Famiglie oltre i confini

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Famiglie oltre i confini
Famiglie oltre i confini
Indagine svolta dall’A.C.S.I., Associazione Culturale di Solidarietà Internazionale,
Firenze 2005
CHI SIAMO:
A.C.S.I.
ASSOCIAZIONE CULTURALE
DI SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE
L’A.C.S.I., Associazione Culturale di Solidarietà Internazionale, nasce a Firenze il 19
giugno 1992 dal desiderio di un gruppo di amici di mettere a disposizione le proprie
professionalità, le proprie esperienze ed il personale apporto umano a favore di persone, in
particolare bambini e ragazzi, di gruppi e di comunità in situazioni di emarginazione e di
abbandono o comunque in gravi difficoltà. L’Associazione è un centro culturale con finalità
di solidarietà in ambito internazionale e si impegna per essere presente, ovunque possibile,
anche a livello operativo.
I soci sono tutti volontari e l’Associazione non si avvale di personale dipendente.
L’A.C.S.I. ha operato fino ad oggi prevalentemente nei seguenti settori d’intervento:
- informazione e cultura della solidarietà;
- ricerca e consulenza psicologica;
- corsi di formazione per operatori e volontari del settore;
- educazione alla solidarietà interetnica ed interculturale in ambito scolastico
(‘Progetto Scuola’);
- sostegni a distanza in favore di bambini;
- raccolta fondi di solidarietà.
L’A.C.S.I. collabora inoltre con altre associazioni di volontariato toscane, con finalità
analoghe, partecipando al Coordinamento UBI MINOR, ‘Coordinamento per la tutela dei
diritti dei bambini e dei ragazzi’.
Presso la sede vengono organizzati incontri di gruppo e/o per singoli per la divulgazione
e la promozione di interventi quali l’adozione, in particolare quella internazionale, e
l’affidamento di minori. Due psicoterapiste, con specifica preparazione ed esperienza nel
settore, conducono i gruppi e svolgono anche colloqui individuali, di coppia e per nuclei
familiari con presenza di minori. Viene riservata una particolare attenzione alle tematiche
riguardanti l’adozione internazionale e, comunque, i rapporti fra persone di etnie diverse.
Quando necessario l’Associazione può contare, a livello di volontariato, sulle
consulenze di medici ed avvocati.
Formazione e informazione
L’A.C.S.I. ha partecipato al Comitato Scientifico ed all’organizzazione di due seminari
dal titolo “Famiglia e Servizi pubblici per l’affido” per Operatori dei Centri Affidi (Legge 476
del 31 dicembre 1998): uno per il Comune di Scandicci e l’altro per tutti gli altri Comuni
della Toscana. In particolare un membro dell’A.C.S.I. ha avuto funzione di ‘conduttore –
esperto’. I due seminari (marzo-maggio del 2000) erano organizzati dalla Facoltà di Scienze
Politiche dell’Università degli Studi di Firenze e dal Coordinamento UBI MINOR.
In collaborazione con le altre associazioni del Coordinamento UBI MINOR, l’A.C.S.I.
ha organizzato nel 2001 tre seminari (di tre giornate ciascuno) per volontari ed operatori sui
temi dell’accoglienza dei minori rispettivamente a Poggibonsi (Siena), a Monsummano
(Pistoia) ed a Massa. Un seminario avente le caratteristiche dei tre descritti è stato tenuto ad
Empoli nel 2002 ed un socio dell’A.C.S.I. ha avuto la funzione di conduttore.
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L’A.C.S.I. ha inoltre partecipato ad incontri con Funzionari della Regione Toscana, in
prevalenza nel 2004, e con il Presidente del Tribunale per i Minori di Firenze (maggio 2005)
incentrati in particolare sulla prevista chiusura degli istituti per minori entro il 2006.
Il Progetto Scuola
Attività inerenti al ‘Progetto Scuola’: serie di incontri, preparati con le insegnanti e
facenti parte della programmazione didattica, con classi della scuola dell’obbligo e della
scuola materna per ‘educarci alla partecipazione ed alla solidarietà’. Gli incontri coinvolgono
soci dell’A.C.S.I., alunni, insegnanti e genitori. Oltre alla ricerca ed allo scambio di contenuti
culturali, attraverso l’attivazione di gemellaggi fra classi italiane e classi parallele all’estero,
tutti i partecipanti possono imparare da altre culture il rispetto per la natura, la necessità di
un’equa distribuzione delle risorse, la conoscenza dei motivi fondamentali di situazioni sociali
ed economiche diverse dalle nostre, e così via. Quest’attività riesce anche a portare un aiuto
economico concreto ai partners più deboli e non solo in denaro, ma ad esempio con la
spedizione di magliette dipinte dai bambini italiani per i loro amici.
Le scuole interessate sono attualmente la scuola materna ‘Le Fontanelle’ di Prato e la
scuola media inferiore ‘Leonardo da Vinci’ di Lastra a Signa. Questa stessa attività è stata
svolta in passato anche presso la scuola elementare ‘Bruni’ e la scuola materna ‘Vittorio
Veneto’, entrambe a Firenze, e la scuola media inferiore ‘Cino da Pistoia’ di Pistoia.
Sostegni a distanza guidati
I ‘sostegni a distanza guidati’ (in passato detti impropriamente ‘adozioni a distanza’) la
nostra Associazione li promuove da anni in favore dei bambini di due favelas di Salvador
Bahia (Brasile). Si tratta di solidarietà finalizzata al mantenimento ed all’assistenza sanitaria
dei bambini che vivono in queste favelas con la propria famiglia, in cui spesso l’unico adulto
è la madre, e che frequentano la scuola della Missione con la quale siamo collegati.
Su segnalazione delle Missionarie ci possiamo impegnare per le situazioni più
preoccupanti; questi bambini possono contare anche su un team di educatori che li seguono
individualmente anche a livello di socializzazione, difficoltà psicologiche, ecc. Evidentemente
non possiamo impegnarci su vasta scala, ma la qualità di questo tipo di intervento dà risultati
impensabili.
Le Missioni coinvolte vengono visitate con una certa regolarità da membri
dell’A.C.S.I., che possono far sentire la nostra vicinanza a bambini ed adulti e che al ritorno
comunicano a tutti noi l’entusiasmo e la gratitudine degli amici brasiliani.
Raccolte di fondi per iniziative particolari
Ogni anno l’Associazione organizza raccolte di fondi a destinazione diversa.
Ad esempio in passato ci siamo impegnati nell’aiuto alla Fondation Pueblo Indio del
Ecuador a Quito, una fondazione costituita 30 anni fa dal Missionario Leonidas Proanos e
riconosciuta dal governo ecuadoriano, che promuove progetti di agricoltura compatibile,
organizza i contadini in iniziative di mercato equo e solidale, promuove corsi di
alfabetizzazione e bilinguismo nei villaggi montani di Tunibamba (2500 mt. di altitudine)
nella provincia di Imbabura. L’intero progetto ha avuto in seguito importanti finanziamenti da
ONG internazionali, che gli hanno permesso di proseguire le attività anche senza il nostro
contributo.
Diverse raccolte sono state organizzate per il poliambulatorio costruito presso la
Missione di Aguas Claras (una delle due Missioni in contatto con noi) a Salvador Bahia. Si
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tratta di un’attività assolutamente indispensabile per l’intera zona, a cui collaborano anche il
governo e le università locali fornendo alcuni medici retribuiti, mentre altri sono volontari. Il
nostro contributo è servito all’acquisto della strumentazione e dei medicinali, che in Brasile
sono tutti a pagamento.
L’A.C.S.I. ha inoltre partecipato al Tavolo CESVOT sulle tematiche minorili, a partire
dalla sua costituzione. L’indagine ‘Famiglie oltre i confini’, che qui presentiamo, è stata resa
possibile proprio grazie a questa partecipazione.
HANNO LAVORATO A QUESTA INDAGINE:
Alexandra Schmitz-Baggio
Anna Berti
Carlo Oddi
Daniela Selisca
Ilaria Panuccio
Jacopo Cappelli
Un ringraziamento particolare va a Giancarlo Campolmi, membro fondatore dell’A.C.S.I., che
ha gentilmente tradotto Stakeholders in foster care. An international comparative study.
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PREMESSA
Il titolo ‘Famiglie oltre i confini’ vuole indicare che per famiglia si intende un luogo
affettivo, un contenitore della rete dei rapporti importanti, al di là dei limiti dell’accezione
tradizionale. Una famiglia cioè, che vuole collocarsi oltre i confini culturali, grazie alla sua
apertura e disponibilità affettiva.
Lo scopo di questo lavoro, a lungo pensato come contributo in favore dei bambini e dei
ragazzi meno fortunati, è quello di proporre, a chi ha il potere di decidere interventi in favore
dei ragazzi ed a chi si è reso disponibile ad avere con i ragazzi esperienze affettive ed
educative dalle quali dipenderà la loro vita presente e futura, una serie di modalità di
interventi.
Per ‘meno fortunati’ qui si intendono i bambini ed i ragazzi che non possono o non
devono vivere nella propria famiglia d’origine, diritto di ogni essere umano dalla nascita. I
motivi possono essere tanti ed è ovvio che tutte le risorse possibili devono essere attivate
perché il bambino rimanga nella propria famiglia che, se in difficoltà, deve essere aiutata nel
suo complesso e non con l’allontanamento di uno o più membri. Non sempre questo è
possibile, ed allora la società deve organizzarsi.
I rapporti interpersonali sono la sola base sulla quale si possono costruire progetti di
vita; di conseguenza verranno i modelli d’intervento, i dettagliati progetti individuali, le
verifiche e, soprattutto, la formazione degli “addetti ai lavori”che abbiano nei curricula menti
vivaci e cuori intelligenti.
La mancata esperienza in età infantile di legami affettivi “importanti”con uno o più
adulti ,è causa di gravissime conseguenze nella strutturazione della personalità dell’essere
umano. Chi non ha avuto la possibilità di crescere su un terreno affettivamente solido può non
essere stato agganciato saldamente alla vita, perciò è e sarà una persona alla continua ricerca
di sicurezze, di conferme, di stabilità, scegliendo spesso la soluzione dell’isolamento, della
chiusura nei confronti degli altri, oppure quella della reazione aggressiva o della dipendenza
da sostanze e/o da persone.
Un desiderio non appagato rende eterna la ricerca della soddisfazione del desiderio
stesso, una specie di ‘isola perduta’, perduta perché mai trovata. Ed ecco così segnati i destini
di chi, non avendo fatto esperienza di legami affettivi solidi, trascorre la propria vita fra
ricerca, illusione d’appagamento (o appagamenti illusori) e abbandono. Un abbandono non
solo subìto, ma riproposto dalla coazione a ripetere, che spinge la persona in situazioni simili
e dall’esito scontato, ma anche provocate dall’individuo stesso, per paura di mettersi in gioco.
Chi ha conosciuto persone gravemente vittime di queste esperienze sa la sofferenza che
queste causano, una sofferenza “sorda”che spesso non permette consolazioni. Chi ha visto gli
sguardi dei bambini deprivati, privati cioè dei fondamentali rapporti stabili con adulti che si
prendono cura di loro, sa che sono sguardi di richiesta. Sono sofferenze che ne producono
altre, con conseguenze immaginabili. Il bambino ha diritto ad una normale e precisa vita
affettiva non solo in vista del suo futuro e dell’adulto che diventerà (questa è sempre una
visione adultocentrica dell’infanzia), ma ha diritto ora ad essere rispettato, accudito, amato,
cioè ha diritto ad essere felice subito. Tante possono essere le sfaccettature derivanti dalla
mancanza di quello che sinteticamente ci troviamo a chiamare ‘aggancio alla vita’, tema
magistralmente trattato da James Hillman nella figura del ‘bambino abbandonato’.
La vita di relazione, la capacità di comunicazione con se stesso e con gli altri inizia nel
grembo della mamma. L’essere umano si forma e cresce in modo sano solo se gli si
assicurano legami ‘caldi’ con persone stabili di riferimento, e ovviamente nella norma queste
sono i genitori. Legami saldi, profondi, stabili proprio con il limitatissimo numero di persone
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che hanno con il bambino un rapporto affettivo continuativo: questo dovrebbe essere il
terreno su cui crescere.
Che dire allora di quelle situazioni ‘legalmente corrette’ in cui bambini, anche molto
piccoli, sono affidati ad un certo numero di educatori, magari preparatissimi e validi
umanamente, che hanno un orario lavorativo da rispettare al termine del quale tornano a casa
propria, lasciando i bambini in una sede che loro non possono considerare ‘casa’?
Sappiamo che entro il 2006 è prevista la chiusura degli ‘istituti per i minori’. In troppi
c’è il timore che per molti di questi non si tratterà che di un riciclaggio, ottenuto più con
adeguamenti architettonici che con cambiamenti radicali nell’impostazione e nella
conseguente prassi, per la creazione di situazioni d’accoglienza che rispondano a quanto sopra
espresso.
Allora non ci è sembrato superfluo offrire un’occasione di aggiornamento e di
riflessione su esperienze di accoglienza in giro per il mondo. Accogliere il nuovo significa
essere consapevoli dei nostri pregiudizi e provare a guardare con occhi curiosi e partecipi
avendo a cuore soltanto l’interesse vero dei ragazzi anche in realtà diverse.
Abbiamo scelto di non trattare l’adozione né l’affidamento classico perché soluzioni
conosciute e praticate da lungo tempo. Si è ritenuto più utile focalizzare la nostra attenzione
sulle forme alternative a queste e, seguendo l’esigenza di preparare “luoghi affettivi”dove i
ragazzi in difficoltà possano vivere avendo a disposizione tutte le risorse a loro necessarie,
abbiamo raccolto documentazioni di esperienze realizzate anche in territori lontani
logisticamente e sociologicamente.
Moltissime le alternative sia in Italia che all’estero. Ci siamo perciò sentiti liberi di
riportare le esperienze d’accoglienza, d’organizzazione dei servizi e di percorsi di formazione
per gli adulti implicati che più ci sono sembrati interessanti. Indagine, perciò, e non certo
ricerca sistematica, raccolta di documentazione utilizzando anche canali internazionali ed
interviste ad esperti e studiosi per mettere a confronto riflessioni ed interventi che sembrano
essere in grado di rispondere a situazioni estreme come affidi di bambini molto piccoli, di
adolescenti con comportamenti a rischio, ecc. .Riflessioni poi su concetti che per alcuni sono
intoccabili come quello di gratuità dell’impegno degli affidatari.
Se questo nostro coinvolgimento, emotivo ed intellettuale, porterà a noi ed a chi
condivide i nostri interrogativi la capacità di formulare ipotesi operativamente utili, potremo
dire di aver contribuito a mitigare sofferenze e ad indicare valide strade percorribili da
ragazzi, famiglie, mondo dell’accoglienza e non solo.
Nota sulla terminologia adottata
Questa indagine riguarda l’affidamento di individui di età compresa fra gli 0 e i 18 anni,
e in alcuni casi anche leggermente più grandi. Ci siamo posti la questione della terminologia
da adottare poiché si parla di neonati, bambini, ragazzini, adolescenti e, quando siamo ai 20
anni, anche giovani adulti. Laddove era possibile distinguere abbiamo usato il termine
appropriato alla fascia d’età presa in considerazione; in molti casi, poiché comunque si parla
di individui minorenni da un punto di vista giuridico, ci siamo serviti del termine ‘minori’.
Sappiamo che questa parola è da più parti osteggiata, e ci troviamo anche d’accordo su molte
delle riserve espresse al riguardo; ma talvolta, di fronte alla necessità di generalizzare, ci è
sembrato che un termine così generico che include le persone dagli 0 ai 18 anni fosse davvero
quello più adatto e quindi lo abbiamo usato senza connotazioni valutative di alcun tipo.
Risponde invece ad una necessità di non appesantire l’esposizione la scelta di non
distinguere praticamente mai fra neonati e neonate, bambini e bambine, ragazzi e ragazze, e
così via: abbiamo preferito evitare frasi del tipo “Il/la bambino/a deve essere protetto/a ...”,
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poiché la scrittura delle due alternative in definitiva nulla aggiunge al contenuto essenziale del
testo, ma ne rende molto più faticosa la lettura.
Nota sui disabili e i minori stranieri non accompagnati
I minori portatori di handicap gravi, sia fisici che psichici, costituiscono di per sé casi
particolarissimi nell’insieme delle situazioni, tutte diverse fra loro, dei bambini e ragazzi che
vengono collocati in affidamento. Lo stesso dicasi per i minori stranieri non accompagnati,
che giungono in Europa di solito clandestinamente e spesso dopo un viaggio terribile.
Per queste persone le problematiche che si pongono per l’affido sono nettamente più
ampie, e la nostra indagine non ha offerto spunti particolarmente interessanti che vadano oltre
quanto già in parte fatto comunemente in Italia. A prendersi carico dei disabili, sia fisici che
psichici, sono quasi sempre istituti, o case-famiglia strutturate come piccoli istituti, in cui
l’impegno della cura di questi minori viene di fatto distribuito su diversi operatori (come
accade non solo in Italia ma, praticamente, dappertutto). Spesso, per i casi più gravi, la
soluzione adottata è quella dell’ospedalizzazione, magari in istituti specializzati per la
riabilitazione, ma che è comunque una forma di istituzionalizzazione; e per questo motivo
nella ricerca non vengono menzionati quasi mai i casi di disabilità. Le implicazioni di tipo
sanitario che queste situazioni comportano richiederebbero una ricerca mirata che esula dai
fini della presente indagine.
Anche per quel che riguarda i minori stranieri non accompagnati, a nostro parere le
problematiche specifiche di lingua e, anche più importante, l’appartenenza a culture diverse
mettono in campo questioni del tutto peculiari che devono essere prese in considerazione da
studi specifici.
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IL CONTESTO NORMATIVO E LE PREOCCUPAZIONI ATTUALI
L’affidamento familiare è regolamentato dalla legge 184 del 1983, ‘Disciplina
dell’adozione e dell’affidamento dei minori’.
Questa legge afferma due principi fondamentali :
- il diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia;
- il diritto del minore ad essere affidato ad un’altra famiglia quando la propria non sia
temporaneamente in grado a provvedere alla sua crescita ed alla sua educazione.
Questo diritto viene riaffermato nella legge 149 del 28 marzo 20011, legge di modifica
della 184/83. Nella legge di modifica viene indicato l’affidamento familiare come la risorsa
da attivare per il superamento del ricovero dei minori in istituto entro la data del 31 dicembre
2006.
La legge 149/2001 rispetto alla 184/83 pone ancora di più l’accento sul diritto del
minore a crescere nella propria famiglia e, comunque, a crescere ed essere educato in una
famiglia.
Questa legge impone interventi di sostegno ed aiuto in favore della famiglia d’origine
per evitare l’allontanamento del minore. Obbliga poi lo Stato, le Regioni e gli Enti locali,
nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, a
sostenere con idonei interventi i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e
consentire al minore di essere educato nella propria famiglia. Stabilisce inoltre che il minore,
temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli aiuti ed i sostegni
messi in atto, venga affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una
persona singola. Precisa poi che solo se non è possibile l’affidamento familiare è consentito
l’inserimento in comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto.
L’istituzionalizzazione non è mai stata una soluzione valida per i minori allontanati
dalla loro famiglia a causa di problemi che possono andare da un disagio momentaneo a
episodi di violenze. Ciononostante l’istituto resta spessissimo l’esito finale per le emergenze,
e non solo per quelle, semplicemente perché esso esiste, ed ha comunque una collaudata
possibilità organizzativa di accogliere il ragazzo di una famiglia in difficoltà.
Possiamo dire di più: l’istituto non solo non è una soluzione, ma aggiunge al trauma
della separazione dalla famiglia un altro danno al bambino, che non ritrova nel nuovo
ambiente delle figure stabili di riferimento che costituiscono un elemento essenziale per la sua
crescita, per lo sviluppo sano e armonioso della sua personalità, per il suo appagamento
affettivo e, dunque, per la sua felicità.
L’istituto può essere definito come una struttura educativa residenziale di grosse
dimensioni che accoglie un alto numero di minori. Per fortuna esistono alternative, fra cui
l’affidamento classico, cioè l’affidamento del minore ad una famiglia, costituita da uno o due
genitori, magari con figli, che decidono di accogliere nella propria casa figli di altri.
Fra l’Istituto e la famiglia affidataria esiste un’ampia gamma di azioni possibili per
l’accoglienza del minore, e tutte queste alternative vengono comunemente utilizzate, in Italia
e altrove: case-famiglia, comunità di tipo familiare, case d’accoglienza per adolescenti, rete di
famiglie affidatarie professionali, e così via.
Se ci guardiamo d’intorno vediamo che oggi, alle soglie del 2006, in Italia le alternative
reali e veramente di tipo familiare al collocamento in istituto sono ancora insufficienti per
accogliere i minori che, evidentemente, dovranno invece trovare una nuova sistemazione. Ciò
1
Legge 28 marzo 2001, n. 149: “Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e
dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile”.
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che noi temiamo è che, sull’onda di provvedimenti più o meno urgenti, l’istituto con camerate
da venti letti si trasformi in una ‘casa famiglia’ sui generis o qualcosa di simile, con camerette
da quattro letti – bastano pochi tramezzi per realizzare il miracolo – in cui i soliti operatori
continueranno a prestare il loro servizio secondo i turni dell’orario di lavoro. E dopo tale
operazione di superficiale maquillage di nuovo la questione potrà passare in secondo piano...
Il decreto ministeriale n. 308 del 21 maggio 2001 precisa che per il ricovero di minori
devono essere previste ‘comunità di tipo familiare’ e ‘gruppi appartamento’, specificando che
devono essere costituiti da normali case di abitazione (massimo numero di utenti: sei) e
strutture a carattere comunitario con dieci posti letto al massimo (con aggiunta di eventuali
due posti letto per emergenze). L’ANFAA2 fa giustamente notare, nel suo commento ai
risultati dell’indagine realizzata dal Centro nazionale di documentazione e analisi per
l’infanzia e l’adolescenza, pubblicata nel 2004: “Purtroppo questo decreto [...] non ha però
precisato che queste strutture non devono essere accorpate tra di loro. Una chiarificazione in
tal senso è invece, secondo noi, indispensabile per evitare, ad esempio, ciò che attualmente
avviene nella Regione Lombardia, dove [...] possono sopravvivere istituti come l’istituto
Mamma Rita di Monza che è organizzato in tanti gruppi appartamento ed autorizzato dalla
Provincia di Milano a ospitare fino a 130 minori! C’è il rischio reale che il superamento degli
istituti entro il 2006 si realizzi attraverso una “riorganizzazione” interna degli stessi e che in
questa direzione debbano essere letti i “progetti di ristrutturazione” indicati dagli istituti stessi
nell’ambito della ricerca del Centro nazionale, riguardanti la creazione di comunità familiari
(48,5%) o di altre tipologie di comunità (38,9%)”3.
La preoccupazione espressa dall’ANFAA ci sembra pienamente condivisibile, ed è
quindi importante cercare di capire quali possano essere le alternative a ‘riorganizzazioni’di
questo tipo, per poterle prevenire e contrastare adeguatamente.
Possiamo aggiungere che in Toscana, regione che si fa vanto di non avere istituti per
minori sul proprio territorio, si trovano strutture distinte, sotto la definizione di casa-famiglia
o comunità di tipo familiare, collocate però tutte al medesimo indirizzo; il che fa nascere il
dubbio che l’effettivo modello di accoglienza applicato di fatto ricrei nella pratica un ‘effetto
istituto’.
Il ruolo delle associazioni
Ci sembra opportuno esprimerci sul ruolo delle associazioni di volontariato di questo
settore. Diamo per scontata la storia dell'associazionismo e di quello volontaristico in
particolare.
Ci preme soprattutto evidenziare che a questo tipo di associazioni viene riconosciuto
prevalentemente un ruolo di ‘aiuto’ nei cambiamenti culturali, mentre molte di esse ritengono
giusto di avere anche un ruolo propositivo riguardo a progetti, a soluzioni nuove; questo
accade talvolta, ma non è ovunque una prassi. Inoltre queste associazioni hanno un ruolo di
rappresentanza e, perciò, chi ha funzioni decisionali dovrebbe sempre confrontarsi con loro,
mentre non ci risulta sia prassi molto diffusa.
Vogliamo precisare che non ci riferiamo solo alle grandi associazioni nazionali, ma ci
sembra indispensabile che venga dato spazio anche alle associazioni di dimensioni contenute
che, proprio per questo, hanno al loro interno la possibilità e spesso la capacità di dibattere e
perciò maturare opinioni innovative e dedicarsi ad attività di tipo sperimentale. Nel nostro
caso ne abbiamo avuta l'opportunità.
2
Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie.
“I bambini e gli adolescenti negli istituti per minori”, Quaderni del Centro nazionale di documentazione e
analisi per l’infanzia e l’adolescenza, n. 33, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2004, pag. 152.
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STIME UFFICIALI SUI MINORI IN ISTITUTO
Ad oggi gli unici dati ufficiali disponibili in Italia sui minori in istituto sono quelli
forniti dall’Istituto degli Innocenti di Firenze, che nel 2003 ha svolto un rilevamento negli
istituti italiani4.
Al 30 giugno 2003 i minori presenti negli Istituti in Italia risultano essere 2633, di cui
452 (il 17,2%) sono stranieri. La differenza di genere non è molto significativa, visto che il
numero delle femmine è solo leggermente superiore a quello dei maschi (il 50,2% del totale le
prime, il 49,8% gli altri).
Per il 78,8% dei minori presenti in istituto al 30 giugno 2003 era previsto un progetto
educativo, mentre per il 19,7% no (la somma dei due valori percentuali non arriva a 100
poiché in 37 casi non è stato risposto alla domanda).
Più della metà dei minori presenti al 30 giugno 2003 in istituto risultavano esservi
entrati quando avevano fra gli 0 e gli 8 anni. In particolare i bimbi entrati in istituto fra gli 0 e
i 2 anni erano il 9,7%; quelli fra i 3 e i 5 anni erano il 18,0% e la fascia fra i 6 e gli 8 anni di
età all’ingresso rendeva conto del 25,6% dei bambini.
Vale la pena soffermarsi in particolare su questi dati relativi ai neonati ed ai bambini
piccoli poiché, senza sminuire i bisogni affettivi dei ragazzi, in queste fasce d’età l’esigenza
delle cure materne è fondamentale, e la loro mancanza segna lo sviluppo del bambino.
Per quel che riguarda l’età al momento della rilevazione, i ragazzi fra i 9 e i 14 anni
sono più del 50%.
Dal confronto fra le età d’ingresso dei minori negli istituti (rilevate sui ragazzi ancora
presenti al 30 giugno 2003) e le età al momento della rilevazione, si nota una sorta di
slittamento delle percentuali verso l’alto al crescere dell’età. Il che indica una permanenza
nell’istituto, che per qualcuno arriva anche fino al conseguimento della maggiore età. Se il
30,0% vi rimane per meno di un anno (ed è noto che qualsiasi soggiorno in istituto, anche
brevissimo, costituisce un trauma ed un danno per il bambino), più del 17,0% vi resta da 1 a 2
anni, il 15,0% da 2 a 3 anni, il 12,6% da 3 a 4 anni, il 9,1%da 4 a 5 anni e così via.
Perché non si è stati capaci di offrire un’alternativa a questi bambini, pur avendo avuto
un discreto tempo a disposizione (si arriva anche a casi in istituto per più di 10 anni)?
La permanenza media di un bambino in istituto è di quasi tre anni.
Ci si astiene da qualsiasi commento su questi dati, visto che la loro gravità si commenta
da sola.
Un’anagrafe dinamica... quando?
Per ottenere un quadro reale della situazione, si capisce che la fotografia statica che
questi dati offrono non è sufficiente: non basta sapere quanti bambini ci sono, a che età sono
entrati, quanti anni hanno. Se si vuole veramente capire cosa succede a questi bambini e si
vuole tutelare il loro percorso verso l’età adulta è indispensabile conoscere la loro storia. E
questo lo si può ottenere solo istituendo un registro anagrafico dinamico, che metta in
evidenza, anche in forma statistica, quanto tempo rimane in istituto un bambino che ci entra a
3 anni, e quanto uno che ci entra a 12; quanti di questi, e in quale fascia di età, escono
dall’istituto per rientrare nella loro famiglia di origine, e quanti invece vengono affidati ad
4
I dati citati in seguito sono tratti dai Quaderni del Centro di documentazione e analisi per l’infanzia e
l’adolescenza, Questioni e Documenti, Quaderno n. 33, Ministero delle Politiche Sociali e Istituto degli
Innocenti, Firenze, 2004
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un’altra famiglia o altro tipo di accoglienza; e, soprattutto, quanti di quelli che entrano in
istituto a 6 anni, ad esempio, ci erano forse già stati fra i 3 e i 4 anni. Solo un tipo di analisi di
questo genere riuscirà a seguire le storie reali e potrà essere uno strumento utile per un’analisi
adeguata del problema e quindi per una programmazione di interventi.
Alla rilevazione del 30 giugno 2003 risulta che solo il 77,5% è entrato in istituto
provenendo dai genitori, mentre il restante 22,5%, in varia misura, proviene da altri parenti,
famiglie adottive o affidatarie, altri istituti, o comunità di vario tipo. Cosa sappiamo di queste
‘migrazioni’? E in quel 77,5% che proviene dalla famiglia, quanti erano già stati in istituto o
in comunità ed hanno quindi alle spalle una storia di ‘vita nomade’?
Ubi Minor, il ‘Cordinamento associativo toscano per la tutela e la promozione dei diritti
dei bambini’, ha a più riprese sollecitato l’istituzione da parte della Regione Toscana di
un’anagrafe storico-dinamica dei minori ricoverati in istituto. Già nel 2002 fu sollecitato in
questo senso il prof. Angelo Passaleva, Vice-Presidente della Giunta Regionale e Assessore
alle politiche sociali della Regione Toscana, ma gli svariati appelli non hanno ottenuto una
risposta.
Alle soglie della chiusura degli istituti ci appare ancora più urgente un’iniziativa
incisiva in questo senso, poiché questa non è un’esigenza che si esaurirà con la chiusura degli
istituti; qualsiasi forma di intervento sui minori deve basarsi su un’analisi accurata delle
vicende individuali, e capire dove e come le azioni svolte funzionano, e come e dove sono
invece carenti e migliorabili.
Che pensare se ad una precisa domanda il responsabile di una importante istituzione
toscana d’accoglienza ha ammesso pubblicamente che, in attesa di una sistemazione
definitiva, per i bambini “la permanenza è breve, al massimo un anno”? È forse questo il
sentire comune? Se sì, informiamoci, facciamoci una cultura, un ‘sapere’, perché determinate
situazioni non debbano più esistere e si sostengano invece esperienze, magari non perfette,
che rispettano i piccoli ed i grandi
I Centri-affido
È noto che sul territorio italiano sono presenti i Centri-affido pubblici dove, appunto,
vengono svolte tutte le funzioni degli Enti locali riguardanti l'affido.
La maggioranza di questi Centri aderisce al Centro Nazionale Servizi Affidi (CNSA)
che attualmente (gennaio 2006) ha sede presso la Provincia di Parma; in questa sede
avvengono anche gli incontri fra il CNSA e le associazioni nazionali di famiglie affidatarie
che sono state accreditate. Per inciso, ogni associazione che desideri partecipare può
richiederlo e, se ne avrà i requisiti, verrà ammessa.
Questa, evidentemente, è un’ottima iniziativa che già sta dando i suoi frutti.
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UN’INDAGINE ALLA RICERCA DI ALTERNATIVE
Questa indagine è stata pensata proprio per scoprire e presentare cosa venga fatto, in
Italia e all’estero, per i minori che si trovino nella situazione dell’affido.
Non è facile raccogliere materiale al riguardo, né in Italia né negli altri paesi europei:
esistono leggi, linee-guida, statuti di associazioni, ma quello che per noi ha maggiore
importanza è scoprire cosa venga fatto nella pratica, proprio per poter presentare delle prassi a
nostro parere positive. E per ottenere informazioni sulle prassi abbiamo contattato le persone
che direttamente si occupano di minori in affido.
Innanzitutto abbiamo proposto un questionario5 a diversi enti, sia pubblici che privati, e
ad associazioni di volontariato impegnate nell’affido. Contemporaneamente, abbiamo
contattato operatori ed esperti del settore: dipendenti pubblici, volontari, professionisti e
famiglie affidatarie; con queste persone abbiamo condotto interviste per avere informazioni di
prima mano da chi lavora ‘sul campo’ e meglio di ogni altro può capire dall’interno le
dinamiche di interventi così delicati.
In parallelo, abbiamo raccolto pubblicazioni che ci dessero la possibilità di una lettura
per così dire ‘trasversale’ delle testimonianze e dei dati raccolti grazie al questionario: linee
guida sull’affido emanate da ministeri di paesi diversi, standard nazionali adottati in alcune
nazioni, report di gruppi di lavoro di svariati dipartimenti di servizi sociali (per lo più esteri),
e raccolte di dati statistici.
Come accennato sopra, ottenere risposte dirette non è stato semplice. Con alcuni
operatori – italiani e stranieri – è stato possibile scriversi, telefonarsi, ed anche incontrarsi;
questi sono stati scambi proficui, interessanti, improntati alla massima collaborazione e
disponibilità, e che ci hanno incoraggiato nella nostra ricerca. Altri non hanno mai risposto ai
nostri solleciti, ai nostri tentativi di contatto e alle nostre richieste d’informazioni. Ci sembra
particolarmente grave che neanche uno degli Osservatori Nazionali sull’Infanzia partecipanti
alla rete ChildONEurope6 o con questa collegati, cui il segretariato costituito presso l’Istituto
degli Innocenti ha inviato il nostro questionario corredato della relativa lettera esplicativa,
abbia dato cenno di risposta.
Nello svolgere questa indagine abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con svariati
tipi di soluzioni relative ai problemi dei minori che, per motivi diversi, possono trovarsi a
dover vivere al di fuori della propria famiglia. Presentiamo quindi qui di seguito idee, progetti
ed azioni che vengono condotte in altri paesi ma anche in Italia e che possono essere di
ispirazione, non solo per la loro esportabilità nella nostra società e nella nostra cultura, ma
soprattutto per il loro valore intrinseco.
Quella che proponiamo è solo una galleria di esperienze che abbiamo giudicato valide
ed interessanti: ci sembra di fondamentale importanza che in futuro, per quel che riguarda
l’accoglienza, possa esserci a disposizione un’ampia gamma di risposte possibili in modo da
poter personalizzare al massimo l’intervento per il singolo individuo.
Ci sembra che l’affido tradizionale possa essere comunque considerato una delle
soluzioni migliori da proporre e, in generale, anche all’estero pare godere della stessa
considerazione. Ciononostante, spunti interessanti sono emersi da diverse esperienze che
abbiamo preso in esame. Bisogna tenere presente, infatti, che il cosiddetto affido tradizionale
(in una famiglia ‘regolare’) può comunque essere considerato una ‘riposta standard’ ad
esigenze che standard non lo sono per niente, poiché, come già detto, ogni storia è diversa
5
Il questionario, nella sua versione italiana, è riportato in appendice. Ne avevamo preparate versioni anche in
inglese, francese e tedesco, a seconda del paese in cui sarebbero state proposte.
6
ChildONEurope, Rete europea di osservatori nazionali per l’infanzia. www.childoneurope.org
12
dalle altre e quello che a nostro parere è fondamentalmente da perseguire è: creare una
molteplicità di risposte per la varietà di bisogni. Per questo motivo, in questa indagine l’affido
tradizionale viene solo accennato parlando di altro: perché tutti lo conosciamo, mentre su
queste pagine ci interessa presentare qualcosa di meno conosciuto.
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STRUMENTI PER LA PREVENZIONE E IL SUPPORTO ALLE FAMIGLIE
Risulta dalla rilevazione del 30 giugno 2003 che uno dei motivi principali per il
ricovero in istituto è da ricondursi a problemi economici della famiglia, che rende conto del
33,0% degli ingressi. Subito dopo troviamo i problemi di condotta dei genitori (12,0%) e la
crisi delle relazioni familiari (8,5%). Ci pare qui che di fronte a problematiche di natura
economica, e ad un disagio generalizzato della famiglia e delle relazioni fra i suoi membri, la
prima cosa da prendere in considerazione è un supporto all’intero nucleo familiare, al fine di
evitare se possibile l’allontanamento dei figli, oppure di favorire il loro rientro in seno alla
famiglia.
Secondo la legge n. 184 del 4 maggio 1983, modificata dalla legge n. 149 del 28 marzo
2001, “le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale
non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal
fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”7, ma si vede come
nei fatti questa volontà del legislatore venga disattesa. Gli interventi di sostegno e aiuto
potrebbero invece essere attuati su vari fronti che fornirebbero un supporto strutturale alla
famiglia: formazione, aggiornamento professionale e percorsi finalizzati all’inserimento nel
mondo del lavoro per gli adulti; accesso agevolato a strutture di servizio quali, ad esempio, gli
asili nido; facilitazioni per la soluzione del problema abitativo; supporto psicologico per le
problematiche di relazione, e così via. Si tratta di fornire ad una famiglia non un assegno che
la solleva solo momentaneamente dalle ristrettezze economiche, ma di operare affinché il
nucleo familiare possa conservare la sua coesione attraverso strumenti che migliorino la sua
qualità di vita e gettino le basi per una solida soluzione dei problemi.
Al momento in cui emerge un disagio, la prima cosa da prendere in considerazione è la
possibilità di formulare un progetto per tutto il nucleo familiare, volto alla salvaguardia di
questo nella sua interezza e non ad una tutela dei minori che passi solo attraverso la loro
separazione dalla famiglia.
La stessa legge8 prosegue: “Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle
proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei
limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire
l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia”.
Presentiamo quindi in questa sezione diverse alternative che si configurano come
strumenti concreti di supporto alla genitorialità, alle famiglie e alla loro integrità.
Ci sembra giusto partire dal sostegno alle gestanti e alle madri sole: in un’ottica di
supporto alla famiglia, è opportuno innanzitutto dare delle concrete possibilità ad un nuovo
nucleo familiare che sta nascendo.
Gestanti e madri sole
Un’attenzione particolare deve essere data alle gestanti in gravi difficoltà ed alle
puerpere che desiderano vivere con il proprio figlio, pur non avendone la possibilità. Per
queste due categorie di persone ormai molte sono le esperienze consolidate (ne daremo qui
solo un breve cenno) sia in Italia che all'estero.
Per le gestanti in difficoltà in Italia e nel resto d’Europa esistono ovunque luoghi di
accoglienza che permettono alle donne di attendere l’evento con tranquillità, sempre relativa
naturalmente, e di essere seguite in sicurezza a livello sanitario e, nella maggioranza dei casi,
7
8
Articolo 1, comma 2 della legge
Articolo 1 comma 3.
14
anche a livello psicologico. Questo anche nel caso vogliano rimanere ‘anonime’, come
consente loro la legge. Il periodo della gestazione, se protetto, può essere utilizzato per
maturare una scelta ponderata: tenere con sé il bambino o lasciarlo perché possa essere
adottato.
In genere i luoghi di accoglienza sono comunità di tipo familiare, ed è sufficiente
rivolgersi ai Servizi territoriali per ottenere informazioni esaurienti sulle modalità d’accesso e
le caratteristiche delle strutture di accoglienza.
Il problema si pone per le ragazze, spesso, ma non solo, extracomunitarie, che non si
rivolgono ai Servizi locali e che di conseguenza non possono usufruire di questo tipo di
risorse. Sentimenti di vergogna, paura del giudizio della famiglia e del contesto sociale, sono
all’origine degli orrendi episodi di cui tutti siamo ampiamente a conoscenza: dall’abbandono
nei cassonetti, alla ‘vendita’ alla criminalità organizzata per i più terribili scopi, compresa
l'adozione non regolare, fino ad arrivare all’infanticidio.
L'attenzione di tutti va perciò posta sulla prevenzione e l'informazione, capillare ed in
ogni forma possibile, che deriva la sua grande importanza proprio dalle possibili conseguenze
tragiche di problematiche di questo genere.
Abbastanza diffuse sono anche le situazioni di accoglienza madre-bambino: le
madri possono ricevere accoglienza per se stesse e per il figlio, essere aiutate (quando l'età del
bambino lo potrà permettere) ad inserirsi nel mondo lavorativo usufruendo di un nido o
all'interno della comunità d'accoglienza od in quello di zona. Quando le storie sono ‘a lieto
fine’ le mamme vengono aiutate a crearsi una situazione di indipendenza economica e
familiare con il loro figlio.
Alcune situazioni madre-bambino si risolvono a livello ‘familiare’ anche con
l’accoglienza in singole famiglie, che in cambio chiedono un aiuto domestico alle madri.
Ognuna di queste esperienze deve essere valutata di volta in volta, in quanto si può andare dal
semplice occuparsi della conduzione della casa come un normale membro della famiglia, ad
una richiesta di lavoro domestico che esigerebbe un inquadramento lavorativo regolare.
ENCYMO: una rete europea di parrainage
Il parrainage costituisce uno strumento duttile ed efficace di supporto alle famiglie in
un’ottica di prevenzione di crisi gravi. La parola, parrainage, già richiama un referente
simbolico forte, quello delle figure religiose del padrino e della madrina, cioè persone con una
valenza affettiva al di fuori della consanguineità, anche se di per sé il parrainage è anche
laico. In Francia viene chiamato anche parrainage actif oppure parrainage de proximité,
appunto per non generare fraintendimenti con la figura religiosa; per gli stessi motivi, in
Belgio si parla di parrainage laico. Le stesse figure si ritrovano anche in Svezia, in Norvegia,
nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, negli Stati Uniti e così via; nei diversi paesi assumono
denominazioni differenti: ‘famiglie di contatto’, ‘famiglie sussidiarie’, ‘famiglie di supporto’,
‘famiglie di quartiere’, eccetera. In Europa è attiva la rete ENCYMO9, che coordina azioni di
parrainage, riunendo circa 140 associazioni di 15 paesi europei diversi.
In Francia un gruppo di lavoro è stato istituito nel 2001 dal Ministro della Famiglia e
della Giustizia francesi per analizzare la situazione, e al termine dei lavori tale gruppo ha
concluso che il parrainage costituisce un valido sostegno alla genitorialità. È stato quindi
istituito il Comité National du Parrainage che opera attivamente per lo sviluppo di questo
tipo di supporto.
Il parrainage si rivolge a minori che si trovano nelle più svariate situazioni: bambini
9
ENCYMO: European Network of Children and Youth Mentoring Organisations.
15
molto piccoli soli con la madre, oppure con rapporti irregolari con la famiglia e già collocati
in istituto, minori stranieri non accompagnati, ragazzini che necessitano di lunghi periodi di
ospedalizzazione. In generale, comunque, il parrainage interviene anche a sostegno di
famiglie in difficoltà, su richiesta dei genitori o su suggerimento di un operatore, quando si
ritiene che proprio la genitorialità stessa possa trarre giovamento da un aiuto di questo genere.
Raramente i ‘padrini’ e le ‘madrine’ accolgono il ‘figlioccio’ a tempo pieno presso di
loro. Generalmente si tratta di un’accoglienza nei fine-settimana, o per qualche ora la
settimana, a casa degli ‘affidatari’ o del bambino. Alcune associazioni sono specializzate nel
sostegno scolastico, a scuola o a domicilio, oppure nel supporto a giovani in cerca di lavoro.
Lo scopo del parrainage è di dare un supporto alla famiglia attraverso la costituzione di una
rete familiare allargata a persone che, grazie al loro operato, divengono ‘vicine’ al minore e
vanno a costituire un punto di riferimento, anche affettivo, per la sua crescita. Nella quasi
totalità dei casi i ‘padrini’ e le ‘madrine’ sono dei volontari, formati dalle associazioni di
riferimento; normalmente non vengono retribuiti, anche se in alcuni casi possono ricevere un
contributo alle spese sostenute, soprattutto se queste sono particolarmente onerose. I volontari
del parrainage mettono a disposizione una parte del loro tempo e si rendono disponibili ad
accogliere presso di loro – o ad assistere a domicilio - un bambino o un ragazzo che abbia
necessità particolari; grazie a questi interventi, la famiglia in difficoltà trova un supporto
concreto che l’aiuta a superare il problema momentaneo, oppure che l’accompagna anche per
parecchi anni come sostegno duraturo ad una carenza strutturale. La durata effettiva delle
singole azioni di parrainage varia da 1 a 15 anni, e la durata media è calcolabile in due anni; i
bambini e i ragazzi che usufruiscono del parrainage si situano, per la maggior parte, nella
fascia d’età fra i 6 e i 25 anni.
Di solito vengono presi accordi preliminari fra la famiglia, il ragazzo, il volontario e
l’associazione per programmare un intervento che rientri nelle disponibilità dell’associazione
(come risorse di volontari e come finalità del parrainage) e che risponda alle esigenze del
nucleo familiare e del bambino in particolare. Purtroppo la richiesta da parte dei minori e
delle loro famiglie è nettamente superiore rispetto alla disponibilità numerica dei volontari,
che attualmente, in tutta la rete, sono circa 20.000 con una netta prevalenza delle donne.
La nostra opinione
Ci sembra che iniziative del genere possano offrire un valido supporto ai
genitori in difficoltà, anche considerato che spesso questi volontari intervengono in
famiglie con un solo genitore (solitamente la madre), che quindi soffrono anche di una
carenza strutturale che raddoppia le incombenze a carico di una sola persona.
Il fatto stesso di poter contare su un ‘padrino’ o una ‘madrina’, che instaurano
rapporti affettivi con il proprio figlio, che lo aiutano a fare i compiti di scuola, oppure
se ne occupano quando la famiglia non ha la possibilità di farlo, è chiaramente un
aiuto che può, in molti casi, prevenire problemi peggiori al nucleo familiare.
Belgio: affidamento a breve termine
Il Kinderdienst van Teledienst è un ente privato belga che opera nella regione di
Bruxelles, dove organizza un servizio di affidamento per bambini dagli 0 ai 12 anni.
Il servizio opera soprattutto per le famiglie che non possono temporaneamente prendersi
cura dei figli, a causa di motivi che, si presume, possano essere risolti in un tempo
relativamente breve: ospedalizzazione, problemi relazionali, sovraccarico, depressione, e così
via. Di solito le famiglie che si rivolgono al Kinderdienst, o che vi vengono indirizzate dal
servizio pubblico, soffrono di isolamento sociale e/o provengono da ambienti svantaggiati,
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dove non sanno a chi altri rivolgersi (parenti, amici) nei momenti di difficoltà. Lo scopo
dell’affido è, in questi casi, offrire un periodo di ‘sollievo’ ai genitori, per permettere loro di
risolvere il problema contingente che li affligge ed evitare che esso si aggravi e conduca a
conseguenze peggiori.
Il Kinderdienst organizza affidi che durano al massimo per 3 mesi consecutivi, proprio
per la sua funzione di aiuto ai genitori in un momento specifico di difficoltà temporanea; se
l’affidamento è svolto per periodi non consecutivi (ad esempio solo per i fine-settimana) esso
comunque può durare per un massimo di due anni.
Il servizio propone quattro formule per dare la risposta più idonea alle difficoltà della
famiglia:
- l’affidamento di emergenza, che viene organizzato entro il giorno stesso della
richiesta;
- la collocazione del bambino in una famiglia affidataria per un massimo di 3 mesi;
- il parrainage, per famiglie che hanno bisogno di un supporto a intervalli regolari e a
lungo termine: in questo caso, ad esempio, i bambini possono trascorrere alcuni finesettimana al mese presso la famiglia affidataria;
- l’affidamento per il periodo delle vacanze scolastiche.
Sempre per il periodo delle vacanze estive, il Kinderdienst organizza anche un
campeggio di due settimane per bambini dai 6 ai 12 anni.
Gli operatori del servizio sono a disposizione delle famiglie (di origine e affidatarie), sia
per riceverle al momento in cui formulano una richiesta di intervento, sia per offrire il loro
supporto di fronte ad eventuali problemi; gli orari sono particolarmente flessibili proprio per
garantire tempestività di risposta a qualsiasi richiesta.
Le famiglie affidatarie vengono accuratamente formate e selezionate, possibilmente non
troppo lontane dalla casa del minore; per ogni caso specifico, il Kinderdienst cerca di dare più
informazioni possibili sul bambino e sulla sua famiglia di origine, oltre a consigli su come
affrontare eventuali situazioni particolari. Le famiglie affidatarie ricevono dallo Stato una
cifra forfetaria giornaliera per coprire le spese dell’affidamento.
Prima di decidere per un affidamento, il Kinderdienst interviene comunque a supporto
della famiglia di origine, anche aiutandola a risolvere problemi finanziari o pedagogici, e
offrendo un servizio di ascolto grazie ad operatori specializzati. Se si arriva all’affido, un
‘accompagnatore’ si premura di conoscere il più possibile il bambino, per potergli trovare la
collocazione migliore per le sue esigenze, e partecipa ad una valutazione preliminare che
dovrà stabilire la durata della permanenza presso la famiglia affidataria. L’accompagnatore è
di supporto ai genitori nel preparare il bambino all’affido e comunque continua a seguirlo
durante l’affido stesso ed anche dopo, insieme agli altri operatori che seguono la famiglia. I
bambini, durante il periodo dell’affido, mantengono contatti regolari e frequenti con la
famiglia d’origine.
La nostra opinione
Questo è un altro tipo di intervento che ci sembra possa rivelarsi molto utile a
sostegno della genitorialità; a differenza del parrainage, che non prevede un
trasferimento del minore in un’altra famiglia, qui invece si tratta di un vero e proprio
affidamento, ma per periodi relativamente brevi, che consentano ai genitori di
risollevarsi da una difficoltà momentanea. Il servizio agisce proprio in un’ottica di
prevenzione dell’aggravarsi del problema, offrendo sollievo a situazioni di stress che
potrebbero compromettere l’integrità della famiglia. Va notato che si rivolgono al
17
Kinderdienst proprio famiglie in situazioni di disagio economico e isolamento sociale,
cioè famiglie che sono, dal punto di vista statistico, fra quelle più a rischio di ‘scivolare’
in crisi gravi ed in affidi a lungo termine. È importante quindi anche il servizio di
ascolto che viene offerto dagli operatori, e la disponibilità ad offrire un supporto con
funzione preventiva all’affido stesso, seppur a breve termine.
Olanda: supporto domiciliare e sostegno diurno
In Olanda, a supporto delle famiglie e per prevenire il rischio che il minore possa
esserne allontanato, esistono due tipi di servizi a sostegno della genitorialità che ci sembrano
degni di nota.
Il primo è il servizio ‘intensivo’ di supporto domiciliare: i bambini/ragazzi ricevono
assistenza a casa o presso un centro sociale locale; nel frattempo continuano ad abitare presso
la propria famiglia, vanno a scuola o a lavorare, incontrano gli amici, e così via. Gli operatori,
nel periodo di assistenza, si adoperano per far migliorare la situazione della famiglia, sia con
un supporto individuale ai genitori, grazie al quale si cerca di analizzare l’interazione con i
figli e trovare soluzioni per il miglioramento della relazione; sia con un’assistenza intensiva di
4 settimane, in cui un operatore sociale passa in media 15 ore alla settimana a casa della
famiglia in difficoltà.
Il secondo servizio offerto in Olanda per le situazioni problematiche è il sostegno
diurno: il minore frequenta regolarmente un centro diurno in cui riceve assistenza specifica
per i propri problemi; anche i genitori trovano presso il centro l’aiuto ad affrontare le
situazioni difficili, grazie ad un servizio di guida e counseling.
Due esempi di assistenza diurna sono il Medical Day Centre for Young Children10 e i
Boddaert Centres11.
I Centri medici si occupano di bambini fra 1 e 7 anni, che presentano sintomi di disturbi
nello sviluppo. Di media i bambini frequentano regolarmente il Centro per 18 mesi, durante i
quali sia loro che i genitori sono supportati da professionisti di svariati settori disciplinari. I
problemi che portano al trattamento presso i Centri medici diurni comprendono condizioni
fisiche che possono influenzare negativamente il normale sviluppo (ad esempio, malattie quali
l’epilessia), problemi comportamentali ed emotivi che i genitori hanno difficoltà ad
affrontare, oppure disabilità mentali minori.
I Centri Boddaert offrono un supporto psico-sociale a bambini in età scolare ed ai loro
genitori. Sono casi in cui la crescita sana del bambino può essere a rischio per un insieme di
tensioni familiari e problemi particolari del minore. Il sostegno offerto è quindi imperniato
sulla famiglia e sulla comunicazione all’interno della stessa, ma il personale si dedica con
particolare attenzione anche all’assistenza individuale al bambino.
La nostra opinione
Questo tipo di servizio è diffuso un po’ dappertutto, anche in Italia. Ci sembra che
esso possa avere una validità di prevenzione contro l’aggravarsi di situazioni familiari
già di per sé problematiche. Esso dovrebbe essere tenuto nella giusta considerazione,
soprattutto al momento dell’attribuzione di fondi per il suo funzionamento: è chiaro che
le diverse professionalità necessarie a garantire interventi efficaci richiedono notevoli
stanziamenti di risorse economiche.
10
11
Centro medico diurno per bambini piccoli.
Centri Boddaert.
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LA FORMAZIONE
Un aspetto importante della preparazione all’affidamento è ovviamente rappresentato
dalla formazione. In generale, servizi sociali, enti ed associazioni cercano tutti di organizzare
dei programmi di formazione specifici sia per gli operatori che per gli affidatari. Sono
esperienze molto variegate, di cui non è possibile fare una presentazione sintetica in questa
sede. Citiamo però il modello PRIDE (Parent Resources for Information, Development, and
Education), che trova ampia diffusione in tutta Europa e che sembra essere tuttora in fase di
sviluppo ed espansione.
Il metodo PRIDE
Il metodo PRIDE concerne la preparazione ed il supporto alle famiglie affidatarie
attraverso una formazione specifica.
Il PRIDE è il risultato di un progetto statunitense pluriennale inaugurato dall’Illinois
Department of Family and Children’s Services e dalla Child Welfare League of America, e
che ha potuto contare sulla partecipazione di enti preposti ai servizi per l’infanzia di 14 stati
diversi, un ente privato di affidamento familiare, due centri di documentazione nazionali e
diverse università e scuole.
Il modello PRIDE viene applicato in 14 fasi, attraverso 3 moduli formativi principali: il
Foster PRIDE/Adopt PRIDE Preservice, il Foster PRIDE Core, e il Foster PRIDE Advanced
and Specialized Training12.
Il Preservice è un programma per raccogliere, preparare, valutare e selezionare future
famiglie affidatarie o adottive; il Core costituisce un modello di formazione rivolto alle
famiglie affidatarie sia nuove che con esperienze precedenti, e affronta in particolare le
questioni concernenti le competenze fondamentali richieste al genitore affidatario,
indipendentemente dalla condizione e dalla condotta del minore; l’Advanced costruisce, sulle
competenze già sviluppate dal Core, un training specifico per situazioni particolari:
rapportarsi agli adolescenti, aiutare i bambini a gestire la rabbia, occuparsi di minori che
abbiano subìto violenze domestiche, e così via.
Le tre componenti della formazione PRIDE partono dalla convinzione che proteggere e
crescere dei bambini a rischio, e dare forza alle loro famiglie (di nascita, affidatarie o
adottive) richieda un lavoro di gruppo fra individui che possiedano conoscenze ed abilità
diverse, ma che condividano lo scopo del loro impegno ed una visione comune. I genitori
affidatari ed adottivi sono membri essenziali di questo gruppo, ed hanno bisogno, così come
gli operatori, di preparazione e formazione volte all’acquisizione di conoscenza e competenze
necessarie per fare la loro parte nel team.
Il programma PRIDE individua cinque categorie essenziali di competenze per i genitori
affidatari ed adottivi:
- proteggere e crescere i bambini;
- soddisfare le necessità di sviluppo del bambino ed affrontare i ritardi nello sviluppo;
- favorire il rapporto fra i bambini e le loro famiglie;
- coinvolgere i bambini in rapporti sicuri, adatti alla loro crescita e costruiti per durare
tutta la vita;
12
Rispettivamente: Servizio preliminare PRIDE per affidamento o adozione; PRIDE fondamentale per
l’affidamento; Training avanzato e specialistico per l’affidamento PRIDE. Nel resto del testo, per brevità,
saranno chiamati rispettivamente ‘Preservice’, ‘Core’ e ‘Advanced’.
19
-
lavorare come membro di un’équipe professionale.
Associazioni ed enti che adottano il PRIDE, da noi interpellati in merito, si sono
dichiarati particolarmente soddisfatti dell’approccio per competenze: sono queste infatti che
vengono valutate per la selezione, e non le persone.
Questo modello di formazione per l’affidamento, creato negli Stati Uniti, è attualmente
diffuso in diversi paesi del mondo, anche europei, quali i paesi scandinavi, i Paesi Bassi, la
Polonia, il Belgio, diversi paesi dell’ex Unione Sovietica, ed altri.
In Finlandia, ad esempio, l’Associazione Pesäpuu (‘L’albero del nido’) riceve dei
finanziamenti appositi per mantenere la qualità del programma PRIDE e per sviluppare altri
strumenti per l’affido proprio grazie al lavoro svolto su tale modello. Insieme all’associazione
Pesäpuu lavorano sul PRIDE l’Unione delle municipalità finlandesi (Suomen kunaliitto), la
facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Jyväskylän (Jyväskylänyliopiston
yhteiskuntatieteellinen tiedekunta), la sezione finlandese di Save the Children, l’Unione
assistenza alle famiglie (Perhehoitoliitto ry), il gruppo Talentia (Talentia ry) e diverse singole
città. Questo permette di attuare programmi integrati non solo per la formazione delle
famiglie, ma anche per la formazione dei formatori; permette di intervenire sul programma
stesso, adattandolo alle esigenze culturali e sociali specifiche del paese, ed anche facendolo
‘evolvere’ mantenendo alti i livelli di qualità.
Il PRIDE non è l’unico modello basato sulla valutazione delle competenze. Nel Regno
Unito, ad esempio, il National Childrens’ Bureau e il Fostering Network svolgono entrambi
ricerche in tal senso, e continuano a sviluppare modelli di valutazione dei potenziali affidatari
basati sulla verifica del possesso delle competenze di cui avranno bisogno per il loro ruolo di
genitori affidatari.
La nostra opinione
A nostro parere il modello PRIDE presenta alcuni aspetti molto positivi:
innanzitutto il fatto che l’essere inserito in un programma di formazione e valutazione
così accuratamente strutturato ha sul futuro genitore affidatario un effetto rassicurante
sulla sua adeguatezza e preparazione per affrontare l’accoglienza di bambini anche,
talvolta, ‘difficili’. Il gruppo del training assume così anche una funzione ‘protettiva’
nei riguardi dell’affidatario, che vivrà il gruppo come punto di partenza e di riferimento
a cui rivolgersi nei momenti problematici. L’acquisizione di specifiche competenze,
nozioni, ed anche l’esame di casi realistici proposti dal PRIDE prepara il genitore
affidatario ad affrontare a sua volta situazioni analoghe se dovessero presentarglisi.
Di contro, un tipo di formazione così ‘accurata’ forse non permette sempre di
inventarsi genitori sul momento e quindi anche di intervenire in modo più creativo e
adatto alla singola situazione; talvolta la risposta ‘corretta’ può non essere la migliore.
Certamente, una buona preparazione di base permette a questi genitori affidatari
di affrontare l’affido con un bagaglio culturale consistente, che sarà il punto di partenza
per lo sviluppo di strumenti propri – e appropriati – grazie all’esperienza.
20
CRITERI NAZIONALI DI QUALITÀ
In diversi paesi europei abbiamo riscontrato che sono stati concordati dei criteri
nazionali di qualità per quel che riguarda l’affidamento. Questi criteri, che in qualche caso
vengono definiti ‘standard minimi’, hanno una doppia funzione: da una parte, servono da
guida agli enti, pubblici e privati, che si occupano di affidamento; dall’altra, costituiscono uno
strumento utile per il monitoraggio e la valutazione delle diverse azioni specifiche svolte nel
paese.
In diversi paesi, gruppi di lavoro specifici a livello ministeriale si occupano di formulare
tali criteri da applicare a livello nazionale, di verificarne periodicamente l’adeguatezza e,
eventualmente, di proporre revisioni.
Irlanda: National Standards for Foster Care, National Standards for Residential
Care - for Children, National Standards for Residential Care - for Young People,
The Children’s Book about Foster Care
Nel maggio 2001 il Working Group on Foster Care, costituito nel 1998 presso il
Dipartimento della salute e dell’infanzia, concludeva i suoi lavori pubblicando un Report, in
cui forniva un’analisi della situazione dell’affido in Irlanda e formulava raccomandazioni per
il miglioramento dei servizi all’infanzia. A pagina 28 il gruppo di lavoro dichiara: “Il Gruppo
di Lavoro propone che vengano stabiliti degli Standard Nazionali delle Pratiche e Procedure
per l’Affidamento. [...] Il Gruppo di Lavoro ritiene che lo sviluppo di Standard Nazionali
migliorerà il servizio e garantirà che ogni bambino e giovane in affidamento goda di quanto
fondamentalmente necessario per un felice e positivo collocamento in affido”13.
Nell’aprile del 2003, dopo nemmeno due anni, il medesimo Dipartimento pubblica tali
Standard Nazionali, nella cui prefazione esprime la raccomandazione che tali standard
vengano utilizzati come guida per gli attori coinvolti nell’affido (servizi sociali, famiglie
affidatarie, ragazzi in affidamento, ecc).
Gli Standard sono divisi in tre sezioni: ‘I bambini e i ragazzi’, ‘Gli affidatari’, ‘I servizi
sociali’. In tutto vengono elencate 25 tematiche fondamentali dell’affido, a loro volta
dettagliate in criteri. Ad esempio nella sezione 1 (‘I bambini e i ragazzi’) la prima tematica è
‘Effettivo senso d’identità’, che viene così spiegata: “Ai bambini ed ai ragazzi vengono forniti
servizi di affidamento che incoraggino il loro effettivo senso d’identità”. I criteri individuati
per questa tematica sono:
1.1 Gli affidatari ed gli operatori del servizio sociale promuovono la fiducia in se stessi
e l’autostima dei bambini in affidamento:
- ascoltandoli;
- coinvolgendoli quando vengono prese decisioni che li riguardano;
- mostrando rispetto per loro, per le loro famiglie, per la loro cultura, etnia
(inclusa l’appartenenza alla comunità nomade), religione, identità sessuale,
malattia, disabilità e fase di sviluppo;
- lavorando in collaborazione con le loro famiglie.
1.2 I servizi sociali, innanzitutto, cercano di identificare e sostenere qualsiasi parente o
amico del bambino che possa fornire una collocazione appropriata che risponda alla
valutazione dei bisogni del bambino. Questi tentativi sono registrati nel fascicolo del
13
Report of the Working Group on Foster Care, p. 28. Traduzione di questa citazione e delle seguenti a cura
dell’A.C.S.I..
21
caso. [...]
1.4 Si dà priorità alla collocazione dei bambini nella loro comunità locale, a meno che
ciò non sia inopportuno. [...]
1.6 Laddove possibile e nel loro miglior interesse, i bambini sono facilitati nel
continuare ad andare alla stessa scuola che frequentavano prima del collocamento in
affido.
E così via, fino a fare la lista dei criteri di base di questa tematica fino a passare alla
successiva.
Nella Sezione 2, relativa agli affidatari, sotto la tematica 15 (‘Supervisione e supporto’)
il criterio 15.1 specifica che i servizi sociali assegneranno un operatore chiamato ‘operatore di
collegamento’ (link worker), le cui responsabilità includeranno (criterio 15.3):
- organizzare la formazione;
- fornire una regolare supervisione e supporto agli affidatari ed ai loro bambini;
- assicurare che gli affidatari capiscano, accettino ed agiscano nell’ambito degli
standard, delle politiche e degli indirizzi dei servizi sociali;
- [...].
La famiglia affidataria quindi viene provvista di standard, ma ha anche un operatore di
riferimento che la supporta nel porre in atto quanto previsto dagli standard stessi.
Quasi contemporaneamente, il Governo Irlandese ha provveduto alla pubblicazione di
altri volumetti a nostri parere di grande interesse: “Il libro dei bambini sull’affidamento”
(2003), “Gli standard nazionali per l’accoglienza residenziale – per bambini” (2004) e “Gli
standard nazionali per l’accoglienza residenziale – per ragazzi” (2004). In queste tre
pubblicazioni il Dipartimento per la salute e per l’infanzia spiega ai bambini e ai ragazzi, in
modo semplice e con un linguaggio adeguato all’età, cosa sono gli Standard Nazionali, a cosa
servono, e cosa un minore deve aspettarsi quando si trovi in affido, in una famiglia o in una
struttura residenziale. Il volumetto per ragazzi è redatto con un simpatico layout grafico,
mentre quelli per bambini sono corredati da disegni. Tanto per fare un esempio, gli standard
nella versione per bambini vengono così presentati: “Il compito dei tuoi affidatari è di
occuparsi di te ogni giorno e di assicurarsi che tu abbia da mangiare, che tu vada a scuola, che
tu dorma in un posto comodo, che tu abbia giocattoli e libri, e qualche regalino ogni tanto, che
tu faccia i compiti, che tu abbia vestiti nuovi quando ne hai bisogno, che tu vada dal dottore se
sei malato, che tu possa giocare con i tuoi amici, e tutte le cose che i bambini hanno e fanno in
ogni famiglia. [...] Il miglior modo per il governo di far sì che tu sia ben curato è di avere una
serie di regole su come deve essere la vita in una famiglia affidataria. Queste regole si
chiamano ‘standard’. [...] Questo libro ti dice cosa sono questi standard.”.
Di seguito, vengono spiegati in termini semplici gli standard e cosa il bambino deve
aspettarsi dalla famiglia affidataria ma anche dall’assistente sociale di riferimento.
Le altre due pubblicazioni, analoghe alla prima, comprendono anche una prima pagina
da personalizzare a cura del minore, in cui potrà scrivere il proprio nome, cognome, indirizzo,
numero di telefono, il nome di chi dirige la struttura e dell’operatore cui il bambino è affidato;
sempre sulla prima pagina verranno riportati i dati della famiglia e nome e recapito telefonico
dell’assistente sociale assegnato al bambino, della persona che esegue il monitoraggio nella
zona e dell’ispettore. È prestampato il numero generale dei servizi sociali e del garante per i
bambini. È presente nei volumetti un glossario per le parole più difficili (garante, incontro di
verifica, monitoraggio, ecc) e sono incluse le istruzioni per il bambino che volesse sporgere
un reclamo.
22
Scozia: National Care Standards – Foster care and family placement services
A differenza degli standard irlandesi, quelli scozzesi si applicano ai servizi che
organizzano l’affidamento e non agli affidatari stessi, per i quali si rimanda agli UK national
standards for Foster Care, pubblicati nel 1999. come dichiarato nell’introduzione al volume, i
National Care Standard scozzesi sono lo strumento che la Scottish Commission for the
Regulation of Care utilizzerà per registrare e monitorare i servizi di affidamento (agenzie
private, servizi sociali pubblici, autorità locali, associazioni, ecc).
Benché gli standard si applichino al servizio che gestisce l’affidamento, essi sono però
suddivisi in tre sezioni distinte, che si rivolgono ciascuna all’utente: la prima sezione, ‘Servizi
per bambini’ (standard 1-4) è formulata per i bambini e i ragazzi che usufruiscono dell’affido;
la seconda sezione, ‘Servizi per gli affidatari’ (standard 5-12) si rivolge a chi è o desidera
diventare genitore affidatario; la terza ed ultima sezione, ‘Gestione e personale’ è pensata per
chiunque, a qualsiasi titolo, utilizzi servizi per l’affido. Il tono ed il linguaggio sono
abbastanza lontani da quelli soliti dei testi burocratici, e rendono il documento facilmente
consultabile a tutti (anche se forse un po’ ostico per i bambini). Ci si rivolge al lettore
direttamente, come possiamo vedere in quest’esempio:
“Servizi per i bambini
Promuovere un’assistenza di buona qualità
Standard 2
Puoi stare sicuro che l’agenzia contribuisce a fornirti un’assistenza di buona qualità
1 – L’agenzia si assicura che, quando possibile, tu e la tua famiglia abbiate
l’opportunità di incontrare l’affidatario e la sua famiglia a casa loro prima di
procedere alla collocazione. Vengono condivise informazioni riguardo alle tue
preferenze ed abitudini, e a qualsiasi bisogno particolare che tu possa avere. [...]
4 – Sappi che l’agenzia prende accordi per assicurare che ci siano opportuni
collegamenti fra te, la tua famiglia affidataria e la tua famiglia di nascita.”
I principi fondamentali su cui gli standard sono basati sono: dignità, riservatezza, scelta,
sicurezza, realizzazione delle potenzialità, uguaglianza e diversità.
Finlandia: un progetto per gli Standard
In Finlandia la condizione di dover crescere fuori dalla propria famiglia (Out of home
care) è stata studiata da operatori del settore nell’ambito del Laituri-project of Central Union
for Child Welfare in Finland, che si è proposto di individuare dei criteri condivisi per
garantire la qualità dell’affido. Hanno contribuito al progetto più di 100 persone con le
competenze più svariate, appartenenti a 70 organizzazioni diverse.
I criteri individuati in Finlandia per l’Out of home care tendono a considerare la
condizione di dover crescere fuori dalla propria famiglia dal punto di vista del bambino. Essi
prendono atto del fatto che esistono vari tipi di Out of home care: dall’affidamento familiare
all’accoglienza nei grandi istituti, dalla permanenza a breve termine a quella a lungo termine;
nonostante queste distinzioni, vi sono caratteristiche comuni a tutti i processi di affidamento,
e che sono importanti dal punto di vista del minore.
L’Out of home care viene considerato come una tappa di un percorso del bambino; tale
percorso si articola in tre fasi:
- l’inserimento;
- l’affidamento e la crescita;
- il post-affidamento.
23
La struttura dei criteri di qualità ricalca queste tre fasi che vengono considerate gli
obiettivi principali:
A) Inserimento del bambino
Scopo: rendere possibile l’appagamento delle necessità del bambino attraverso servizi
adeguati e creare un inizio favorevole ad un buon rapporto e a una buona qualità del
lavoro.
B) Criteri sulla cura e la crescita del bambino
Scopo: prendersi bene cura del bambino, della sua crescita e del suo recupero, instaurare
rapporti positivi e stretti secondo il miglior interesse del bambino
C) Post-affido
Scopo: accompagnare il bambino nel suo ritorno alla famiglia di origine o verso una vita
indipendente, nell’età adulta, in cui la persona si prende cura di sé supportata dalla
propria rete di relazioni sociali.
Gli obiettivi principali si suddividono a loro volta in obiettivi più specifici:
A1) Indagine per l’inserimento e raccolta di informazioni
Scopo: raccogliere tutte le informazioni essenziali sul bambino e che saranno alla base
delle successive valutazioni e decisioni
A2) Valutazione e progettazione
Scopo: scoprire se la ‘child care unit’14 in questione può soddisfare le esigenze del
bambino
A3) Incontri e accordi
Scopo: creare una buona base per la cooperazione e l’impegno, e ottenere la
comprensione reciproca fra tutti gli attori coinvolti
A4) Arrivo del bambino
Scopo: il bambino e coloro che gli sono vicini si sentono tranquilli riguardo al
trasferimento del bambino
E così via per le fasi A, B e C principali. Per ogni obiettivo specifico vengono poi individuate
le principali fasi operative di attuazione. Ad esempio, per A1:
1) la child care unit riceve il mandato scritto di raccogliere documentazione ed
informazioni, che definiscono quali azioni vengono intraprese in caso di pratica di
affidamento;
2) viene deciso chi sia il responsabile e chi possa valutare se l’unità è adeguata ai bisogni
del bambino;
3) all’inizio della pratica di affidamento viene svolta una valutazione preliminare sulla
qualità e adeguatezza del servizio;
e così via, fino ad arrivare ad un totale di 64 indicazioni operative per le tre fasi principali.
Le istruzioni sono abbastanza dettagliate da prescrivere i più diversi aspetti della
relazione, della cura, dei comportamenti: ‘al bambino viene dato cibo nutriente e viene
guidato ad abitudini alimentari salutari’; ‘vengono notate le sue qualità e viene trattato con
simpatia, protezione e affetto’; ‘ci si assicura che riposi a sufficienza’; ‘gli si insegna
l’economia e lo si guida nell’uso del suo denaro’; ‘l’uso di punizioni e restrizioni è
accuratamente documentato. Nel rapporto vi saranno informazioni sui bambini, sul loro
comportamento inaccettabile [che ha causato la punizione], i metodi usati e le persone che
14
Si intende genericamente, con ‘unità di cura del bambino’, la struttura che se ne fa carico per il periodo
dell’affidamento, a qualsiasi tipologia essa possa ricondursi.
24
erano presenti al momento dell’accaduto’; in caso di problemi nello studio, ‘si assicurano le
risorse per rendere disponibile il supporto extra-scolastico’.
La necessità pratica di criteri di qualità è evidente in Finlandia: la qualità delle case di
accoglienza (in cui vengono accolti fino a 7 bambini) e degli istituti, piccoli e grandi, non è
sempre la stessa; la Finlandia soffre inoltre, come molti altri paesi, della scarsità di famiglie
affidatarie, visto che nel primo semestre del 2005 quasi il 60% dei bambini affidati viveva in
istituto.
La nostra opinione
Il fatto di avere a disposizione degli standard ben delineati permette una migliore
organizzazione delle iniziative, sia di affidamento che di valutazione dello stesso, ed
offre la possibilità di monitorare tutte le attività in maniera precisa attraverso un
riscontro relativamente oggettivo. Grazie agli standard di qualità, le istituzioni possono
analizzare e sviluppare i propri processi, e garantire un livello minimo di qualità agli
utenti ed agli operatori. Allo stesso tempo, qualsiasi iniziativa di affidamento – presso
una famiglia, una casa-famiglia, o qualsiasi altra tipologia di accoglienza - può fare
riferimento ad una guida sicura, che fornisce indicazioni preziose non solo per il
miglioramento dei servizi, ma anche per un efficiente monitoraggio e per una buona
valutazione, sia interna che esterna.
È da mettere in rilievo che il linguaggio usato dagli standard scozzesi, come pure
la pubblicazione irlandese di versioni semplificate ad uso dei piccoli utenti, rende
semplice la consultazione degli standard, ed offre al contempo una garanzia ed uno
strumento di controllo da parte di tutti gli attori sugli altri: i servizi hanno un riferimento
certo ed uniforme per valutare l’operato degli affidatari; questi sanno con certezza cosa
possono aspettarsi (e cosa devono pretendere) dall’ente che si occupa dell’affido; i
bambini possono sapere come ci si deve occupare di loro ed anche avere indicazioni sul
proprio diritto a presentare un reclamo ed istruzioni su come farlo; la famiglia di nascita
del minore, inoltre, può verificare il rispetto degli standard e contribuire alla
salvaguardia dei diritti propri, dei figli ed anche della famiglia affidataria.
Regole scritte, conosciute e condivise da questi quattro protagonisti principali
dell’affido, possono prevenire malintesi e contenziosi, e spianare la strada ad un lavoro
comune più proficuo nell’interesse del bambino. Le regole pratiche e dettagliate nella
formulazione finlandese offrono un ulteriore supporto a tutti i partecipanti, costituendo
una specie di piccolo manuale che li accompagna, oltre alla formazione iniziale ed
eventualmente in itinere, nelle loro azioni specifiche.
È evidente che questo tipo di standard sono stai pensati in contesti socio-culturali
diversi dai nostri. Comunque è nostra opinione che anche per noi la formulazione di
standard adeguati alla nostra cultura si rivelerebbe estremamente utile a livello teorico
ed anche pratico.
25
IL RUOLO DEI GENITORI
Alcune esperienze che abbiamo trovato relativamente all’affido offrono ai genitori
l’opportunità di ricoprire un ruolo rilevante nella preparazione dei figli ad un trasferimento
temporaneo presso un’altra famiglia. Come vedremo, queste sono strade percorribili quando
i/il genitori/e sono d’accordo sull’affidamento, ma vi sono anche strumenti volti proprio a
facilitare l’ottenimento dell’assenso.
Belgio: il Mediation Committee
In Belgio, nelle Fiandre, si cerca di offrire ai genitori un ruolo di rilievo nella
preparazione all’affido. L’assistenza sociale per i minori è organizzata attraverso il servizio
Special Youth Care, che per tutti i suoi interventi fa capo allo Special Youth Care Committee
o al tribunale, e da essi viene supervisionato.
Il tribunale gestisce direttamente i casi urgenti, in cui è indispensabile un intervento
immediato per proteggere il bambino o per fronteggiare forti disturbi comportamentali.
Lo Special Youth Care Committee ha il potere di proporre l’affidamento di un bambino,
ma per attuarlo è indispensabile ottenere il consenso di entrambi i genitori. Nel caso in cui
non si raggiunge un accordo, è a disposizione un Mediation Committee, il cui intervento può
essere richiesto sia dai genitori che dallo Special Youth Care Committee, e che cerca di
mediare fra i genitori e il servizio sociale allo scopo di raggiungere la soluzione più adeguata
al benessere del minore. Solo per ultimo, tranne che nei casi urgenti, interviene il Tribunale.
I genitori vengono quindi coinvolti fin dall’inizio, e sono i primi ad incontrare la
famiglia affidataria. Saranno loro infatti a parlarne al figlio, a raccontargli della casa, delle
persone, dei motivi per cui lui abiterà con questa nuova famiglia e, soprattutto, a spiegargli
che la permanenza sarà solo temporanea. Questo aiuta il bambino ad accettare la cosa, e anche
diminuisce la possibilità di un conflitto di lealtà, poiché sono i genitori stessi a prepararlo alla
nuova situazione. La fase successiva consiste in una serie di incontri fra il bambino e la
famiglia affidataria, talvolta anche in presenza dei genitori; si può arrivare a passare una
giornata insieme, o a qualche pernottamento del bimbo presso la famiglia che lo accoglierà, e
se tutto procede bene viene dato inizio al vero e proprio affido.
Belgio: la favola di Puccio e Berta
L’associazione Jeugdzorg in Gezin (‘Crescere in una famiglia’) è un’organizzazione noprofit fondata nel 1968, che è attiva come centro-affidi ed è riconosciuta dalle autorità e dagli
enti belgi. Agisce su incarico dello Special Youth Care Committee oppure del tribunale
minorile.
Questa associazione ha elaborato una favola che aiuta i genitori nell’accompagnare i
loro bambini all’affido.
Di questa si offre una breve sintesi, che rende però l’idea della funzione della fiaba:
“Come Puccio e Berta vanno ad abitare presso la famiglia Conigli”15.
«Nella foresta brulicante di vita Puccio e Berta, due piccoli porcospini, sono seduti sulla
riva di uno stagno e aspettano i loro genitori seduti; si riparano sotto una barca capovolta,
insieme ad altri cuccioli. I genitori arrivano, accompagnati da George lo scoiattolo, e
riferiscono ai piccoli di essere stati a far visita alla famiglia Conigli poiché il gufo saggio ha
15
Nella traduzione del titolo abbiamo adattato i nomi a suoni più italiani. Il titolo originale è “Hoe Pluk en Prik
verhuizen naar familie Konijn”.
26
consigliato che Puccio e Berta trascorrano un periodo presso di loro, fino alla primavera
successiva. Babbo e mamma Porcospini assicurano ai loro piccoli che la famiglia Conigli si
prenderà cura di loro, e dopo poco George lo scoiattolo accompagna anche Puccio e Berta a
conoscere la famiglia Conigli, ove i loro piccoli si affollano incuriositi intorno agli ospiti.
Dopo pranzo, giocano tutti insieme, e poi Puccio e Berta fanno ritorno al rifugio degli
animali, dove raccontano agli altri le loro avventure presso la famiglia dei Conigli. La sera
prima di trasferirsi, i due porcospini sono un po’ irrequieti, e la mattina dopo, mentre
camminano verso la casa della famiglia Conigli, si domandano come stiano il babbo e la
mamma, e sperano che la primavera arrivi presto. I primi giorni Puccio e Berta si sentono
spaesati, e sono contenti di poter dormire nella stessa stanza; la mattina, quando si svegliano,
non sanno se possono alzarsi dal letto o devono aspettare che qualcuno li svegli; ma mamma
coniglia li va a chiamare e li accompagna a far colazione, invitandoli a mangiare in
abbondanza. Dopo li copre bene per mandarli fuori a giocare insieme ai coniglietti, ma mentre
li sta avvolgendo in morbidi scialli si punge con le spine. Mamma coniglia però se la prende
solo con la sua sbadataggine, perché si è dimenticata che sono porcospini e che hanno le
spine. La sera, Berta e Puccio scrivono, raccontano sul loro diario le avventure della giornata.
Ogni tanto George lo scoiattolo viene in visita, parla con Puccio e Berta e chiarisce i loro
dubbi su alcuni comportamenti particolari dei Conigli. I due porcospini cominciano a
divertirsi e a trovarsi bene insieme a questa nuova famiglia. Una sera Berta chiede a Puccio se
vuole ancora che arrivi presto la primavera, e Puccio le risponde di sì, che pensa spesso al
babbo e alla mamma, ma che anche con i Conigli sta molto bene. Dopo poco si addormentano
e sognano l’arrivo della primavera.»
Come si può notare, la storia è costruita in modo tale da costituire uno specchio fiabesco
al percorso dell’affido così come esso viene operato dalla Jeugdzorg in Gezin. I bambini
all’inizio sono in istituto (la barca capovolta), il gufo saggio (l’autorità di riferimento) decide
dell’affido, George lo scoiattolo (l’operatore del centro-affidi) organizza gli incontri fra
genitori e futuri affidatari, ed anche dei bambini con la famiglia affidataria; Puccio e Berta al
ritorno dalla prima visita raccontano le loro impressioni, che saranno indispensabili per una
valutazione del primo contatto. L’affidamento così inizia: sia i porcospini che i conigli
imparano molto gli uni dagli altri, e l’assistente sociale continua a far visita a Puccio e Berta. I
piccoli, inoltre, raccontano sul diario quello che accade loro presso la famiglia Conigli,
scrivendo così il loro libro della vita che simboleggia la continuità della loro esistenza.
Nello spirito dell’azione svolta dallo Special Youth Care Committee, anche la fiaba
ideata dalla Jeugdzorg in Gezin offre ai genitori un ruolo importante. La storia non entra nel
merito della tipologia di problemi che inducono l’autorità competente a disporre l’affido, per
far sì che ogni bambino ci possa liberamente leggere la propria storia. Sono i genitori che per
primi affrontano il discorso con i figli, che per primi vanno in visita alla famiglia affidataria, e
che nei confronti di questa fanno quasi da ‘garanti’ presso i figli.
La nostra opinione
È chiaro che purtroppo un approccio ‘concordato’ spesso non è percorribile, a
causa dell’ostilità del genitore verso l’idea dell’affido e/o verso la famiglia affidataria
stessa, e non è pensabile nel caso di affidi determinati da maltrattamenti e abusi su cui
intervenga con urgenza l’autorità giudiziaria. Esso offre però l’opportunità di un
inserimento ‘dolce’ per il bambino, e previene molti conflitti nel suo rapporto con la
famiglia che se ne prenderà cura. Laddove percorribile, questo sembra essere un avvio il
meno possibile traumatico all’affido, anche se sarebbe nettamente migliorabile evitando
la permanenza, anche se brevissima, ‘sotto la barca capovolta’, cioè in istituto; quando
la situazione lo consente, sarebbe decisamente meglio per il bambino passare
27
direttamente dalla propria casa ad un’altra situazione di tipo familiare.
È noto inoltre che la fiaba può essere anche utilizzata come test proiettivo e come
strumento terapeutico, ad esempio facendo cambiare alcune parti della storia al
bambino, oppure facendogli continuare il racconto; oppure, l’operatore può inserire altri
elementi ad hoc. Il tutto deve ovviamente essere predisposto e monitorato dal team di
riferimento.
Ci sembra che una favola come questa possa svolgere un ruolo di rilievo anche in altri
ambienti che il bambino frequenta: ad esempio, se non fosse possibile garantire la
riservatezza della sua situazione particolare, le avventure di Puccio e Berta potrebbero
essere raccontate ai suoi compagni di asilo o di scuola, e aiuterebbero anche gli altri
bambini a formarsi un’idea della storia del loro amichetto. Questo ridurrebbe la
possibilità di eventuali fraintendimenti o discriminazioni, ed anche toglierebbe il
bambino dall’imbarazzo di spiegare ad altri una situazione che forse lui stesso può
comprendere solo in parte.
28
GESTIRE L’EMERGENZA
L’intervento d’emergenza è, al contempo, il più importante e il più delicato. Il più
importante poiché è quello che gestisce l’impatto improvviso del bambino fuori dalla propria
famiglia; il più delicato perché tale impatto è sicuramente traumatico e quasi sempre, quando
si tratta di emergenza, la situazione che ha provocato l’intervento è di una gravità estrema.
Irlanda: Emergency Foster Care Pilot Project
In Irlanda (municipalità di Dublino, Wicklow, Kildare) è operativo dal 2004
l’Emergency Foster Care Pilot Project (Progetto pilota di affidamento d’emergenza). Gli
interventi d’emergenza di questo progetto pilota riguardano bambini al di sotto dei 12 anni,
che vengono dati in affido per un massimo di tre giorni e in numero massimo di due alla
stessa famiglia. La funzione di questa assistenza di emergenza è di trovare collocazione
immediata, anche in giorni festivi e a qualsiasi ora del giorno o della notte, a bambini che
possono provenire da qualsiasi tipo di problema sociale. L’obiettivo principale dell’intervento
è il ritorno alla famiglia di origine entro tre giorni, se possibile, oppure l’inserimento in una
famiglia affidataria per un periodo lungo. L’Emergency Foster Care Pilot Project è un
servizio pubblico, che viene monitorato quotidianamente da assistenti sociali statali con una
preparazione specifica. Le famiglie affidatarie vengono selezionate nella banca dati dei servizi
sociali locali, ricevono una formazione adeguata per l’accoglienza nei casi di emergenza a
breve termine, e vengono sottoposti a valutazione da parte dei servizi stessi. Di preferenza
vengono selezionate famiglie senza bambini in età prescolare, e che abbiano già qualche
esperienza con ragazzi in crisi. La selezione e la formazione tendono a creare una situazione
familiare con adeguata apertura mentale nei confronti di bambini difficili, per evitare un
atteggiamento giudicante verso i genitori della famiglia di provenienza e per rendere possibile
anche un dialogo aperto sulla crisi che ha portato all’allontanamento del minore dalla sua
casa; questo aspetto è molto importante, considerato anche il fatto che, proprio in virtù della
situazione d’emergenza, non sempre gli operatori hanno a disposizione sul momento molte
informazioni sul caso specifico. Un altro aspetto fondamentale della formazione e della
selezione è che gli affidatari devono essere in grado di offrire un buon livello di accudimento
e attenzione emotiva al ragazzo, e devono essere capaci di collaborare con gli operatori, con
cui saranno a stretto contatto durante l’emergenza. Bisogna considerare che la famiglia che
accoglie il bimbo può affrontare, fin dalle primissime ore, comportamenti particolarmente
indisciplinati o aggressivi, oppure ritrovarsi a fronteggiare inaspettatamente una crisi di
astinenza da alcol o da droghe; è chiaro che la formazione e la selezione delle famiglie,
insieme ad un supporto efficiente ed efficace, abbiano un ruolo chiave in casi di questo tipo.
Almeno uno degli affidatari deve essere presente in casa a tempo pieno. Il
finanziamento alle famiglie è costituito dal normale contributo per l’affidamento più un
contributo speciale per la disponibilità richiesta dalla situazione.
Fra gli operatori, alcuni sono responsabili dell’accompagnamento nel momento
dell’emergenza in orari extralavorativi (central crisis team), mentre in orario di ufficio tutto
viene gestito dal normale staff.
La nostra opinione
Si nota nel modello di questo progetto pilota che la gestione dell’emergenza
richiede un’organizzazione efficiente, una formazione specifica, una forte disponibilità
da parte del personale assunto stabilmente – che deve essere presente in numero
sufficiente - e un congruo riconoscimento economico all’apporto dato dalle famiglie che
29
si mettono a disposizione per questo tipo di interventi. In poche parole, una gestione
efficace dell’emergenza richiede anche investimenti adeguati.
30
L’AFFIDO COME PROFESSIONE QUALIFICATA
In moltissimi paesi, europei e non, è sempre più diffusa la pratica di fare dell’affido una
professione qualificata. All’interno della famiglia in cui il minore viene inserito almeno un
membro è un affidatario a tempo pieno, preparato e regolarmente retribuito per questa sua
professione. Abbiamo selezionato, perché particolarmente interessanti, un’iniziativa
norvegese ed una italiana, che è iniziata nel 2002 su iniziativa della Provincia di Milano.
Norvegia: famiglie professionali
In Norvegia la responsabilità dell’affidamento è del ‘Direttorato norvegese per le
politiche per i bambini, i giovani e la famiglia’, che opera attraverso cinque uffici regionali. Il
Fosterhjemstjenesten in Kristiansand è l’ufficio regionale per la Norvegia meridionale, che si
occupa degli affidi nella contea di Vest-Agder. Il servizio organizza, oltre agli affidi più
‘standard’ anche affidi particolari:
- affidamenti brevi e/o d’emergenza;
- affidamenti per minori che necessitano di terapie specifiche;
- affidamenti particolari per bambini di tutte le età con bisogni molto specifici (ad
esempio, disabilità non gravi).
Questa vasta gamma di servizi offerti è resa possibile dal fatto che nelle famiglie cui
vengono affidati i minori almeno uno dei genitori affidatari assume questo impegno a tempo
pieno, come professione. L’affidatario professionale percepisce uno stipendio il cui importo
viene stabilito a livello nazionale, e la famiglia riceve anche un ulteriore contributo per la
copertura delle spese di affidamento. Le famiglie vengono formate e valutate secondo il
modello PRIDE, e vengono seguite da vicino dagli operatori del Fosterhjemstjenesten in
Kristiansand, che garantisce la propria disponibilità 24 ore su 24. La famiglia riceve le visite
degli operatori a settimane alterne, vi sono frequenti contatti telefonici, e vengono organizzati
mensilmente degli incontri con tutte le parti interessate: il bambino affidato, i genitori
affidatari, i genitori della famiglia d’origine, gli insegnanti della scuola, gli operatori, ed altri
che eventualmente abbiano un ruolo importante nella vita del minore. Il Fosterhjemstjenesten
in Kristiansand organizza anche, periodicamente, incontri di gruppo con esperti e con altri
affidatari specializzati nell’accoglienza dei giovani.
Lo stesso ufficio regionale sta anche portando avanti un progetto pilota, che per ora
coinvolge cinque famiglie, di affidamento di minori con problemi particolarmente gravi di
vario tipo. Anche in questo caso si tratta di affidatari professionali, che però ricevono dalla
struttura un supporto speciale, calibrato sulle difficoltà particolari che il caso singolo presenta.
Famiglie professionali nella Provincia di Milano
La Provincia di Milano ha avviato dal 2002 il Progetto Famiglie Professionali in
collaborazione con cinque cooperative sociali. Il Progetto prevede l'individuazione, la
selezione e la formazione di almeno 20 famiglie, presso cui collocare minori inviati dai
servizi del territorio provinciale. Le famiglie ammesse hanno un’età compresa fra i 25 ed i 60
anni e possono anche essere coppie di fatto e single; è richiesta una presenza prolungata di
almeno uno dei membri della famiglia, per cui non è ammesso che questo lavori a tempo
pieno. L’affidatario che dà la sua disponibilità in tal senso entra a far parte dell’équipe di
educatori ed ha il compito di lavorare anche con la famiglia d’origine aiutando il bambino nel
suo re-inserimento.
Le famiglie vengono retribuite ed entrano in un percorso di formazione e sostegno
31
permanente.
Ogni caso di affido può durare intorno ai 2-3 anni e durante questo periodo rimane a
disposizione della famiglia un tutor dedicato, con un ruolo di tramite e di facilitatore delle
comunicazioni tra i vari protagonisti dell’affido professionale, che si riuniscono ogni 15
giorni.
La famiglia affidataria, ed in specifico il referente professionale al suo interno, non sono
volontari ma sono operatori del progetto di affido. Quindi l’équipe di lavoro risulta formata da
tre soggetti: l’assistente sociale del servizio che ha chiesto la collocazione del minore, il tutor
dell’agenzia incaricata ed il referente professionale che ospita il minore nella propria famiglia.
La nostra opinione
Quello che ci preme mettere in evidenza in queste due esperienze, la norvegese e
la milanese, è che l’avvalersi di famiglie professionali preparate e supportate
adeguatamente dal servizio sociale di riferimento rende possibile l’affidamento anche di
casi particolarmente difficili, quali appunto quelli di bambini che necessitano di terapie
particolari oppure di minori che abbiano problemi anche molto seri (adolescenti con
precedenti penali, bambini con traumi psicologici per ripetuti rifiuti e /o esperienze
precedenti di affidi non riusciti, minori abusati, ecc.). È ben noto che sono queste
situazioni particolarmente ‘difficili’ a non trovare una collocazione in affido, proprio
per l’impegno gravoso che esse richiedono. In una famiglia in cui entrambi genitori
lavorano risulta essere davvero arduo – e praticamente impossibile – farsi carico di un
caso che richiede cure molto particolari; se invece uno dei due percepisce uno stipendio
per la professione di affidatario a tempo pieno, avrà più disponibilità per poter dedicare
al minore in affido le attenzioni ‘speciali’ che questo richiede.
Bisogna anche notare che il Fosterhjemstjenesten in Kristiansand cura
particolarmente non solo la formazione e la selezione iniziale delle famiglie, premessa
indispensabile per la presa in carico di una situazione problematica, ma offre anche,
attraverso gli incontri periodici con esperti, una formazione permanente per le famiglie
affidatarie. Oltre a questo, il servizio si rende disponibile 24 ore su 24, costituendo così
un punto di riferimento certo per qualsiasi situazione di crisi che si possa creare anche
fuori dagli orari normali di apertura degli uffici. Anche per quel che riguarda il Progetto
Famiglie Professionali della Provincia di Milano, la disponibilità del tutor è garantita 24
ore al giorno.
Ci rendiamo conto che per ritenere positiva per alcuni casi questo tipo di
accoglienza è necessaria una maturazione a livello culturale in coloro che ancora
devono superare, a nostro parere, il tabù della remunerazione nelle situazioni di
operatività sociale che, ovviamente, sempre presuppongono sentimenti d'accoglienza, di
reale disponibilità, di grandi capacità affettive, di impegno concreto guidato anche dal
‘sapere’. Come, del resto, per le professioni sanitarie, tanto per fare un solo esempio.
Noi siamo dell'opinione che il denaro non ‘sporchi’ le buone intenzioni. Questa è inoltre
una delle questioni più discusse a livello culturale fra le associazioni di volontariato
Questo modello, come tutti i modelli, potrà essere adattato alle singole realtà e nel
rispetto delle scelte politiche locali e della conseguente progettazione in materia sociale.
Volendo essere estremamente chiari, visto che la chiarezza deve essere alla base di ogni
sana comunicazione, si può aggiungere che il modello sopra riportato è ritenuto da
alcuni molto ‘nordico’ e che, per esempio, in una regione come la Toscana si
potrebbe utilizzare personale dei servizi locali non ricorrendo o ricorrendo in parte
minore al privato sociale, quali sono le cooperative.
32
A noi interessa solo che ogni bambino ed ogni ragazzo in difficoltà possa davvero
avere le risposte giuste per lui, e la famiglia professionale ci sembra un tipo di
accoglienza che può dare un grosso contributo alla ‘reale’ chiusura degli istituti.
33
COSA PROPORRE PER RAGAZZI DAI 14 AI 18 ANNI
(E MAGARI OLTRE)?
In questa fascia d’età incontriamo ragazzi che spesso hanno trascorso anni o lunghi
periodi in comunità o case-famiglia, in altalene oscillanti che hanno causato spesso una
percezione di sé che si alterna fra la sottovalutazione e una fittizia sopravvalutazione
difensiva.
Spesso (e questo è già riscontrabile a 12/13 ani) non accettano più un eventuale
affidamento familiare per paura di legami stabili che non conoscono e di cui hanno imparato a
diffidare; ragazzi che sanno da tempo di poter contare solo su di sé e ‘tengono le distanze’ da
adulti che si propongono come figure genitoriali.
Italia: il CAM (Centro Ausiliario per i problemi Minorili)
Il CAM prospetta a questi giovani la soluzione del Bed and Breakfast Protetto® cioè un
luogo accogliente in grado di rispettare la loro autonomia e, nello stesso tempo, di offrire
l’esperienza di una quotidianità familiare con cui misurarsi e progettare il proprio futuro di
adulti. Si tratta di una forma di ospitalità retribuita in una famiglia ospitante, che all’interno
della propria abitazione mette una stanza a disposizione del ragazzo. La famiglia condivide
col giovane ospite il clima familiare della sera al rientro di tutti, e offre possibilità di scambio
e di reciproco aiuto, senza l'impegno di un rapporto genitori/figli. Ogni ragazzo che usufruisce
di questa formula è ‘protetto’ da un Servizio Sociale pubblico e gestisce la propria vita
secondo regole concordate preliminarmente con il team di operatori di riferimento e con la
famiglia accogliente.
In molti progetti il ragazzo ha come referente esterno un operatore del Servizio pubblico
al quale rivolgersi per problemi sia strettamente personali che lavorativi, o altro, e che fa
anche da tramite fra la famiglia accogliente ed il ragazzo, ad esempio in caso di problemi di
convivenza.
Francia: Placement Familial Educatif16
Anche in Francia ritroviamo qualcosa di analogo all’azione svolta dal CAM. Nell’area
parigina è attiva l’Association Jean Coxtet, che reperisce famiglie residenti nella zona del
giovane e che mettono a disposizione di questi una camera presso la propria abitazione. Nel
caso dell’Associazione Jean Coxtet, a seconda dell’età del giovane intervengono anche delle
assistentes maternelles che offrono accoglienza diurna oppure permanente. Queste persone
vengono formate e selezionate per il compito che svolgeranno, e per il quale vengono
retribuite: il Servizio Affidi garantisce loro un vero e proprio contratto di lavoro, usufruendo
dei finanziamenti forniti dal Consiglio Generale del Dipartimento che ha affidato il minore al
Servizio.
La nostra opinione
Un’attenzione speciale deve essere a nostro parere data all’accoglienza di ragazzi
‘grandi’, adolescenti e giovani appena maggiorenni la cui situazione di allontanamento
dalle famiglie d’origine non è mai sfociata in una soluzione stabile quale il rientro in
famiglia o l’adozione. Sono grandi ma non ancora adulti e completamente autonomi, ed
è giusto che per loro siano state pensate soluzioni di accoglienza adeguate all’età e alla
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Affidamento familiare educativo
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situazione particolare.
L’ente pubblico dovrebbe farsi carico dell’onere economico almeno fino a 21 anni
(come accade in alcuni casi in Italia) e, in casi particolari, anche oltre, per garantire che
il giovane abbia la possibilità di portare avanti gli studi finché possibile, e poi di
inserirsi nel mondo del lavoro. Sappiamo che trovare un lavoro almeno un minimo
stabile non è cosa semplice né veloce, e che l’indipendenza economica è, comunque,
abbastanza ardua da raggiungere. Per questo motivo è importante che il supporto sia
esteso anche oltre la maggiore età, per non ricollocare nuovamente il ragazzo in una
situazione di disoccupazione, povertà e, quindi, emarginazione sociale (senza voler
pensare alle conseguenze anche peggiori cui casi come questi possono andare incontro
se abbandonati a se stessi).
L’appoggio ad una famiglia può permettere a questi giovani di raggiungere non
solo l’indipendenza economica ma anche, e soprattutto, di completare un loro percorso
verso l’autonomia dell’età adulta, di essere accompagnati verso la maturità quando, si
spera, potranno operare le loro scelte in modo oculato e responsabile.
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CASE-FAMIGLIA E COMUNITÀ DI TIPO FAMILIARE
Sebbene la vita familiare la si può sperimentare solo, appunto, in una famiglia,
ciononostante abbiamo voluto menzionare queste comunità di tipo familiare che hanno
caratteristiche interessanti e che possono rappresentare risposte alternative in casi specifici.
Olanda: family group homes
In Olanda esistono le cosiddette family group homes: con questo termine viene
chiamato un certo tipo di casa famiglia dove una coppia, anche con bambini propri,vive con
altri 4-6 bambini, in un’abitazione sufficientemente spaziosa, in affitto o concessa da un ente.
Si tratta sempre di grandi case o di due case mono-familiari collegate, dove i bambini hanno
la propria stanza e tutto il necessario per vivere come in una famiglia normale. L’unica
differenza sono alcuni supporti, come uno staff pedagogico, personale che fa le pulizie, un
minibus, o altro. È previsto anche un aiuto domestico e un educatore per le ore più
impegnative.
I ‘genitori’ di queste case famiglia si riuniscono in gruppi, che usufruiscono di
consulenze di professionisti e che possono sviluppare metodologie e norme di base per il
funzionamento dei gruppi stessi. Spesso i genitori affidatari appartenenti al gruppo hanno una
formazione come conduttori o pedagogisti, quindi sono professionisti e vengono anche
retribuiti. Si tratta di una figura di genitore professionale, con competenze che gli permettono
di non mettersi in opposizione con i genitori biologici ma di includerli nell’intervento globale.
Trovano collocazione in questo tipo di case di accoglienza i bambini con disturbi
dell’attaccamento: spesso non possono essere accolti nelle famiglie piccole, ma viene offerta
loro la possibilità di crescere in gruppi più allargati, dove non ci si aspetta troppo da loro e
dove sono accuditi da genitori affidatari con una formazione specifica.
Nei Paesi Bassi questa forma di affidamento viene usata anche per i bambini disabili
(soprattutto con handicap psichico) perché questo tipo di inserimento permette loro di ricevere
più attenzioni che in istituto e di sperimentare comunque una vita familiare.
La ‘Croce del Sud’, in provincia di Pisa
Anche in Italia in alcuni casi le Autorità Giudiziarie decidono di affidare dei minori a
case-famiglia o a comunità di tipo familiare. Qui ne menzioniamo tre in dettaglio, poiché ci
sembrano particolarmente funzionali, ma il panorama, da noi come in altri paesi, è in realtà
molto vasto e spesso anche di ottima qualità.
In provincia di Pisa è attiva la comunità di tipo familiare ‘Croce del Sud’, che ha tutte le
caratteristiche auspicabili per ben accogliere dei bambini e/o dei ragazzi: numero
limitatissimo di piccoli ospiti (capienza massima 4 posti), gestione tenuta da una coppia di
coniugi, due operatori esterni, gruppo di volontari che collabora regolarmente, personale per
aiuto domestico e sede molto bella e appropriata, all’interno di una villa ottocentesca con
ampio spazio aperto circostante delimitato da mura. Tutti gli adulti coinvolti sono qualificati
ed i due coniugi responsabili hanno ciascuno un lavoro all'esterno. Il gruppo degli adulti ha
riunioni quindicinali a cui partecipa anche un operatore dell’ASL. I ragazzi frequentano le
scuole pubbliche e le associazioni sportive di zona.
La comunità è un ente privato, e la villa che la ospita è di proprietà della Diocesi.
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La nostra opinione
Nel processo di deistituzionalizzazione questo tipo di accoglienza potrà costituire
un buono strumento per offrire ai bambini una vita familiare non troppo incentrata sulle
loro capacità di dare e ricevere amore e legarsi in rapporti stabili, viste le problematiche
affettive che qualche volta questi bambini presentano. Può essere un’alternativa anche
per i figli di genitori che non accettano l’affidamento presso un’altra famiglia, e che
considerano con meno senso di competizione l’inserimento del bambino in una struttura
più organizzata ed ampia.
La ‘Croce del Sud’ possiede uno dei punti da noi giudicati più positivamente:
pochissimi bambini in affido, tanto da poter creare un clima familiare, grazie anche alla
presenza stabile di una coppia di coniugi. Anche il collegamento con diverse figure di
operatori esterni garantisce una rete di supporto sufficientemente solida.
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INIZIATIVE INTEGRATE
Abbiamo definito come ‘iniziative integrate’ quelle azioni che seguono il bambino nelle
sue diverse fasi della crescita e lo accompagnano fino all’età adulta, attraverso le sinergie di
strutture coordinate.
Austria: i Villaggi SOS
I Villaggi SOS, attualmente diffusi in 132 paesi di tutto il mondo, nascono in Austria
nel 1949, per l’accoglienza degli orfani di guerra. Accettano bambini dagli 0 ai 10 anni
(tranne nel caso di fratelli o sorelle maggiori di bambini ammessi, e per i quali possono essere
accettate anche età superiori).
Il singolo villaggio è costituito da circa 10/15 case-famiglia, in ciascuna delle quali una
‘madre SOS’ si prende cura dei bambini a lei affidati (circa 4 o 5), che con lei abitano e che
crescono come fratelli e sorelle anche se provenienti da famiglie d’origine diverse. La madre,
che riceve una preparazione specifica e che ha studiato almeno per due anni pedagogia
familiare, è supportata da operatori e da altre donne ancora in fase di formazione per diventare
a loro volta madri SOS. Ogni nucleo familiare così formato vive in un’abitazione singola,
dove si ricrea l’atmosfera di casa di una qualsiasi famiglia. Una serie di altri operatori
specializzati – insegnanti, psicologi, assistenti familiari – si preoccupano insieme alle madri
del benessere dei bambini; insieme agli altri collaboratori del villaggio, questi adulti formano
un gruppo di figure amiche del ragazzo.
L’ammissione dei bambini ai Villaggi SOS avviene in seguito alla richiesta formulata
dai servizi sociali pubblici che si occupano di minori. La maggior parte dei bambini cresce
all’interno della struttura, e vi rimane fino all’età di 20 anni, visto che nel villaggio trova le
risorse di cui necessita per crescere: famiglia, scuola (nei paesi extraeuropei in cui questa non
è garantita dallo stato), centri di formazione professionale (cui possono essere ammessi anche
giovani non residenti nel villaggio), centri sociali e medici. Il villaggio si dota di tutte o
alcune di queste strutture anche per supplire ad eventuali carenze nell’offerta formativa,
assistenziale o medica offerta sul territorio, e questo ovviamente avviene soprattutto in paesi
in via di sviluppo. In Europa, i bambini dei Villaggi SOS frequentano le scuole pubbliche e
partecipano alla vita sociale e culturale della zona; anche il loro inserimento nel mondo del
lavoro avviene fuori dal villaggio, che risulta così integrato nell’ambiente circostante.
Oltre alle famiglie SOS, i Villaggi SOS forniscono anche altri tipi di servizi per i minori
in difficoltà: una casa di accoglienza per situazioni di emergenza, in cui gli educatori si
prendono cura 24 ore su 24 di bambini inviati dai servizi sociali perché non possono
temporaneamente vivere con la propria famiglia. In questi casi, la permanenza è limitata ad un
periodo più breve possibile, e si cerca di preparare il rientro del bambino nella famiglia
d’origine, oppure il suo trasferimento in una famiglia affidataria o SOS.
Per permanenze più lunghe, di un anno o due, esistono piccole comunità che accolgono
una decina di bambini e che lavorano a stretto contatto con i loro genitori e con gli assistenti
sociali per costruire insieme i presupposti necessari al rientro del minore in famiglia. Ogni
tanto i genitori stessi sono ospitati nella comunità insieme ai figli, allo scopo di rendere più
intensa la loro partecipazione al percorso di risoluzione dei problemi che hanno portato alla
crisi. Al rientro in casa del minore, dopo la permanenza presso la comunità, gli operatori
continuano ad offrire il proprio supporto per il rientro e per il ‘dopo’.
Per i ragazzi più grandi, che sono al compimento dei loro studi e/o si stanno inserendo
nel mondo del lavoro, esistono delle case in cui una decina di adolescenti (provenienti da
famiglie SOS oppure segnalati dai servizi sociali) convivono in una comunità seguita da
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educatori che li aiutano nelle problematiche del quotidiano.
Per i giovani adulti esiste un supporto (che può essere anche finanziario) per la ricerca
della prima casa, e per l’avvio della loro vita definitivamente indipendente.
La cooperativa COMIN di Milano
Un esempio interessante di sinergia viene proposto dalla cooperativa sociale di
solidarietà COMIN, di Milano, che ha aperto la comunità ‘Il melograno’ in provincia di
Pavia. La cooperativa, oltre alla comunità, gestisce anche esperienze diverse e, a nostro
parere, fra loro complementari.
‘Il melograno’ al 26 ottobre 2005 accoglieva 5 ragazzi, 3 maschi e 2 femmine, dai 4 ai
17 anni (il numero massimo di capienza è di 8 minori). La sede, concessa in comodato
gratuito, è una casa rurale su tre livelli con ampia corte, molto confortevole ed amalgamata
nel contesto del paese: camere spaziose, molti spazi comuni, cucina grande ed accogliente. La
vita quotidiana è affidata ad una coppia che ha tre figli propri, e alcuni soci della cooperativa,
oltre ad avere instaurato rapporti forti e significativi con i minori e con gli operatori,
esercitano anche una funzione di governo e di controllo; queste sono persone competenti che
hanno anche un ruolo educativo. Un’équipe paritaria e corresponsabile si occupa di tutti gli
aspetti della quotidianità ed esercita un’ampia gamma di competenze (ad esempio: non c’è
coordinatore, non c’è cuoco, né personale domestico, ecc.) lasciando ad altri operatori solo gli
ambiti che richiedono particolare specializzazioni, quali il supporto psicologico per i minori.
I ragazzi frequentano scuole pubbliche locali, e per le altre loro esigenze (sportive,
ricreative, culturali, sanitarie, ecc.) utilizzano strutture del circondario, il che li porta a
frequentare regolarmente gente del posto.
L’ampio spettro di età dei minori accolti garantisce, a parere degli operatori, la
molteplicità e la gradualità delle relazioni interpersonali.
La Cooperativa gestisce una molteplicità di progetti e di realtà fra loro comunicanti:
comunità d’accoglienza madre-bambino, comunità per minori, appartamenti per l’autonomia,
e così via, permettono sinergie e ‘passaggi’ celeri, confrontabili ed il più possibile rispondenti
ai bisogni specifici dei singoli, minori ed adulti, rispettandone i tempi di maturazione.
Il centro di formazione interculturale ‘L’Aquilone’
Anche se non si tratta di un’iniziativa definibile ‘integrata’, ci piace esporre brevemente
l’esperienza del centro multietnico ‘L’Aquilone’, la cui responsabile si è resa disponibile per
affidamenti di minori in difficoltà che accoglie presso di lei e che, data l’attività di cui si
occupa, possono usufruire di tutti i servizi che il Centro offre mantenendo allo stesso tempo i
rapporti con i propri compagni e, comunque, con il proprio ambiente.
Il Centro, che si trova in provincia di Asti, è sorto nel 2000 ed accoglie bambini italiani
e stranieri. La disponibilità è per un massimo di 5 bambini residenti; oltre a questi, il Centro
accoglie quotidianamente circa 20 bambini dai 2 ai 13 anni. Durante l’estate i bambini non
residenti possono raggiungere il numero di 30/35. La sede è una grande casa con cortile
situata al centro del paese, con ampi spazi ma allo stesso tempo un’atmosfera accogliente e
raccolta. Il Centro propone quotidianamente attività varie, laboratori creativi, giochi, spazi di
riflessione e condivisione fra bambini, fra bambini ed adulti, familiari compresi.
Durante l’anno scolastico i bambini giungono al Centro dopo la scuola, per pranzo, e vi
rimangono tutto il pomeriggio; durante l’estate il Centro è aperto dal lunedì al venerdì.
La responsabile, che è una psicologa, risiede stabilmente in sede con i bambini affidati a
lei personalmente, ed opera in collaborazione con un psicologa ed un’animatrice, entrambe
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non residenti. Le figure maschili sono rappresentate da quattro volontari, che operano nel
Centro frequentemente ma non con orari precostituiti; la collaborazione con i servizi
territoriali è sistematica.
I bambini in affido sono normalmente quelli che già frequentano il centro, spesso con i
propri familiari. L’affido perciò assume la configurazione di un’accoglienza momentanea
presso una persona amica in un ambiente già familiare.
È un’esperienza poco esportabile, ma che può offrire interessanti suggerimenti.
La nostra opinione
Pur ribadendo che la miglio collocazione per minori in difficoltà è, quando
possibile, l’affidamento ad una famiglia, comunque una nota decisamente positiva della
struttura dei Villaggi SOS è l’offerta di soluzioni differenziate a seconda dell’età e delle
relative esigenze del minore, che danno a questi la possibilità di crescere, assumersi
gradualmente le responsabilità dell’età adulta, trovare una propria collocazione sociale e
percorrere la propria strada verso l’indipendenza con un supporto sempre meno forte ma
nondimeno presente. Il fatto che le diverse soluzioni siano integrate all’interno dello
stesso progetto SOS offre, pur nel passaggio da una struttura all’altra, una continuità di
metodo e finalità nell’azione svolta, ed una rassicurante costanza dell’ambiente
d’accoglienza.
La preparazione specifica di tutte le persone che in vari ruoli hanno rapporti con i
bambini e con le loro famiglie d’origine fa sì che l’apporto di tutti sia competente e
valorizzato al meglio.
Purtroppo anche i Villaggi SOS soffrono di una carenza comune a molte di queste
iniziative: a fronte di molte madri SOS, poche sono le vere e proprie coppie genitoriali,
principalmente a causa della mancanza di candidati al ruolo di padre.
‘Il Melograno’ invece presenta il grosso vantaggio di avere come riferimento
stabile una famiglia composta da genitori e figli, intorno a cui ruotano le altre figure di
supporto (l’équipe paritaria di supporto e gli specialisti). La Cooperativa nel suo
insieme offre una struttura integrata che ben si addice all’accompagnamento dei
bambini fino all’età adulta, rimanendo all’interno di un progetto unico per i minori che
con le sue varie diramazioni offre la possibilità di passare da una struttura all’altra se e
quando opportuno.
La sinteticità alla quale siamo obbligati non ci ha permesso che alcuni commenti
all’esperienze presentate. È chiaro comunque che per chi è interessato a saperne di più è
indispensabile una visita in loco per ‘respirare l’aria’ e sentire l’atmosfera. Ci sembra
infatti che le esperienze qui riportate riescano davvero ad affrontare situazioni
multiproblematiche.
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NEONATI E BAMBINI PICCOLISSIMI
Troviamo in Italia diverse iniziative innovative per quel che riguarda l’affidamento di
neonati e bambini piccolissimi: Genova, Vicenza, Bologna, Torino...
Dal Comune di Torino la dr.ssa Ebe Bruno, responsabile del ‘Progetto neonati’, ci ha
inviato una dettagliata relazione sull’esperienza in corso, che qui viene sintetizzata nei suoi
punti più salienti17.
Nel 1955 il Comune di Torino approvò la Delibera del ‘Progetto Neonati’, che si
proponeva di garantire una famiglia affidataria ai bimbi da 0 ai 18 mesi, in attesa di
determinazioni dell'Autorità Giudiziaria, evitando i danni di una permanenza prolungata in
ospedale o in comunità.
Gli affidamenti realizzati dal 1995 al 2000, circa una decina, hanno evidenziato alcuni
nodi: le risorse erano praticamente inesistenti; i tempi dell’affidamento si dilatavano per la
mancanza di un lavoro sinergico fra i vari servizi, per cui non sempre era possibile evitare il
passaggio dei bimbi dalla comunità; in qualche caso, i tempi per la definizione del ‘destino’
del neonato erano più lunghi di quanto ci si auspicasse; oltre a ciò, l’impegno degli affidatari
era molto oneroso sia dal punto di vista del coinvolgimento emotivo che in relazione ai
frequenti accompagnamenti del bimbo agli incontri con i genitori, il cui ruolo non era peraltro
sviluppato in tutte le sue potenzialità; il tutto veniva spesso gestito in solitudine dalla famiglia
affidataria.
Inoltre, il distacco del bambino dal luogo di vita, al momento del ritorno alla famiglia
d’origine o dell’adozione, era troppo brusco e separava nettamente il ‘prima’dal ‘dopo’,
interrompendo la storia affettiva del piccolo.
Le Autorità Giudiziarie si sono impegnate nel 2001 a sostenere una nuova
sperimentazione, che è stata così strutturata nell’ambito del ‘Progetto neonati’.
È stato selezionato un gruppo di famiglie ‘ponte’ (così chiamate per la loro funzione di
collegamento), che siano disponibili ad accogliere in tempi brevissimi il bimbo in cui si
verifica il bisogno ‘dall’oggi al domani’, che abbiano il desiderio di dargli tutta
l’attenzione che richiede, che siano in condizioni di farlo, e che siano capaci di affrontare il
dolore della sua ‘partenza’.
Le Associazioni delle famiglie affidatarie hanno collaborato alla campagna di
sensibilizzazione mirata ad un target di famiglie con alcuni requisiti di partenza, quali ad
esempio l’aver già sperimentato una relazione privilegiata con bimbi piccolissimi, la
disponibilità di tempo per offrire ‘un nido veramente caldo’, e così via. Le famiglie interessate
hanno poi ricevuto una preparazione adeguata allo scopo.
Le famiglie nella condizione più favorevole per questo tipo di accoglienza sono quelle
che possono contare su un componente libero da impegni sociali, meglio ancora se entrambi
in pensione, e quelle con figli grandi che non si pongono in competizione con la nuova
presenza.
Ad oggi le famiglie che hanno effettuato l’esperienza sono 36, di queste una ha accolto
cinque bambini (uno alla volta), due ne hanno accolti tre, nove hanno avuto due affidamenti e
le restanti hanno effettuato per ora una sola esperienza.
Al termine di ogni affido, prima di riproporre la propria disponibilità, è previsto per le
famiglie un periodo di elaborazione della separazione. Nel momento in cui una famiglia si
ricandida gli Operatori che hanno svolto la prima valutazione ne effettuano un aggiornamento
17
La relazione completa, datata ottobre 2005, è a disposizione in visione presso l’A.C.S.I., e può esserne
richiesta una copia via e-mail: [email protected].
41
al fine di confermare l’idoneità.
Il coinvolgimento della famiglia-ponte consente al bimbo di legittimare a se stesso lo
spostamento del suo ‘investimento affettivo’ verso una relazione ed un ambiente del tutto
nuovi (nel caso di adozione) senza sperimentare un secondo abbandono. Anche in questo caso
viene garantito il mantenimento di tutto ciò che è possibile conservare (riti, abitudini, corredo
materiale, ecc.). Il bimbo viene dotato del diario personale, curato dalla famiglia-ponte, che
riporta immagini, conquiste e caratteristiche durante i primi mesi di vita; esso rappresenterà
per lui, in futuro, un tassello utile per la sua identità, in assenza di testimoni diretti.
L’obiettivo di ridurre al minimo i tempi necessari alla definizione della Procedura
Giudiziaria per l’approdo definitivo dei bambini è ovviamente vincolato all’attivazione di una
vera integrazione, ed è fondamentale che le Autorità Giudiziarie mantengano la fiducia nella
funzione di garanzia dei Servizi preposti. A questo scopo è stato attivato un lavoro di rete fra i
diversi soggetti al fine di anticipare la presa in carico delle situazioni problematiche,
razionalizzare la raccolta degli elementi necessari all’Autorità giudiziaria e favorire la sinergia
fra i Servizi. È da sottolineare il contributo fondamentale dovuto ad una disponibilità
flessibile degli Operatori coinvolti.
Dei 52 affidamenti operati nell’ambito del Progetto, 8 hanno avuto una partenza
consensuale e 44 sono stati avviati in seguito ad un Provvedimento specifico, che in 35 casi
ha previsto contemporaneamente o a seguito dei primi accertamenti l'apertura del
procedimento di adottabilità.
Dei 52 affidi 24 bimbi provenivano da nuclei con problemi di tossicodipendenza, 13 da
nuclei con problematiche di tipo psichiatrico, 8 da nuclei con problemi sociali legati
all’origine extracomunitaria, 6 da nuclei con rilevanti problemi sociali, 1 ignoto con problemi
sanitari.
Dei consensuali nessuno ha avuto un’evoluzione adottiva: 2 sono in corso, 2 sono
ritornati con i genitori e 4 bimbi (si tratta di due coppie di gemelli) hanno avuto un’evoluzione
giudiziale per la necessità di prorogare l'affido.
Dei 44 affidamenti giudiziali: 5 (avviati nel 2005) sono in corso, 24 hanno
accompagnato i bimbi all’adozione, 5 al rientro con i genitori naturali, 8 all’inserimento in
famiglia parentale, 2 sono stati prorogati su richiesta specifica.
Se si escludono i 7 affidi ancora in corso 11 si sono conclusi entro 6 mesi, 12 entro 9
mesi, 11 entro 12 mesi ed 11 sono andati oltre.
Nelle conclusioni viene puntualizzato che sono fattori-chiave un’attenta valutazione
iniziale del ‘caso’ in tutte le sue componenti, ed il sostegno individuale e di gruppo alle
famiglie-ponte.
Importante è definire un quadro metodologico di riferimento per gli operatori e per le
famiglie, “sia rispetto al contenimento dei tempi che alla possibilità di acquisire la necessaria
credibilità da parte dei soggetti coinvolti e soprattutto da parte delle Autorità Giudiziarie”.
Quest’ultime hanno bisogno di elementi precisi e di sufficienti garanzie di rigore, in relazione
alla rilevanza del loro ruolo decisionale, che dipende prevalentemente dal contributo dei
servizi.
Il cambiamento di cultura nella consuetudine operativa, che dall’inserimento in
comunità si è spostato nettamente in favore dell’affido, è in gran parte dovuto, sempre
secondo la dottoressa Bruno, alla fiducia delle Autorità Giudiziarie .
“Dai dati raccolti man mano è possibile evidenziare che la durata media dell'affido fino
ad oggi sta entro i nove mesi”. Le richieste di proroga sembrano verificarsi quando un
autentico desiderio dei genitori non è supportato sufficientemente da competenze adeguate e
da intenzionalità forte.
42
L’affidamento-ponte dovrebbe essere strumento privilegiato per verificare le
potenzialità e le reali, e realistiche, intenzioni dei genitori, specialmente di quelli non
conosciuti in precedenza dai servizi; si riuscirebbe anche a contenere ulteriormente la
durata “entro i sei, sette mesi”.
Sarebbe perciò congruo formare un gruppo di famiglie disponibili ad affiancare quei
genitori che abbiano dimostrato, durante le varie verifiche, un’intenzionalità certa di crescita
personale per essere genitori dei propri figli.
La nostra opinione
La nostra opinione su questo progetto è concorde con quella espressa dalla dr.ssa
Bruni nelle sue conclusioni.
Ci preme dare il giusto risalto a questa esperienza, che impedisce l’inserimento in
situazioni non familiari (anche se di ottima qualità) per i bambini molto piccoli, che
maggiormente ne sarebbero danneggiati.
È importante sottolineare il valore di questo progetto visto che purtroppo per ora
su tutto il territorio italiano sono solo pochissime le esperienze di questo genere, e ci
appare veramente inspiegabile una tale carenza.
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CONCLUSIONE: LE FAMIGLIE D’ORIGINE
Alla conclusione di questo nostro lavoro ci sembra importante ritornare al punto da cui
siamo partiti: le famiglie d’origine. Vogliamo ribadire l'importanza dell’attenzione e della
‘presa in carico’ della famiglia d’origine del minore in difficoltà: questo è un argomento a cui
tutti accenniamo, ma spesso non ne segue un approfondimento e l’enunciazione di linee
progettuali. È vero che un gran numero di famiglie sono in situazioni tali da non far sperare
nell’esito positivo di interventi multidisciplinari, essendo proprio la loro situazione la causa
delle difficoltà del figlio, e che il fattore tempo è determinante per il bambino che non può
attendere i tempi degli adulti, ma comunque spesso sembra che il desiderio di trovare una
soluzione ottimale per il minore faccia glissare in parte riguardo alla problematica dei o del
genitore. Altra cosa ovviamente è il tergiversare riguardo a decisioni utili al minore per non
affrontare l'angoscia di prese di posizione ‘forti’.
Il settore è sicuramente difficile; l’importante è fare ogni tentativo possibile per aiutare i
nostri ragazzi a crescere in modo sano, possibilmente assieme alla loro famiglia.
La prevenzione assume in questo settore un’importanza veramente capitale:
innanzitutto, poiché essa può consentire di evitare il danno umano che consegue dal disagio
familiare grave e dallo sradicamento del minore dalla propria famiglia, danno che in qualche
modo lo segnerà nell’arco di tutta la sua vita. Ci sembra che ogni misura praticabile sia da
adottare proprio per evitare questo danno. Strettamente correlato ad esso è il danno sociale
che può provenire da situazioni di questo genere: un bambino, poi ragazzo ed adulto in
difficoltà può riscontrare problemi anche gravi nell’inserirsi nel mondo del lavoro, nel
socializzare, e può anche, in alcuni casi, essere più soggetto ad una deriva sociale e personale
di cui prima o poi la comunità dovrà farsi carico, anche economicamente.
Come accennato anche altrove, gli interventi efficaci richiedono, oltre che motivazione,
preparazione ed intenzioni forti, anche investimenti adeguati dal punto di vista economico:
anche i migliori operatori sociali potranno fare ben poco se non provvisti delle risorse
necessarie per operare, oppure se gravemente sotto organico. Non si può pensare che la buona
volontà dell’assistente sociale o del volontariato suppliscano ad investimenti insufficienti:
bisogna invece considerare che l’impiego di risorse umane e strutturali (cioè, in ultima analisi,
economiche) è un investimento fruttifero, che non solo migliora la qualità della comunità ma
anche le evita dispendi più gravosi (in termini sociali ed economici) nel suo futuro.
Si sente spesso l’esigenza di un’Autorità Giudiziaria più ‘coraggiosa’, che si assuma
maggiori responsabilità nel decidere dell’affidamento di un minore ad una famiglia piuttosto
che ad una struttura; bisogna capire che non si può chiedere un tale contributo se non si
offrono garanzie adeguate, se non si costruisce, cioè, una rete più solida ed organizzata di
interventi, che sia in grado di dare fiducia a chi dovrà prendere una decisione così difficile e,
giustamente, non intende rischiare di mettere a repentaglio il futuro di un minore.
Interventi adeguati per le più diverse situazioni, sia dal punto di vista della
progettazione strutturale che del supporto economico potranno costruire una rete di supporto
che assicuri le migliori garanzie innanzitutto al minore, ma anche a chi lavora per lui.
A tutte le persone implicate in questa tematica l’augurio di un’operatività consapevole
e, quando possibile, entusiasta.
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UNA PROSPETTIVA PSICOLOGICA
di Anna Berti
Desidero esporre alcune opinioni, in quanto trattare l’argomento delle situazioni di crisi,
d’incuria e di maltrattamenti nella fascia d’età dagli 0 ai 18 anni in un’ottica psicologica
avrebbe necessità di interi libri.
Molti sono comunque gli scritti che trattano questi tristissimi argomenti (d’altra parte le
varie psicoterapie si sono sempre avvalse delle patologie, terreni dove tutto è all’eccesso e per
questo più evidente) ed a questi rimando volentieri per chi volesse un quadro esaustivo.
La base del nostro ‘sapere’ non può fare certo a meno di un patrimonio, di un corredo
culturale, da cui attingere e di cui avvalersi. Perciò cultura, formazione, confronti, sono le basi
indispensabili da coltivare durante tutto l'arco della nostra vita professionale e non solo.
Detto questo, avventuriamoci pure nell’esposizione di alcune opinioni più volte espresse
in questa indagine, e che qui voglio sottolineare e completare.
Abbiamo più volte ribadito che senza rapporti solidi, stabili, con figure adulte preposte
al suo accudimento ed alla sua educazione, il bambino non può avere una crescita sana,
armoniosa. Più precoce è questa mancanza, più grave è il danno. (Ma perché nel 2006 siamo
sempre a questo punto?)
Come abbiamo già espresso, i bambini che hanno subìto carenze gravi non possono
‘agganciarsi’ saldamente alla vita, mettere radici solide nel suo terreno.
“Le nostre idee sulla psiche producono un effetto sulla psiche stessa”18.
Allora vorrei riuscire ad esprimere chiaramente qui i motivi che personalmente mi
hanno spinta a svolgere quest’indagine, assieme ai compagni di viaggio che con me hanno
lavorato e ne hanno condiviso la fatica e la finalità.
Quello che viene tolto all’essere umano ‘piccolo’ a causa della privazione di affetto e
accudimento non è solo causa di grande sofferenza e di difficoltà gravissime nella vita futura
riguardo ad instaurare rapporti interpersonali ‘validi’, difficoltà di inserimento nel contesto
sociale (nella scuola, nel lavoro, ecc.), difficoltà nell’avere comportamenti socialmente
positivi senza dover ricorrere a ‘sostegni’ particolari (alcool, droghe, ecc.). La cosa più
importante che viene tolta a quest’essere umano è la possibilità di avere capacità di
introspezione; più brevemente: la possibilità di essere in collegamento col suo mondo
interiore.
Penso che un esempio possa rendere meno astratto quanto vorrei comunicare: il
sentimento di solitudine, di cui tutti facciamo esperienza, nel caso dei ragazzi deprivati viene
ricondotto a quanto è accaduto loro, alla loro storia, e la ‘cura’, quando avviene, è in genere
quella di offrire a questi bambini esperienze riparative, sostitutive, valide (adozione, affido).
Questo nelle situazioni fortunate. Giustissimo! Anche la nostra indagine va in questa
direzione.
Meno facile è rendersi conto che a questi ragazzi resterà più difficile che a quelli che
hanno avuto una vita ‘normale’ accettare che il sentimento di solitudine, come gli altri
ovviamente, ha una sua autonomia, fa parte della natura umana indipendentemente dalle
esperienze vissute, e che, per questo, deve essere rivisitata l’identificazione letterale fra
solitudine ed isolamento. Sembra un concetto semplice, banale. Non mi pare lo sia affatto,
altrimenti il sapere psicologico tenderebbe a vedere nelle nostre nostalgie, malinconie,
tristezze, non ‘pensieri negativi’, ma la necessità, il tendere verso qualcosa di ‘altro’.
18
James Hillman, Saggi sul puer, p. 142.
45
Vorrei brevemente riportare un’esperienza personale, invitando chi legge a cercare fra le
proprie simili. Una signora, che soffriva di gravi crisi depressive, mi raccontò un sogno in cui
lei era l’unico essere vivente sulla terra: questa immagine la fece svegliare improvvisamente
sommersa dall’angoscia. La signora aveva avuto gravi deprivazioni nella prima infanzia, al
livello quasi dell’abbandono affettivo. In fase interpretativa è risultato che proprio la
situazione di deprivazione affettiva da piccolissima era la causa delle depressioni ricorrenti
della signora, ben sintetizzate nel sogno dall’immagine di solitudine totale. Questo fa capire
che anche da adulti, se non ci è stato possibile rielaborare fruttuosamente angosce nate in età
precoce, è spesso proprio attraverso un rapporto di fiducia saldo, meglio se anche competente,
che è possibile far emergere una ferita inferta nell’infanzia e quindi curarla.
Siamo invasi da una cultura che valuta come positivo il ‘superare’, l’animare’, vorrei
dire che tende a distrarci dalle nostre istanze profonde.
Sensazioni quali quelle, per riprendere l’esempio precedente, di non-appartenenza, di
esilio, potrebbero, e a parer mio dovrebbero, essere considerate punti di partenza per un
viaggio dentro noi stessi, in quanto individui ed in quanto membri dell’intera umanità.
Ognuno potrà cercare la sue o le sue guide, siano esse persone, libri o altro.
Questo quanto perde il bambino che è costretto a cercare davvero un legame umano, suo
diritto inalienabile, e che per questo rischia di rimanere inconsapevole del proprio mondo
interiore; mondo a cui attingere non solo per compensare la vita reale, in modo spesso
consumistico, ma a cui riferirsi, con cui stare in compagnia. Grande la pressione che tutti
subiamo riguardo all’accumulare beni, all’apparire, a conquistare, senza farsi domande, senza
chiedersi quale dio stiamo servendo.
Stare perciò in compagnia di noi stessi, della nostra interiorità, curarne il colloquio,
dovrebbero essere punti focali nella nostra vita.
Un aiuto può venire anche dalle favole (vedi Puccio e Berta) e dal gioco spontaneo.
Bella l’esperienza di chi (Associazione AiBi) in alcuni istituti per bambini nell’Est
europeo ha iniziato un rapporto di solidarietà organizzando ludoteche.
Mi accorgo che sono già passata al ‘fare’; l’ansia di risolvere la nostra e l’altrui
sofferenza ci fa premura.
Necessario è invece rimanere in silenzio, ascoltare il nostro mondo interiore (prima
dell’azione ), perché, a mio parere, il nostro mondo reale ne è solo la conseguenza.
46
RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano per l’attiva collaborazione a questa indagine, per la loro disponibilità ed
anche per il loro impegno appassionato nei confronti dei bambini e dei ragazzi:
Anna Siviero (Area Emergenza Minori, Comune di Bologna)
Anne Van Cutsem (VZW Kinderdienst, Belgio)
Bep Van Sloten (International Foster Care Organisation, Olanda)
Comunità ‘Croce del Sud’ di Caprona (PI)
Cooperativa sociale COMIN di Milano
Coordinamento UBI MINOR
Ebe Bruni (Comune di Torino)
Flavia Salteri (Cooperativa COMIN)
Franca Colombo (CAM – Centro Ausiliario per i problemi Minorili, Italia)
Gabriella Gabrielli (Cooperativa COMIN)
Helmut Kutin (SOS Children’s Villages, Austria)
Janice Raynolds (Family Placement – Service Cumbria County Council, Regno Unito)
Joanna Mc Cann (National Children’s Bureau, Regno Unito)
Lise-Marie Schaffhauser (Comité National du Parrainage, Francia)
Martine Ruff (Association Jean Cotxet, Francia)
Mary Meyler (Emergency Foster Care Pilot Project, Irlanda)
Milena Zocca
Raili Bäck-Kiianmaa (Pesäpuu ry, Finlandia)
Randolf Graenzer (ENCYMO – European Network of Children and Youth Mentoring
Organisations, Francia)
Simona Negri (L’Aquilone, Pino d’Asti)
Torhild Mosby (Fosterhjemstjenesten in Kristiansand, Norvegia)
Molti sono gli operatori anonimi che comunque, seppur indirettamente, con il loro
operato, hanno contribuito a questa indagine. Pur non avendo la possibilità di citarne il nome,
il nostro ringraziamento va anche a tutti loro.
47
RIFERIMENTI UTILI E SITOGRAFIA
AUSTRIA
Villaggi SOS
http://www.sos-childrensvillages.org
BELGIO
Jeugdzorg in gezin, v.z.w.
Sabine Bonte, John Vanden Broecke, Marijke Wieers
Schuttersvest 45
2800 Mechelen
[email protected]
http://users.skynet.be/jig/
VZW Kinderdienst van Teledienst
Rue du Boulet, 24
1000 Bruxelles
[email protected]
http://www.kinderdienst.be/fran%E7ais.htm
EUROPA
Parrainage
European Council for volunteer Mentoring of Children and Youth
www.mentoring-europe.org
Rete ENCYMO
www.encymo.org
FINLANDIA
Pesäpuu ry
Kauppakatu 18 C 35
40100 Jyväskylä
http://www.pesapuu.fi
FRANCIA
Association Jean Coxtet
34, rue de Paradis
75010 Parigi
[email protected]
Association national des placements familiaux
63, rue de Provence
75009 Parigi
http://www.anpf.net/
48
IRLANDA
Irish Foster Care Association
The Pharmacy Corner
Mayfield Terrace, Ballinteer Road
Dublin 16
Irlanda
[email protected]
ITALIA
Anfaa – Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie
www.anfaa.it
Associazione Famiglia Aperta - onlus
Via D.Alighieri, 41a loc.Caprona
Vico Pisano (PI)
http://famigliaaperta.altervista.org/docs/unbambino.htm
Bed and Breakfast Protetto®
CAM – Centro Ausiliario per i problemi Minorili
Associazione di volontariato
www.cam-minori.org;
Via Leopardi, 21
20123 Milano
[email protected]
[email protected]
Casa-famiglia ‘Croce del sud’
Via d'Alighieri, 41/A
56010 Caprona – Pisa
L'Aquilone
via Albugnano,5
14022 Pino d'Asti – Asti
Cooperativa sociale COMIN
Piazza San Babila, 5
Milano
Comunità ‘Il melograno’
Via G. Ferrari, 1
27030 Zinasco – Pavia
[email protected]
Comune di Torino
La Casa dell'Affidamento
http://www.comune.torino.it/casaffido/
Comune di Milano
Affido familiare
http://www.comune.milano.it/WebCity/documenti.nsf/WEBPreview/17A09B48BE5E
A20CC12570CA002E5EB0?opendocument
49
Diritto e Famiglia (rivista)
www.dirittoefamiglia.it
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Istituto degli Innocenti di Firenze
I bambini e gli adolescenti "fuori dalla famiglia". Indagine sulle strutture residenziali
educativo-assistenziali in Italia, 1998
http://www.minori.it/ricerche/ric_fuorifamiglia.htm
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Politiche familiari
http://www.welfare.gov.it/EaChannel/MenuTematiche/PoliticheFamiliari/Presentazion
e/default.htm
Osservatorio Nazionale Famiglie
www.osservatorionazionalefamiglie.it
Provincia di Milano
Progetto Affido
http://temi.provincia.milano.it/serv_soc/infanzia_adolescenza/affido.htm
Provincia di Modena
Affidamento familiare
http://www.provincia.modena.it/servizi/sociosan/affido/index.html
Provincia di Parma
Sanità e servizi sociali – Affido familiare
Coordinamento Provinciale Affido
Coordinamento Nazionale Affido
http://www2.provincia.parma.it/page.asp?IDCategoria=1257&IDSezione=4939&IDO
ggetto=&Tipo=SERVIZIO
Provincia di Torino
Affidamento familiare - Tavolo permanente di coordinamento
http://www.provincia.torino.it/speciali/affidamento_familiare/index.htm
NORVEGIA
Ministero delle questioni riguardanti la famiglia e i minori:
http://odin.dep.no/bfd/english/doc/reports/004021-220006/ind-bn.html
OLANDA
Nederlandse Vereniging voor Pleeggezinnen (Netherlands Association for Foster
Families)
PO Box 1139
Nl-3500 BC – Utrecht
[email protected]
www.youthpolicy.nl
PRIDE
Child Welfare League of America
50
http://www.cwla.org
REGNO UNITO
Standard nazionali di qualità - Scozia
http://www.scotland.gov.uk/publications/2005/05/0594056/41037
http://www.scotland.gov.uk/library5/social/ncsfc-00.asp
Fostering Information Line
http://www.fostering.org.uk
National Children’s Bureau
http://www.ncb.org.uk
Commission for Social Care Inspection
http://www.csci.org.uk
The Fostering Network
http://www.fostering.net
USA
National Foster Parent Association
http://www.nfpainc.org
The National Center for Adoption Law & Policy
http://www.law.capital.edu/adoption/fostering_results.htm
Children’s Rights
http://www.childrensrights.org
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· Bowlby, John: La separazione dalla madre, in Attaccamento e perdita, vol. 2,
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· Bowlby, John: L'attaccamento alla madre, in Attaccamento e perdita, vol. 1, Boringhieri,
Torino, 1976
· Bowlby, John: Cure materne ed igiene mentale nel fanciullo, Giunti Barbera, Firenze,
1957
· Bowlby, John: Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell'attaccamento,
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Per la favola di Puccio e Berta:
· Broeckx I., Vanden Broecke J., Willemsen L.; illustrazioni di Truus Druyts, Hoe Pluk en
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modello d’intervento. Manuale per gli operatori dei servizi. Franco Angeli, Milano,
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· Fadiga, Luigi: L'adozione, Il Mulino, Bologna, 1999
· Garelli, F. et al.: L'affidamento: l'esperienza delle famiglie e i servizi, Ed. Carocci, Roma,
2000
· Hillman, James: Il codice dell’anima, Adelphi, Milano, 1988
· Hillman, James: Saggi sul puer, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1988
· Hillman, James: Senex et puer, Marsilio, Padova, 1973
· Jung, Carl Gustav: La dinamica dell’inconscio, in Opere, Vol 8, Boringhieri, Torino, 1980
· Jung, Carl Gustav: Psicologia dell'archetipo del fanciullo, in Opere, Vol 9, Boringhieri,
Torino, 1980
· Jung, Carl Gustav: Riflessioni teoriche sull'essenza della psiche, in Opere, Vol 9,
Boringhieri, Torino, 1980
· Meins, E.: Sicurezza e sviluppo sociale della conoscenza. Nuove prospettive per la teoria
dell'attaccamento, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999
· Nanni, Walter (a cura di): Adozione, adozione internazionale, affidamento, Ed. Piemme,
Casale Monferrato, 1995
· Quaderni del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza.
52
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Questioni e Documenti, 24: I bambini e gli adolescenti in affidamento familiare,
Istituto
degli
Innocenti,
Firenze,
2002
(scaricabile
dalla
pagina:
http://www.minori.it/pubblicazioni/quaderni/pdf/quad_24.pdf)
Quaderni del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza.
Questioni e Documenti, 32: I numeri europei (a cura del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali), Istituto degli Innocenti, Firenze, 2004 (scaricabile dalla pagina:
http://www.minori.it/pubblicazioni/quaderni/pdf/quad_32.pdf)
Regione Toscana, Istituto degli Innocenti: Elenco dei servizi residenziali e
semiresidenziali per minori in Toscana, Scuola Sarda Editrice, Cagliari, 2004
Regione Emilia - Romagna, Dipartimento Politiche sociali: L'affidamento familiare in
Emilia Romagna, Ed. Franco Angeli, Milano, 2000
Shanti, George e van Oudenhoven, Nico: Stakeholders in foster care. An international
comparative study. Louvain, Apeldoorn, Garant, 2002
Social Services Inspectorate (a cura di): The Report of the Pilot Inspection of Foster Care
Services, Dublino, 2004 (disponibile alla pagina: www.issi.ie).
Winnicot, Donald W.: I bambini e le loro madri, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1987
Winnicot, Donald W.: Sviluppo affettivo e ambiente, Armando Editore, Roma, 1981
53
Appendice: versione italiana del questionario proposto agli intervistati all’inizio
dell’indagine
Progetto di indagine conoscitiva
“Famiglie oltre i confini”
Segnalazione di esperienze di accoglienza di minori in Europa
Note
Si prega di restituire il questionario, per posta o per e-mail, a:
A.C.S.I. ONLUS
Via dell’Ardiglione 12
50124 Firenze (Italia)
e-mail [email protected]
tel./fax +39 055 283800
A questi recapiti è possibile anche richiedere eventuali chiarimenti alla sig.ra Anna
Berti.
La rilevazione dei dati riportata sul questionario si riferisce alla data di compilazione.
Tipologia del servizio
Precisare la tipologia del servizio/struttura/realtà di accoglienza
Nome
Tipo (famiglia affidataria, comunità, casa
famiglia, o altro)
Altro (specificare):
Quanti minori ospita attualmente la struttura?
Maschi (numero)
Femmine (numero)
Fascia di età
N. massimo dei bambini che è possibile accogliere
Definizione locale ufficiale:
Descrivere sinteticamente le finalità e i bisogni a cui si vuole dare risposta, le problematiche
prevalenti oggetto dell’intervento (minori in stato di abbandono, minori in condizioni di
handicap psico-fisico, ecc.).
Ente titolare del servizio
Ente pubblico
Ente privato
Altro (specificare):
54
E’ previsto il monitoraggio/valutazione sul servizio offerto?
Sì
No
Altro (specificare)
Se sì, chi lo effettua?
Con quale frequenza?
Soggetti coinvolti
Indicare le persone coinvolte nella realizzazione dell’accoglienza e precisarne anche il ruolo.
Soggetto
Ruolo
Titolo di studio e/o esperienze nel settore
Sede
Indicare lo stato, la regione e il comune nei quali si realizza l’accoglienza
Stato
Regione
Comune
Quartiere
Altro (specificare)
Descrivere brevemente la sede in cui vengono accolti i minori.
La scelta della sede avviene anche in funzione della residenza della famiglia d’origine?
Sì
No
Altro (specificare):
Indicare la proprietà della sede del servizio.
Di proprietà
In comodato
In affitto
Altro (specificare):
Indicare le fonti di finanziamento.
55
Indicare se esiste uno statuto, un regolamento o carta dei servizi (eventualmente allegare).
Sì
No
Altro (specificare):
Descrizione del servizio di accoglienza
Numero complessivo degli adulti impegnati nel servizio, con funzioni educative:
di cui
Donne
Uomini
Quanti di questi risiedono stabilmente nella sede?
Quanti di questi vivono stabilmente in coppia all’interno della sede?
Quanti di questi vengono remunerati?
Ci sono volontari non remunerati che stabilmente risiedono nella sede?
Sì
No
Altro (specificare)
Ci sono volontari non remunerati che risiedono all’esterno?
Sì
No
Altro (specificare)
I volontari operano a titolo personale o aderiscono ad un’associazione?
La struttura si avvale di operatori non residenti con specifici profili professionali?
Sì
No
Altro (specificare)
Di questi, specificare:
Donne (numero)
Profilo professionale di ciascuna
Uomini (numero)
Profilo professionale di ciascuno
È previsto facilitatore esterno che aiuti il gruppo di operatori e/o dei volontari?
Sì
No
Altro (specificare)
56
Per i volontari sono previsti rimborsi spesa?
Sì
No
Altro (specificare)
Vengono fatte delle valutazioni preliminari sulla possibile durata della permanenza?
Sì
No
Altro (specificare)
Esistono limiti massimi di permanenza?
Sì
No
Altro (specificare)
Se sì, quali?
Esistono relazioni stabili dei minori con le figure adulte di riferimento?
(specificare)
La struttura/realtà di accoglienza è integrata con il contesto territoriale di riferimento?
(specificare)
Documentazione
Eventuali link utili sull’esperienza descritta:
http://www.
http://www.
http://www.
http://www.
http://www.
http://www.
Descrivere gli elementi che si ritengono più qualificanti e innovativi per la segnalazione
dell’esperienza sotto il profilo dell’accoglienza di minori.
57
Eventuali osservazioni aggiuntive utili a descrivere meglio la realtà considerata.
58