panàu, piccola baita all’alpe d’Entova, presso il torrente Entovasco,
che sorvegliava la zona a valle del passo delle Tremogge. Nel comune di Caspoggio si trova, poi, il Böc di Panàu, masso
con una cavità nei boschi della località Castello. Nel comune di Lanzada, infine, ci sono almeno cinque Sas di Panàu,
roccioni utilizzati per gli appostamenti, sulla mulattiera Dosso dei Vetti – alpe Campascio, sulla mulattiera di accesso alla
Foppa sopra Campo Franscia, sul limite a monte dell’alpeggio di Campagneda, a monte della chiesa di S. Carlo a Vetto e
sulla strada per la località Bruciata. A questi vanno aggiunti una Ca di Panàu, un rudimentale ricovero ricavato sotto una
roccia sporgente nella piana della Val Confinale che precede il passo omonimo, e la Caserma di Panàu (o Ca di Panàu), la
caserma della Guardia di Finanza costruita alla fine dell’Ottocento e abitata fino agli anni Sessanta, dalla quale partivano
i servizi di pattuglia in particolare verso i passi di Canciano, Ur e Confinale.
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
VALMALENCO
- 55
SASSA DI FORA (m 3363)
A
Beno & Elia Negrini
1 agosto 2007, la Sassa di Fora vista dalle pendici della Sassa d’Entova. Il toponimo Sassa di Fora deriva per contrasto con Sassa d’Entova
che indica “roccia fra due fiumi”, il Forasco e l’Entovasco che racchiudono la Sassa e l’Alpe d’Entova. Per portare acqua all’Alpe di Fora i
pastori dovettero fare una canalina di deviazione del torrente Forasco.
L’
alpinista che arriva in
Longoni non potrà fare a meno di
desiderare una delle magnifiche vette
che abbracciano il rifugio. Con questa
breve relazione vi descriverò la bella e
imperdibile ascesa alla Sassa di Fora.
28 luglio 2007 - Arrivo in Longoni
che è già l’una passata. Un caldo infernale. Un drappello di escursionisti è
raccolto attorno ai tavolini esterni per
56 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
ultimare il pranzo fra le solite storie
lavorative. Nuvoloni scuri scorrono
rapidi sulle imponenti cime delle Tre
Mogge, sul Disgrazia e sulla Sassa
d’Entova. L’afa è tale che le cime più
lontane sembrano degli acquarelli.
Dalla porta a vetri esce Elia, il
gestore del rifugio. Il turno di cucina
è finito, i clienti sazi e appagati, e ora
possiamo chiacchierare di montagne.
VA
L P I N I S M O
Lui è incuriosito dal Painale, quella
sagoma scura e paurosa laggiù lontano
a E. Ne ha letto sul numero d’estate
di Le Montagne Divertenti e vorrebbe salirici quanto prima. Io, invece,
avendo già fatto il Painale settimana
scorsa, sono ora attratto dalla Sassa
di Fora. La vedo qui dinnanzi a noi,
col suo versante orientale. 1100 metri
sopra la Piana di Fora all’apparenza
verticali, poi una cresta rocciosa ondulata che corre da S a N, dalla quota
3300 alla massima elevazione (m
3363). Un piccolo ghiacciaio è appeso
lassù in alto a sx, mentre a dx della
vetta si scorge una lingua di neve che
spunta dal versante settentrionale del
monte. Il fianco S del Fora è un’immane parete rocciosa a picco su Chiareggio. Solo negli anni ‘50, e con l’ausilio
di chiodi, lazzi e scale, una cordata è
riuscita a risolverla.
Elia mi dice che coi clienti di solito
sale per ghiacciaio dalla Forcola dal
Chaputschin, intaglio a O del Passo
Tremogge. Il valico viene raggiunto per erbe e macereti anche grazie
alla vecchia traccia dei contrabbanAutunno 2007
dieri. Poi, osservando la mia tenuta
da spiaggia, aggiunge: ”Ma i servìss i
rampùn”.
L’unica soluzione praticabile senza
ramponi è il versante E. Le persone
iniziano a mormorare.
“Devi scendere nella Piana di Fora,”
spiega Elia “ attraversarla e quindi abbassarti per il sentiero fino al ponte sul
Forasco, proprio ai piedi del costolone ESE della Sassa di Fora (m 2200
ca, ore 0:40). Di qui sali il crinale per
ripido cerone. Incontrerai un canale
che devia le acque del Forasco verso
l’Alpe Fora, poi più in alto i resti di
un secondo canale. Pensa che l’avevano costruito quelli di Chiareggio per
carpire il torrente a m 2500, dove un
tempo arrivava il ghiacciaio.
Prosegui verso l’alto per rottami
e, ai piedi della fascia rocciosa a metà
versante, prendi il camminamento che
si defila sulla sx verso la parete S. C’è
qualche ometto segnaletico...”.
Seguo le indicazioni di Elia e,
senza problemi sono al camminamento. Sbaglio e m’affido a una falsa
traccia che si trasforma in una cengia
strettissima. Sono sulla parete S, sotto
i miei piedi il vuoto, poi Chiareggio.
Treman quasi le ginocchia. Capisco
che questa non è la strada giusta, ma
con ogni probabilità è il passaggio folle
che usavano una volta i contrabbandieri diretti verso la vedretta di Fedox.
Dietrofront fino a rivedere gli ometti
e un angusto passaggio sotto un roccione (dx).
Quindi, per tracce logiche e spesso
segnalate, guadagno quota. Ecco le
gande che orlano a S il ghiacciaio. La
cresta è larga e poco pendente. Dopo
aver costeggiato il ghiacciaio da sx,
una rampa mi introduce nel caminetto per la quota 3300 (ore 3). Paesaggio
sorprendente, vista magnifica in ogni
direzione, Italia - Svizzera, Disgrazia - Glüschaint - Bernina- Scalino
- Corna Mara e l’inaspettata sorpresa
della grande vedretta di Fedox. Sono
nel luogo in cui qualsiasi fotografo
di montagna vorrebbe trovarsi, ma la
vetta è ancora lontana.
Continuo verso N sulla lunga
cresta, instabile successione di prominenze e depressioni. Il primo tratto è
il più pericoloso. Mi appoggio al verLE MONTAGNE DIVERTENTI
L M A L E N C O
Sassa di Fora versante E. In rosso l’itinerario di salita estivo, in verde quello scialpinistico, da
affrontare solo con neve ben assestata. Foto e tracciati Elia Negrini.
Foto Alfredo Corti - archivio CAI sez. Valtellinese.
sante occidentale. Ai miei piedi alcune decine di metri di ripidi sfasciumi, quindi
un saltone e la vedretta di Fedox, cimitero di tutti i sassi scalzati dalle mie scarpe.
Foto antiche testimoniano che una volta questa era una cresta nevosa, il ghiacciaio
saliva fin quassù. Pure Elia si ricorda che negli anni ‘80 c’era sempre neve, ma ora
gli scenari sono cambiati e, come spesso accade, il caldo ha reso le montagne più
pericolose: ai morbidi pendii nevosi si sono sostituite delle rocce pericolanti.
Aggirando sempre le difficoltà da sx, supero vari testoni con colori che vanno
dal rosso al bianco. L’ultimo tratto della cresta S della Sassa di Fora è largo. In poco
tempo sono all’omone di vetta (m 3363, ore 1).
Do un occhio in giro. In Svizzera diluvia e le nubi si stanno avvicinando velocemente. Se si bagnassero le rocce mi troverei nei guai, così alzo i tacchi e torno
rapido verso la quota 3300. Puntuale la pioggia mi colpisce nel pezzo più brutto.
All’improvviso inizia a soffiare un vento gelido. L’acqua si ribella alle leggi della fisica
e corre dal basso verso l’alto. Scivolo a ogni passo, ma un po’ camminando e un po’
a gattoni arrivo sulla spalla E. Fuori pericolo.
VALMALENCO
- 57
ESCURSIONISMO
Tirano -
St. Moritz:
IL TRENINO DEL BERNINA
Luciano Bruseghini
5
L
e Alpi,
soprattutto quelle Svizzere, sono uno scenario di
rara bellezza: dai prati fioriti del fondovalle, agli animali
al pascolo negli alpeggi curatissimi, ai laghetti glaciali, fino alle
cime maestose ricoperte da eterni ghiacciai. Ma ci sono anche delle opere
costruite dagli uomini che possono essere annoverate tra le bellezze delle Alpi.
Una di queste è sicuramente il “Trenino Rosso del Bernina” che collega Tirano a St Moritz passando per
la Val Poschiavina e superando i m 2250 del Passo del Bernina, con qualsiasi condizione meteo.
La costruzione iniziò nel 1906 e terminò nel 1910, ma la ferrovia venne subito aperta appena alcune tratte furono
completate. Il suo unico binario è a scartamento ridotto, ossia la distanza tra le rotaie è di circa un metro, per meglio superare le asperità del terreno, anche grazie a curve di raggio molto ridotto e a pendenze fino al 7% senza l’uso di cremagliera.
Uno dei passaggi più spettacolari è la curva elicoidale, nei pressi di Brusio, che permette al treno di superare diversi metri
di dislivello compiendo un giro completo su se stesso.
Nel 1942 il Treno del Bernina entrò a far parte della Ferrovia Retica, ferrovia a carattere cantonale che gestisce praticamente tutto il traffico ferroviario dei Grigioni, interamente a scartamento ridotto. Ciò permise di risolvere i vari problemi
economici che gravavano sulla tratta, poco frequentata durante il secondo conflitto mondiale.
Il viaggio inizia alla stazione di Tirano (m 430), dove, dopo aver sbrigato le formalità doganali (non scordatevi la carta
d’identità!), si attraversa una parte dell’abitato di Tirano passando a fianco del Santuario della Madonna. Il trenino segue
da vicino la strada carrozzabile e il torrente Poschiavino. Dopo aver salito la rampa elicoidale raggiungiamo il piccolo
centro di Miralago e costeggiamo la riva sx del lago. Tra le case di Le Prese il trenino invade in parte la strada statale e
inizia a inerpicarsi lungo i fianchi della valle di Poschiavo, seguendo un percorso ripido fatto di curve e tornanti. Giungiamo così al tranquillo piano dell’Alpe Cavaglia (m 1693) dove ammiriamo un folto bosco di larici, abeti e pini cembri.
Procediamo ancora verso N e, con alcuni ripidi tornanti, risaliamo l’ardua Val di Pila. Raggiungiamo così i m 2091 dell’Alpe Grùm. Verso O si apre lo spettacolo del ghiacciaio del Palù e del Lag da Palù, che raccoglie le acque provenienti dal
ghiacciaio stesso. Successivamente incontriamo il lago Bianco, percorriamo la riva dx e siamo in breve alla stazione del
Passo del Bernina che, con i suoi m 2256 , rappresenta il punto più alto del percorso. Superiamo il piccolo Ley Nair e il
Ley Pitschen e iniziamo la discesa lungo la valle del Bernina. Passiamo accanto alle stazioni sciistiche del Diavolezza e del
Lagalp e arriviamo infine alla stazione di Morteratsch, da dove si ha una panoramica impareggiabile sul gruppo di monti
che si estende dal Piz Bernina al Piz Palù. Lasciamo sulla dx della valle il centro turistico di Pontresina e dopo alcuni
chilometri raggiungiamo la cittadina di St. Moritz (m 1775), punto finale della nostra escursione.
I 30 treni che percorrono la tratta ogni giorno non si fermano nemmeno d’inverno. La linea viene costantemente
tenuta pulita con degli appositi spazzaneve rotativi, grazie agli operai costretti spesso al lavoro notturno per non intralciare il traffico diurno. Nei mesi estivi alcuni treni circolano con una o più carrozze panoramiche scoperte che nelle giornate
di bel tempo permettono di meglio ammirare le bellezze delle Alpi Retiche e di gustare l’aria frizzante dell’alta quota.
Un importante progetto ha preso vita nel 2004, in Svizzera, quando si pensò di avviare la Candidatura della “Ferrovia
Retica del Bernina” a Patrimonio UNESCO per l’Umanità, qualche anno dopo allargata a Candidatura della “Ferrovia
Retica nel paesaggio culturale Albula/Bernina”. Il motivo è l’indubbia qualità di linea ferroviaria unica al mondo: si tratta
della trasversale alpina più alta di tutta Europa e di una delle ferrovie ad aderenza naturale più ripide al mondo. Dopo
nazionale, il
maggio 2007 si è inaugurata la nuova stazione di Tirano della Ferrovia Retica con le nuovissime
carrozze panoramiche e la nuova motrice UNESCO, messa sul binario per l’occasione.
L’appartenenza ai beni dell’UNESCO sarebbe un importante volano per il turismo in tutto il Canton Grigioni.
Infatti a livello mondiale solamente due ferrovie possono fregiarsi di tale titolo: la Semmeringbahn in
Austria e la ferrovia indiana Darjeeling-Himalaya.
Inizialmente la candidatura riguardava solamente il versante svizzero, ma successivamente grazie all’opera sostenitrice di Provinea è stata estesa anche al tratto italiano, consentendo alla Città di Tirano ed alla Valtellina di non restare esclusi
da un progetto che potrebbe cambiare il futuro della zona.
Provinea è un’associazione costituita nel 2003 per volontà dei
produttori associati al Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina, con lo scopo di tutelare il territorio, il paesaggio e l’ambiente viticolo terrazzato della provincia di Sondrio ed
è già responsabile della candidatura dei terrazzamenti vitati valtellinesi per il “Patrimonio Mondiale” Unesco.
Purtroppo il comitato di 21 esperti riunitosi all’inizio di luglio a Christchurch,
in Nuova Zelanda, con lo scopo di
scegliere 22 nuovi siti da aggiungere alla lista di quelli dichiarati
“Patrimonio dell’umanità”
nel ‘Word Heritage Fund’,
non ha inserito il Trenino
Rosso del Bernina né i terrazzamenti Valtellinesi,
dando la precedenza ad
altre richieste. Ma non
c’è da preoccuparsi, la
candidatura verrà riproposta.
Il trenino del Bernina a
Brusio. Foto Luciano
Bruseghini.
la presentazione ufficiale del dicembre 2006, che includeva anche Tirano, formando così un importante obiettivo inter-
58 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
VALMALENCO
- 59
Laghi
M
a quanti sono i Laghi
Seroti?
C
’è chi dice 13, chi 17. In effetti
se si contassero tutti gli specchi d’acqua
della Val Bighera il numero sarebbe addirittura superiore. Non esiste nessun
anello convenzionale che li unisce tutti,
ma sta all’intuito dell’escursionista
trovare -mappa alla mano- un circuito
conveniente.
1
P
er visitarli si può partire a piedi
da Sondalo o Grosio, ma la soluzione
più breve è raggiungere in macchina il
passo del Mortirolo, quindi abbassarsi
leggermente a E verso l’Albergo Alto.
Dove la strada si biforca, prendere a
sx e, quando l’asfaltata supera il torrente Varadegna nel mezzo della valle
omonima, lasciare l’automobile.
T
2
ornando indietro di qualche
metro si intercetta la pista militare (segnaletica n 73) che sull’orografica dx
sale verso il passo di Varadegna (foto
2). A circa m 2100, in corrispondenza
d’una fascia petrosa, si prende il sentiero sulla dx (n 73) e si punta alla selletta
fra il Monte Varadegna a sx e la quota
2854 a dx (foto 1).
G
razie a tracce su macereti e
chiazze d’erba, sempre in cresta, si guadagna la quota 2854 (ore 2). Per facili
roccette si supera qualche spuntone (E
poi S) e si raggiunge l’ometto di pietra
sulla quota 2902 (ore 0:40), punto panoramico dove culminano 3 dorsali: il
crestone che divide Val Bighera e Valle
di Varadegna, la spalla occidentale del
Monte Serottini e la dorsale da cui
siamo venuti.
Seroti
O R T I R O L O
Beno
I
l Monte Serottini (m 2967, ore
0:45), evidente in alto a E (anche grazie
agli osceni ripetitori installati sulla sua
cima), può essere raggiunto per la
cresta O con facili passi d’arrampicata
(foto 4, alpinistica f+: II+) e disceso
per la cresta E e il versante SE (EE, ore
0:30), oppure evitato, portandosi direttamente per pietraie al grande Lago
Storto (foto 3 e sullo sfondo, m 2700,
ore 0:25).
D
ate ora sfogo alla vostra fantasia e inventatevi un percorso!
4
S
i può considerare la pista segnalata che parte a SE del Lago Storto e va
a levante verso il Lago Rotondo (foto
5) e quindi alcuni altri fratelli, oppure
abbassarsi subito a S dove si trovano 2
begli specchi d’acqua, per poi risalire
successivamente. Fatto sta, anche i lagofili più esigenti, troveranno pane per
i loro occhi.
A
lcuni dei Seroti sono incassati fra le rocce, hanno acque fredde e
aspetto severo, altri hanno le sponde
erbose, o addirittura di muschio, alcuni
hanno una traccia che vi arriva, altri
sono completamente selvaggi e isolati.
5
C
onclusa l’esplorazione bisogna
riprendere il sentiero n 73 al Lago
Serofi (m 2226, foto 6), il più a valle
dell’intera costellazione. Lo si raggiunge o con un ampio giro in senso orario
sui lati esterni della Val Bighera o lungo
il sentiero sulla dx orografica (73). Ci si
lascia infine trasportare dal 73A fino
alla carrozzabile e, seguitando a O,
senza grossi dislivelli si è di nuovo alla
macchina (ore 2 dal Lago Serofi).
3
60 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
M
6
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
LAGHI SEROTI
- 61
Le Tre
Signorie
ESCURSIONISMO
L’ Alta Via dei Formaggi
commercio ai piedi del Pizzo dei Tre Signori
che collegava la Valtellina alla Valle Brembana.
Con questo percorso avremo modo di conoscere
le vallate dove nascono il Bitto e il Furmai de
Mut, i famosi formaggi che profumano le
Prealpi Orobie.
E, con una breve variante,
toccheremo la vetta del
Pizzo dei Tre
Signori
62 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
VAL GEROLA
- 63
6 luglio 2006, vacche sui pascoli di Bomino. Foto Moiola.
Un itinerario, un’antica via del
Gli alpeggi di ‘Val del Bitt’ patrimonio dell’umanità
Calècc’’ e mascherpere sono
Dott. Michele Corti
L
a provincia di Sondrio e la Lombardia possiedono nelle Valli del Bitto e limitrofe un patrimonio unico
di plurisecolare civiltà pastorale e casearia, (vivente, non
fossile), ma sembra che pochi se ne accorgano. Valorizzando questo patrimonio si otterrebbero enormi benefici
di immagine, a vantaggio di tutta la provincia, della sua
economia agroalimentare e turistica e si supererebbero
delle questioni che si trascinano da troppo tempo intorno
al formaggio Bitto (ci riferiamo all’annosa querelle tra il
Consorzio di Tutela – CTBC - e l’Associazione Produttori Valli del Bitto riguardo alla mai definita questione
della differenziazione del Bitto prodotto nell’area storica,
nonché all’uso dei mangimi e all’aggiunta di fermenti industriali al latte).
Un Parco rurale/pastorale degli alpeggi di Val del Bitto
con lo scopo di conservare – in modo dinamico si intende
– le testimonianze culturali costituite dall’insieme del paesaggio degli alpeggi (con i bàrek, i calècc’, la capra orobica,
le secolari casere a due livelli con la mascherpéra – locale
per la stagionatura delle ricotte grasse ovvero maschèrpe
- sottotetto) rappresenterebbe un fattore di attrazione formidabile perché fondato su realtà autentiche, che si sono
conservate non per particolari interventi dall’esterno, ma
per la forza e il radicamento non comuni di una cultura.
Nell’ambito di questo Parco, il riconoscimento della
produzione ottenuta sulla base di una fondamentale continuità e coerenza con la tradizione diventerebbe un fatto
‘naturale’, non qualcosa tale da dare fastidio a chicchessia.
Cosa, dunque, ha creato il formaggio Bitto e la cultura
pastorale di cui è l’espressione? Circostanze geografiche,
storiche, politiche, che hanno fatto il loro corso sin dal
medioevo o perlomeno sin dalla fine di esso. La natura
(esposizione, orografia) delle valli orobiche occidentali e
1930. Pastore agli alpeggi di Trona. Foto archivio Nino Gianola.
64 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
beni culturali più preziosi di
tante opere d’arte
Calècc’ in Val Tronella.
La casera di Pescegallo..
dell’alta val Brembana favorisce la pastorizia e la selvicoltura. Si tratta di un territorio poco favorevole all’insediamento umano permanente e alle attività agricole, ma
favorevolissimo allo sfruttamento degli alpeggi, data l’abbondanza di pascoli alpini di grande estensione e qualità.
A ciò si aggiunge un fattore determinante per lo sviluppo di una produzione casearia di eccellenza destinata alle
mense dei ricchi: la possibilità di raggiungere in modo abbastanza agevole, attraverso il Lago di Como (vera ‘autostrada del passato’), il cuore della Lombardia occidentale,
in particolare l’area comasca e milanese che era sede dei
grandi enti ecclesiastici proprietari, tra tante altre risorse
fondiarie, anche di alpeggi. In tempi più recenti la ripartizione del territorio tra i ‘tre signori’, cioè Stato di Milano,
Grigioni e Serenissima, fece della via Priula un asse internazionale di transito commerciale, favorendo il trasporto
del Bitto da Morbegno ai depositi di Como, da Branzi a
quelli di Bergamo … e poi verso Milano, Venezia, Roma.
Gli alpeggi orobici occidentali erano caricati con un
grande copia di bestiame che, in inverno, doveva scendere
fino nel milanese, nel cremasco, nel bresciano e che, in
Valtellina, si distribuiva, oltre che nei vari centri dei Cèch,
sin nel terziere di mezzo. Dunque un’economia che non si
chiudeva in un ambito locale, ma che coinvolgeva una rete
di scambi e rapporti di dimensioni interregionali. A questi
si deve aggiungere il fattore umano: una vocazione pastorale, allevatoriale, casearia che ha radici antichissime.
Il sistema di gestione dei pascoli e di lavorazione del
latte della Val del Bitt rappresenta un vertice di perfezione che si è potuto raggiungere solo per la straordinaria
coincidenza di tutti questi fattori culturali. Il Bitto, da
secoli formaggio di eccellenza, formaggio da esportazione,
doveva infatti essere perfettamente stagionato per affrontare lenti e lunghi viaggi.
Oggi è possibile produrre un buon formaggio quasi
ovunque, ma in passato le cose erano molto differenti.
Le conoscenze e i segreti dei casari professionali (perché
tali erano già nel medioevo) erano difficilmente ‘carpibili’
al di fuori di un ambiente ben preciso. Il contadino o la
contadina facevano sì formaggio, ma ‘alla buona’ anche
perché – molto spesso – era il burro che interessava maggiormente loro, in quanto prodotto da vendere per raciAutunno 2007
molare qualche soldino. A Bormio o altrove si faceva sì
anche formaggio grasso, ma non sistematicamente. Nella
Valle del Bitto, in Val Tartano, negli alpeggi dell’alta val
Brembana si faceva solo formaggio grasso, con una professionalità, una continuità, una specializzazione altrove
irraggiungibili. Su questo lasciamo parlare un testimonio
autorevole e non sospetto di campanilismo: il grosino
Francesco Visconti Venosta che, nelle sue Notizie statistiche intorno alla Valtellina, anno 1844, osserva come in
diverse zone della provincia si confezionasse un ‘pessimo
formaggio’. Si trattava di quelle zone a vocazione agricola
dove il bestiame bovino era allevato per il lavoro e dove la
produzione casearia era limitata all’autoconsumo. Erano
formaggi che servivano solo per nutrimento, non dovevano essere conservati a lungo, non dovevano ‘presentarsi
bene’; se c’erano difetti … si mangiavano ugualmente.
«Bormio e Chiavenna invece, che alpeggiano le loro vacche
nell’estate, danno buon buttiro, e buoni cacci, ma forse non
tanto quanto l'ottima pastura ripromette, assai migliori riescono nella valle del Bitto sopra Morbegno, credo per il migliore metodo dì prepararli».
Oltre alla professionalità dei casari ci sono altri elementi che vanno a definire quella che, a buona ragione, si può
identificare come la ‘civiltà del Bitto’: le malghe (mandrie
e greggi) di vacche e capre, la gestione del pascolamento, i
già citati manufatti. Sin dal medioevo i formaggi realizzati
nelle Valli del Bitto e limitrofe erano destinati al trasporto
verso mercati lontani; erano prodotti di lusso. Dovevano essere perfetti ed in grado di sopportare il trasporto
a dorso di mulo, sui carri, sui comballi che solcavano le
acque del Lario. Solo una stagionatura idonea garantiva
tutto questo. La caséra è il cuore dell’alpeggio, si tratta di
solide costruzioni che richiedevano ingenti investimenti
di capitale. E qui si nota la differenza.
«La ‘casera’ per la prima stagionatura del formaggio, esistente quasi esclusivamente nelle alpi del settore occidentale,
è più ampia e costruita con maggior cura perché vi si possa
regolare l’areazione e la si possa chiudere ermeticamente.
Può avere un secondo piano interno costituito da un assito
orizzontale collegato con il terreno con scala a pioli: al pian
terreno si conservano i formaggi, al primo le ricotte».
Il geografo Cesare Saibene, autore di queste osservaLE MONTAGNE DIVERTENTI
zioni sul versante orobico valtellinese (siamo alla fine degli
anni ’50) osserva anche come la differenza tra i sistema di
produzione del formaggio Bitto e dei formaggi magri e semigrassi si rispecchiasse in modo profondo nel paesaggio,
nella toponomastica, nel lessico; tutti elementi culturali
che si definiscono e si sedimentano nei secoli, non si inventano. Si pensi, a titolo d’esempio, alla differenza tra le
valli orobie valtellinesi occidentali ed orientali dove l’edificio principale dell’alpeggio, e per estensione, il sito dove
esso sorge, viene denominato in un caso caséra, nell’altro
baita.
D
ire che Bitto è il figlio di un ben determinato
territorio non è campanilismo, ma una basilare constatazione storico-culturale.
Molto della ‘civiltà del Bitto’ è ancora vivo; di ciò va
dato merito ai produttori delle Valli del Bitto e ai loro
sostenitori che, in questi anni, hanno saputo realizzare iniziative molto importanti a partire dalla creazione del Presidio Slow Food e dalla realizzazione del Centro del Bitto
(di prossima inaugurazione a Gerola Alta). Il Parco, cui
abbiamo fatto riferimento, di contenuti economici e culturali ne avrebbe in abbondanza e potrebbe ambire ad essere
riconosciuto dall’Unesco quale ‘patrimonio dell’umanita’.
Ci sono da ripristinare (dove sono state barbaramente eliminate) le mascherpére, rimettere le piöde dove le casere
e le baite hanno coperture di lamiera (non è solo un fatto
estetico, ma funzionale!), sistemare le vecchie mulattiere,
ma, soprattutto, si tratta di valorizzare le risorse umane
e animare un’economia identitaria che si autosostenga
attraverso la necessaria integrazione tra turismo, cultura,
produzione zoocasearia.
L’obiettivo: tornare ad utilizzare tutti gli alpeggi garantendo, anno dopo anno, che la carga del muunt avvenga
con bestiame adatto e numericamente adeguato. A favore
dell’economia, della cultura, della società locali, provinciali e regionali, ma anche di tanta gente che, per vedere
e vivere tutto questo, è pronta a venire anche da molto
lontano.
VAL GEROLA
- 65
ESCURSIONISMO
Il sentiero delle Tre Signorie
BASSA VALLE
M. Dei Cas
PARTENZA: Gerola Alta (m 1050).
ITINERARIO AUTOMOBILISTICO: Da Morbegno si sale lungo la SP405 della Val Gerola fino a Gerola Alta (14 km).
ITINERARIO SINTETICO: (giorno 1) Nasoncio - Passo Verrobbio (m 2026) - Il Forcellino (m 2050) - Rifugio Salmurano
(m 1848) // (giorno 2) Rifugio Salmurano (m 1848) - Rifugio Benigni (m 2222) - Lago di Trona (m 1805)
- Lago dell’Inferno (2085) - Pizzo dei Tre Signori (m 2554) - Rifugio Falc (m 2126) // (giorno 3) ritorno a
Gerola Alta per la Bocchetta di Trona (m 2092) e la Valle della Pietra.
TEMPO DI PERCORRENZA PREVISTO: 3 giorni (5 + 6 + 2:30 ore).
ATTREZZATURA RICHIESTA: abbigliamento da trekking.
DIFFICOLTÀ: 2 su 6.
DISLIVELLO IN SALITA: 950 + 1100 m.
DETTAGLI: EE, passeggiata priva di difficoltà e su sentieri segnalati. Qualche facile roccetta al Pizzo dei Tre Signori.
66 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
VAL GEROLA
- 67
ESCURSIONISMO
CONSORZIO
DEL BITTO
68 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
VAL GEROLA
11 luglio 2006, tramonto sulla testata della Val Tronella.
A pag 66. Nasoncio il 26 ottobre 2006.
L
a valle del Bitto di Gerola
ospita gli splendidi alpeggi dove
nasce il formaggio più famoso della
Valtellina: il Bitto. La Val Gerola,
dopo la Val Lésina, è la seconda
grande valle orobica che si incontra
salendo da Colico.
Nei secoli passati la Val Gerola è
stata legata più al versante orobico
bergamasco, alla Val Brembana, alla
Valsassina ed alla Val Varrone, che
alla bassa Valtellina. E ciò fin dai suoi
primi insediamenti. Scrive Cirillo
Ruffoni, nell’introduzione al volume
su Gerola della raccolta dei toponimi Valtellinesi e Valchiavennaschi,
“la tradizione orale vuole che i primi
abitanti di Gerola siano venuti dagli
opposti versanti della Val Brembana
e della Valsassina, per l’estrazione e la
lavorazione del ferro e per dedicarsi
all’attività dell’allevamento. I legami
con i paesi d’origine sarebbero stati
saldi per parecchio tempo, tanto che i
morti venivano portati là per la sepoltura”. Viva rimase per molto tempo
anche la tradizione dei matrimoni
che univano giovani dei due versanti orobici, e in particolare della Val
Gerola e di Ornica.
La storia politica poi si incaricò di
dividere ciò che la storia delle genti
aveva unito. Fra questi monti, dal
secondo decennio del secolo XVI,
correvano i confini di tre diversi
domini: quello della Lega Grigia, in
LE MONTAGNE DIVERTENTI
terra di Valtellina, quello della Serenissima Repubblica di Venezia, sul
versante della Val Brembana, quello
della Spagna, signora del Ducato di
Milano, in Valsassina e Val Varrone.
I confini si incontravano sui 2554
metri della più alta delle cime della
Val Gerola, che, per questo, prese il
nome di Pizzo dei Tre Signori (ul piz
di Tri Ségnùr, dove oggi si incontrano
i confini delle province di Sondrio,
Lecco e Bergamo).
Nonostante la divisione politica,
questo angolo delle Orobie rimase,
almeno fino all’età napoleonica,
profondamente unito per ragioni
commerciali. Da qui passavano due
importantissime e storiche vie di comunicazione e commercio fra Valtellina e milanese: l’antichissima via del
Bitto, per la Val Gerola, e la via Priula,
per la Valle di Albaredo - tracciata a
partire dalla fine del Cinquecento. La
via Priula, in particolare, prima dell’avvento del Passo del Brennero era
stata la più importante via di comunicazione con il nord Europa, e aveva
trasformato questo territorio in una
specie di zona franca.
Questi che oggi chiamiamo sentieri erano vere e proprie vie di comunicazione, e sono dunque un
autentico patrimonio culturale e
ambientale da riscoprire. Così come
patrimonio non solo economico, ma
anche storico e culturale è il prodotto
simbolo di queste zone,
il formaggio Bitto.
Esso, già famoso nei
secoli passati, veniva
trasportato attraverso
questi sentieri, per essere venduto nel
più importante mercato di formaggi e bestiame delle Alpi, il mercato
di Branzi, in Val Brembana. Il trasporto dagli alpeggi della Val Gerola
passava dal Pizzo dei tre Signori,
Ornica e San Giovanni Bianco, per
concludersi a Branzi.
Per le popolazioni locali la vendita
del Bitto era il sostentamento economico più importante e garantiva
una vita dignitosa per tutto l’anno,
a differenza di altre zone della Valtellina costrette a un tenore di vita più
precario e stentato.
Il Sentiero delle Tre Signorie è
al centro di un progetto di rilancio
della valle voluto dall’ Associazione Produttori Valli del Bitto, che
fa perno sul “Centro del Bitto” di
imminente apertura a Gerola. Sono
previsti diversi percorsi guidati su
sentieri segnalati, che toccheranno
gli alpeggi aderenti per consentire un
incontro ravvicinato con la vita degli
alpeggi e i processi di trasformazione
del latte nelle due perle casearie del
Bitto e del Furmai de Mut. Il Centro
del Bitto a Gerola e l’Agriturismo
Ferdy a Ornica fungeranno da punti
di riferimento per partenze o arrivi.
Lungo il percorso sarà possibile pernottare in rifugi convenzionati. Nei
luoghi toccati, l’escursionista attento
si troverà di fronte a molti segni di
una civiltà millenaria, quali i leggendari calèc’, le baite di lavorazione
itineranti, 70-80 delle quali sono
ancora attive e operanti. La loro antichissima origine è legata alle leggende che attribuiscono l’invenzione
del caglio alle pratiche magiche e
religiose dei misteriosi Druidi (sacerdoti celti), grazie alle quali avvenne
la trasformazione del latte in formaggio, il Bitto appunto, che deve il
suo nome al termine celtico “Bitu”,
“perenne” (è, infatti, l’unico formaggio al mondo che si conserva oltre i
10 anni).
La valorizzazione del territorio montano legata alla riscoperta
VAL GEROLA
- 69
VAL GEROLA
ESCURSIONISMO
PRIMA GIORNATA:
GEROLA - RIFUGIO SALMURANO
R
27 agosto 2006, la Pozza Rossa in Val Tronella.
delle sue arterie, cioè dei suoi sentieri storici, non è solo in funzione
della promozione di un turismo intelligente, ma anche in funzione di
un’efficace salvaguardia del territorio
montano.
Il sistema di pascolo in uso nelle
Valli del Bitto è chiamato turnato o
razionato, perché avviene in recinti
mobili spostati via via dal calècc più
basso fino a quello di cima, consentendo un perfetto riciclo della cotica
erbosa. La vacca nel pascolo libero
sceglierebbe le erbe migliori favorendo il proliferare degli infestanti; invece, dovendo stazionare nei
recinti, le vacche consumano tutte
le erbe a loro disposizione in egual
maniera. Spostato il recinto, dunque,
la vegetazione è libera di rigenerarsi.
70 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
E’ un sistema semplice, ma ingegnoso, dettato dall’esigenza di non sprecare erba preziosa, il modo migliore
per preservare il delicato equilibrio
che lega uomini, animali e ambiente
alpino.
Chi volesse scoprire questo
mondo può in tre giorni percorrere
integralmente il Sentiero delle Tre
Signorie e visitare i luoghi più belli
e suggestivi della civiltà del Bitto, da
Gerola a Ornica. Il tracciato rinnova
idealmente il legame fra le comunità
dei due versanti orobici, riaffermando che le montagne, contrariamente a quanto si pensa, non dividono,
ma uniscono. Noi proporremo una
versione dell’itinerario leggermente
diversa e che tocca i punti più panoramici della Val Gerola.
aggiungiamo in macchina
Gerola Alta (“giaröla”, da “gèra”,
ghiaia, con allusione alle devastanti
alluvioni del Bitto, m 1050), percorrendo la provinciale della Val Gerola
da Morbegno. Il primo segmento
dell’itinerario ci porta a risalire l’intera valle di Bomino, la più orientale
delle quattro valli nelle quali l’alta
Val Gerola si divide. Per farlo dobbiamo imboccare la strada asfaltata
che, poco prima di Gerola, si stacca
dalla strada statale in direzione S,
raggiungendo, dopo Valle, la frazione di Nasoncio (Nasùnc, m 1080).
Alcuni tornanti e la strada diventa
sterrata e taglia per un lungo tratto
il versante orientale dell’ampio dosso
che scende dal monte Motta. Sempre
sulla pista principale ci addentriamo nella valle fino alla prima baita
dell’alpe Bomino Vago (m 1524,
Bumìgn a vaga dove “vago” significa “ombroso”). Qui passiamo sulla
dx idrografica, superiamo la baita
inferiore del Solivo (m 1601, alpeggio privato denominato Bumìgn
a sulìva) e, scavalcate due vallecole
laterali, saliamo verso la depressione
del passo di Verrobbio (m 2026, ore
3). Valico fra la Val Bomino e la Val
Mora (Val Brembana), è chiamato sul
versante bergamasco ul Pas de Véròbi
mentre su quello della Val Bomino,
la Buchéta de Bumìgn.
Autunno 2007
27 gennaio 2007. Le cime della Val Tronella da Nasoncio.
Nell’età moderna era il passaggio
fra il territorio governato dalla Lega
Grigia e quello della Repubblica di
Venezia, che comprendeva Bergamo
fra i suoi domini. Segni di una storia
più recente sono le opere di fortificazione costruite durante la Prima
Guerra Mondiale per volontà del
generale Cadorna, quando si temeva
che un eventuale sfondamento degli
Austriaci sul fronte dello Stelvio (o
dalla Valle di Poschiavo, con violazione della neutralità svizzera)
avrebbe fatto assumere al crinale
orobico un’importanza strategica
per impedire che l’esercito austroungarico dilagasse nel milanese.
Perlustrando l’ampia sella del passo
si trovano i resti dei camminamenti,
degli edifici fortificati e anche di una
vera e propria grotta scavata nella
roccia (lato E del passo), con feritoie
per scrutare la valle di Bomino.
Poi un grazioso laghetto ci suggerisce pensieri più ameni e pacifici.
Al passo, sulla nostra sx (E), intercettiamo il sentiero che proviene
dal passo San Marco e dall’omonimo
rifugio e prosegue (O) per il passo
del Forcellino: si tratta di un segmento della Gran Via delle Orobie
denominata Sentiero Andrea Paniga
nella sua sezione occidentale. Lo imbocchiamo e perdiamo quota per un
centinaio di metri, per poi riguadagnarla e, superato un tratto assistito
da corde fisse, raggiungiamo il passo
del Forcellino (m 2050, “ul furscelìLE MONTAGNE DIVERTENTI
gn”, ore 0:30), stretta porta scavata
nel crinale roccioso che separa la valle
di Bomino da quella di Pescegallo.
Per cenge e balze scendiamo alla
conca di Pescegallo. Il toponimo “pecegallo”, con le varianti “pezegallo”
e “pexegallo”, è già citato nel secolo
XIV; esso, come la voce dialettale
“péscégàl”, designa la parte alta della
Valle di Fenile (denominata anche
Valle di Pescegallo) e non ha niente a
che fare né con i pesci, né con i galli,
in quanto deriva da “pesc”, abete,
e “gal”, il gallo cedrone, simbolo
del Parco delle Orobie Valtellinesi.
Il sentiero porta allo sbarramento artificiale dell’Enel, che ha ampliato un
preesistente laghetto. La conca è do-
minata da una testata
che, pur non proponendo vette elevate, si
caratterizza per le forme
gotiche e bizzarre. Da
sx troviamo il pizzo della Nebbia
(m 2243, denominato così perchè
questa zona, come l’intero comprensorio delle montagne del Bitto,
è frequentata volentieri da dense
foschie che salgono dalla bergamasca), delle tre cime di Ponteranica
(piz de li férèri, orientale, m 2378,
meridionale, m 2372 ed occidentale,
m 2370) e dell’inconfondibile dente
del monte Valletto (ul pizzàl o ul
valét, m 2371).
Superata la diga (m 1865) per lo
sbarramento, proseguiamo la discesa
tagliando un bel prato e imboccando
la pista sterrata che scende a Pescegallo (m 1454). Lasciamo la pista
per un sentiero segnalato (sx) che
attraversa un bellissimo bosco di radi
larici (SO) e termina nei pressi del
rifugio Salmurano (m 1848). Siamo
sul limite dell’alpeggio comunale péscégàl li fopi (italianizzato in “Foppe
di Pescegallo”). Il rifugio, collocato
al termine della seggiovia che parte
dal villaggio Pescegallo, è il punto di
arrivo della prima giornata di questa
traversata delle Tre Signorie (circa 6
ore complessive con 950 m di dislivello in salita).
26 ottobre 2006. Gli ultimi raggi di sole in Val Bomina.
VAL GEROLA
- 71
ESCURSIONISMO
SECONDA GIORNATA:
RIFUGIO SALMURANO -
RIFUGIO
L
FALC
a seconda giornata della traversata inizia con il passaggio dalla
signoria delle Tre Leghe, entro i cui
confini si è snodata l’intera prima
giornata, a quella di Venezia. Dobbiamo risalire l’alpe per raggiungere
il passo di Salmurano (buchéta de salmüràa, denominato anche, dai bergamaschi, pàs de selmürà, m 2017,
ore 0:30), il cui incavo è già ben
visibile sulla parte occidentale (dx)
dell’ampia conca. Giunti al passo
ci ritroveremo di fronte alla graziosa statua della Madonnina. Si apre
ora di fronte ai nostri occhi, invece,
la solitaria conca terminale dell’alta
valle Salmurano, che, insieme alla
valle dell’Inferno, confluisce nella
valle di Ornica (Val Brembana, provincia di Bergamo).
Lasciata la signoria delle Tre
Leghe ci incamminiamo sul sentiero della Serenissima. Procediamo
a dx (O), seguendo il sentiero che,
perdendo leggermente quota, punta
al piede di un grande intaglio nella
parete rocciosa percorso da un ruscello e piuttosto ripido: il canalino
del Forno. La sua risalita, che dal
passo di Salmurano sembra decisamente inaccessibile, in realtà non è
complicata.
Giunti alla sommità del canalino, ci ritroviamo in un piccolo
pianoro, quindi affrontiamo un ulteriore strappo, prima di guadagnare
il secondo e ben più ampio pianoro
roccioso del rifugio Benigni (m
2282) e del lago dei Piazzotti. Più
a monte dell’omonimo lago glaciale, ce ne sono altri due, più piccoli.
Proseguiamo a SO fino alla croce
della Cima Occidentale di Piazzotti
(m 2349, ore 1).
Ora presentiamo due possibili varianti per effettuare la seconda parte
della traversata, che si conclude al
rifugio FALC. La prima, o variante
bassa, passa per la stupenda Val Tronella, altro luogo forte della civiltà
del Bitto; la seconda, o variante alta,
passa per la selvaggia e lunare valle di
72 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Trona. In entrambi i casi, ci si ritrova
alla diga di Trona, per salire, infine,
al rifugio Falc.
Variante bassa
A poca distanza dal rifugio (N)
si trova l’imbocco del canalino che
immette in val Tronella. Un percorso segnalato lo percorre e discende
l’intera valle, fino ad intercettare il
sentiero Pescegallo - diga di Trona.
Bellissima la cornice delle cime dolomitiche che ci circondano: a sx
possiamo ammirare il Torrione della
Mezzaluna, m 2333, il pizzo della
Mezzaluna, m 2373 (li mezzalüni),
il Torrione di Tronella, m 2311, ed il
pizzo del Mezzodì, m 2116 (i “turiùn
de pìich”); a dx si propone, invece, la
formazione della Rocca di Pescegallo
o dei Denti della Vecchia, m 2125
(filùn de la ròca o dénc de la végia). La
testata della Val Gerola fa parte dell’anticrinale orobica, con un nucleo
di duro gneiss rivestito di più friabili
rocce sedimentarie, facilmente modellabili da vento ed acqua, che ne
hanno cavato torrioni, guglie e pizzi,
un frammento di Dolomiti perso
in una landa troppo occidentale. Il
sentiero scende, quindi, all’alpeggio privato di Tronella (trunèla). A
quota 1808 troviamo la sorgente di
Tronella, le cui acque sono raccolte
in un piccolo invaso. Continuiamo
a scendere per larici e radure fino ad
intercettare, a 1600 metri circa di
quota, il sentiero Pescegallo-Trona.
Qui prendiamo a sx, raggiungendo il
guado del torrente che scende dalla
Val Tronella (ul bit de trunéla) e portandoci ad una bella conca di prati,
dalla quale il sentiero prosegue attaccando deciso il fianco orientale del
versante che separa la Val Tronella
dalla Valle di Trona. Dopo un tratto
di salita severa, il sentiero piega a dx
e ci porta sul filo del dosso, occupato
da una bella spianata prativa, da un’
amena pozza e dalla baita a m 1857.
Aggirando il dosso ed addentrandoci sul fianco orientale della Valle di
Trona, arriviamo allo sbarramento che contiene il lago di Trona (m
1805, ore 1:30).
Variante alta
Nei pressi del punto al quale
giunge il sentiero che abbiamo percorso per salire al rifugio Benigni, ne
parte un secondo verso SO (indicazioni per il rifugio Grassi). Dopo aver
tagliato il roccioso versante SE della
cima dei Piazzotti, il sentiero porta
al solitario vallone che confluisce, da
occidente, nell’alta valle di Salmurano. Incontriamo, sulla nostra strada,
una nuova pozza, prima di accedere al breve corridoio che precede la
bocchetta di Val Pianella (buchéta
VAL GEROLA
de la val pianèla, m 2224). Lasciamo definitivamente il sentiero 101
e torniamo in Valtellina discendendo in valle di Trona. Ci affacciamo
così nella selvaggia Val Pianella, i cui
fianchi sono chiusi a dx dal Torrione della Mezzaluna e dal Torrione di
Tronella (m 2311) e a sx dall’inconfondibile profilo conico del Pizzo di
Trona (piz di vèspui, m 2510). Scendiamo tenendo la dx della valle, fino
a fiancheggiare gli splendidi laghi
Zancone (lach sancùn) e di Trona
(lach de truna), il primo naturale ed
il secondo formato da uno sbarramento idroelettrico su un precedente
lago naturale (ore 2).
Le varianti bassa ed alta si incontrano al lago di Trona. Oltre lo
sbarramento della diga riprendiamo
a salire, superando alcune roccette
e raggiungendo una larga fascia di
detriti e sfasciumi scesi dal fianco
occidentale del Pizzo Tronella. Qui
dobbiamo fare attenzione alla deviazione a sx (segnata come Via direttissima al Pizzo dei Tre Signori, o
anche, con abbreviazione, P.3S), che
ci permette di raggiungere, con uno
strappetto severo, lo sbarramento
del lago dell’Inferno (lach l’infèren,
m 2085), che attraversiamo su un
comodo camminamento. Poi guadagniamo la sella che si affaccia sulla
conca del rifugio FALC (Ferant Alpes
Laetitiam Cordibus, cioè Arrechino
le Alpi gioia ai cuori, ore 1:30).
Il rifugio è nel territorio della terza
signoria, che in età moderna era rappresentata dalla dominazione spagnola e che dal milanese raggiungeva
il limite superiore del lago di Como.
Il rifugio, a m 2120, è stato aperto
il 18 settembre 1949 per iniziativa
dell’omonima Società Alpinistica
milanese, ed è punto di appoggio
per il secondo pernottamento: lo
abbiamo raggiunto dopo aver superato, in circa 6 ore, oltre 1100 metri
di dislivello. Se, però, abbiamo sufficienti energie possiamo investire
un’ora e mezzo di cammino per effettuare una puntata al Pizzo dei Tre
Signori, la cima regina dell’intero
comprensorio del Bitto, celebre per
la bellezza del panorama che da essa
si gode. In caso contrario, possiamo
rimandare l’ascensione alla terza ed
ultima giornata.
Ma vediamo come salire. Seguiamo le abbondanti segnalazioni, che
ci portano alla bocchetta di Piazzocco (m 2224) ed al fianco roccioso SO del pizzo. Qui dobbiamo
compiere qualche elementare passo
di arrampicata, fino ad un pianoro
erboso dal quale la grande croce
della vetta appare ormai vicina.
Osservati probabilmente dallo sguardo
stupito di qualche
stambecco, affrontiamo l’ultimo sforzo,
risalendo un pendio
che ci conduce alle ultime roccette, e ai m 2554 della vetta, dove,
accanto alla grande croce, troviamo
anche un piccolo altare. Se la giornata è limpida e se abbiamo uno
sguardo d’aquila, scorgeremo il luccichìo della Madonnina del Duomo
di Milano. Probabilmente troveremo
anche compagnia, perché questa è
una vetta molto frequentata da escursionisti, che salgono soprattutto dal
versante bergamasco o lecchese.
Per tornare a Gerola il terzo
giorno ci aiuterà Matteo Tarabini:
“Lasciato alle spalle il rifugio
FALC si prosegue in direzione N
fino a raggiungere la bocchetta di
Trona (m 2122, ore 0:15), uno dei
tanti valichi alpini che mette in
comunicazione la Valgerola con la
Valvarrone. Proseguiamo sul sentiero che discende il versante NE (n.
147) e che costeggia per tutta la sua
lunghezza la “Valle della Pietra”.
Il sentiero è di facile percorrenza e ci permette di raggiungere
il centro abitato di Gerola Alta (m
1053, ore 2)”.
2 dicembre 2006. La testata della Pizzo di Trona vista dalla Cima Occidentale dei Piazzotti. A
Nord del Pizzo di Trona si ergono due strani pinnacoli, i dentini di Trona. Un tempo erano tre,
ma quello più a N è completamente crollato. Le sue rovine emergevano dalle cupe acque del
Lago dell’Inferno. In seguito il lago fu sbarrato con una diga che ne alzò il livello delle acque e
nascose per sempre le tracce di questa frana.
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
VAL GEROLA
- 73
NATUR A
Funghi
Passione
mortale
Non vi è un fungo tanto
prelibato da valere una
vita. Eppure ogni anno...
74 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
A sinistra un ovolo buono, Amanita caesarea,
il fungo più prelibato a detta degli esperti, a
destra due esemplari di Amanita phalloides var.
alba, fungo mortale. Ma l’ingerire un fungo
velenoso non è il principale pericolo in cui
s’imbattono gli appassionati di funghi...
LE MONTAGNE DIVERTENTI
FUNGHI: PASSIONE MORTALE
- 75
prevenire è meglio che curare
Funghi e 118...
N
Maurizio Torri
grip. In molti, poi, perdono completamente l’orientamento e la cognizione del tempo: dicono di andare
in un posto e invece stanno procedendo verso tutt’altra direzione. Il
tutto senza rendersi conto che sono
passate diverse ore. Perso il sentiero,
l’essere in una zona sconosciuta, può
portare a scelte improprie e rischiose: chi sceglie di scendere tentando la
sorte rischia davvero grosso».
on vi è un fungo tanto prelibato da valere una vita. Eppure ogni
anno in molti la mettono a repentaglio, e a volte la perdono, avventurandosi in zone a dir poco impervie.
Tra i cosiddetti “fungiatt” vi è infatti
la convinzione che tanto più un posto
è difficile da raggiungere, tanto meno a
qualcun altro sarà venuto in mente di
passarvi. E allora via, a discapito di
qualsiasi norma di buon senso e sicurezza. Il numero di morti per aver
ingerito funghi velenosi è, al contrario di quanto si crede, di gran lunga
superiore ai morti per averne cercato
di buoni.
P
er quanto vi riguarda, qual è
la procedura d’intervento?
Q
uando accade l’irreparabile, o
anche per un semplice infortunio, i
primi ad accorrere sono gli uomini
del 118.
All’aviosuperfice
di
Caiolo
abbiamo incontrato il direttore del
servizio soccorso sanitario urgenza/
emergenza Dott. Paolo Della Torre:
quale migliore interlocutore per
parlare a 360° di questa problematica?
Q
ual’è lo staff che compone
un’ équipe di pronto intervento?
«Quando arriva una chiamata d’emergenza, si valuta con quale
mezzo intervenire – ha esordito -.
Il nostro è un servizio dell’azienda
ospedaliera Valtellina - Valchiavenna a valenza provinciale, che ha sede
logistica a Sondrio con risorse equamente distribuite su tutto il territorio. Per quanto riguarda l’elisoccorso,
una squadra è solitamente composta
dal personale di volo, e da una triade
che poi scende a terra: medico anestesista rianimatore, infermiere e
tecnico del soccorso alpino».
76 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Il Dott. Della Torre e l’equipe del 118.
P
arliamo “fungiatt”: quante
chiamate ricevete in un anno per
infortuni correlati alla ricerca dei
funghi?
«Vi sono tanto di statistiche, ma
anche senza numeri alla mano posso
dire che vi sono anni più o meno
tranquilli. Nel 2002, dopo una
buttata di funghi considerevole, si è
arrivati ad avere 10 persone decedute in soli 15 giorni. Ovviamente si
fanno molti meno interventi quando
di funghi non ce ne sono».
Q
ual è il caso tipo che vi viene
proposto?
«Di solito veniamo allertati dai
compagni di raccolta che hanno
smarrito l’amico, o dai familiari
preoccupati dal mancato rientro.
Capita, però, che sia lo stesso “fungiatt” a contattarci. Il problema di
fondo, che molti sottovalutano, è
che il bosco è indubbiamente il territorio montano più insidioso: rispetto all’alta quota è maggiormente
fruibile, ma miete anche molte
più vittime. Anche se molto
bello perché accogliente e ombreggiato, presenta spesso e volentieri salti di roccia; il terreno
è per definizione instabile,
umido e scivoloso. Anche la vegetazione, non sempre solida e
assestata, trae in inganno».
andiamo a raccogliere non sono minimamente attrezzate sia a livello di
calzature che di abbigliamento: è
un classico trovare quello che si avventura con gli stivali, pur sapendo
che hanno un pessimo
D
ate tali
premesse quali
sono i suoi
consigli per i
“fungiatt” e
cosa bisogna
fare in caso
di difficoltà
e infortunio?
O
ltre alle insidie del
terreno, vi sono altre concause?
«Per esperienza posso dire che
la maggior parte delle persone che
Autunno 2007
«Il più delle volte non è semplice. Il mezzo sicuramente più veloce è
l’elicottero, ma dall’alto non si riesce
a vedere attraverso la vegetazione.
Giunti sul posto gli operatori si
calano grazie all’ausilio di verricelli,
ma sono calate lunghe e non facili.
In questi casi il primo a scendere è il
tecnico del soccorso. A lui il compito
di valutare la situazione e dare l’ok
agli altri uomini dello staff. Già nel
bosco si possono fare delle attività di
emergenza sanitaria avanzata perché
siamo dotati di apposite attrezzature. Dopo un primo intervento sul
posto, sempre tramite verricello, il
paziente viene recuperato. Molto
più complicato è invece la ricerca
di persone scomparse. In questi casi
si elaborano vere e
proprie strategie di
ricerca dividendo il
territorio in appositi settori anche
con uomini da
terra e cani».
LE MONTAGNE DIVERTENTI
«Innanzitutto bisogna partire
con l’attrezzatura corretta: scarpe da
montagna, zainetto e abbigliamento
a strati. La ricerca dei funghi non andrebbe mai fatta in solitaria. Bisogna
andare almeno in due e tenersi in
contatto visivo. La zona di ricerca
deve essere individuata, segnalata e
mai variata. Cosa importantissima,
bisogna perdere il vizio di frequentare zone “infami” solo perché gli altri
non le frequentano. Certe “furbate”
si possono pagare con la vita. Se
dovesse succedere qualcosa, in caso
di non copertura telefonica, non
sarebbe una brutta idea avere con se
dei fumogeni che aiuterebbero notevolmente i soccorritori nel rintracciare la zona d’intervento».
I
n Italia l’intervento di soccorso
è gratuito. Renderlo a pagamento
in determinati casi, potrebbe a suo
avviso scoraggiare comportamenti
azzardati?
«Nel nostro Paese questo servizio rientra tra le prestazioni del
servizio sanitario nazionale. In altri
stati è invece pagato dalla copertura
assicurativa. Per tale motivo da noi
alcuni ne abusano, ma il problema è un altro. Pensando di dovere
pagare, una persona in difficoltà,
ma non in pericolo, potrebbe non
telefonare, rischiare e poi farsi male
davvero. Sotto questo aspetto l’assessorato alla sanità lombardo è molto
prudente: personalmente preferisco
fare un servizio in più, magari non
necessario, ma togliere le persone da
una situazione di potenziale pericolo. In tali situazioni, intervenire vuol
dire anche prevenire».
U
na volta istruiti su come effettuare la ricerca di boleti in tutta
sicurezza, dobbiamo imparare a riconoscerli ed evitare le specie velenose. In ciò ci aiuteranno gli amici
dell’Associazione Micologica Retica
di Sondrio, presente dal 1991 con
attività divulgativa e di studio rivolta
agli appassionati esperti come ai
semplici raccoglitori.
FUNGHI: PASSIONE MORTALE
- 77
Come riconoscerlo
Boletus edulis
È una delle quattro specie rag-
gruppate sotto il nome volgare di
porcino insieme a Boletus aestivalis,
Boletus pinophilus e Boletus aereus,
ma anche il fungo più conosciuto ed
apprezzato in tutti i continenti fin
dai tempi antichi. Scovarlo a spasso
per i boschi è sempre una sorpresa!
Gli antichi romani lo conoscevano
con il nome di Suillus (ecco perché
si chiama porcino), mentre con il
nome boletus era designata l’Amanita caesarea.
Il termine “porcino” è attestato
in italiano dalla fine del XIII secolo,
“boleto” compare due secoli più
tardi come traduzione dal latino
boletus, a sua volta derivato dal
greco bolétes, che significa “a forma
di zolla” in quanto i giovani porcini
spesso appaiono come rigonfiamenti
del terreno.
Quando le condizioni climatiche di temperatura ed umidità sono
ottimali, B. edulis può crescere copiosamente e stupire tutti per l’abbondanza di esemplari che si possono
raccogliere, nonostante il numero
sicuramente elevato di cercatori più
o meno incalliti, spesso anche poco
rispettosi delle norme legislative che
permettono una raccolta non superiore a 3 kg.
È un fungo micorrizico (= simbionte), che vive cioè in associazione con un altro organismo vegetale
in un rapporto vantaggioso per en-
trambi, scambiandosi acqua, sostanze nutritive e sali minerali. Cresce
in simbiosi con numerose essenze
arboree e, in particolare, in Valtellina lo si ritrova nei boschi, sia puri
sia misti, di abete, pino, castagno e
faggio. Preferisce un clima relativamente fresco e può ritrovarsi anche
fino ai primi geli autunnali.
Il cappello è carnoso ed emisferico, la cuticola, grassa e untuosa, con
il tempo umido è scivolosa come
il sapone, ed il suo colore varia da
bruno castano a bruno scuro, sempre
più carico al centro e via via più
chiaro verso il margine, che è bianco
e leggermente eccedente. L’imenio è
costituito da tubuli e pori e si presenta prima bianco latte poi giallastro ed infine olivastro; non cambia
colore al tocco o alla pressione. Il
gambo è generalmente obeso e con
un reticolo a fini maglie dello stesso
colore del fondo. Nel fungo giovane
la carne è soda e compatta e l’odore e
il sapore sono gradevoli.
Scambiato
spesso
per un boleto è il Tylopilus felleus, o porcino del
fiele, talvolta molto simile
come aspetto ma che negli
esemplari adulti possiede
tubuli e pori colorati di
rosa. Inoltre il reticolo sul
gambo è grossolano, più
scuro e a maglie allungate.
Anche se cucinato con altri
funghi, Tylopilus felleus
rende tutto immangiabile
per l’amarezza.
Il porcino è
Boletus edulis Bull.:
il fungo com-
78 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
mestibile
più
“famoso”
in
Valtellina.
Autunno 2007
Amanita phalloides (Vail.: Fr.) Link
Amanita phalloides
Fungo buono o matto?
È uno degli otto
funghi mortali che
dovremmo imparare
per primi a riconoscere!
In italiano “Amanita” si usa da circa
due secoli; il riferimento etimologico è
il monte Amanòs, in Asia Minore, da
cui ragionevolmente derivò il greco
antico amanîtai, che sta ad indicare i
funghi commestibili in generale. Si sa
che Greci e Romani conoscevano ed
apprezzavano le amanite, ma non sappiamo con quali nomi le designassero
esattamente. Il latino Amanita è un
termine reso disponibile dai naturalisti
e dai micologi di fine ‘700 e di inizio
‘800 per indicare il genere che oggi intendiamo. Phalloides significa “a forma
L’
di fallo” per la somiglianza al genere
Phallus.
Amanita phalloides ha un cappello
prima emisferico poi appianato che,
nonostante le colorazioni assai variabili (giallo, verde, bianco, bruno), è
percorso da fibrille che le conferiscono
una caratteristica lucentezza metallica.
L’imenio è costituito da lamelle fitte e
sottili ma larghe e bianche.
Il gambo è decorato da bande a
zig zag concolori al cappello, ma più
pallide, su fondo bianco. Alla base si
presenta bulboso, ricoperto da una
volva (residuo del velo generale cioè di
quella membrana che ricopre il fungo
prima di crescere), a sacco, aderente
al bulbo ma libera all’orlo, di colore
Amanita phalloides (come pure i suoi fratelli Amanita virosa ed Amanita
verna) contiene delle tossine che si chiamano amanitine (alfa, beta, gamma ecc.)
che agiscono bloccando la sintesi proteica delle cellule di fegato e reni e causando
sintomi che partono dopo 8-12 ore dall'ingestione: si comincia con dolori allo
stomaco, diarrea e vomito: in seguito si evidenziano maggiormente i danni al
fegato con un ingrossamento di quest'ultimo accompagnato da itterizia e sanguinamento a livello di stomaco ed intestino; nel 30% dei casi la morte sopraggiunge dopo 4-7 giorni durante coma epatico. Nonostante la somministrazione
contemporanea di antibiotici della famiglia delle penicilline insieme ad un estratto del frutto del cardo mariano (la silibina) abbia dato buoni risultati nel trattamento degli avvelenamenti da amanita, non esistono antidoti specifici e l’unica
terapia al momento con risultati è la diuresi forzata. (dott. Giordano Gusmeroli)
LE MONTAGNE DIVERTENTI
bianco. Sul gambo è presente un
anello disposto a gonnellino, bianco.
La carne è bianca. L’odore è sgradevole. L’habitat ideale è il bosco di latifoglie (castagni, faggi e, ad altitudini
più elevate, nocciòli). Specie comune
e diffusa, in Valtellina si può trovare di
solito fino a 1000-1200 m di quota.
Talvolta viene purtroppo scambiata con le russule verdi, ma ad un
attento micofilo non sfuggirà il fatto
che queste ultime hanno carne gessosa,
non hanno volva, né zebratura sul
gambo, né anello.
Importantissimo è raccogliere
esemplari interi, completi di tutti i caratteri (immergere le dita nel terreno,
ruotare il fungo ed estrarlo; mai tagliarlo!) i quali, come in questo caso,
sono determinanti e necessari per il
sicuro riconoscimento.
Altra possibile confusione è con
le amanite commestibili (Amanita
caesarea e altre) quando gli esemplari
delle varie specie si trovano allo stato
di ovolo ancora chiuso. In queste condizioni la raccolta è assolutamente da
escludere. Si badi, inoltre, che la legge
vieta di raccogliere gli ovoli giovani
(chiusi), in quanto essi non hanno
ancora partecipato al ciclo riproduttivo non avendo liberato le spore.
FUNGHI: PASSIONE MORTALE
- 79
NATUR A
La Russula emetica è velenosa, ma in genere non mortale...
Russula emetica (Schaeff.: Fr.) Persoon
Armillaria mellea (Vahl: Fr.) Kummel
Il chiodino, se non cucinato correttamente, è tossico!
Armillaria mellea
I chiodini dei parassiti, cioè organismi che sfruttano altri esseri
viventi e ai quali causano danni sino,
al limite, a condurli a morte. Sono
i più temibili per le piante forestali, ma al contempo sono i funghi
più diffusi e ricercati in autunno.
Quando si incontrano esemplari
molto giovani, sembra di vedere dei
chiodi: da qui il loro nome volgare.
Armillaria, a sua volta, deriva da
armilla (=braccialetto), che in questa
specie indica l’anello.
Il cappello prima emisferico
poi disteso convesso, con tinte variabili dal bruno giallastro al color
del miele (mellea), presenta delle
squamette brunastre. Le diverse colorazioni sono dovute alle differenti
condizioni ambientali e di umidità
80 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
e, soprattutto, vanno riferite all’albero parassitato (robinia, castagno,
betulla, pioppo...). Tra gli elementi di
riconoscimento di A. mellea adulta, è
da ricordare la caratteristica sporata
bianca che si ritrova sui cappelli di
livello inferiore.
Le lamelle bianche fitte e strette
decorrono sul gambo per mezzo
di un dentino. Il gambo è cilindrico e legnoso, da crema carnicino
fino a concolore al cappello. L’anello (residuo del velo parziale che
in questo caso si chiama armilla) è
membranoso, persistente e striato al
margine inferiore. L’habitat preferito
è rappresentato dai boschi di latifoglie, dove A. mellea cresce su legno
o sulle radici delle piante formando
!
Russula emetica
Appartiene al genere Russula, in
cui l’aspetto generale degli esemplari
solitamente ne consente il ricono-
cespi anche con molti esemplari.
Il bollino verde indica che è un
fungo commestibile, ma da vari anni
a questa parte, in Italia, il chiodino è
causa del maggior numero di intossicazioni a carico del sistema gastrointestinale. Spesso infatti viene
cucinato in modo non corretto,
mentre necessita di una pre-bollitura di venti minuti con eliminazione
dell’acqua e poi di una successiva
cottura. Inoltre il gambo deve essere
eliminato. I possibili errori di riconoscimento avvengono con diversi
generi e talora anche con specie velenose (Galerina, Hypholoma).
Autunno 2007
LE MONTAGNE DIVERTENTI
scimento poiché hanno
tutti un portamento caratteristico: gambo
bianco cilindrico con base arrotondata, lamelle da bianche al giallo
arancio, cappello prima rotondeggiante poi disteso e vivacemente colorato, assenza di latice e particolare
struttura della carne che permette di
rompere il gambo con una frattura netta (come un gessetto). Molte
russule sono caratterizzate da colori
vivaci, talora tendenti al rosso: da
qui il nome del genere, che significa
“rosseggiante”. In alcune zone d’Italia sono dette “colombine”.
La Russula emetica attira la nostra
attenzione per il colore rosso vivo
(rosso sangue arterioso) del cappello,
in contrasto con il bianco candido
FUNGHI: PASSIONE MORTALE
- 81
N. INTERVENTI
N. DECEDUTI
2005
25
5
2006
18
6
2007 (al 30/08)
7
4
ore 15.00 - 19.00
Domenica 23
settembre: ore 9.30 12.30 e 15.00 - 19.00
presso la Sala “Ligari”
(Palazzo della Provincia)
Sondrio
Mostra
micologica
provinciale
Per imparare e avere
Seii ill più
ù velo
oce??
ANNO
Sabato 22 settembre:
risposte alle proprie
domande sui funghi.
Sei un seegugio?
Per l’anno in corso il bilancio è purtroppo ancora provvisorio, perchè la stagione dei funghi è
proprio l’autunno, e deve ancora iniziare.
Sotto: una composizione di funghi porcini, i più ambiti dai fungiatt nostrani.
I L T ESORO DI V ETTA
Abbiamo nascosto 3 bottigliette in giro per i monti, proprio lungo alcuni
itinerari di questo numero.
Prepara lo zaino e parti per le nostre cime. Devi essere il più veloce e
seguire gli indizi riportati qui sotto per trovare la tua bottiglietta.
In palio splendidi premi in attrezzatura tecnica offerti dai nostri sponsor.
IL TESORO DELLE OROBIE
(SOLO PER ALPINISTI!)
Dove? Sulla Punta di Scais,
vedi mappa e itinerario
a pag. 21
10 passi a N della croce di vetta
troverai un mucchietto di sassi
chiari sotto cui è seppellita la bottiglietta. Prendila e vai da Sport
Side a Sondrio, via Tonale 27 e
ritira direttamente il tuo premio!
IL TESORO DELLA VALMALENCO
Dove?
La grande cascata alla Piana di Fora,
Seei scaalttro?
Autunno 2007
PALIO
IN
PALIO
Pile tecnico Lafuma Polartec +
Un best seller a tua scelta di Mauro
Corona
vedi mappa e itinerario a pag. 47
Vai ai piedi della cascata e sali la lista
d’erba e muschio sulla dx della cascata (E)
fino a una netta crepa obliqua a circa 4
metri d’altezza.
Il tesoro è appoggiato al suo interno.
Prendi la bottiglietta e vai da
Maiuk e dall’Angolino del Libro
a Chiesa V.co, via Milano 48 e 7, e
ritira direttamente i tuoi premi!
IL TESORO DELLA VALCHIAVENNA
82 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
IN
Braccaiale satellitare
NAVMAN R300,
studiato appositamente per la corsa,
con misuratore di velocità, distanza
percorsa e altimetro.
Dove?
Monumento agli alpini all’
Angeloga,
vedi mappa e itinerario
a pag. 3
Nascosto ai piedi del monumento
troverai il tesoro.
Prendi la bottiglietta, vai da Effetre
Sport a Chiavenna e ritira direttamente il tuoi premio!
LE MONTAGNE DIVERTENTI
IN
PALIO
Zaino tecnico con coprizaino
MARSUPIO LION 15
- Dorso MESH BACK
C
SYSTEM
- Spallacci imbottiti e
sagomati
- Cintura a vita e cinturino pettorale
- Tasche laterali in
rete porta borraccia
- Tasca sul cappuccio
- Attacco funzionale
- Porta bastoni
CONCORSI
- 83
Trovaree un ago in unn paggliaioo peer te è cossa di tuutti i gioorni?
Imparare a riconoscere le russule
commestibili è fonte di soddisfazione per il cercatore: gli esemplari sono
spesso abbondanti e coprono l’intera
stagione. Esse, inoltre, sono considerate i funghi più digeribili e dal gusto
più delicato: le migliori, di norma,
sono ritenute R. aurea, dal cappello
aranciato e dalle lamelle gialle, R.
cyanoxantha, colorata di blu-violetto
e con le lamelle lardose al tatto, R.
virescens, dal cappello verdeggiante
e spesso screpolato, e R. mustelina,
dalla tinta simile a quella del porcino,
con il quale non di rado a prima vista
viene confusa.
delle lamelle e del gambo. Il cappello dapprima sembra un elmetto, poi
si appiana, e possiede una cuticola che si separa fino a metà raggio.
Le lamelle sono bianche, sottili e
fragili. Il gambo è slanciato, poi più
o meno cilindrico. La carne è fragile,
il sapore pepato. L’habitat ideale è il
bosco di conifere di montagna, dove
spesso si nota il rosso brillante di R.
emetica splendere su verdi tappeti di
muschio. È detta emetica in quanto
contiene una sostanza fortemente
irritante per l’apparato digerente
che provoca disturbi gastrointestinali, tra cui forti conati di vomito.
LE RICETTE
Damiano Miotti
DELLA
F
RUTTA COTTA
E
LIQUORE AI SEMI
DI MELA
INGREDIENTI per frutta cotta:
-1 kg di mele Golden (anche di
quelle “battute”);
-100 g di zucchero;
-1 bicchiere di vino rosso;
-3-4 prugne secche;
-succo di un limone;
-cannella in polvere;
Sbucciate un chilo di mele gialle,
(vanno benissimo anche quelle
“battute” o quelle ben mature, poco
presentabili esteticamente ma non
per questo meno buone), liberandole
anche dal torsolo. Riducete il frutto in
spicchi non troppo sottili. Mettetele
in una pentola, versando sul fondo un
bicchiere di vino rosso. Cospargete il
tutto con lo zucchero e una spolverata
di cannella in polvere, aggiungendo
le prugne secche. Lasciate sul fuoco
LE MONTAGNE DIVERTENTI
NONNA
C
ROCCANTE
DI NOCI
basso per circa 30 minuti, fino ad
avere la consistenza desidetata. Spegnete ed aggiungete il succo di un
limone, mescolando bene. Lasciate
raffreddare fino a temperatura ambiente.
INGREDIENTI:
INGREDIENTI per liquore ai
semi di mela:
Mettete gli ingredienti in un
tegame. Fateli cuocere finchè il
tutto diventa dorato. Versate in un
tegame possibilmente di alluminio
leggermente unto con un velo
olio. Rendete lo strato a spessore
omogeneo (mezzo centimetro
abbondante) spalmando con una
fetta di mela. Quando è tiepido
tagliatelo in quadretti. Lasciate
quindi terminare il raffreddamento.
-150 grammi zucchero;
-300 ml acqua;
-200 ml alcool;
-1 tazzina da caffè di semi di mela;
Con pazienza togliete tutti i semini
dai torsoli avanzati ad esempio dalla
frutta cotta. Fate bollire l’acqua con
lo zucchero per un minuto circa,
quando sarà fredda unite l’alcool e i
semi di mela e mettete il tutto in un
vaso ermetico. Agitate quotidianamente per quaranta giorni dopodicchè filtrate il tutto.
-2 etti di noci;
-2 etti di zucchero;
-un goccio di olio;
-una fetta di mela;
RICETTE
- 85
Vincitori
&
Vinti
Nonostante già 3000 persone avessero acquistato la rivista ad una settimana dalla sua uscita, ci sono volute ben 3 settimane prima che la Testata Misteriosa avesse un vincitore. Il suo nome è Roberto Piazza, un lettore di Monza. Gli altri due
abbonamenti in palio sono andati a Nicola Della Maddalena di Tresivio e Fabio Bardea di Lanzada.
Questa è la soluzione dell’enigma, molto complicato perchè le cime erano imbiancate di neve primaverile e perciò difficilmente riconoscibili.
Foto panoramica scattata dalle pendici del Monte Masuccio (m 2816),. E’ una bella montagna sopra Tirano.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Pizzo Cancano (m 2435)
Pizzo Combolo (m 2902)
Pizzo Malgina (m 2887)
Vetta di Ron (m 3136)
Pizzo Calino (m 3022)
Pizzo Painale (m 3248)
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
Monte Disgrazia (m 3678)
Pizzo Scalino (m 3323)
Pizzo Canciano (m 3103)
Sassa d’Entova (m 3239)
Pizzo Tremogge (m 3441)
La Sella (m 3584)
Ma
Pizzo Roseg (m 3936)
Pizzo Argient (m 3945)
Pizzo Bellavista (m 3922)
Pizzo Palù (m 3906)
Pizzo Cambrena (m 3606)
Pizzo Ometto (m 2795)
ch’el ??
I nostri avi avevano grande fantasia e abilità nel riciclo di utensili per produrne degli altri.
Questo gioco conclude il numero d’autunno di Le Montagne Divertenti e mette alla prova il nostro senso pratico.
Si tratta di capire che cos’è l’utensile fotografato e a cosa potesse servire.....
S
e sei un attento osservatore, rispondi correttamente alle tre domande su
questo oggetto e vincerai un abbonamento
annuale alla rivista.
Che cos’è?
A cosa serve?
Da cosa e come è stato ricavato?
Manda le tue risposte a
[email protected].
86 - LE MONTAGNE DIVERTENTI
Autunno 2007
waltellina