Anna Ciliberti, Un modello per la descrizione dell - E

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Anna Ciliberti, Un modello per la descrizione dell - E
Anna Ciliberti, Un modello per la descrizione dell’interazione in classe:
l’Analisi della Conversazione.
Testo di approfondimento per il modulo L’Interazione in classe del Master
in Didattica dell’italiano lingua non materna dell’Università per Stranieri di
Perugia
Presentando sinteticamente i contenuti del modulo, abbiamo affermato che
l’interazione che ha luogo in classe è (spesso) caratterizzata da una
distribuzione asimmetrica del potere comunicativo tra gli interattanti, e che
ciò dà luogo a particolari modalità di organizzazione e di strutturazione
dell’interazione stessa.
Lo studio del rapporto tra il potere sociale esterno all’interazione e
l’organizzazione dell’interazione stessa -quest’ultima vista in termini di
distribuzione del ‘potere comunicativo’ tra i parlanti- costituisce un modo
per riprendere un tema centrale e privilegiato della ricerca sociolinguistica:
quella del rapporto tra linguaggio e potere, tra linguaggio e struttura
sociale.
Ma come è stata vista la relazione tra la struttura sociale, da un lato, e le
scelte linguistiche e comunicative dei parlanti? Per la ricerca sociolinguistica
più tradizionale -la cosiddetta sociolinguistica correlazionale- i
comportamenti comunicativi e linguistici (ad esempio la scelta di una
determinata varietà linguistica o di una specifica variante microlinguistica)
sono determinati dall’appartenenza del parlante ad una certa classe sociale,
ad un determinato sesso, gruppo di età, cultura, ecc.
In questa prospettiva, la struttura sociale condiziona inevitabilmente le
scelte linguistiche e comunicative degli individui: il comportamento
linguistico è visto come un riflesso speculare della struttura della società.
Approcci come quello della sociolinguistica correlazionale hanno dominato
la ricerca sociolinguistica fino agli anni ‘70, per cedere poi il loro
predominio alla prospettiva che considera invece il linguaggio non come un
semplice riflesso della realtà sociale bensì come uno strumento di
costruzione di quest’ultima.
Tale prospettiva, che è tipica dell’orientamento etnometodologico
dell’Analisi della Conversazione, ha come idea di fondo quella secondo cui:
“la struttura sociale non è qualcosa di esterno incombente sulle azioni degli
individui, ma piuttosto qualcosa che gli stessi esseri umani costituiscono e
ricostituiscono attraverso le loro pratiche sociali quotidiane” [Orletti
2000:9].
Tale approccio non vede dunque le due nozioni di lingua e di realtà sociale
come distinte e separate; al contrario, vede nei meccanismi discorsivi, nelle
diverse modalità di realizzazione della comunicazione, non tanto o non
solo “la pressione di forze esterne”, bensì il modo attraverso cui i membri
sociali danno corpo alla struttura sociale, la producono e la riproducono in
maniera riflessiva (ib).
L’Analisi della Conversazione -un modello analitico sviluppato, a partire
dagli anni settanta, dai sociologi nord americani H. Sacks, E. Schegloff e
G.Jefferson- studia come i partecipanti all'interazione portano avanti il loro
lavoro interazionale, cioè come organizzano l'interazione verbale
quotidiana. La prospettiva di analisi è quella del parlante: si focalizza cioè
su quello che è rilevante di momento in momento per i partecipanti
all’interazione.
L’Analisi della Conversazione offre spiegazioni relative ai meccanismi
tecnici di organizzazione di testi e discorsi: la conversazione viene ad
essere analizzata come una serie di mosse -turni di parola- organizzate
sequenzialmente (Sacks et alii 1974). L'analisi, compiuta su dati autentici,
non postula aprioristicamente alcuna categoria esplicativa, ed è organizzata
in tre fasi:
1. scoprire le regolarità in un corpus di dati, cioè le strutture verbali che
ricorrono regolarmente in determinati contesti;
2. ricostruire il 'problema' che i partecipanti si pongono e che cercano di
risolvere con l'aiuto di tali strutture;
3. descrivere i modi tramite cui i partecipanti all'interazione riescono a
risolvere il problema in questione.
La conversazione ordinaria tra pari è tipicamente di natura simmetrica: tutti
gli interattanti, cioè, hanno gli stessi diritti e doveri conversazionali. Essa
può essere considerata il modello di base dell’interazione verbale e, per
questo, è da essa che si deve partire per cogliere la caratteristica basilare
delle interazioni istituzionali: l’asimmetria di potere comunicativo, o, se si
preferisce, di potere tout court.
Nella conversazione ordinaria “ciò che uno può possono gli altri” (LeonardiViaro 1983 :147); nelle interazioni asimmetriche, invece, gli interattanti
hanno poteri diversi di gestione dell’interazione: ad esempio, l’alternanza
dei turni può essere predeterminata (come nelle tavole rotonde), oppurre
possono esserci delle vere e proprie figure guida -i cosiddetti ‘registi
dell’interazione’- che controllano l’andamento dello scambio comunicativo
nei suoi vari aspetti: nell’attribuzione dei turni, nella determinazione della
loro durata, nella scelta dei contenuti di discussione. E’ questo il caso di
molti tipi di interazione che si svolgono in classe.
Alcuni testi di riferimento:
Galatolo R. & G. Pallotti (a cura di), 2001, La conversazione.
Un’introduzione allo studio dell’interazione verbale, Milano, Cortina editore
Leonardi P., M. Viaro 1983, “Insubordinazioni”. In Orletti F. (a cura di),
Comunicare nella vita quotidiana, Bologna, il Mulino, pagg. 147-174.
Orletti F. (2000). La conversazione diseguale, Roma, Carocci