Emozioni sul Piz Boè nel cuore delle vette

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Emozioni sul Piz Boè nel cuore delle vette
Trento
l'Adige
REPORTAGE
Viaggio nei
rifugi / 8
Alessandro Riz
gestore della
Capanna di Fassa
racconta la vita
a quota tre mila
nel gruppo del Sella
domenica 26 agosto 2012
Emozioni sul Piz Boè
nel cuore delle vette
Tutti i giorni qualcuno di noi
scende a valle zaino in spalla
per risalire carico
di prodotti freschi
necessari per la cucina
Arrivano escursionisti
di tutte le nazionalità
ma qui pernottano
soprattutto i tedeschi
impegnati sull’Alta via n° 2
FEDERICA PASSAMANI
Incastonato sulla punta più alta del
gruppo del Sella con di fronte la
Marmolada e il suo inconfondibile
ghiacciaio, circondato da un
panorama a 360° talmente
entusiasmante da togliere il fiato
rimasto dopo la scalata che porta
gli escursionisti fino a quota 3.152,
il rifugio «Capanna di Fassa» sul Piz
Boè gode di una delle più invidiate
posizioni di tutte le Dolomiti.
Nessuna fotografia può rendere le
sensazioni di ritrovarsi, mentre si
sale, minuscoli e meravigliati,
avvolti fra le gigantesche e
frastagliate guglie e gli ampi
falsopiani che caratterizzano i
paesaggi bianco-grigiastri striati di
rosso, di ocra, di nero e scolpiti in
rocce che accompagnano il
sentiero, da vicino e fino a
comporre l’orizzonte. Nessuna
immagine restituisce la
spettacolarità della vista che si può
ammirare dalla cima, uno dei
tremila più facilmente raggiungibili
del Trentino, con almeno quattro
vie di accesso, fra cui scegliere il
grado di difficoltà, panorama e,
quindi, gratificazione per il
traguardo raggiunto.
La «Capanna di Fassa» fu costruita
attorno al 1968, proprio per essere
una «capanna» di riparo, non troppo
pretenziosa, fatta di assi di legno
che il proprietario, Guido Bernard,
pazientemente portò in quota
quell’estate. Nel 1988 il rifugio è
stato completamente rinnovato e,
da dodici anni a questa parte, la
gestione è affidata ad Alessandro
Riz che vi lavora con la moglie
Milena Vaia e alcuni collaboratori.
Oggi sono disponibili una ventina di
posti letto (prenotazione gradita)
con semplici servizi privati interni e
si cucinano tutti i pasti della
giornata.
Alessandro, come vi siete organizzati
per la gestione?
«Non è facile, siamo un rifugio che
scarseggia di acqua e di corrente,
quindi non siamo attrezzati con
congelatore per conservare a lungo
i cibi. Per questo la metà di noi ogni
giorno si alterna per tornare in valle
e, quando risale, porta su a piedi,
zaino in spalla, i prodotti freschi
che ci servono per cucinare, come
il pane, le salsicce e le verdure.
Ogni volta sono dai 5 ai 30 kg di
peso e, quando scendiamo,
portiamo giù anche le immondizie.
Il resto ci viene invece consegnato
periodicamente in elicottero, 7
quintali per volta, da ditte
specializzate che offrono questo
servizio».
Come sta andando questa stagione
estiva?
«Se il tempo lo permette, terremo
aperto ancora fino all’ultima
domenica di settembre o la prima di
ottobre. Quest’estate c’è stato un
calo, ma non così rilevante come
temevo. Non posso lamentarmi. Da
quest’anno poi le cose si sono
semplificate per noi, perché
finalmente è entrato in funzione il
nuovo collegamento fognario con il
rifugio Boè, un lavoro “estremo”
della Provincia. Io e il proprietario
Guido Bernard ci teniamo a
ringraziare tutti quelli che hanno
collaborato alla realizzazione:
ingegneri e operai, Alta Quota di
Cavalese, Elikos val Gardena. Per il
nostro funzionamento, recuperiamo
l’acqua dalle piogge e da un
ghiaione dove c’è del ghiaccio
permafrost che con queste
temperature rilascia un rigagnolo
che cerchiamo di sfruttare».
Che tipo di turisti arrivano?
«Di tutte le nazionalità, ma chi si
ferma a dormire sono per lo più i
tedeschi, perché qui vicino passa
GLI ACCESSI
Sentieri di varia difficoltà
Dal Pordoi la via più facile
L’accesso più agevole è dal passo Pordoi, utilizzando la funivia che in pochi minuti porta
fino a 2.950 metri di quota. Da
qui la vetta dista un’ora e mezza scarsa di cammino, con solo la parte finale del tragitto un
po’ più ripida ma attrezzata
(sentieri 627 e 638). Dal passo
Pordoi si sale anche a piedi fino alla Forcella del Pordoi (con
omonimo rifugio) da dove si imbocca dopo poco (a quota
2.902) il 638 per arrivare direttamente sulla cima, oppure il
627, per raggiungerla con deviazione di un’oretta sotto la
parete ovest del Piz Boè ed approdo al rifugio Boè (2873), da
dove si sale nuovamente in 45
minuti.
Dal passo Pordoi per la ferrata
«Cesare Piazzetta», una delle
più intense ed impegnative delle Dolomiti.
Incantevole è l’accesso dalla
conca del Vallon (quest’estate
l’unica funivia funzionante è
quella che sale da passo Campolongo), in due-tre ore, con
due varianti: sentiero 638 (più
facile) che costeggia le pareti
del Sella fino alla vetta, oppure si può seguire una via difficoltosa ma attrezzata attraverso la ferrata del Vallon e il sentiero 672.
Da Colfosco, per il sentiero
n°651 attraverso la spettacolare val de Mezdì fino al rifugio
Boè (4 ore circa) e quindi per
il 638 verso il Piz Boè.
l’Alta via numero 2 (BressanoneFeltre, ndr). C’è gente che sa come
ci si comporta in montagna, altri
che invece nascondono i rifiuti
sotto i sassi vicino al rifugio.
Talvolta alcuni si lamentano per i
prezzi alti del cibo, senza tener
conto delle difficoltà del
rifornimento. A Roma davanti al
Colosseo vendono una bottiglietta
d’acqua per due euro, qui sembra
cara. Da quando a Rimini mi hanno
chiesto di pagare una bibita in
lattina tre euro, ho tenuto qui
quello scontrino e ho messo lo
stesso prezzo anch’io».
Certo, il rifugio è in una posizione poco
riparata...
«In effetti con i temporali forti un
po’ di preoccupazione c’è,
soprattutto quando arrivano i
fulmini e con la corrente elettrica si
sente la lamiera del tetto che
“frigge”. Per fortuna qui fuori ci
Il gruppo
del Sella
con il Piz Boè
sulla destra
e al centro
la Val Lasties;
sotto, in senso
orario veduta
sul rifugio;
il gestore
Alessandro Riz
e i segnavia
sulla vetta
a quota 3.152
al confine
fra le province
di Trento,
Bolzano e Belluno
sono dei grandi ripetitori telefonici
che fanno un po’ da parafulmine,
ma negli anni ho visto molte rocce
in giro spaccate a metà. Quando tira
forte vento, invece, il rifugio
dondola un po’, allora stiamo
dentro e giochiamo a carte. Qui c’è
il telefono e ho anche una
connessione Internet privata,
quindi in caso di bisogno non siamo
isolati».
Lei è il fratello di Erwin Riz, uno dei
quattro eroi del Soccorso alpino
dell’Alta Fassa morti sotto una valanga
in val Lasties il 26 dicembre 2009: che
ricordo ha di lui?
«Dopo l’incidente, molti mi hanno
chiesto come potevo tornare a
lavorare sul Boè. Ho sempre
risposto che ho piacere di salire e
passare dove lui, Luca, Diego, Ale e
Dimitri sono morti, li sento più
vicini. Non li dimenticherò mai».
8 / continua
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