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Anno XXXIV, n. 2
RIVISTA DI STUDI ITALIANI
Agosto 2016
RECENSIONI
FRANCESCO CIABATTONI
LA CITAZIONE È SINTOMO D’AMORE.
CANTAUTORI ITALIANI E MEMORIA LETTERARIA
Roma: Carocci, 2016. 163 pp.
ALBERTO COMPARINI
Stanford University
L
a citazione è sintomo d’amore è uno studio della ‘canzone d’autore’, “un
sotto-genere di popular music” che Francesco Ciabattoni legge attraverso
gli strumenti della critica letteraria “per far emergere il rapporto con i
testi letterari di alcune canzoni di sei cantautori “storici” attivi dagli anni
Sessanta ad oggi” (p. 12): Roberto Vecchioni, Francesco Guccini, Angelo
Branduardi, Fabrizio De André, Francesco De Gregori, Claudio Baglioni.
La radiografia testuale del volume poggia su due categorie interpretative:
l’intertestualità e l’allusione. Sulla falsariga delle ricerche di Gian Biagio Conte
e Alessandro Barchiesi per la poesia classica, l’Autore mira a indagare le “fonti
dei testi che sono oggetto della presente analisi” (p. 24). Rispetto ad altri studi,
come quelli di Alessandro Carrera e Riccardo Redivo, La citazione è sintomo
d’amore cerca di addentrarsi con uno sguardo filologico ed estetico nella foresta
semiotica della musica italiana, riscoprendone le forme di continuità e
discontinuità con la letteratura (italiana, straniera e classica), così come i
travestimenti, o, per dirla con Genette, i ‘palinsesti’ che caratterizzano il
“rapporto dei cantautori con la poesia e con i poeti” (p. 23).
Il libro si apre con un’analisi delle “memorie e reminiscenze classiche” (p.
27) nei testi di Roberto Vecchioni (pp. 27-35). Evocazione, ripresa
intertestuale, citazione – una tecnica che Ciabattoni definisce “onomastica” –
sono alcuni dei meccanismi individuati dall’Autore nell’opera del cantautore.
Tale lettura non rimane ancorata al mondo greco-latino, come spesso si è fatto
negli studi su Vecchioni, ma si allarga altresì alla poesia italiana del Novecento:
celebri sono le citazioni da Sandro Penna e da Giovanni Pascoli in Samarcanda
(1977), oppure la ripresa del sistema finzionale, per quanto riguarda la figura
del personaggio-autore, di Fernando Pessoa (Le lettere d’amore); “non vi è
mimesi”, spiega Ciabattoni, “non vi è sorpresa, il gioco delle allusioni è tutto
alla luce del sole” (p. 35).
Diverso è l’afflato poetico di Francesco Guccini (pp. 37-48), il quale, fin
dalla sua prima raccolta, Folk beat n.1 (1967), cerca di coniugare il “folk
italiano con il blues, l’introspezione intimista con l’impegno sociale, la politica
con la poesia” (p. 37). Riprendendo lo studio di Alberto Bertoni, l’Autore
approfondisce il rapporto tra Guccini e Kerouac, focalizzandosi sulla
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“dimensione spaziale di On the Road”: “l’America vissuta come avventurosa
terra di frontiera e anelito di libertà” (p. 38). Meno discussa ma decisamente
altrettanto importante è la presenza del “discorso generazionale ed esistenziale”
(p. 39), scevro però di ogni cifra cristiana e declinato lungo gli orizzonti eticosociali “dei campi di sterminio e dell’odio raziale” (p. 40), da una parte, e
dell’Urlo di Allen Ginsberg, dall’altra, che Guccini chiaramente riprende in Dio
è morto. Altri rimandi alla cultura americana sono avvertibili in La collina
(Salinger) e in Un altro giorno è andato (Simon&Garfunkel). Non mancano
ovviamente riferimenti alla letteratura italiana: celebri sono la funzioneGozzano nell’Isola non trovata – che per il poeta italiano “esiste,
indubbiamente, mentre nella canzone di Guccini è un miraggio sfuggente che
non si può raggiungere in quanto “Nessuno sa se c’è davvero” (p. 43) – e il
gioco intertestuale tra Radici e Questo muro di Franco Fortini; infine, sebbene
brevemente discusso, Ciabattoni rimarca che “Guccini spesso sfrutta, come
Vecchioni, la citazione letteraria lasciando risaltare i bordi dell’innesto testuale
perché i versi mutati siano riconoscibili” (p. 46), come accade in Odysseus, una
canzone ricca di citazioni e allusioni ai versi di Omero, Dante, Foscolo e
Leopardi.
Il terzo capitolo è dedicato ad Angelo Branduardi (pp. 49-67), la cui musica
è pervasa dai versi dei “Minnäsanger e dei trovatori” (p. 49). La tecnica
compositiva di Branduardi, nota l’Autore, “differisce da quelle già osservate
per Vecchioni e Guccini, perché non consiste nell’inserire un verso celebre o il
nome di un protagonista letterario nelle proprie canzoni, cosa che pure
occasionalmente fa”: “[egli] va oltre e si appropria spesso di un intero testo
(talvolta del testo musicale) traducendolo o adattandolo alle proprie esigenze
artistiche” (p. 50). Branduardi attinge copiosamente da vocabolari e repertori
musicali di vario genere: testi medievali, antiche ballate inglesi e scozzesi,
racconti bretoni, culture native americane e addirittura da storie cinesi;
attraverso queste riprese, Branduardi cerca di “incorporare e trasformare il
punto di partenza in oggetto nuovo e diverso”, in modo tale da intrattenere un
dialogo (in)direttto con la tradizione musicale-letteraria e salvaguardarne la
storia.
Fabrizio De André (pp. 69-92) rappresenta un caso simile a quello di
Branduardi, sebbene più complesso: “talvolta è un gioco di nascondino, un
lavoro di segugio, il seguire le tracce di un verso, di un frammento di testo che
fa il suo giro attraverso il globo e, su ali fatte di pagine, attraversa oceani, passa
da un idioma linguistico ad un altro e approda su un nuovo foglio,
germogliandovi e dando vita ad un testo nuovo e originale” (p. 70). L’analisi
parte da ciò che Antoine Compagnon chiama soulignement, ‘sottolineatura’:
“[ciò] costituisce la prova preliminare della citazione, la linea tratteggiata lungo
la quale si opererà il découpage” (p. 70). Rispetto ad altri cantautori, De André
usa spesso testi in prosa, come La provincia dell’uomo di Elias Canetti, che “ha
fornito ispirazioni proprio per Khorakhané” (p. 74). Più note sono le “libere
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frequentazioni della letteratura colta e popolare del Medioevo e del
Rinascimento” (p. 75), un tema recentemente indagato da studiosi di lettere
classiche, umanistiche e moderne quali Francesco Stella e Stefano Carrai
durante un convegno intitolato Il Medioevo di Fabrizio De André (16 ottobre
2010, Siena); oppure altrettanto note sono le traduzioni dal francese: le Passanti
di Georges Brassens, Valzer per un amore di Pierre de Ronsard o La ballade
des pendus di François Villon. “Sia come sia”, scrive Ciabattoni, “nei testi di
De André si trova talvolta una stratificazione di rimandi e allusioni che si fonde
con l’invenzione poetica per generare un testo che è un pastiche letterario” (p.
82); la risultante di questi rapporti diretti e indiretti produce un sistema lirico
che “consiste in una mimesi più profonda del sotto-testo. Con questa strategia
il cantautore fa convivere nelle proprie creazioni le voci poetiche di molteplici
scrittori mentre le amalgama nella sua voce” (p. 92).
Cantautore ermetico, Francesco De Gregori (pp. 93-110) “presenta
evocazioni e rimandi letterari difficilmente percettibili a occhio nudo, ma
talvolta di grande rilevanza per il significato della canzone” (p. 93). Si pensi ad
esempio ad Alice non sa, il cui “Cesare perduto nella pioggia / sta aspettando
da sei ore / il suo amore ballerina” non è altro che Cesare Pavese, che, come
ricorda il non sempre affidabile Davide Lajolo nella sua biografia pavesiana (Il
“vizio assurdo”. Storia di Cesare Pavese, Milano, il Saggiatore, 1960), si
innamorò di una “cantante ballerina del caffè-concerto La Meridiana di Torino”
(p. 93). A Pavese si potrebbero aggiungere anche i nomi di Franz Kafka, Hans
Enzensberger, Raymond Craver, Max Klinger e di molti altri ancora: la loro
compresenza fa parte di una “scrittura di anastomosi, cioè un travaso di materia
testuale: citazioni, prestiti e clusters di parole riaffiorano in una canzone,
provenienti da una poesia, un romanzo, un racconto. […] De Gregori preferisce
cucire frammenti meno riconoscibili nel tessuto di una lirica originale, senza
lasciare strutture evidenti, amalgamando il frammento d’autore nel mare
testuale della sua lirica” (p. 110).
Claudio Baglioni (pp. 111-141), ultimo cantautore della rassegna critica di
Ciabattoni, utilizza una tecnica simile a quella di De Gregori, cioè un “tipo di
scrittura à collage […]: il materiale testuale innestato si mescola così
naturalmente al testo della canzone da produrre un significato originale che
ingloba e comprende in sé i testi d’origine senza mostrare linee di sutura” (p.
111). Il debito, biografico e intellettuale, nei confronti di Pasolini occupa buona
parte della lirica di Baglioni: “gli stessi palazzi, cortili, cantieri, insomma, la
stessa tipografia in fieri, mutante e straniante delle opere di Pasolini” (p. 117)
albergano nei testi Baglioni, a tal punto che Le ceneri di Gramsci diventano
parte integrante, quasi parole biologiche, del discorso lirico del cantautore;
tuttavia, “mentre Pasolini, sia nel poemetto sia nei romanzi, chiude la via a
qualunque possibilità di uscita dalla condizione di miseria e desolazione,
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Baglioni propone almeno uno spiraglio di luce, nella formulazione desiderativa
dei suoi pensieri” (p. 121). Ovviamente non esiste solo Pasolini in Baglioni:
Elsa Morante, Mario Luzi e Gabriel Garcia Márquez ritornano, con tutta la loro
vena ideologica, civile e politica, nella “vita dei disagiati, nella Roma del
dopoguerra” (p. 123) che Baglioni descrive nelle sue canzoni, come possiamo
notare in Notte di note o Vita è adesso.
Alcune considerazioni finali. Il libro di Ciabattoni è sicuramente frutto di
uno studio attendo del testo, lirico e letterario, e di un’attenzione filologica che
non rimane chiusa nei confini della citazione, ma che aspira a tradurne ed
esprimerne la componente estetica. Inoltre, la discografia e la bibliografia che
chiudono il saggio sono di grande utilità. Ciò che forse manca a La citazione è
sintomo d’amore è un impianto teorico – che nell’introduzione l’autore sembra
suggerire, richiamandosi in particolare a Compagnano – entro il quale inserire
il discorso critico di Ciabattoni: una volta individuate le fonti e riconosciuti certi
auctores, cosa possiamo dedurre? Sono semplici tessere intertestuali o fanno
parte di un discorso ermeneutico più ampio? L’analisi, come nel caso di
Baglioni o De Gregori, è ricondotta, a motivi e temi (spesso civili e politici),
ma non sembra andare oltre a questa sfera, lasciando (forse) al lettoreascoltatore il compito di associare un valore interpretativo alle citazioni e alle
allusioni dei cantautori.
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