indagine sui siti militari nel lazio e riconversione dell

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indagine sui siti militari nel lazio e riconversione dell
INDAGINE SUI SITI MILITARI NEL LAZIO E
RICONVERSIONE DELL’INDUSTRIA
MILITARE
CON IL CONTRIBUTO DELLA REGIONE LAZIO
DIREZIONE REGIONALE ISTITUZIONALE ED EE.LL. – SICUREZZA
INDICE
INTRODUZIONE..................................................................................................................... 4
L’INDUSTRIA MILITARE: L’ITALIA E IL LAZIO ........................................................ 6
L’INDUSTRIA MILITARE IN ITALIA.................................................................................................. 10
IMPRESE MILITARI E OCCUPAZIONE................................................................................................. 13
L’ITALIA COME PRODUTTORE DI SISTEMI D’ARMA............................................................................ 14
L’ITALIA COME ESPORTATRICE DI ARMI..........................................................................................16
IL BEL PAESE "ARMATO" ALLA CONQUISTA DEL MERCATO MONDIALE.............................................. 19
INDUSTRIA MILITARE NEL LAZIO................................................................................................... 22
LA PRESENZA MILITARE NEL LAZIO.......................................................................... 27
INFRASTRUTTURE E SITI MILITARI................................................................................................... 27
LE 8 PAGINE SUCCESSIVE, LASCIATE IN BIANCO, CONTENEVANO IN ORIGINE L’
ELENCO INFRASTRUTTURE DELLA DIFESA NELLA REGIONE LAZIO INVIATOCI
DAL MINISTERO DELLA DIFESA CON UNA TRASMISSIONE VIA FAX. .................. 33
PER EVITARE CHE IL DOCUMENTO PDF DELLA RICERCA RAGGIUNGESSE UN
PESO ECCESSIVO (CON CONSEGUENTI DIFFICOLTÀ PER CHI LO AVESSE
SCARICATO) SI È DECISO DI CREARE UN FILE SPECIFICO CON LA LISTA
COMPLETA DEI SITI MILITARI DEL LAZIO.................................................................... 33
Servitù militari.......................................................................................................................... 40
IL QUADRO LEGISLATIVO E LE PROPOSTE DI LEGGE: DALLA 185/90 ALLE
PROPOSTE PER LA REGIONE LAZIO............................................................................ 44
L.185/90.................................................................................................................................... 44
KONVER...................................................................................................................................... 44
LOMBARDIA: LA LEGGE REGIONALE E LA SUA APPLICAZIONE............................................................ 47
LA PROPOSTA DI LEGGE NAZIONALE................................................................................................57
PROPOSTA DI LEGGE PER LA REGIONE LAZIO.................................................................................. 63
LE PRATICHE DI RICONVERSIONE: INSEGNAMENTI PER IL LAZIO................ 66
L’ESPERIENZA INGLESE................................................................................................................. 66
LA RICONVERSIONE, IN ITALIA, NASCE IN VAL SUSA........................................................................ 67
LA VALSELLA.............................................................................................................................. 69
IL CASO DI LA SPEZIA ................................................................................................................. 76
GLI OSTACOLI INCONTRATI DALLA RICONVERSIONE IN ITALIA: IL CASO ALENIA .................................77
PERCHÉ RICONVERTIRE................................................................................................. 80
COME RICONVERTIRE E QUALI COMPONENTI COINVOLGERE............................................................... 85
LE IMPRESE MILITARI................................................................................................................... 85
I LAVORATORI ED IL SINDACATO..................................................................................................... 86
SCIENZIATI, TECNICI ED ESPERTI.................................................................................................... 88
I MOVIMENTI PER LA PACE ED IL DISARMO E LA SOCIETÀ CIVILE........................................................ 89
GLI ENTI LOCALI.......................................................................................................................... 89
LA RICONVERSIONE DEI DISTRETTI INDUSTRIALI............................................................................... 90
RICONVERSIONE OGGI: UN’ANALISI ECONOMICA...............................................................................91
RICONVERSIONE OGGI: UN’ANALISI SOCIO-POLITICA......................................................................... 96
2
CONCLUSIONI...................................................................................................................... 99
BIBLIOGRAFIA................................................................................................................... 101
SITOGRAFIA............................................................................................................................... 114
APPENDICE......................................................................................................................... 118
3
INTRODUZIONE
Questo rapporto di ricerca –finanziato dalla Regione Lazio– ha diversi scopi. Innanzitutto
intende approfondire la conoscenza della situazione nel Lazio dell’industria militare, delle
servitù e dei siti militari esistenti. Vuole poi dare uno scenario delle possibilità della
riconversione civile dell’industria militare e di una riappropriazione del territorio per usi
civili, sociali ed ambientali.
Vi è comunque una precondizione, quella della conoscenza e della trasparenza dei dati. Infatti
la stessa Regione sembra sprovvista dei dati completi e il Ministero della Difesa con molta
difficoltà e reticenza sembra disponibile a condividerli, pur non essendo coperti da alcun
segreto militare o di stato. Il valore più importante di questa ricerca –speriamo– è quella di
fornire dati che non si conoscono e che nemmeno gli “addetti ai lavori” nelle istituzioni
regionali riescono a raggiungere e a conoscere.
In questi anni molti enti locali (i comuni) ed organizzazioni della società civile (associazioni
pacifiste, campagne per il disarmo, comitati locali, sindacati, ecc.) hanno provato ad ottenere
una maggiore trasparenza, ponendo il problema dell’accesso ai dati e della partecipazione
democratica al governo del territorio e alla destinazione d’uso di aree di interesse collettivo
per la comunità. Con il passare degli anni –e con il maturare di una sempre maggiore
coscienza della necessità del disarmo e della pace– si sono avanzate proposte per la
riconversione civile dell’industria militare (anche con leggi ad hoc e programmi specifici di
politica industriale) e per un diverso utilizzo di aree destinate sin qui ad usi militari.
Il Lazio –come si vedrà dai dati della ricerca- risulta particolarmente oberato dalla presenza
militare. Per quanto riguarda gli edifici e le aree usate a scopi militari si tratterebbe –in epoca
di dismissioni– di evitare la vendita ai privati, o comunque la destinazione ad uso privatistico,
di questi edifici (come le caserme) o aree (come i poligoni). Per quanto riguarda la presenza
dell’industria militare (che garantisce un buon business ai proprietari, ma sempre meno
occupazione), si tratterebbe di riutilizzare la tecnologia per scopi e produzioni civili: dalle
telecomunicazioni ai vettori aerei, dalla radaristica alla microelettronica, dalle produzioni di
macchinari di precisione (laser, ecc.) per il settore sanitario al genio civile.
4
Per questo serve una legge regionale che regolamenti (e dia incentivi, sostegni, ecc.) il
passaggio dal militare al civile, sia nel campo della produzione militare che nell’uso del
territorio. Ecco perché il rapporto di ricerca si sofferma anche sulle buone esperienze
realizzate in questi anni in altre regioni ed in altri paesi europei e spera che siano d stimolo
per iniziative analoghe in regione. L’iniziativa spetta ora al governo e ai legislatori regionali e
naturalmente alle organizzazioni della società civile (che nel Lazio hanno dato un grande
contributo alle iniziative per la riduzione della spesa militare e contro la proliferazione del
commercio e dell’uso delle armi leggere) e che devono impegnarsi affinché ciò avvenga al più
presto.
Si deve dare un ringraziamento particolare al Sen. Gianpaolo Silvestri e alla Sen. Silvana Pisa
che –facendone richiesta ripetuta al Ministero della Difesa– hanno permesso la raccolta di
molti dati raccolti in questo rapporto e poi ringraziamenti particolari vanno –per il contributo
alla stesura del rapporto o per suggerimenti e informazioni fornite– anche a Sergio Andreis,
Elisabetta Segre, Gianni Alioti, Mario Pianta, Vincenzo Comito, Giulio Marcon, Riccardo
Troisi, Francesco Martone.
Il rapporto è stato coordinato da Tommaso Rondinella con l’apporto e la stesura di Federico
Ridolfi.
Il rapporto è stato chiuso nel dicembre 2006.
Lunaria, Via Buonarroti 39, 00185 Roma, www.lunaria.org [email protected] Tel. 06 8841880 Tel. 06
8841859
5
L’INDUSTRIA MILITARE: L’ITALIA E IL LAZIO
Lo scenario europeo e internazionale
Le armi, gli strumenti delle politiche di difesa, andrebbero considerati non semplicemente
delle questioni “tecniche” per gli addetti ai lavori, ma dei temi di interesse generale, visto che
la difesa e la sicurezza riguardano ormai la vita di tutti i cittadini. Le armi sono strumento,
spesso, di guerre, di oppressione, di violazione dei diritti umani e non sempre strumenti di
“difesa” e di sicurezza. Basta guardare quanto il commercio delle armi va ad alimentare
guerre locali, violenze e violazioni dei diritti delle persone. E lo stesso territorio viene ad
essere militarizzato e spesso reso “invisibile” ai suoi cittadini. Questo in particolare per
l’Italia, dove il ricorso al segreto militare e al segreto di stato ha spesso reso impossibile
l’accesso alle informazioni ed un normale dibattito democratico sulle produzioni militari e
sull’uso del territorio a fini militari.
Dalla seconda metà del ‘900 la natura delle guerre è cambiata1. Le guerre sono sempre più
asimmetriche, locali e periferiche, contro la società: le vittime sono soprattutto i civili2 .
Hanno affermato Marcon e Pianta che le nuove guerre “sono guerre contro le società… Non
sono più guerre tra Stati e d eserciti e producono soprattutto vittime civili, rifugiati, violazioni
dei diritti umani… Sono guerre periferiche, conflitti che non interessano le aree centrali
dell’Europa… si tratta si conflitti che vanno tenuti lontano…In terzo luogo le guerre hanno
natura asimmetrica”, che coinvolgono cioè soggetti diversi: eserciti e bande militari, alleanze
internazionali e terroristi, Stati e territori autogovernati, ecc.3
Anche per questo motivo le informazioni sulla spesa militare, la produzione e il commercio
degli armamenti dovrebbero essere accessibili e in forma completa a tutti coloro che le
richiedono. Non è così. Il “militare” sembra sottratto ad una normale legge di trasparenza e di
democrazia. Questo a maggior ragione dopo la fine della “guerra fredda” e dopo la fine della
corsa al riarmo del secondo dopoguerra non avrebbe ragione di esistere. Eppure purtroppo,
1
M.KALDOR. New and Old Wars: Organised Violence in a Global Era. New edition with new foreword, 2001.
Polity Press/Stanford University Press, 1999.
2
G. MARCON, M. PIANTA, La dinamica del pacifismo. In: Parole Chiave, “Guerra”, Roma, Donzelli Editore,
n° 20/21, 1999.
3
Ibidem, pp. 305-306.
6
con le guerre di inizio di questo millennio, le cose sono andate in un’altra direzione: più
guerre, più soldi per le armi, meno informazioni sulla loro produzione, il commercio e la
destinazione.
Cos’è, innanzitutto, l’industria della difesa ? Le forze armate acquistano una varietà molto
ampia di prodotti, alcuni sviluppati specificamente per scopi militari, sempre di più che
possono essere usati sia in ambito militare che civile, che includono anche le tecnologie a
doppio uso, o duali, dove il confine fra militare e civile, specie nel campo dell’elettronica, è
sempre più difficile da definire. A complicare la situazione è da rilevare che le imprese che
forniscono beni e servizi a scopi militari non sono riconosciute come un settore industriale
definito nemmeno in codici di classificazione standard come, ad esempio, l’International
Standard Industrial Classifications. Fino alla fine del secolo scorso gran parte della
produzione militare era gestita e controllata da governi nazionali. Negli anni 90 un’ondata di
privatizzazioni ha interessato anche la produzione militare nell’Europa occidentale e orientale
e in America Latina. Negli Usa, in Germania e nel Regno Unito la produzione bellica era
essenzialmente in mani private già dagli anni 80. Quali sono i rapporti oggi fra nuovi
proprietari e manager dell’industria militare europea e i governi e i parlamenti che, in teoria,
dovrebbero fare le scelte? Qual è il ruolo dell’industria nella formulazione delle politiche
militari e nella conseguente produzione di armamenti?
Solo pochi governi europei forniscono informazioni complete4, su base regolare e in maniera
comprensibile al grande pubblico, sulla propria industria nazionale di armi. I singoli
produttori e le associazioni di categoria ancora meno. I governi francese e britannico
pubblicano annualmente statistiche sui rispettivi settori militari, ma non dati sugli sviluppi
delle politiche industriali del settore, l’Annuaire statistique de la defense, dal 1999, e le Uk
Defence Statistics, dal 1992. Dal 1998 il ministero spagnolo della difesa pubblica
La
industria de defensa en España, un rapporto annuale sullo stato dell’industria nazionale della
difesa, mentre il ministero svedese degli esteri fornisce un quadro della propria industria
nazionale degli armamenti nella relazione annuale al Parlamento sulle esportazione di armi
svedesi. Informazioni più limitate sono fornite in una relazione simile dal ministero
dell’economia olandese. Il Governo italiano ha commissionato uno studio sul comparto
bellico nazionale negli anni Novanta in occasione della revisione delle strategie militari
nazionali e, dopo l’approvazione della legge 185/90, fornisce al Parlamento una relazione
4
http://www.sipri.org/contents/milap/milex/aprod/transparency.html
7
annuale sul commercio italiano di armamenti. A livello Ue dal 1999, sulla base del Codice di
condotta Ue per le esportazioni di armamenti, approvato nel 1998, ma tuttora giuridicamente
non vincolante, l’Unione europea pubblica dati aggregati, forniti dai governi nazionali, sulle
esportazioni.
Oltre alla quantità anche la qualità dell’informazione disponibile in Europa sull’industria, la
produzione, il commercio e le strategie industriali militari, resta, in generale, molto limitata e
del tutto inadeguata dal punto di vista della verifica, con definizioni e indicatori nazionali
diversi per le stesse forniture militari o a doppio uso uguali e l’estrema difficoltà nella
comparabilità dei dati.5
Figura 1 Ricavi delle principali industrie militari nel mondo (miliardi di dollari)
50.5
Boeing
34.3
EADS
30
Lockheed Martin
20.6
Bae System
18.7
Northrop Grumman
16.9
Raytheon
12.8
General Dynamics
12.1
Thales
7.1
Finmeccanica
4.1
Dassault
0
10
20
30
40
50
60
Fonte: Dati pubblicati su www.IAI.it, Economia e Industria della Difesa, Tabelle e Grafici, a cura di Giovanni
Gasaprini.
Quali sono le principali dinamiche del comparto?
Negli ultimi venti anni l’industria bellica mondiale ha conosciuto un forte processo di
concentrazione. Nel 1990 le prime 5 compagnie del mondo vendevano il 22% del totale delle
5
Sbilanciamoci!, Economia a Mano Armata, Roma, 2006.
8
armi vendute; nel 2000 le stesse cinque totalizzavano il 42%. Guardando alle prime 10, nello
stesso lasso di tempo, si è passati dal 37% al 58%.
Tra i giganti della produzione (Figura 1) troviamo molti nomi noti come la Boeing, la
Mitsubishi e la Rolls Royce, industrie manifatturiere che affiancano alla produzione civile con
la produzione di parti importanti di sistemi d’arma. Le prime tre del mondo sono statunitensi,
la quarta britannica. Tra le prime dieci, sei hanno sede negli Usa, una è britannica, una
francese, una è un consorzio europeo. La nona impresa produttrice d’armi del mondo è
Finmeccanica, gruppo italiano a partecipazione statale (il Ministero dell’Economia detiene un
terzo del capitale).
Mentre la tendenza alla concentrazione è stata particolarmente pronunciata negli Stati Uniti,
nell’Europa Occidentale il processo di concentrazione è stato più lento perché nella maggior
parte dei paesi ha raggiunto i propri limiti nazionali, ed il consolidamento trans-nazionale ha
incontrato una serie di ostacoli, tra cui le differenze nelle caratteristiche degli armamenti
richiesti dalle varie nazioni, la disomogeneità delle normative che regolano il commercio delle
armi, che portano ad una frammentazione della produzione d’armi europea.
Nonostante si registrino delle differenze a scala regionale, la direzione della ristrutturazione
dell’industria bellica degli ultimi anni è guidata dai recenti sviluppi nell’applicazione della
tecnologia militare e delle previsioni delle tendenze future in queste aree. Mentre in alcuni
settori la ristrutturazione è dettata dalla necessità di adeguarsi ad un livello inferiore della
domanda, come l’industria navale europea, le pressioni di riduzione e razionalizzazione non
sono più predominanti nel processo di ristrutturazione. Le acquisizioni e le strategie societarie
sono sempre più guidate dal desiderio di ottenere capacità nei settori emergenti, come
l’elettronica, le comunicazioni, la tecnologia informatica ed i servizi. L’industria bellica
dell’Europa
Occidentale
ha
subito
una
trasformazione
considerevole
e
l’internazionalizzazione è stato l’elemento dominante di questa trasformazione il cui sviluppo
è stato problematico ed irregolare. Un mix di collaborazione internazionale d’armi, jontventures e acquisizione oltre confine, decisioni politiche governative e intergovernative, ha
cambiato la struttura dell’industria bellica europea da un gran numero di piccole società
distinte, soprattutto per il rifornimento nazionale, a un’industria dominata da poche società
(BAE SYSTEMS, EADS e THALES e FINMECCANICA). 6
6
Fonte: Alberto Domi, Le spese militari in Italia tra il 1995 ed il 2004, 2005, Tesi di Laurea.
9
L’industria militare in Italia
In questo contesto, l’industria italiana del comparto ha continuato a perseguire una crescente
internalizzazione delle attività per essere in grado competere sui mercati maggiormente attivi.
In particolare le strategie industriali si sono concretizzate in operazioni finalizzate alla
razionalizzazione della struttura ed alla concentrazione in specifici settori. L’industria italiana
ha dato vita ad assetti transnazionali che la collocano ai primi posti a livello mondiale, in
particolare per quanto riguarda l’elettronica per la difesa, settore che ha tratto i vantaggi più
considerevoli dal connubio sicurezza/difesa, per l’importanza sempre maggiore dei sistemi
elettronici nei nuovi requisiti operativi. Di analoga importanza sono stati gli accordi stipulati
in ambito europeo nel settore spaziale, che hanno portato alla costituzione di società
congiunte, per la produzione dei sistemi e dei servizi satellitari, con dimensioni da leader a
livello europeo e con potenzialità espansive a livello globale. Sempre nell’ambito dello
spazio, l’industria italiana è presente nei consorzi, selezionati per l’assegnazione per la
gestione del sistema di navigazione satellitare europeo Galileo7. Nell’ambito di questo
progetto, è stata assegnata all’Italia la gestione di uno dei due centri di Controllo della
costellazione della missione e del Centro di Valutazione delle performance del nuovo sistema
di navigazione satellitare. Nell’aeronautica sono stati segnati accordi internazionali, in
particolare con la Russia, mentre per quanto riguarda gli armamenti di superficie, l’industria
italiana rimane di riferimento per alcune nicchie di prodotto come i veicoli militari, i cannoni
navali di medio calibro e relativo munizionamento e nelle torrette per i veicoli blindati. Nella
cantieristica navale, il segmento militare è in grado di coprire buona parte delle possibili
richieste di mercato: da unità di pattugliamento a navi portaeromobili fino ai sommergibili.
Protagonista assoluta di queste periodo di profondo cambiamento è stata senza dubbio
Finmeccanica, nell’arco di relativamente pochi anni ha assorbito nel Gruppo gran parte del
comparto italiano diventando protagonista in Europa e nel mondo.
Ai fini dell’analisi del comparto laziale, di cui ci occuperemo nel dettaglio nel prossimo
paragrafo, è interessante ricostruire alcuni degli ultimi passi che hanno portato alla nascita di
questo colosso, considerato che molte delle aziende di cui parleremo in seguito appartengono
a questo gruppo.
7
Fonte: Relazione sulle operazioni realizzate o svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito
dei materiali di armamento nonché dell’esportazione e del transito di prodotti ad alta tecnologia (anno 2005)
10
Tabella .1 Fatturato in milioni di euro delle principali industrie italiane (in neretto le imprese con
stabilimenti in Lazio).
Finmeccanica
Fincantieri
Avio*
AMS SpA*
Augusta Group*
Alenia Aeronautica*
Selenia Comm.*
Alenia Spazio*
Galileo Avionica*
MBDA Italia*
OTO Melara*
Iveco Fiat DVD
Vitrociset
Aermacchi*
Elettronica
WASS*
Simmel Difesa
Difesa
4690
504
493
876
579
627
468
35
490
350
332
209
63
110
124
115
54
Totale
8274
2343
1272
1200
994
951
571
536
521
350
332
209
200
171
124
115
54
11
Fonte: Dati pubblicati su www.IAI.it, Economia e Industria della Difesa, Tabelle e Grafici, a cura di Giovanni Gasparini.
Tabella .2 Le prime 10 imprese italiane esportatrici di armamenti
Autorizzazioni alle esportazioni
% sul totale
(milioni di euro)
178
13.13%
Augusta SpA
166
12.21%
Galileo Avionica SpA
146
10.78%
Oto Melara SpA
130
9.59%
Iveco SpA
116
8.56%
Whitehead Alenia Sistemi Subacquei SpA (WASS)
100
7.39%
Alenia Arenautica SpA
80
5.89%
Selex Communications SpA
77
5.70%
Oerlikon-Contraves
76
5.60%
MBDA Italia SpA
70
5.18%
Avio SpA
Fonte: Relazione sulle operazioni realizzate o svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali
di armamento nonché dell’esportazione e del transito di prodotti ad alta tecnologia (anno 2005)
Negli ultimi anni il gruppo ha assorbito gran parte del comparto italiano e ha stabilito accordi con i più
importanti gruppi internazionali. Nel biennio 2002/2003 Finmeccanica ha acquisito Marconi Mobile
(ora Selenia Communications), Telespazio e il completo controllo di Aermacchi. Durante il 2004 nel
settore missilistico è stata definita una joint venture europea con la BAE Systems e la EADS che ha
dato vita alla MDBA, che ha stabilito il suo centro di Ricerca e Sviluppo proprio nel Lazio (cfr Tabella
3). Il 30 novembre 2004 ha acquisito una quota pari al 50% della joint venture elicotteristica
Augustawestland (anche questa con sede e stabilimenti nel Lazio) dalla britannica GKN. Infine a fine
aprile 2005 il Gruppo Finmeccanica è diventato il secondo gruppo in Europa e il sesto nel mondo
nell’elettronica per la difesa, attraverso l’acquisizione delle attività della BAE Systems. Nel dettaglio, è
stata creata una nuova società per le attività avioniche, la Selex Sensors and Airborne Systems SpA,
(75% Finmeccanica e 25 % BAE Systems); sono state trasferite a Finmeccanica le attività di BAE nelle
comunicazioni militari, confluite in Selex Communications, presente in Lazio con varie sedi, e sono
tornate sotto il controllo totale di Finmeccanica le attività italiane della joint venture AMS NV, con il
nome di Selex Sistemi Integrati SpA, anche questa con una forte presenza nel Lazio. Con le operazioni
EuroSystems e AgustaWestland, Finmeccanica diventa il secondo gruppo aerospaziale in Gran
Bretagna (con oltre 10.000 addetti), subito dopo BAE Systems.
A luglio 2005 Finmeccanica e Alcatel hanno sottoscritto l’accordo per un’alleanza nel settore spaziale
con la costituzione di due società: Alcatel Alenia Space (controllata al 67% da Alcatel e partecipata al
33% da Finmeccanica) attiva nella produzione di sistemi spaziali, satelliti e payload per applicazioni
12
civili e militari e Telespazio (controllata al 67% da Finmeccanica e al 33% da Alcatel) che raggrupperà
le attività operative e i servizi satellitari.
Infine Finmeccanica ha acquisito il controllo azionario di Datamat, società italiana attiva nel settore
dell’Information Technology con sede principale e 800 dipendenti proprio a Roma.
Questo quadro di intensa attività nel settore militare ci mostra come in questi anni Finmeccanica abbia
realizzato un percorso di conversione “alla rovescia” se così si può dire: le attività civili sul totale dei
ricavi del Gruppo sono passate, infatti, dal 33 per cento del periodo 2002-2003 al 18 per cento del 20042005 e sono destinate, nelle intenzioni del management, ad essere cedute. 8. Le scelte che si stanno
compiendo di dismissione di queste attività rispondono ad una esigenza di fare cassa per concentrare la
gestione sul “cuore degli affari” del Gruppo (attività militari), concentrare gli investimenti in ricerca e
sviluppo nel settore “aerospazio e difesa”, aumentare i profitti e rispondere alle aspettative del mercato
finanziario, che sembra riporre molte più speranze nella produzione e nel commercio di sistemi d’arma,
piuttosto che sulle necessità di innovare e riorganizzare in modo efficiente, sicuro e ambientalmente
sostenibile il sistema ferroviario e dei trasporti urbani, il modo di produrre e consumare energia, il
sistema di produrre e di gestire le attività industriali e di servizio.
Imprese militari e occupazione
Mentre risulta relativamente agevole trovare notizie sui “successi” di fatturato del comparto è molto
complicato riuscire a trovare informazioni sul numero di lavoratori addetti. Ciò che emerge da molti
studi è che, dopo un primo periodo di decrescita del settore nel suo complesso, successivo alla fine della
guerra fredda, la poderosa crescita di fatturato registrata negli ultimi anni, connessa al rilancio delle
spese militari in nome delle guerra al terrorismo, non abbia portato con sé un incremento dei rispettivi
livelli occupazionali.
Secondo i dati del rapporto annuale dell'Asd (AeroSpace and Defence Industries Association of
Europe9) nel 2004, in Europa, l'Industria aerospaziale e della Difesa occupava 601 mila persone con un
fatturato complessivo di 104 miliardi di euro (di cui il 50,5% nel militare e il 49,5% nel civile). Il 70%
di questo dato aggregato è costituito dall'industria aeronautica (37% militare e 63% civile), il 5%
dall'industria spaziale (13% militare e 87% civile) e il rimanente 25% dai sistemi di difesa navali e
terrestri (100% militare).
Mentre il fatturato, a valori costanti, negli ultimi 25 anni è raddoppiato, dal 1981 al 2004 l'industria
aerospaziale è passata da 579 mila a 445 mila occupati . Se analizziamo la parte militare del settore
(35,6% del fatturato), il risultato è sorprendente: i lavoratori sono passati da 382 mila a 158 mila (il 60%
8
9
Fonte: Scheda a cura di Gianni Alioti
AeroSpace and Defence Industries Association of Europe, ASD rapporto 2005.
13
in meno), mentre l'occupazione in campo civile è cresciuta da 197 mila a 287 mila (+ 45%). Anche nel
settore spazio, dai quasi 35 mila occupati del 2001, si è scesi ai circa 31 mila del 2004. Infine, mentre in
questo stesso anno il fatturato nel comparto dei sistemi di difesa navali e terrestri, legato interamente
alle commesse militari, è cresciuto in Europa del 3%, nello stesso periodo l'occupazione è scesa del
5,6%, passando da 165 mila a poco più di 155 mila persone.
Questo fenomeno è principalmente riconducibile a tre fattori: la costante crescita del fatturato per
addetto, un aumento dei costi unitari per sistema d’arma, i processi di fusione ristrutturazione e
innovazione tecnologica. 10
Per quanto riguarda l’Italia non sembra possibile ottenere un dato certo sui livelli occupazionali, ciò che
si può dire è che per quanto riguarda le sole imprese aderenti alla AIAD (Associazione Industrie per
l’Aerospazio e la Difesa) gli addetti si attestano sulle 50.000 unità. Bisogna considerare che è
praticamente impossibile conoscere i dati relativi alle piccole imprese dell’indotto con produzione duale
civile/difesa.
L’Italia come produttore di sistemi d’arma11
C’è un gruppo industriale italiano che riceve elogi dai quotidiani economici che contano, che cresce, si
internazionalizza. É, come si dice, un caso di successo. Eppure non è figlio del modello Nordest, non è
una media impresa localizzata sulla via Emilia capace di rispondere ai propri clienti in maniera
innovativa e flessibile. Niente di tutto questo, quel gruppo è Finmeccanica, nata nel 1948 su impulso
dell’Iri. Uno dei compiti primari di Finmeccanica (come recita la scheda sulla storia del gruppo sul suo
sito) era quello di facilitare la riconversione di un’industria semi distrutta dalla guerra e largamente
dipendente da commesse di guerra che, per fortuna, non arrivavano più. dell’industria bellica. “I
dirigenti di Finmeccanica riavviarono con compiti ridefiniti e con grandi risorse aziende importanti, che
sarebbero rimaste al centro dell’industria meccanica nei cinquant'anni successivi: Ansaldo, Alfa Romeo,
San Giorgio, Sant'Eustachio, Navalmeccanica, Cantieri Navali dell'Adriatico. L'attenzione si concentrò
su settori come cantieristica, automotoristico, ferroviario e macchinario industriale, con un occhio di
riguardo all'emergente elettronica. Il vincolo centrale era la preoccupazione per le ripercussioni
sociali”.12
La storia è lunga, molte cose cambiano, c’è un periodo d’oro e uno di crisi spaventosa. Oggi due terzi
del pacchetto azionario di Finmeccanica sono collocati sul mercato e un terzo è ancora di proprietà del
ministero del Tesoro. Uno dei gruppi italiani più grandi e di maggior successo, capace di rispondere alle
10
Armi e Industrie: La possibile riconversione a cura di Gianni Alioti.
tratto da: Sbilanciamoci!, Economia a mano armata 2006, Roma, 2006.
12
www.finmeccanica.it
11
14
sfide della globalizzazione (sempre come si dice), è quindi di proprietà pubblica. Naturalmente
Finmeccanica viene gestita con criteri di mercato, ma non c’è dubbio che tragga importanti benefici dal
fatto di avere tra i suoi azionisti il ministro italiano dell’economia. Presidenti del consiglio, ministri
della Difesa e altri ancora dedicano spesso qualche ora delle loro visite all’estero per piazzare prodotti
nostrani (in molti ricorderanno il famoso elicottero di Bush). Poi ci sono le commesse pubbliche e gli
accordi commerciali che arrivano grazie alle sinergie con altri Paesi e alla partecipazione dell’Italia a
progetti congiunti per la costruzione di sistemi d’arma. Finmeccanica non sarebbe nel progetto
Eurofighter se diversi Paesi europei non avessero deciso di costruire un caccia bombardiere assieme,
facendo partecipare i propri gruppi industriali e non ci avessero pompato soldi dentro. Per dare una
cifra, tra 2004 e 2005 il ministero della Difesa ha speso 3200 milioni di euro per l’ammodernamento di
mezzi e infrastrutture, è certo che una parte di quei soldi sono finiti nelle casse del secondo gruppo
industriale italiano.
Il caso di Finmeccanica, insomma, ci dice che l’economia pubblica, gestita in maniera dinamica e con
criteri di efficacia ed efficienza (e non è sempre stato così, specie nell’Italia delle clientele
democristiane), può essere competitiva, può reggere la competizione, può produrre e vendere merci ad
alto contenuto tecnologico. Il problema è che Finmeccanica produce armi e che quindi lo Stato italiano
ha tra i suoi gioielli di famiglia l’industria bellica. Questo caso dovrebbe però far ragionare sulla
possibilità di investire soldi pubblici in settori strategici e innovativi sui quali l’Italia è in ritardo senza
l’idea che farlo significhi necessariamente buttarli dalla finestra. Il caso Finmeccanica è
paradossalmente un segnale che c’è spazio per politiche industriali pubbliche. Se si scegliesse di
puntare sulle energie rinnovabili o su altri settori sui quali l’Italia è in terribile ritardo, investendo idee e
risorse, magari un giorno ci troveremmo con gioielli di famiglia meno imbarazzanti.
Oggi Finmeccanica è un gruppo che lavora nell’aeronautica, spazio, sistemi di difesa, elicotteristica,
energia ed elettronica per la difesa. I gruppi che la compongono sono l’Alenia, Officine Aeronavali, Atr
integrated, Aermacchi, Oto Melara, Wass, Mbda, Alcatel Alenia space, Telespazio, Ansaldo Breda,
Ansaldo trasporti e sistemi ferroviari, Ansaldo signal, Agusta Westland, Ansaldo energia, Selex, Elsag,
Elettronica, Orizzonte sistemi navali. Gli addetti sono più o meno 60mila, 40mila dei quali in Italia,
11mila in Gran Bretagna, 6mila in Francia, 1200 negli Stati Uniti.
Il valore della produzione è passato da 7758 milioni di euro nel 2002 a 9387 nel 2004, il portafoglio
ordini era di 21mila milioni nel 2002 ed ha raggiunto i 25mila nel 2004. Se si guarda all’elettronica per
la Difesa, Finmeccanica è il secondo gruppo europeo. Negli ultimi anni ha acquisito Aermacchi e
Agusta-Westland. Negli ultimi anni ha concluso accordi con la russa Sukhoi e la greca Hai, mentre è
saltato un grande accordo con i britannici della Bae (che ha scelto di puntare su alleanze statunitensi).
Da un punto di vista strategico, la scelta di non scambiare azioni con i britannici significa puntare
15
sull’Europa, in parziale contraddizione con la politica estera italiana, tradizionalmente legata all’asse
atlantico Washington Londra. Ma il problema di Finmeccanica è esportare, non fare politica estera. Nei
primi nove mesi del 2005 i risultati continuano ad essere ottimi: l’utile netto è pari a 180 milioni (contro
i 148 dello stesso periodo dell’anno precedente), i due settori che tirano di più sono l’aeronautica e i
sistemi di Difesa. Tra i prodotti dei vari comparti ci sono aerei da guerra, sistemi d’arma per navi, una
vasta gamma di missili e siluri (lo Storm shadow, il Meteor, il Teseo, l’Mk2 e tanti altri), cannoni e
mezzi corazzati (il Centauro).
L’Italia come esportatrice di armi13
Quando le armi si producono – e se ne producono tante – occorre pur venderle. E l’Italia vende. Nel
periodo 2000-2004 è stata l’undicesimo esportatore mondiale di armi convenzionali, mentre nel periodo
1999-2003 eravamo l’ottavo. Come abbiamo detto nel capitolo relativo ai trasferimenti mondiali di
armi, le differenze tra un anno e l’altro vanno relativizzate: basta una commessa importante da parte di
un esercito straniero e la posizione occupata da un Paese in questa poco onorevole classifica, cambia.
Svezia, Cina, Israele e Canada sono i nostri competitors, quelli che occupano le posizioni attorno alla
decima.
Per capire come va il nostro export dobbiamo affidarci al numero di autorizzazioni concesse. Poi, di
anno in anno, a seconda delle consegne effettuate a questo o quell’esercito, aumenterà il valore
dell’export di armi nella bilancia commerciale italiana. Nel 2004 il valore delle esportazioni autorizzate
è aumentato del 16%, arrivando a lambire la cifra di 1,5 miliardi di euro (esattamente 1.489.777.678
euro)14. L’anno precedente il valore era aumentato del 39,3% rispetto al 2002. Le operazioni autorizzate
sono state 948, contro le 828 dell’anno precedente. Da notare che, assieme al cibo e alla moda, quello
delle armi è un tipico prodotto Made in Italy per il quale la bilancia commerciale è largamente attiva: le
autorizzazioni alle importazioni per il 2004 ammontavano a 270 per un valore totale di 103 milioni di
euro.
Le due autorizzazioni più importanti, pari al 22% del totale, sono venute per esportazioni verso la
Norvegia e il Regno Unito. I più importanti esportatori di armi per il 2004 (diciamo per il 2004, in realtà
lo saranno per gli anni a venire), sono l’Agusta, la Mbda Italia, l’Alenia Marconi systems, la Oto
Melara, Fincantieri e Selenia communications, tutte imprese del gruppo Finmeccanica. L’88,8 del totale
del nostro export è andato a finire in Paesi Nato, mentre il 44,99% è partito verso membri dell’Unione
europea. Come sempre avviene, si sottolinea la parte buona dell’export, quella che va nei Paesi alleati,
13
Tratto da: Sbilanciamoci!, Economia a mano armata 2006, Roma, 2006.
Tutti i dati relativi all’export sono quelli ufficiali: Presidenza del Consiglio dei ministri, Relazione sulle esportazioni
autorizzate e svolte per il controllo delle esportazioni, importazione e transito dei materiali di armamento, nonché
dell’esportazione e del transito di prodotti ad alta tecnologia (anno 2004).
14
16
affidabili e sicuri. E’ bene ricordare che Paesi affidabili e sicuri come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti
hanno ammesso a metà novembre di aver usato proiettili al fosforo in Iraq. Se poi l’unico criterio è che
le armi che esportiamo non verranno usate per sparare contro italiani o per sostenere un invasione dello
stivale, allora possiamo stare tranquilli, un’invasione dell’Italia da parte di Londra non sembra essere
all’ordine del giorno. Quello che va ripetuto per l’ennesima volta è che una commessa importante da
parte di uno o due Paesi cambiano le classifiche e determinano il livello di sporcizia del nostro export di
armi. Nel 2003, ad esempio, l’area Ue-Nato occupava solo il 45% del totale.
L’export italiano di armi per regioni del mondo
Area geografica
Nato
Unione europea15
Asia
America Latina
Africa del Nord e Medio Oriente
Africa centrale e meridionale
Oceania
Valore in €
1.067.456.144
588.447.303
169.502.855
59.611.870
54.013.848
29.529.220
22.438.284
percentuale su totale
72%
39,5%
11%
4%
3%
1,9%
1,5%
I problemi vengono quando si scende un po’ nella classifica e si osserva chi sono i piccoli importatori di
armi italiane. Al settimo posto tra i Paesi importatori c’è la Malesia, che spende quasi 75 milioni di
euro, al decimo la Turchia (48 milioni) che è sì un Paese Nato, ma non è certo il regno dei diritti umani.
Poi, come spiega la relazione della presidenza del consiglio, a causa della distensione tra India e
Pakistan ci sono sviluppo più che positivi in quell’area e si è potuto allentare “il rigoroso regime
restrittivo adottato in passato”. Viva la pace in Kashmir che ci fa vendere più armi all’India e al
Pakistan. Tra le democrazie a cui vendiamo armi ci sono: quella yemenita, quella siriana, quella saudita,
la giordana e la cinese. E poi le Filippine, impegnate nella guerra senza quartiere con Abu Sayyaf
(ormai identificato come la local branch di al Qaida) o la Tunisia, che al vertice mondiale di novembre
sulla società dell’informazione non ha fatto entrare nel Paese i rappresentanti di Reporters Sans
Frontieres. Tra i Paesi a cui vendiamo armi ce ne sono diversi impegnati in quella che viene
comunemente chiamata guerra al terrorismo. E’ inutile sottolineare che in questa guerra ogni mezzo
sembra essere lecito e che, di conseguenza, le nostre armi vengono comunemente usate a prescindere
dal rispetto dei diritti umani. Un esempio concreto è di certo quanto succede nelle province remote del
Pakistan (ad esempio il Waziristan) dove si rifugiano gruppi di talebani e dove l’esercito pakistano non
usa proprio i guanti bianchi contro chiunque abbia a che fare con gli studenti di religione in fuga
dall’Afghanistan.
15
Ovviamente il totale di Nato ed Ue supera il 100% essendo quasi tutti i Paesi Ue anche membri della Nato.
17
Discorso a parte è quello della Cina. Da almeno due anni l’Italia viola l’embargo della vendita di armi
imposto dall’Unione europea nei confronti del gigante asiatico. É probabile e possibile che tale embargo
sia in qualche modo datato. Ma è altrettanto vero che l’idea di non vendere armi a Pechino non discende
dal possibile pericolo rappresentato da un esercito cinese troppo potente, quanto piuttosto dal problema
del rispetto dei diritti umani. Le proteste e rivolte, in Cina, nel 2004 hanno toccato un livello record e
nel 2005 le cose non sono andate meglio. La Cina è un mercato enorme e nessuno è intenzionato a
scontentare le sue autorità di Pechino spiegando loro che non si vendono armi a chi non rispetta i diritti
umani. E così il presidente Ciampi ha chiesto all’Europa di togliere l’embargo. Le imprese italiane, e il
ministero degli Esteri, che rilascia le autorizzazioni all’export, quell’embargo l’hanno già tolto. Essendo
entrato in vigore nel 1989, l’anno della repressione della rivolta studentesca di Tien An Men, prima
della nascita dell’Unione europea e della firma di trattati vincolanti, l’embargo non è obbligatorio. E
visto che i diritti umani sono una variabile minore, le imprese italiane lo violano già da tempo.
18
Il Bel Paese "armato" alla conquista del mercato mondiale16
Distratta dal clamore dei "mass media" sulle eventuali armi di distruzione di massa in possesso di
questo o quel dittatore di qualche “paese canaglia”, l’opinione pubblica sembra non rendersi conto che
la grande maggioranza delle vittime, anche civili, di tutte le guerre che hanno funestato gli ultimi
decenni è opera di armi estremamente convenzionali. Infatti la maggior parte di queste vittime è causa
delle “armi leggere”, una vera e propria guerra silenziosa che si combatte ogni anno e che secondo gli
ultimi dati produce circa 300.000 mila vittime. Secondo gli studi dell’Onu, tra il 1990 e il 2000 le sole
armi leggere hanno provocato nel mondo più di 5 milioni di morti – la metà dei quali bambini- e 2,5
milioni di disabili gravi.
Lo stesso Kofi Annan, segretario generale dell’Onu, ha dichiarato che «Le armi leggere sono armi di
distruzione di massa».
L’economia italiana è in crisi in molti settori ma non in quello della produzione delle armi leggere. Il
made in Italy "colpisce" anche nel settore delle armi leggere, essendo il secondo produttore al mondo di
armi di piccolo calibro. Un industria fiorente quella italiana, dove la sola provincia di Brescia (137
imprese) esporta il 31,9% del totale italiano -col resto della Lombardia si arriva quasi al 40%
dell’export nazionale. Tra le ultime commesse ottenute dalla capofila Beretta c’è la fornitura d’armi alla
polizia irachena. Inoltre possiamo vantare l’allestimento della rassegna di armi leggere “Exa”, terza al
mondo per ampiezza.
Una recente ricerca17 condotta da Archivio Disarmo si evidenzia come negli ultimi anni l’Italia abbia
esportato una grande quantità di armi di piccolo calibro ad uso civile e come un ammontare non certo
irrilevante di esse abbia raggiunto aree geografiche in cui sono frequenti gli episodi di violazione dei
diritti umani e in cui truppe armate e gruppi paramilitari e terroristici (vedi ritrovamento di pistole
Beretta 92s sequestrate ad appartenenti ai gruppi terroristici in Iraq) minacciano la stabilità regionale,
coinvolgendo civili e facendone spesso il bersaglio della violenza.
16
17
Tratto da: Sbilanciamoci!, Economia a mano armata 2006, Roma, 2006.
E. LAGRASTA, Le armi del Bel Paese. L’Italia e il commercio internazionale di armi leggere, Roma, Ediesse, 2005.
19
400.000.000
350.000.000
€
300.000.000
250.000.000
ESPORTAZIONI ITALIANE DI ARMI
CIVILI. Anni 1999 – 2003
Fonte Istat
355.450.642 321.997.043
279.698.661 305.762.491
305.985.892
200.000.000
150.000.000
100.000.000
50.000.000
0
1999
2000
2001
2002
2003
Anno
I dati dell’Istat attestano che tra il 1999 e il 2003 l’Italia ha esportato 1 miliardo e 568 milioni di euro di
armi civili, rappresentate da pistole, fucili, relative munizioni ed esplosivi. L’andamento annuo delle
vendite si aggira intorno ai 300 milioni di euro e risulta in leggero calo nel corso degli anni 2001-2003.
I principali acquirenti sono stati: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania, Grecia,
Turchia e Malaysia.
Di tutte le armi una quantità pari all’80% circa si è diretta verso paesi dell’orbita nord-occidentale,
mentre tra il restante 20% compaiono anche paesi con situazioni interne precarie. È il caso della
Malaysia o della Colombia e dell’Algeria, i cui governi sono entrambi coinvolti da anni in conflitti
interni, che hanno acquistato rispettivamente 2,5 e 3,8 milioni di euro di pistole, fucili e munizioni; o
della Cina che ha importato oltre mezzo milione di euro di armi dall’Italia. È anche il caso del CongoBrazzaville e della Repubblica Sudafricana: i due maggiori importatori africani di armi civili italiane
sono presenti nei rapporti annuali di Amnesty International per le violazioni di diritti umani che
avvengono sul loro territorio, così come la Turchia, il Brasile, il Messico, l’India, le Filippine e la
Federazione Russa.
La legislazione nazionale che ne regolamenta le esportazioni è caratterizzata da un dualismo di fondo
che vede le armi ad uso militare sottoposte alla normativa della legge 185/90 e le armi civili sottoposte
alla disciplina della legge 110/75.
Per quanto riguarda le armi ad uso civile, la normativa italiana non prevede invece controlli né sanzioni.
Pistole, revolver, fucili e carabine, concepiti per l’uso sportivo e l’autodifesa, godono così di una grande
capacità di movimento e possono entrare pressoché indisturbati anche in Paesi colpevoli di gravi
violazioni dei diritti umani, sottoposti a embargo dell’Onu o dell’Ue e paesi con guerriglie in corso sul
proprio territorio.
20
La legislazione italiana e internazionale si dimostra inadeguata di fronte all’evolversi e al mutare dei
conflitti, oggi in prevalenza di tipo intra-statale, combattuti da gruppi armati ribelli e truppe
paramilitari. I grandi sistemi d’arma, infatti, costosi e difficili da reperire, vengono sostituiti dalle armi
piccole e leggere, meglio trasportabili, semplici da usare (anche per i bambini soldato) e reperibili anche
sul mercato nero. L’attività dei brokers, gli intermediatori nelle vendite di armi, si inserisce
perfettamente in questo sistema, attraverso l’organizzazione dei trasferimenti di partite d’armi tra
venditore e cliente, andando così ad incrementare il commercio illegale. Molte armi utilizzate dalla
polizia non sono considerate armi a uso militare e non sono soggette alla legge 185/90. Pertanto, circa il
33% delle armi che vengono esportate ricadono al di fuori dei controlli della legge 185/90, senza alcun
controllo parlamentare e senza adeguate misure di trasparenza.
Una possibile soluzione al problema della proliferazione incontrollata delle armi leggere e di piccolo
calibro potrà essere a livello internazionale l’adozione del Trattato sul Commercio delle Armi (Arms
Trade Treaty, ATT) elaborato da un gruppo di Ong e Premi Nobel per la Pace. Verrà proposto a tutti gli
Stati in occasione della Conferenza dell’Onu sulle Armi Leggere nel luglio del 2006 e la sua ratifica
introdurrà norme precise e vincolanti che regolamenteranno il commercio di armi a livello
internazionale. Mentre a livello nazionale è necessaria una legislazione più rigida in materia di armi
leggere, rafforzando i vincoli all’export, aumentando gli standard di trasparenza e tracciabilità.
21
Industria Militare nel Lazio
La mancanza di dati sistematici sulle imprese fornitrici della Difesa e dell’indotto militare non consente
di definire compiutamente il quadro delle attività industriali militari del Lazio e, soprattutto, non rende
possibile una stima documentabile della dimensione dell’indotto militare. È comunque indiscutibile la
rilevanza dell’attività industriale militare nel Lazio. Come si può vedere già in Tabella 1, più della metà
(10 su 17) delle principali imprese italiane del comparto militare hanno sede e stabilimenti nel Lazio.
Ovviamente quasi tutte le grandi imprese hanno una sede di rappresentanza a Roma, tenendo conto di
questo fatto, laddove non ci siano segnalati stabilimenti, si è valutata l’entità della presenza sul territorio
in base al numero di addetti.
In totale sono state censite 36 tra imprese18, joint ventures e holdings, tra le quali praticamente non
rientrano le piccole imprese a produzione prevalentemente duale dell’indotto. Una parte consistente di
queste imprese, ben 14, fanno capo al colosso Finmeccanica, di queste una buona parte produce non
solo per il mercato nazionale della difesa ma per quello globale (Tabella 2) tra le prime dieci imprese
esportatrici di armi in Italia ben 5 hanno sede e stabilimenti anche nel Lazio, ma anche altre come la
Simmel, che non rientra nella lista, esporta il 70% della sua produzione. I settori di produzione coprono
quasi interamente lo spettro di possibili attività nel campo delle produzioni belliche: sistemi d’arma,
telecomunicazione, elettronica per la difesa, equipaggiamento, elicotteristica, munizioni. Il settore
elettronica per la difesa e telecomunicazione è quello decisamente più rappresentato, certamente perchè
costituisce il settore più rapidamente in crescita.
Da segnalare il caso della Simmel, di cui si parlerà anche nei prossimi capitoli, che produce munizioni e
spolette, tra cui le famigerate cluster bombs19 (note come “bombe a grappolo”), con sede a Colleferro,
località in cui si è sviluppato un fiorente indotto, basato sull’industria chimica per le lavorazioni della
polvere da sparo, che si è poi espanso a tutta l’area dei Monti Lepini e della Valle di Sacco, portando
con sé devastanti effetti ambientali. Un buon numero di imprese risultano localizzate nella zona
industriale di Roma Est lungo Via Tiburtina, a Pomezia, vicino al sito militare di via Pratica di Mare.
Da aggiungere, ai dati relativi alle imprese, ci sono quelli relativi alla produzione bellica che avviene
direttamente all’interno del Ministero della Difesa
18
A partire dai dati AIAD.
Per un reportage sulla produzione e l’utilizzo delle cluster bombs vedi:
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idart=1401 Per la richiesta al Parlamento Europeo ed Italiano della
messa al bando delle bombe a grappolo vedi: http://www.intersos.org/maipiubombe.htm
19
22
− Presso il Comando Logistico – 1^ Div. Centro Sperimentale di Volo dell’Aeronautica Militare,
in Via Pratica di Mare a Pomezia (RM): sviluppo di modifiche hw di sistemi d’arma nel settore
aeronautico. Sviluppo di modifiche sw di sistemi d’arma e relativi sistemi di supporto nel settore
aeronautico. Effettuazione di sperimentazioni a terra ed in volo nel settore aeronautico.
Formazione per il personale collaudatore di produzione per aeromobili delle Forze Armate e
Corpi Armati dello Stato.°
− Presso 6° Reparto Manutenzione Elicotteri, sempre in Via Pratica di Mare a Pomezia:
manutenzione degli aeromobili HH-3F e loro componenti. Esecuzione controlli non distruttivi.
Riparazione e Revisione di apparati avionici per varie linee di aeromobili.
In totale il numero di addetti supera i 13.500 unità, le imprese più grandi sono Engineering – Ingegneria
Informatica con ben 1800 addetti, Selex Sistemi Integrati con 1605 addetti; altrettanti, circa, ne conta la
Selex Communications e Vitrociset, che ne conta 1500. Seguono Alcatel Alenia Space, Datamat,
MBDA Selex con circa 800. Il Gruppo Finmeccanica a livello consolidato 8260 dipendenti.
Tabella .3 Le principali industrie del comparto militare in Lazio
AZIENDA
SETTORE
PRESENZA
NEL LAZIO
ABL
Equipaggiamenti,
Sede
informatica, supporto principale,
logistico
uffici e
stabilimento.
INDIRIZZO
NUMERO
OCCUPA
TI
Via Monte d’Oro 31bis
–00040 Pomezia RM
--
Prato Risacco 00065
Fiano Romano RM
Divisione
Aeromobili
AERO SEKUR
Gruppo HUNTING
Plc
AERTEKNO
Equipaggiamenti,
supporto logistico,
ricerca
Componentistica
elettrica ed
elettronica, supporto
logistico
AGUSTAWESTLAND Elicotteristica
GRUPPO
FINMECCANICA
AIRSOFTW@RE
Informatica Sistemi
Sede e
stabilimento
Via delle Valli, s.n.c. –
04011 – Aprilia LT
170
dichiarati
Sede
principale
Via D. Alighieri 32 –
00040 – Pomezia RM
--
Sede operativa
Stabilimento
Località Paduni – 03012 600
– Anagni FR
Totale
gruppo
Stabilimento
Via G. Augusta 1 –
8698
03012 - Frosinone
Sede operativa Via C. Colombo, 456 – 80
23
TECHNLOGIES &
SOLUTIONS Itaca
S.p.A.
ALCATEL ALENIA
SPACE Italia
Alcatel 67% Finmeccanica 33%
C3I
ALENIA Aeronautica
Aeronautica
CIBRED SUD
Drymatic
Elettronica,
Sede
telecomunicazione ed
avionici.
Spazio
telecomunicazioni
00145 - Roma
Totale
gruppo 460
Sede
principale
Via Saccomuro 24 –
00131 – Roma RM
Centro
integrazione
satelliti
Sede
principale
Via Tiburtina 1210 –
00131 - Roma RM
975 o 815
Totale
gruppo
8600
Via Campania 45 –
00187 – Roma RM
500
Totale
gruppo
8600
--
CONSORZIO S3LOG Informatica e
Datamat – Elsag logistica per la difesa
Vitrociset
DATAMAT
Elettronica per la
difesa.
GRUPPO
FINMECCANICA
ELETTRONICA ELT Elettronica per la
difesa.
Sede legale e
stabilimento
Via Catania 2
Loc. Pavona
00040 Albano Laziale
RM
Via Ruggero Bonghi 11 -b – 00184 – Roma RM
Sede
principale
Via Laurentina 760
00143 Roma RM
800
Totale
gruppo
1600
Sede e
stabilimento
790
ELSAG
Soluzioni e servizi
informatici.
Sedi
Via Tiburtina Valeria
Km 13,700 00131
Roma RM
Via Naide 43 00155
Roma RM
Via Laurentina 750
00143 Roma RM
Informatica.
Sede direzione
vendite difesa
e spazio
Sede
principale
Via S. Martino della
Battaglia 56 00185
Roma RM
Piazza Monte Grappa 4
00195 Roma RM
1800
GRUPPO
FINMECCANICA
ENGINEERING –
INGEGNERIA
INFORMATICA
FINMECCANICA
GROUP
GALILEO
AVIONICA SELEX
S&AS Gruppo
Finmeccanica
INFO SOLUTION
Aerospazio, difesa,
elettronica, trasporti
ed energia.
495
Totale
gruppo
circa 3300
Totale
Lazio 8260
Totale
gruppo in
Italia
42152
Via dei Castelli Romani 537
2 00040 Pomezia RM
Equipaggiamenti,
avionici ed elettroottica.
Sede
Informatica.
Sede operativa Via Zoe Fontana 220
00131 Roma RM
Sede legale e Via di Torrevecchia 12
stabilimento
00168 Roma RM
--
Sede legale e
40
LARIMART SELEX Comunicazioni
Communications.
radiomobili.
Gruppo Finmeccanica
LEAT VITROCISET. Logistica e service.
Cas. Post. 00040
122
24
Gruppo Finmeccanica
LITAL Northrop
Grunman Group
MBDA SELEX
MES
OERLIKON
CONTRAVES.
Gruppo Rheinmetall
DeTec AG
OTO MELARA
Gruppo Finmeccanica
QUADRICS LTD
Gruppo Finmeccanica
Elettronica Sistemi
C3I.
Sistemi d’arma ed
aerospazio. –Sede
Roma: ricerca e
sviluppo.
Componenti
meccanici,
elettronici, optronici
e supporto logistico.
Sistemi d’arma.
Sistemi d’arma e
munizioni.
Elettronica, servizi
informatici e sistemi
operativi.
SELEX
Telecomunicazioni.
COMMUNICATIONS Sistemi C3I.
Gruppo Finmeccanica
stabilimento
Aeroporto Ciampino
Ovest RM
Laboratori
Via Casale di Settebagni 30
23 00138 Roma RM
Sede
amministrativa
e stabilimento
Sede e
stabilimento
Sede
Via Tiburtina, 1020
00156 Roma RM.
--
Via Pontina Km 27,800
00040 Pomezia RM
Via Tiburtina Km
12,400 00131 Roma
RM
180
Sede sociale e
stabilimento
Via Tiburtina 1292
00131 Roma RM
--
Sede
principale
italiana
Via Affile 102 00131
Roma RM
--
Stabilimenti ed Via F. Siacci 4 00197
uffici
Roma RM
Sede italiana
Via Veneto 183 00187
Roma RM
Sede di
Pomezia
Viale dell’Industria 4
00040 Pomezia RM
Sede di Latina Cisterna di Latina LT
Sede di Roma
Via Guattani 1/3 00161
Roma RM
SELEX Sistemi
Integrati Gruppo
Finmeccanica
Sistemi per la difesa. Sede
Via Tiburtina 1231
00131 Roma RM
SICAMB S.p.A.
Componenti di
Sede e
bordo.
stabilimento
Munizioni e spolette. Sede legale e
stabilimento
Informatica e
Sede operativa
telecomunicazioni.
Strada Eschido 1 04010
Borgo Carso (LT)
SIMMEL DIFESA
SIRTI SISTEMI
Via Ariana Km. 5,2
00034 Colleferro RM
Via A. Benigni 25
00156 Roma RM
739
-Totale
gruppo
1334
40
Dichiarati
854
Pomezia,
810
Latina,
15
Roma
Totale
gruppo
3003
1605
Totale
gruppo
2844
-200
150
Totale Sirti
Sistemi
310
25
SISTEMA
Materiali compositi.
COMPOSITI
50% Snia 50% Ergom
SOFITER
Progettazione e
servizi alle imprese.
T2
Progettazione.
Sede
principale e
stabilimento
Sede operativa
TELESPAZIO
67% Finmeccanica
33% Alcatel
THALES ITALIA
Comunicazioni
spaziali.
Sede
Elettronica e
comunicazioni
Sistemi C3I.
Via V. Bellini 24 00198 -Roma RM
VITROCISET
Elettronica,
informatica e
supporto logistico.
Direzione,
divisione
comunicazione
e sede
operativa
Sede
principale
Stabilimento
Via Tiburtina 1020
00156 Roma RM
GRUPPO
FINMECCANICA
Sede sociale e
stabilimento
Via Casilina Km 57,500
03018 Castellaccio di
Paliano FR
Via Mazzola 66 00144
Roma RM
Viale P. Togliatti 1463
1° e 2° piano
00155Roma RM
Via Tiburtina 965 00156
Roma RM
Via Salaria 1028 00138
Roma RM
90
--545
1500
26
LA PRESENZA MILITARE NEL LAZIO
Infrastrutture e siti militari
Nella Regione Lazio si rileva una presenza massiccia di infrastrutture destinate al Ministero della Difesa
che, unitamente alla presenza di un comparto di industria bellica particolarmente sviluppato (vedi il
capitolo 1), rendono la regione Lazio uno dei territori più militarizzati del nostro paese, insieme,
ovviamente, a quello della Sardegna e a quelli di Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Veneto. Si noti il
secondo posto del Lazio, dietro la Sardegna, nel numero di chilometri di territorio destinato al demanio
militare.
In allegato si trova l’elenco di tutte le infrastrutture destinate alla difesa presenti nella regione Lazio; in
questo paragrafo ci si limita ad un breve commento e si rimanda il lettore a prendere visione dell’elenco
completo.
Le tipologie di infrastrutture sono molteplici: dalle caserme agli aeroporti, dagli alloggi ai poligoni, dai
palazzi ai fari. Quasi il 70% delle infrastrutture militari laziali sono localizzate nella Provincia di Roma,
il 15% a Latina, il 7% a Viterbo. Il resto degli impianti è distribuito in modo uniforme nelle Province di
Frosinone e Rieti.
In totale sono state censite 29720 infrastrutture tra cui 17 Aeroporti, 37 Poligoni e 44 Caserme.
Sul totale delle infrastrutture il 57,8% appartiene all’Esercito Italiano, il 26% circa all’Aeronautica e il
15.6% alla Marina.
Tra le infrastrutture militari presenti sul territorio spiccano, per la loro estensione, tre siti, poligoni e
centri per le esercitazioni e per l’utilizzo e la sperimentazione di sistemi d’arma: sono il poligono di
Monte Romano (Vt), quello di Nettuno (Rm) e il Centro di Sperimentazione Polifunzionale di
Montelibretti (Rm).
20
Cfr. la Nota all’Elenco infrastrutture della Difesa nella Regione Lazio. Nella lista da noi inserita, fornitaci ufficialmente
dal Ministero della Difesa a fine novembre 2006, risultano 301 siti militari. Una nostra successiva indagine ha evidenziato
come il numero delle infrastrutture fosse sceso a 297. Il 3 gennaio 2001, attraverso la firma di un Protocollo d’Intesa, il
Ministero della Difesa ha ceduto al Comune di Roma 5 siti militari, 4 dei quali ancora presenti nell’elenco ricevuto e
pubblicato.
27
Certamente, come si vede nella Tabella 2, l’infrastruttura più invasiva, in base al numero di ettari
occupati, è il Poligono di tiro di Monte Romano, vicino Viterbo; esso occupa, addirittura, 36 milioni di
metri quadrati. Si tratta di una delle più estese servitù militari esistenti in Italia, la più grande del Centro
Italia, ed è usato saltuariamente anche dall’esercito americano. Il comprensorio della Base Logistica
abbraccia un'area di circa 6 ettari; questi, sommati all'annesso Poligono di tiro, portano l'estensione
totale ad oltre 5000 ettari. Nel corso degli anni è stato più volte oggetto di contestazione per una serie di
gravi incidenti legati allo svolgimento di esercitazioni militari che hanno portato alla morte uomini e
animali.
A Nettuno (Rm) troviamo un altro enorme Comprensorio Militare -che tra l’altro occupa un largo tratto
di litorale incontaminato. In questo caso, a difesa di un patrimonio paesaggistico di particolare pregio,
esiste dal 2004 un accordo tra il Ministero della Difesa e il Comune di Nettuno per la salvaguardia
ambientale ed archeologica dell'area di Torre Astura, recentemente candidata per l'UNESCO come
patrimonio dell'umanità, ma ancora parte integrante del Comprensorio Militare21.
Questi due grandi poligoni sono inoltre stati chiamati in causa più volte nell’ambito della polemica
sull’utilizzo di munizioni all’uranio impoverito che l'esercito italiano ha in dotazione da molti anni
utilizzati sia nella spedizione militare in Somalia del 1993 che in quella in Bosnia del 1999, la cui
funzionalità è stata testata nei poligoni situati in numerose regioni della nostra penisola.
Diverse interrogazioni parlamentari (di Rizzi e Ballaman, di Russo Spena a marzo 2001 e, ultima,
quella di Bulgarelli e Cento 4-05721 del marzo 2003) e lettere aperte al Presidente della Repubblica e
all’allora presidente della regione Lazio Storace hanno sollevato la problematica dell'uso e della
sperimentazione delle armi all'uranio nel deposito delle Caserme di Bibbona presso Cecina (provincia di
Livorno) e in vari poligoni, con particolare riferimento ai poligoni di Nettuno e Monte Romano.
Il Centro polifunzionale di sperimentazione (Cepolispe) dell'Esercito italiano è stato istituito nel 1998
per la sperimentazione e valutazione tecnica ai fini della idoneità all'impiego di mezzi, materiali, sistemi
d'arma, componenti, equipaggiamenti di interesse sia dell'Esercito sia delle altre forze armate. Il Centro
è posto alle dipendenze dell'Ispettorato logistico dell'Esercito ed è diretto da un colonnello del corpo
degli ingegneri. Compiti d'istituto sono: indagini tecniche sui materiali già in servizio; supporto alle
direzioni generali per la definizione dei capitolati tecnici e per i collaudi nell'ambito dei programmi di
21
In questo momento la Pineta di Torre Astura e l’annesso Castello Medievale si trovano nel territorio, e quindi sotto il
controllo, dell’Ufficio Tecnico Territoriale Armamenti Terrestri, già Stabilimento Militare Collaudi ed Esperienze per
l'Armamento (S.M.C.E.A.). La tutela militare impedisce la libera fruizione dell’area al visitatore; l’accesso al pubblico nella
zona è consentito solo nei mesi di Luglio ed Agosto (tutti i giorni) e nei giorni di sabato, domenica e festivi per i restanti
mesi.
28
acquisizione; studio, sperimentazione ed eventuale allestimento di prototipi; concorso alla elaborazione
e aggiornamento della documentazione tecnica relativa ai materiali in servizio o di nuova introduzione;
formazione e aggiornamento tecnico del personale militare e civile da impiegare nell'attività di
mantenimento.
L'Ente occupa un'area di circa quattro milioni di metri quadrati e le infrastrutture (direzione, laboratori,
officine, depositi, alloggi…) occupano circa 24.000 mq al coperto. Le piste di prova veicoli hanno uno
sviluppo complessivo di circa 25 chilometri e comprendono numerosi impianti per prove speciali su
mezzi ruotati e cingolati.
L’Esercito Italiano occupa con le sue principali infrastrutture quasi 80 milioni di metri quadrati, ovvero
80 Kmq che rappresentano quasi lo 0,5% del territorio regionale. Complessivamente Esercito, Marina e
Aeronautica arrivano a occupare 100 Kmq, quasi il 0.6% del territorio laziale.
Nel Lazio si trovano anche 6 aree militari appartenenti alla NATO 22; quattro ad uso esclusivo
statunitense e due (Ciampino e Monte Romano) ad uso saltuario in infrastrutture frequentate anche
dall’Esercito Italiano:
Roma. Comando per il Mediterraneo centrale della Nato e il coordinamento logistico interforze Usa.
Stazione Nato
Roma Ciampino (aeroporto militare). Base saltuaria Usaf.
Rocca di Papa (Rm). Stazione telecomunicazioni Usa con copertura Nato, in probabile collegamento
con le installazioni sotterranee di Monte Cavo23
Monte Romano (Vt). Poligono saltuario di tiro dell'Us Army.
Gaeta (Lt). Base permanente della Sesta flotta e della Squadra navale di scorta alla portaerei "La Salle".
Casale delle Palme (Lt). Scuola telecomunicazioni Nato sotto controllo Usa.
22
Per questi dati cfr.: "La portaerei Italia" nella rivista Avvenimenti del 18 2 1998; http://www.iraqlibero.at/pag/busa.htm;
http://www.carta.org/rivista/settimanale/2003/06/06aggiornamento_basi.htm;
http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio1999/un12/art475.html.
23
A Rocca di Papa si verifica un fatto simile a quello di Torre Astura. La presenza del ripetitore NATO impedisce la visita
ed il recupero dell’area archeologica presente sul Monte Cavo. Gli antichi consideravano il monte la sede di Giove e vi
eressero un tempio dedicato a Giove Laziale.
29
Tabella 1.4 Infrastrutture della Difesa nella Regione Lazio24
Roma
Latina
Viterbo
Frosinone
Rieti
TOTALE
208
45
21
14
13
301
69.1
15.0
7
4.7
4.3
100
80
174
47
26.6
57.8
15.6
17
37
46
5.6
12.3
15.28
Aeronautica
Militare
Esercito Italiano
Marina Militare
Aeroporti
Poligoni
Caserme
Tabella 1.5 Principali Insediamenti Militari Insistenti nel Territorio della Regione Lazio
Estensione
Infrastruttura
Poligono di tiro
Comprensorio SMCEA-UTT
CEPOLISPE
Scuola di Fanteria
Parco Mezzi Dp. M.C.
Poligono-Area Addestrativa
Città Militare
Ex deposito Munizioni
Deposito Munizioni
Aeroporto Fabbri
Stabilimento Militare Propellenti
Magazzini Materiali NBC
Poligono Addestrativo
Ippodromo Militare
Comune
Provincia
Monte Romano
Nettuno
Montelibretti
Cesano
Civitavecchia
Bracciano
Roma-Cecchignola
Anagni
Tarquinia
Viterbo
Fontana Liri
Ronciglione
Sabaudia
Roma
ESERCITO
VT
RM
RM
RM
RM
RM
RM
FR
VT
VT
FR
VT
LT
RM
(mq)
36,005,349
13,000,000
8,690,000
6,263,000
4,307,900
2,806,800
2,690,000
1,838,046
876,742
765,140
651,845
605,200
582,110
550,000
79,362,132
Comprensorio Santa Rosa
Roma
MARINA
RM
1,269,500
1,269,500
Aeroporto
Aeroporto
Pratica di Mare
Guidonia
AERONAUTICA
RM
RM
6,964,406
2,351,600
24
Le percentuali, in questo caso, sono state calcolate su 301 infrastrutture militari, la cifra fornitaci dal Ministero della
Difesa. Successive analisi hanno abbassato il numero dei siti militari presenti nel Lazio a 297. Cfr: Nota all’Elenco
infrastrutture della Difesa nella Regione Lazio.
30
Aeroporto
Aeroporto
Distaccamento Aeronautico
Aeroporto
Aeroporto
CRT
Deposito Centrale
Comprensorio
Ciampino
Latina
Furbara
Viterbo
Frosinone
Roma
Orte
Bagni diTivoli
RM
LT
RM
VT
FR
RM
VT
RM
2,316,636
2,135,070
1,985,500
1,309,220
1,185,499
630,424
630,229
539,640
20,048,224
Totale
100,949,856
31
32
LE 8 PAGINE SUCCESSIVE, LASCIATE IN BIANCO,
CONTENEVANO IN ORIGINE L’ ELENCO INFRASTRUTTURE
DELLA DIFESA NELLA REGIONE LAZIO INVIATOCI DAL
MINISTERO DELLA DIFESA CON UNA TRASMISSIONE VIA FAX.
PER EVITARE CHE IL DOCUMENTO PDF DELLA RICERCA
RAGGIUNGESSE UN PESO ECCESSIVO (CON CONSEGUENTI
DIFFICOLTÀ PER CHI LO AVESSE SCARICATO) SI È DECISO DI
CREARE UN FILE SPECIFICO CON LA LISTA COMPLETA DEI
SITI MILITARI DEL LAZIO.
33
34
35
36
37
38
39
Servitù militari
Le servitù militari sono limitazioni della proprietà fondiaria (che viene definita fondo servente) per
garantire la piena funzionalità e la sicurezza del bene demaniale destinato alla difesa militare dello Stato
(chiamato fondo dominante). La legge vigente, in sostanza, sancisce che in vicinanza delle opere ed
installazioni permanenti e semipermanenti di difesa, di segnalazione e riconoscimento costiero, delle
basi navali, degli aeroporti, degli impianti ed installazioni radar e radio, degli stabilimenti nei quali sono
fabbricati, manipolati o depositati materiali bellici o sostanze pericolose, dei campi di esperienze e dei
poligoni di tiro il diritto di proprietà può essere soggetto a limitazioni secondo le norme della presente
legge. Le limitazioni possono consistere:
a) nel divieto di:
− fare elevazioni di terra o di altro materiale;
− costruire condotte o canali sopraelevati;
− impiantare condotte o depositi di gas o liquidi infiammabili;
− scavare fossi o canali di profondità superiore a 50 cm.;
− aprire o esercitare cave di qualunque specie;
− installare macchinari o apparati elettrici e centri trasmittenti;
− fare le piantagioni e le operazioni campestri che saranno determinate con regolamento;
b) nel divieto di:
− aprire strade;
− fabbricare muri o edifici;
− sopraelevare muri o edifici esistenti;
− adoperare nelle costruzioni alcuni materiali
Tali limitazioni sono stabilite nella durata massima di cinque anni e debbono essere imposte nella
misura direttamente e strettamente necessaria per il tipo di opere o di installazioni di difesa.
I vincoli sono veri e propri divieti all´attività costruzione e di modificazione strutturale del bene privato.
(Legge n. 898/1976 - art. 2).
In ciascuna regione è costituito un comitato misto paritetico di reciproca consultazione per l'esame,
anche con proposte alternative della regione e dell'autorità militare, dei problemi connessi
all'armonizzazione tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo economico e sociale della regione e
delle aree subregionali ed i programmi delle installazioni militari e delle conseguenti limitazioni.
40
Il comitato è altresí consultato semestralmente su tutti i programmi delle esercitazioni a fuoco di reparto
o di unità, per la definizione delle località, degli spazi aerei e marittimi regionali, del tempo e delle
modalità di svolgimento, nonché sull'impiego dei poligoni della regione. Qualora la maggioranza dei
membri designati dalla regione si esprima in senso contrario, sui programmi di attività addestrative
decide in via definitiva il Ministro della difesa.
Il comitato è formato da cinque rappresentanti del Ministero della difesa, da un rappresentante del
Ministero del tesoro, da un rappresentante del Ministero delle finanze, designati dai rispettivi Ministri e
da sette rappresentanti della regione nominati dal presidente della giunta regionale, su designazione, con
voto limitato, del consiglio regionale.
Il proprietario di bene gravato da servitù militare ha diritto a un indennizzo annuo da parte dello Stato.
(Legge n. 898/1976 - art. 7). Inoltre la legge stabilisce che le zone soggette a limitazioni e le limitazioni
stesse siano indicate su mappe catastali da allegare al decreto impositivo, nelle quali devono risultare
individuate le singole proprietà assoggettate, e che ogni cinque anni dall'imposizione delle limitazioni si
proceda a revisione generale per accertare se le limitazioni stesse siano ancora necessarie per le
esigenze della difesa nazionale.
Inoltre la Legge 104 del 1990 stabilisce che alle regioni maggiormente oberate dai vincoli e dalle
attività militari, comprese la dimostrazione e la sperimentazione di sistemi d'arma, individuate ogni
quinquennio con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro della difesa, lo
Stato corrisponda un contributo annuo da destinarsi alla realizzazione di opere pubbliche e servizi
sociali nei comuni nei quali le esigenze militari compresi particolari tipi di insediamenti, incidono
maggiormente sull'uso del territorio e sui programmi di sviluppo economico e sociale. Il contributo
viene corrisposto alle singole regioni sulla base della incidenza dei vincoli e delle attività di cui al
comma 2, determinata secondo parametri da stabilirsi con decreto del Ministro della difesa di concerto
con il Ministro del tesoro, sentite le regioni interessate.
Ai comuni con popolazione fino a 100 mila abitanti, in cui esistano insediamenti militari (caserme,
depositi, o altre infrastrutture militari), verranno corrisposte entrate ordinarie da parte dello Stato
facendo riferimento, oltre che al numero degli abitanti, anche a quello del personale militare presente,
che verrà quindi considerato, a tal fine, come popolazione residente. Uguale trattamento verrà riservato
ai comuni che ospitano basi della NATO o di Paesi alleati. Inoltre, sempre in base allo stesso testo di
41
legge, il Ministero della difesa è tenuto a riservare una quota delle forniture e delle lavorazioni richieste
dalle esigenze dei reparti insediati nel territorio delle regioni che sono individuate ai sensi del comma 2
dell'articolo 4, alle imprese commerciali, industriali ed artigiane ivi ubicate, compresi eventuali loro
consorzi provvisori.
Le servitù militari in Italia e nel Lazio
%
Totale
Regione
Abruzzo
Basilicata
Calabria
Campania
Emilia-Romagna
Friuli-Venezia
Servitù
% Servitù
% Servitù
su
sul totale
Superficie
delle
Demani Demanio
Servitù
+
+Dema
Demani nio su
(Kmq)
(Kmq)
Totale
servitù
o (Kmq) su Totale o (Kmq) Totale
10795
0,856
0,008
0.19
2,631
0,0244
3,487 0,0323
9995
1,148
0,011
0.25
0,376
0,0038
1,524 0,0152
15081
5,286
0,035
1.17
1,815
0,0120
7,101 0,0471
13590 14,239
0,105
3.15
24,45
0,1799 38,689 0,2847
22123
50,8
0,230
11.24 30,937
0,1398 81,737 0,3695
7856
Giulia
Lazio
Liguria
Lombardia
Marche
Molise
Piemonte
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana
Trentino-Alto
26,107
17208 15,578
5420
0,268
23863 39,285
9694
6,579
4438 25400
3,589
19366 45,774
24090 157,39
25703 14,411
22990
9,133
Adige
Umbria
Valle d'Aosta
Veneto
1,52
8456
2,65
3263 18391 57,151
301328 451,762
ITALIA
%
Servitù
13607
0,332
0,091
0,005
0,165
0,068
0,014
0,236
0,653
0,056
0,040
0,011
0,031
5.78 93,098
3.45 114,743
0.06
6,092
8.70 25,558
1.46 28,261
0,193
0.79 39,791
10.13 67,381
34.84
230,7
3.19 35,658
2.02 33,709
0.34
0.59
0,311
0,150
4,265
5,639
0,214
12.65
37,54
100 783,051
1,1851
0,6668
0,1124
0,1071
0,2915
0,0043
0,1567
0,3479
0,9577
0,1387
0,1466
119,205 1,5174
130,321 0,7573
6,36 0,1173
64,843 0,2717
34,84 0,3594
43,38 0,1708
113,155 0,5843
388,09 1,6110
50,069 0,1948
42,842 0,1864
0,0313
5,785 0,0425
0,0667
8,289 0,0980
0,0066 0,2041 94,691 0,5149
0,2599 1234,81 0,4098
Come si vede dalla Tabella riportata sopra sul territorio della regione Lazio si concentrano il 3,45%
delle servitù militari nazionali, per un totale di 15kmq circa, che a loro volta rappresentano quasi lo
0.01% del totale della superficie nazionale.
Servitù militari presenti sul territorio della Regione Lazio
Infrastruttura
Località
Prov. Comuni interessati
42
Stabilimento materiali propellenti
Fontana Liri
FR
Monte S.Giovanni Campano,
SATCOM F7
Centro radio
Tarquinia
Santa Marinella
VT
RM
Fontana Liri, Arce
Tarquinia
Santa
Marinella,
Deposito munizioni e esplosivi
Centro radiogoniometrico
Stazione radio ricevente
Stazione radio ricevente di Ponte Galeria
Stazione radio TLC
Tarquinia
Cerveteri
S. Alessandro
Castelmalnome
S. Rosa di
VT
RM
RM
RM
RM
Cerveteri
Tarquinia
Cerveteri, Ladispoli
Roma
Roma
Roma
Stazione radiogoniometrica SMD
Mazzalupo
Cornacchiara
RM
Fiumicino
Tolfa,
43
IL QUADRO LEGISLATIVO E LE PROPOSTE DI LEGGE: DALLA
185/90 ALLE PROPOSTE PER LA REGIONE LAZIO
In Italia, come nel Lazio non esiste una legislazione ad hoc per la definizione delle procedure volte alla
conversione dei siti militari e delle industrie con produzione armiera.
L.185/90
A scala nazionale l’unica legge che affronta in qualche maniera il tema è la 185 del 1990 relativa al
controllo e alla limitazione dell’esportazione di armi, ora modificata con la legge148/2003 di ratifica
dell’accordo di Farnborough. In particolare gli articoli 1 e 8 recitano:
Art. 1 Controllo dello Stato. Comma3
“Il Governo predispone misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la
conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa.”
Art. 8. Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento. Comma 2.
“L’Ufficio contribuisce anche allo studio e alla individuazione di ipotesi di conversione delle imprese.
In particolare identifica le possibilità di utilizzazione per usi non militari di materiali derivati da quelli
di cui all’art. 2, ai fini di tutela dell’ambiente, protezione civile, sanità, agricoltura, scientifici e di
ricerca, energetici, nonché di altre applicazioni nel campo civile.”
Tuttavia dal 1990 ad oggi non sono mai iniziati programmi di reale differenziazione produttiva su scala
nazionale. Evidentemente la legge 185 non affronta la questione della riconversione in maniera diretta e
sistematica. A livello nazionale dunque non esiste uno specifico Ufficio o una Agenzia per la
riconversione dell’industria bellica ma è l’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di
armamento che si occupa della riconversione al civile.
Konver
A livello europeo (Comunità ed Unione Europea) ha funzionato invece, negli anni ‘90 il Programma
Konver che ha messo a disposizione ingenti fondi per favorire i processi di riconversione e
l’adattamento economico delle aree maggiormente dipendenti dalla produzione militare in Europa. Tali
44
fondi potevano essere goduti sulla base di parallele iniziative pubbliche nazionali e/o regionali che si
inserissero nelle regole previste dal Programma stesso.
Il programma europeo Konver nasce nel 1994 e ha termine nel 2001.
Obiettivo principale del programma era quello di accelerare la diversificazione delle attività
economiche nelle zone fortemente dipendenti dal settore della difesa, mediante la riconversione
economica delle attività legate a questo settore per ridurre la dipendenza e agevolare l'adeguamento
delle imprese economicamente sane in tutti i settori industriali. La riconversione delle attività
economiche legate a questo settore le avrebbe rese meno dipendenti attraverso l’ incoraggiamento di
attività commercialmente redditizie in tutti i settori industriali, compresi tessili, abbigliamento, cuoio,
calzature e mobili; escludendo però le attività con una diretta applicazione militare.
Diverse erano le azioni previste nell’ambito del Konver :
•
Consulenze e attrezzature per migliorare la conoscenza tecnica delle imprese: controllo della
qualità, progettazione e produzione assistita da computer, commercializzazione, salute e
sicurezza dei lavoratori, ecc.
•
aiuto alla costituzione di associazioni locali tra imprese e ad azioni di cooperazione, di creazioni
di reti e di informazione sulle tendenze dei mercati;
•
audit aziendali e consulenza alle imprese eseguiti da gruppi di animatori;
•
risanamento di ambienti degradati dalle attività militari;
•
incentivazione di attività alternative mediante la creazione di piccole e medie imprese;
•
contributi temporanei per la retribuzione di personale qualificato assunto nell'ambito di piani di
ammodernamento;
•
rinnovamento delle infrastrutture socioeconomiche;
•
studi di fattibilità e strategie di riconversione.
Le regioni italiane interessate nel progetto erano: Bolzano, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio,
Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Valle D'Aosta, Veneto.
Per il Lazio tale progetto si concretizzava con l’istituzione di un fondo gestito dalla FI.LA.S Spa, la
società dedicata al sostegno dei processi di sviluppo e di innovazione del tessuto imprenditoriale della
regione Lazio, come descritto nel bilancio regionale:
45
L.R. 22 Maggio 1997, n. 11
Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio di previsione della Regione Lazio per l'esercizio
finanziario 1997 (art. 28 L.R. 11 aprile 1986, n. 17). (1)
Art. 60
1. Per l'attuazione degli interventi nella Regione Lazio, previsti dalla misura 9 del programma operativo
Konver - Italia approvato con decisione della Commissione dell'Unione Europea n. C (96) 30 24, è
costituito, ai sensi della legge regionale n. 4 del 1995, un fondo speciale da conferire in gestione alla
FI.LA.S. S.p.A..
2. La gestione del fondo è regolata da apposita convenzione.
3. Affluiscono al fondo speciale le risorse di cui alle quote di finanziamento comunitario, nazionale e
regionale previste dalla predetta decisione, nonché gli eventuali ulteriori finanziamenti attribuiti al
programma Konver da successivi provvedimenti dell'Unione Europea, dello Stato, della Regione.
4. L'onere a carico della Regione, comprensivo dei costi di assistenza tecnica, graverà sul capitolo di
nuova istituzione 24981 "Finanziamento del PIC-KONVER - Quota Regione".
Il programma europeo Konver aveva consentito negli anni '90 di sostenere gli investimenti nella piccola
impresa in campo civile, in tutte quelle aree territoriali - come La Spezia - in declino a causa del
ridimensionamento dell'industria militare e/o della chiusura di strutture appartenenti al ministero della
Difesa o alla Nato. L'esperienza è stata largamente positiva, anche sul piano del riequilibrio
occupazionale. Oggi, però, il presupposto che era alla base di Konver - la crisi dell'industria della
"difesa" - non è riscontrabile nel settore negli stessi termini. Per questo, più che parlare di rifinanziamento, occorrerebbe lanciare un nuovo programma Konver che risponda ad esigenze di
conversione e diversificazione nel civile, dettate da scelte di responsabilità sociale e comportamento
etico delle imprese.
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Lombardia: La legge regionale e la sua applicazione
(questo paragrafo è frutto dell’analisi condotta da DisarmoLombardia – Rete regionale contro la
guerra. www.disarmolombardia.org)
Una legge apposita sulla riconversione è stata invece fatta in Lombardia a livello regionale. La legge
regionale n. 6 del 1994 (si veda l’allegato) istituisce un’apposita agenzia per la riconversione
dell’industria bellica.
L’idea di realizzare una Agenzia per la riconversione dell’industria bellica in Lombardia, fu del
comitato dei “Cassaintegrati Aermacchi per la Pace ed il Diritto al Lavoro”, che, nei primi anni ’90,
rifiutando di lasciarsi coinvolgere in una azione di lobbing volta a difendere l’occupazione mediante
richieste di aumento delle commesse militari, pensò di chiedere ai Consiglieri regionali di istituire un
organismo che favorisse i processi di riconversione. Questi lavoratori erano stati espulsi dall’azienda
anche per le loro posizioni contrarie al commercio di armi e favorevoli ai processi di riconversione, ma
non volevano cedere a ricatti ed anzi volevano pensare a come potesse essere possibile difendere
l’occupazione dei colleghi e la dignità del loro lavoro.
La Legge Regionale fu approvata grazie alla sensibilità di un vasto arco di forze politiche del centro e
della sinistra rappresentate nel Consiglio regionale (Democrazia Cristiana, Partito Democratico della
Sinistra, Partito Socialista, Partito Radicale, Verdi e Rifondazione Comunista). La Proposta di Legge
Regionale era stata firmata da Pippo Torri (R.C.) e trovò subito una buona accoglienza da parte
dell’allora Presidente della Regione Fiorella Ghilardotti.
La Legge Regionale approvata è la n° 6 del 29/01/1994, certo questa legge non può essere considerata
risolutiva in tema di riconversione, in particolare per l’entità di risorse messe a disposizione e per il
limite di fermarsi al finanziamento di prototipi alternativi, ma sicuramente è stato un significativo passo
in avanti nella giusta direzione.
Elemento centrale della legge è l’istituzione di un’”Agenzia Regionale per la Riconversione
dell’Industria Bellica” motivata sia dalla necessità di favorire la creazione di nuove attività
imprenditoriali utilizzando e valorizzando le tecnologie di carattere militare verso applicazioni di uso
civile, sia di favorire le opportunità e le sinergie rappresentate dall’applicazione in Lombardia del
programma comunitario Konver come occasione di sviluppo a favore delle imprese a produzione
militare lombarde. (Archivio disarmo, 1996)
La peculiarità di questo braccio operativo è rintracciabile nella sua composizione ampia e articolata ,
nella quale trovano posto tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nel processo di riconversione /
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diversificazione. In essa sono rappresentate le forze istituzionali, sindacali, centri di ricerca,
associazioni degli imprenditori.
La Agenzia ha operato, grazie ad un fondo annuale previsto dal bilancio regionale, finanziando
iniziative di ricerca sull’industria bellica lombarda e studi relativi alla riconversione realizzati dalle
stesse industrie a produzione militare che avevano vinto il bando per accedere ai suddetti fondi.
Da qualche anno l’Agenzia non è più operativa, sia per alcune difficoltà oggettive (ma anche
oggettivamente superabili), sia per il formarsi di una volontà politica avversa all’impostazione della
Legge. Ora, secondo un’affermazione dell’Assessore Regionale al bilancio, sembra si sia affermata la
volontà di abrogare questa Legge definitivamente.
Questo avviene in un quadro deteriorato da una parte dalla revisione della L.185/90, che ha allentato i
vincoli e i limiti sulla esportazione di armi, dall’altra parte dall’affermarsi di logiche di guerra
preventiva, infinita, illegale nei confronti del diritto e delle istituzioni internazionali.
Alcuni dettagli sulla struttura, i compiti e l’operato dell’Agenzia:
Attività dell’Agenzia
Le attività dell’agenzia, determinate all’art. 3, possono sostanzialmente essere suddivise in:

Individuare e promuovere processi di riconversione (comma 1 punto c. Con partecipazione alle
spese del processo fino al 50%, il resto rimanendo a carico delle aziende interessate).

Attività di studio, ricerca, elaborazione e proposta (comma 1 punti a,b,d,e).
2. Analisi dell’operato dell’Agenzia
L’Agenzia inizia ad operare nel 1994, decidendo attività di ricerca sull’industria bellica lombarda. Tra il
1995 e il 1997 l’agenzia si è riunita per 13 volte. Il rapporto del primo biennio delle attività
dell’agenzia, come previsto dalla legge, è stato consegnato alla Commissione attività produttive
affinché venisse dibattuto in consiglio regionale. In realtà, però, è sempre rimasto inspiegabilmente in
Commissione, così che il consiglio regionale non ha mai potuto occuparsi delle difficoltà dell’agenzia.
Nel 1998 l’agenzia non è mai stata convocata. Per il 1998 erano stati stanziati 3 mld di lire per il
finanziamento di progetti di riconversione, budget che non è stato utilizzato per l’arenarsi delle attività;
mentre non era stata destinata neanche una lira per le attività di studio, ricerca, elaborazione e proposta,
cosa che evidenzia la scarsa attenzione verso questa finalità dell’agenzia.
3. Dettaglio delle attività
Attività del 1994.
Stanziamenti totali: 2 mld di Lire.
Attività di studio: furono stanziati 200 mln per una ricerca sullo stato dell’industria militare lombarda.
Lo studio è stato affidato al GSAD (Prof. Giancarlo Graziola) dell’Università Cattolica di Milano e al
CISDI. L’assegnazione è stata fatta attraverso la partecipazione a un bando di concorso a cui hanno
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risposto solo GSAD e CISDI, per cui fu deciso di affidare il lavoro a entrambi secondo le specifiche
competenze. L’Università Cattolica era comunque capocommessa.
Attività di investimento: i restanti 1,8 mld furono destinati all’attività di investimento per la
riconversione. L’Agenzia ha steso un bando di concorso per la presentazione dei progetti da finanziare
accolto dalla Giunta regionale e ufficializzato. Il bando di concorso fu poi gestito l’anno successivo e i
fondi trasferiti al 1995.
Problemi connessi all’attività di investimento: il bando di concorso prevedeva il finanziamento solo fino
alla realizzazione del prototipo industriale del prodotto civile che l’azienda avrebbe dovuto realizzare,
per cui in realtà l’azienda poteva limitarsi alla sola realizzazione del prototipo.
Attività del 1995.
Stanziamenti totali: 2,6 mld di Lire circa.
Attività di studio: 50 mln destinati al CESTEC con delibera dell’Agenzia per verificare i progetti di
investimento. Il lavoro fu affidato al CESTEC su proposta dell’Assessore dopo un dibattito interno
all’Agenzia, che convenne che il CESTEC disponeva delle competenze adeguate. Carente fu invece la
verifica dell’effettivo uso dei fondi per il finanziamento dei progetti approvati. Il bando di concorso
previde lo stanziamento dei fondi a favore delle imprese in due tranches, la prima all’approvazione del
progetto, la seconda alla presentazione del prototipo.
Attività di investimento: 3,42 mld (1,8 relativi al 1994 e 2,6 relativi al 1995). Progetti finanziati: al
bando di concorso risposero 15 aziende, presentando 26 progetti di riconversione. Di questi progetti 2
non avevano i requisiti di ammissibilità, 2 ebbero parere negativo, 11 furono considerati positivi ma non
ottennero finanziamenti e 10 furono finanziati. Il costo complessivo dei progetti era stimato in 12.835,5
milioni di lire, di cui 3.420 finanziati dall’agenzia.
Problemi connessi all’attività di investimento: la Valsella dopo aver ottenuto il finanziamento (790 mln)
per due progetti presentati cessò l’attività, per cui fu chiesto il recupero dello stesso. La ditta Aerea non
rispettò i criteri del bando, per cui verso di essa fu sospesa l’erogazione dei fondi (informazioni che
risultano dalla verifica del CESTEC).
Attività del 1996.
Stanziamenti totali: 3 mld di Lire circa.
Attività di studio: non furono destinati fondi all’attività di studio.
Attività di investimento: Il secondo bando di concorso, il bando per il 1996, aveva gli stessi criteri del
bando precedente, aggiornati però per tener conto delle tecnologie dual use.
Nessun progetto fu finanziato perché varie imprese presentarono progetti di riconversione equivalenti a
quelli presentati da altre imprese nel bando precedente. Inoltre all’interno dell’Agenzia era stato
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sollevato il problema della normativa dell’UE sui limiti al finanziamento alle imprese. I soldi a bilancio
slittarono dunque all’anno successivo.
Attività del 1997.
Durante tutto il corso dell’anno l’Agenzia non fu mai convocata.
Stanziamenti totali: 3 mld di Lire circa (da slittamento anno precedente).
Attività di studio: non sono stati destinati fondi all’attività di studio, nonostante Roberto Romano
presentò alla Agenzia una dettagliata ipotesi per una ricerca sulla fattibilità di integrazione delle
iniziative di riconversione con quella di “Piani d’area” che utilizzassero in modo coordinato i
finanziamenti provenienti da varie iniziative comunitarie (es.: Konver), nazionali e regionali.
Attività di investimento: nessun bando di concorso è stato effettuato.
Attività dal 1998 al 2004 e minacce di chiusura
Nonostante ripetute iniziative di consiglieri di opposizione (richieste di rifinanziamento, ordini del
giorno, ecc.) e dei rappresentanti delle associazioni nell’agenzia (richiesta di convocazione, richieste di
iniziative di ricerca e di divulgazione, ecc.), l’Agenzia non è stata più riconvocata, né ha operato in
termini di bandi o di ricerca, gli stanziamenti sono stati via via sempre più esigui (e in seguito stornati
ad altri capitoli di bilancio).
Tuttavia nel gennaio del 1999 il Consiglio Regionale valutava ancora attuali le finalità e gli obiettivi
della Legge, nonostante i dovuti adeguamenti da sviluppare in relazione all’intervenuta normativa
europea sia per la precisazione dei soggetti beneficiari nelle piccole imprese, sia sui limiti dei
finanziamenti concedibili (100.000 ECU per impresa, fatto salvo i casi sostenuti da procedure
particolari).
Si giunge infine, senza riconvocazioni dell’agenzia né modifiche alla Legge, al dicembre 2003.
Il consigliere regionale di minoranza Mirko Lombardi in occasione dell’approvazione della legge
finanziaria regionale, non solo afferma che è stato respinto l'ordine del giorno riguardante la
riattivazione e il rifinanziamento dell'Agenzia regionale per la riconversione dell'industria bellica ma
che è intenzione della Maggioranza, per bocca dell’assessore al bilancio, di abrogare la stessa Legge
Regionale 6/1994 che la istituisce, entro febbraio-marzo 2004.
I motivi di tale determinazione dovrebbero rintracciarsi, secondo deduzioni della maggioranza, nel fatto
che se da sette anni l'Agenzia risultava inattiva perché i soggetti partecipanti (rappresentanti di
maggioranza ed opposizione, sindacati, associazioni pacifiste, associazioni di categoria del settore
armiero) non sarebbero interessati a continuare tale esperienza. L’abrogazione della legge dovrebbe
dunque effettuarsi utilizzando lo strumento del "collegato ordinamentale" cioè quella legge annuale che
modifica o cancella la legislazione in corso non più ritenuta utile e finanziabile.
Finanziamento dei progetti alternativi e criticità evidenziate
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Come già ricordato, nel primo anno di attività “operativa” dell’agenzia (1995) hanno risposto al bando
di concorso 15 aziende, presentando 24 progetti di riconversione. Di questi progetti 2 non avevano i
requisiti di ammissibilità, 2 hanno avuto parere negativo, 11 sono stati considerati positivi ma non
hanno avuto finanziamenti e 9 sono stati finanziati. Il costo complessivo dei progetti era stimato in
12.835,5 milioni di lire, di cui 3.420 finanziati dall’agenzia.
I fondi stanziati per l’agenzia non erano tali da consentire importanti processi di riconversione. Per
questo motivo i rappresentati delle associazioni suggerirono di concentrare l’attenzione sulle piccolemedie imprese del settore. In questo modo si potevano ottenere dei risultati più incisivi e verificabili
rispetto agli obiettivi dell’agenzia stessa.
L’agenzia ha finanziato progetti che sviluppavano tecnologie di possibile “uso duale” (impiego sia
civile che militare). A questo riguardo la legge è poco precisa, al contrario della normativa europea
Konver che esclude in modo chiaro questa possibilità. Appare però chiaro che il finanziamento di
tecnologie con uso anche militare sono quanto meno ambigue per una agenzia che dovrebbe
promuovere la riconversione.
La verificabilità dell’effettivo uso dei fondi per il finanziamento dei progetti approvati è stata scarsa. Il
bando di concorso previde lo stanziamento dei fondi a favore delle imprese in due tranches, la prima
all’approvazione del progetto, la seconda alla presentazione del prototipo. Ma la produzione di un
prototipo “alternativo”, fatto pur fondamentale in un processo di riconversione, non implica
necessariamente il reale ingresso su un mercato civile, e l’Agenzia non aveva la possibilità di appurare
neppure i passi intermedi della industrializzazione e del marketing. Anche in questo caso la legge si
rileva abbastanza ambigua poiché all’art. 4 comma 1 parla di elaborazione di progetti di fattibilità
(punto a) e di realizzazione di progetti di ricerca e sviluppo (punto c) e non di vera e propria
produzione.
Il secondo bando di concorso, l’anno successivo, non portò al finanziamento di alcun progetto, pur
avendo a disposizione 3 mld di lire. Ciò accadde sia per l’approfondirsi delle contraddizioni già esistenti
nel primo bando, sia perché alcune imprese presentarono gli stessi progetti finanziati l’anno precedente
ad altre imprese, tra l’altro progetti ambigui rispetto al concetto di riconversione. L’Agenzia inoltre non
fu in grado di superare l’impasse di una discussione che riguardava le sue finalità, in questo non
supportata né dalla legge, qui non univoca, che l’aveva costituita, né dalle conclusioni della ricerca di
GSAD e CISDI sull’industria militare lombarda dalla quale non emergevano indicazioni precise per
l’operato dell’Agenzia. Così, la linea perseguita dal Presidente della Commissione attività produttive,
Prosperini, fu quella di mero finanziamento delle imprese, senza dare troppa importanza agli effettivi
processi di riconversione, come invece chiedevano i rappresentanti delle associazioni ecopacifiste.
51
Anche la questione della concorrenza sleale fu vissuta come un impedimento. Secondo la normativa
europea, infatti, le istituzioni dello stato non possono finanziare direttamente le imprese oltre un certo
limite. In caso contrario bisogna chiedere l’autorizzazione agli organi europei. Secondo la visione di
alcuni, i tempi dell’intervento si sarebbero allungati a tal punto da rendere praticamente impossibile il
lavoro dell’agenzia.
Attività di studio, ricerca, elaborazione e proposta e criticità evidenziate
L’attività di studio, ricerca, elaborazione, divulgazione e proposta è stata sicuramente carente da parte
dell’agenzia. Essa si è concretizzata solamente nello studio da parte di GSAD e CISDI sull’industria
militare lombarda. Questo studio può essere considerato una specie di fotografia del settore nel 1994.
La necessità di questa fotografia è facilmente comprensibile, poiché chiarisce l’ambiente in cui
l’agenzia si trovava a operare ed è uno strumento importante per la conoscenza del settore per i membri
dell’agenzia. Questa ricerca assorbì tutto il budget stanziato per il primo anno di lavoro (200 milioni di
lire).
Lo stanziamento di 50 milioni di lire per il secondo anno di lavoro è andato a coprire le spese del
CESTEC per l’analisi dei progetti presentati, evidenziando la volontà della maggioranza dell’agenzia di
non dare troppo peso alle attività di studio, ricerca ecc. che non potevano certo dirsi esaustive ed
esaurite con il primo, pur interessante prodotto ottenuto.
Nonostante gli obiettivi fissati dalla legge, l’attività dell’agenzia non ha prodotto quindi altre iniziative
di questo genere. In particolare, sembra particolarmente grave che l’agenzia non abbia proposto attività
di divulgazione, sia per rendere visibile il proprio operato, sia per creare una maggiore coscienza
pubblica sui temi suoi specifici. Inoltre, appare discutibile il fatto di non aver preso in considerazione
possibili proposte da avanzare al parlamento e al governo (art. 3, comma 1, punto e). Data la limitatezza
del suo intervento, sia territoriale sia come disponibilità economiche, l’agenzia poteva prevedere di
effettuare interventi più efficaci e con valenza di una portata più ampia attraverso studi e proposte molto
mirate agli organi istituzionali nazionali.
Infine, si può notare come l’agenzia avrebbe potuto sicuramente lavorare con un raggio di intervento
più ampio se avesse potuto e saputo coordinare i propri bandi di concorso con la gestione dei fondi
europei di Konver. Konver fa riferimento al concetto di riconversione territoriale, così che, oltre ai fondi
espressamente destinati all’impresa attraverso l’agenzia, si sarebbero potute finanziare altre iniziative,
ad esempio di sostegno all’occupazione, sul territorio dove l’impresa opera. I rappresentanti delle
associazioni avevano chiesto di trovare una modalità che consentisse all’agenzia di poter effettuare
interventi integrati con entrambi i fondi, ma la regione non ha preso in considerazione la proposta.
Alcune proposte delle associazioni “ecopacifiste” per rilanciare l’attività dell’Agenzia
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Naturalmente, per poter parlare di rilancio delle attività dell’Agenzia Regionale per la riconversione
dell’industria bellica è necessario salvare la legge che la istituisce, poi si potrà approfondire il dibattito
sul modo più adatto per rivitalizzare e migliorare il suo intervento.
Già nel passato le associazioni “ecopacifiste” rappresentate nell’Agenzia reputarono ancora valide le
finalità della legge che istituì l’Agenzia stessa, e, alla luce delle difficoltà e delle criticità del precedente
operato, ritennero però necessario migliorarne l’operatività a partire da un bilancio approfondito
dell’attività svolta, con riguardo sia ai risultati ottenuti dall’erogazione dei fondi, sia di quelli ottenuti da
altre iniziative simili (es.: fondi Konver, 32 miliardi di lire, in Lombardia).
In riferimento alle attività dell’Agenzia le associazioni, come indicato in un loro documento, si fecero
promotrici delle seguenti proposte:
1- Processi di riconversione
L’agenzia doveva assume l’idea di operare in relazione a “processi di riconversione” e non a interventi
“una tantum” in quella direzione, dunque si rendeva necessaria anche una valutazione ex-post
dell’efficacia dei finanziamenti erogati. Il controllo atto a verificare l’effettivo utilizzo degli
stanziamenti verso un progetto alternativo non era sufficiente, occorreva un meccanismo più complesso
che doveva monitorare anche gli effetti che la produzione di un prototipo alternativo avrebbe avuto sui
processi aziendali e sul mercato.
Si proponeva dunque, come primo passo, che l’Agenzia studiasse i meccanismi di controllo anche a
partire da quelli messi in atto da altre realtà, come ad es. nel programma europeo Konver, al fine di
prospettare uno strumento adeguato da porre in essere appena possibile.
2- Attività di studio, ricerca, elaborazione e proposta
Le associazioni ritenevano importante dare maggiore spazio a questa finalità proposta dalla legge.
Esse ritenevano peraltro che le attività relative a questo punto non furono realizzate a dovere
essenzialmente perché l’assessorato coinvolto non riteneva queste attività fare parte delle proprie
mansioni. Le associazioni dunque proponevano di valutare la possibilità di spostare l’Agenzia
direttamente sotto la presidenza del Consiglio Regionale (come pure permesso dalla legge), piuttosto
che sotto la presidenza dell’Assessore delegato.
La conoscenza del settore militare, soprattutto nelle dimensioni e nelle tendenze, con particolare
riguardo alla regione Lombardia, era giustamente considerato un pre-requisito affinché l’Agenzia
potesse operare in maniera proficua. Da questo scaturivano le seguenti ipotesi di attività di ricerca:

Aggiornare costantemente la ricerca sull’industria militare lombarda, strumento indispensabile
per operare nelle direzioni più proficue.

Elaborare scenari di riconversione con particolare attenzione alle ripercussioni economiche
sull’economia regionale e agli effetti sull’occupazione.
53

Organizzare un convegno e utilizzare altri strumenti di divulgazione per rendere visibile
l’agenzia, far conoscere agli addetti del settore i lavori realizzati e creare un dibattito sui temi della
riconversione.

Frasi promotrice di progetti di diffusione della cultura della pace
Inoltre appare necessario:
1- Un rilancio della ricerca sull’industria militare lombarda, prevedendo la diffusione dei risultati;
2- Una adeguata diffusione di informazioni relative alla precedente ricerca (del 1994) e della nuova;
3- L’acquisizione dettagliata e la diffusione di informazioni relative alle attività svolte dall'Agenzia
stessa in favore delle imprese belliche lombarde, per le attività di finanziamento delle iniziative di
studio e realizzazione prototipica di prodotti alternativi e del loro esito produttivo ed occupazionale;
4- L’acquisizione dettagliata e la diffusione di informazioni relative alle iniziative di sostegno ai
processi di ridimensionamento della produzione militare finanziate dal programma Konver sul territorio
della regione Lombardia e sul loro esito produttivo ed occupazionale;
5- L’acquisizione dettagliata e la diffusione di informazioni sull'estensione e gli effetti delle iniziative
Perifra e Konver nei vari paesi europei che ne hanno beneficiato;
6- L’acquisizione dettagliata e la diffusione di informazioni relative all'applicazione e agli effetti degli
stanziamenti nazionali per la riconversione e ristrutturazione dell'industria bellica operativi dagli anni
'90, con particolare riguardo alla loro applicazione sul territorio regionale;
7- La raccolta, l'aggiornamento costante e la diffusione di una bibliografia sulla riconversione e di links
con i centri di ricerca che in vari paesi si sono occupati e si occupano di riconversione dell'industria
bellica (es.: il tedesco BICC - Bonn International Center for Conversion, l'inglese ACP - Arms
Conversion Project, gli americani OEA - Office of Economic Adjustment (istituzionale) e CEC - Center
for Economic Conversion, ecc.);
7- La diffusione di informazioni sulle esportazioni di armi operate dalle industrie lombarde a
produzione militare;
8- La diffusione di informazioni sulla modifica della Legge 185/90 e le ripercussioni della nuova legge
per il controllo dell'esportazione di armi;
9- La realizzazione di un sito dell'Agenzia, per la diffusione on-line delle suddette informazioni e di
altre ritenute importanti, prodotte o meno dall’Agenzia;
10- La cooperazione ed il sostegno alle attività di OPAL - Osservatorio permanente sulle armi leggere
di Brescia e del GSAD - Gruppo di studio su armi e disarmo della Università Cattolica di Milano, sui
temi del monitoraggio dell'industria bellica e della riconversione;
11- Studi sul rapporto tra la produzione di armi (a partire da quelle effettuate sul territorio lombardo) e
le guerre più recenti
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12- Studi sul rapporto tra la produzione di armi (a partire da quelle effettuate sul territorio lombardo) e
le nuove strategie militari a partire dalle filosofie contenute nel Nuovo Modello di Difesa del 1991 e nei
successivi aggiornamenti, nonché con le filosofie della guerra unilaterale, preventiva, costituente,
infinita, così come previste nel pensiero strategico americano
13- Studi sul rapporto tra integrazione europea in tema di difesa e cooperazione nella produzione di
sistemi d’arma tra paesi ed industrie “nazionali”, ed i suoi riflessi in tema di localizzazione produttiva e
di occupazione
14- Studi sul rapporto tra integrazione europea in tema di difesa e nuove strategie militari
15- Studi sul rapporto tra integrazione europea in tema di difesa e guerre.
16- Studi sulle attuali normative vigenti nei singoli paesi europei in tema di controllo e limitazione
dell’export di armi, sulle caratteristiche dell’attuale codice di condotta europeo che regola la stessa
materia e sulle proposte e possibilità di rendere tali norme più stringenti e vincolanti
17- Studi sul rapporto tra economia e produzione bellica, in termini di effetti della seconda sulla prima e
di relazione dialettica tra i due termini
18- Studi sugli effetti economici della produzione bellica nel territorio lombardo nell’ottica di
identificare in modo analitico il peso di questa sul sistema economico regionale e locale, il livello di
dipendenza dalle commesse militari dei territori più interessati al fenomeno, il moltiplicatore economico
specifico, il peso dell’indotto in Lombardia in relazione a quello attivato nel resto d’Italia e quello
attivato all’estero, ecc.
19- Studi sulla crescente quota di R&S destinata alle produzioni militari o duali, presenza del fenomeno
in Lombardia, e sui suoi effetti economici, industriali ed occupazionali nel breve, medio e lungo
periodo, e sulle possibili alternative, studi sugli effetti di restrizione dei diritti dei lavoratori-ricercatori
in relazione alla divulgazione dei risultati delle ricerche, di obbligo alla segretezza, di accesso fisico e
mentale a luoghi, concetti e conoscenze, ecc.
20- Studi degli effetti della R&S militare sulla corsa agli armamenti, sulle strategie militari e la gestione
delle guerre
21- Studi sulle dinamiche dei processi e delle trattative per il disarmo sviluppatesi fino ad oggi e sulle
possibili nuove strategie per ottenere un disarmo effettivo per il prossimo futuro e sul ruolo che gli
organismi internazionali a partire dall’ONU, ma anche di quelli regionali, possono avere al riguardo.
22- Studi sulle campagne di base per il disarmo e contro la guerra
23- La realizzazione di convegni sui temi di cui sopra ed in particolare su quelli relativi al rapporto tra
ricerca, sviluppo, produzione ed esportazione di armi, “nuovi modelli di difesa” e guerre;
24- Studi sulla presenza delle basi militari nella regione, sul loro ruolo, sul loro impatto economico ed
occupazionale
55
25- Studi sulla possibile riconversione ad usi civili delle risorse presenti nelle stesse basi
26- Studi sulla necessità di una architettura nazionale e soprannazionale per favorire ed accompagnare i
processi di riconversione al civile, anche in vista di suggerimenti da dare ai governi centrali
28- Il rifinanziamento dei bandi a favore delle aziende che presentino progetti di diversificazione
-riconversione;
29- Il finanziamento alle industrie belliche della impostazione di piani biennali di conversione da
implementare nel caso di decisioni politiche di disarmo e o riduzione/blocco delle esportazioni di armi,
considerando tali piani un imperativo etico irrinunciabile per queste aziende.
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La proposta di legge nazionale
Diverse le proposte di legge presentate sia in parlamento che in alcuni consigli regionali e che possono
essere prese in considerazione nel momento in cui si decida di creare una giurisprudenza relativa alla
riconversione bellica.
Di particolare rilevanza a livello nazionale sono state le proposte fatte prima nel 1986 dal partito
radicale e poi nel 2005 su iniziativa dei deputati Deiana, Folena, Mantovani, Pisa, Russo Spena,
Zanella, Zanotti, Pisapia, Cento, Mascia, Titti de Simone, Cima, Sciacca.
Riportiamo qui le relazione introduttive delle proposte di legge così come presentate in Parlamento.
Per l’articolato si veda l’appendice.
La proposta del 1986
All'articolo 1 della presente proposta è prevista l'istituzione della Commissione per la conversione
industriale, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine di costituire il punto centrale di
riferimento dell'attività di conversione, sia per l'organizzazione dei dati conoscitivi circa la struttura
produttiva per fini militari, sia per l'elaborazione di piani di conversione. L'articolo 2 stabilisce che la
Commissione predispone un programma degli orientamenti per la conversione industriale, come guida
pratica - a partire da un'analisi macroeconomica della realtà produttiva e del mercato - per organizzare il
riaddestramento degli addetti all'industria bellica, ai diversi livelli; la trasformazione degli impianti; la
soluzione dei nodi normativi e contrattuali.
Particolare importanza avrà il censimento di tutte le aziende, con le loro caratteristiche. E' noto, infatti,
che l'handicap pressoché insormontabile non solo per una possibile conversione, ma già per la mera
analisi della realtà dell'industria bellica è rappresentato oggi dalla indisponibilità di dati conoscitivi.
L'articolo 3 individua i settori verso i quali dovrà indirizzarsi l'attività di conversione, e definisce
l'ambito di collaborazione tra la commissione e i comitati locali per gli impieghi alternativi. Questi
ultimi - disciplinati dall'articolo 4 - sono responsabili tra l'altro dell'elaborazione di piani per la
conversione parziale o totale delle imprese operanti nella provincia di competenza; piani dettagliati
«circa l'uso alternativo e la ristrutturazione degli impianti e delle tecnologie esistenti nonché il
riorientamento e la formazione del personale in funzione dei reimpieghi proposti», essendo evidente che
ogni situazione - con le sue peculiarità - esige iniziative specifiche. I comitati rappresentano anche
l'osservatorio locale per la raccolta, da aggiornarsi semestralmente, dei dati relativi al controllo
proprietario, al fatturato, al personale, alla produzione, all'attività di R/S.
L'articolo 5 istituisce il fondo di solidarietà in favore dei dipendenti delle imprese interessate da un
57
processo di conversione, i quali possono godere di una gamma di interventi pubblici di tutela cui sono
associati anche i dipendenti che «per imprescindibili motivi di coscienza» non intendano proseguire
nella loro attività di collaborazione con imprese operanti nel settore militare.
Il fondo per il riassetto economico, in grado di disporre mutui agevolati e contributi alle imprese che
abbiano predisposto un piano di conversione parziale o totale, è istituito all'articolo 6; mantenimento dei
livelli occupazionali ed effettiva attuazione progressiva del piano costituiscono i requisiti per
determinare l'erogazione.
La copertura finanziaria del provvedimento è assicurata, all'articolo 7, attraverso l'aumento delle tasse
sulle produzioni d'armi e tramite il versamento da parte delle aziende del comparto militare dell'1 per
cento del proprio fatturato annuo. Tali proventi vengono ripartiti proporzionalmente tra i vari soggetti
istituiti nella proposta di legge.
La proposta del 2005
Nel caso della proposta “Disposizioni in materia di riconversione dell'industria bellica e per la
promozione dei processi di disarmo” presentata il 15 dicembre 2005 la redazione è stata fatta a più
mani, oltre che dai deputati firmatari da forze sindacali, pacifiste ed esperti del settore.
Secondo le stime del SIPRI nel 2004, la spesa militare in Italia è settima al mondo con 27,8 miliardi di
dollari (nel 2003 erano 27,6 miliardi nel 2003) mentre il nostro paese è nono al mondo per il volume di
esportazioni di armi con un valore di 261 milioni di dollari del 2004. Le autorizzazioni all'esportazione
rilasciate dal Governo nel 2004 superano i 1500 milioni di euro, per esportazioni in paesi sotto embargo
quali la Cina o a rischio di conflitto India, Pakistan e Medio oriente oltre che a Paesi altamente
indebitati come Cile, Perù, Brasile o dove si verificano reiterate violazioni dei diritti civili come
Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Siria e Arabia Saudita. Parallelamente è cresciuta nell'opinione pubblica
italiana ed internazionale la consapevolezza dell'urgenza di un'inversione di rotta, per creare le
premesse di una politica attiva di costruzione della pace che passi anche attraverso un ripensamento
delle politiche di difesa e delle politiche industriali del settore della produzione di armamenti. Lo dicono
le milioni di voci che si sono levate contro la guerra in Irak, per il rispetto dell’art. 11 della Costituzione
e le decine di migliaia che hanno firmato la proposta di legge d’iniziativa regionale per la conversione
dell'industria bellica in Lombardia.
Ciò accade in un momento nel quale l'industria europea della difesa, è attraversata da un processo di
riposizionamento organizzativo, con fusioni, acquisizioni e accordi di integrazione produttiva e
societaria. E’ un processo, iniziato alla metà degli anni novanta, non sempre lineare e coerente il cui
esito finale, prevedibilmente, sarà il rafforzamento di un "settore difesa" continentale, che possa reggere
58
il confronto sui mercati internazionali con i colossi statunitensi. La prima ondata di ristrutturazioni,
acquisizioni e fusioni ha comportato la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, soprattutto in
Germania e Regno unito, i paesi in cui il processo di razionalizzazione è stato più forte, ma anche in
Italia, dove si sono persi oltre 20mila occupati dall’inizio degli anni ’90 ad oggi. Nonostante la battuta
d'arresto del processo costituzionale europeo, è il settore della difesa quello in cui si registrano le spinte
più forti all'integrazione degli apparati produttivi e in parte decisionali nel continente. Convergono in
questa direzione tanto le logiche di riorganizzazione dello strumento militare, quanto quelle
strettamente aziendali e si registra, d'altro canto, una riduzione del potere "contrattuale" dei singoli
governi nazionali, sia per le restrizioni dei budget, sia perché per competere su scala mondiale con i
colossi statunitensi, le aziende, anche quelle formalmente ancora pubbliche, tendono a svincolarsi dalla
tutela politica e dalle direttive dei governi nazionali, i cui interessi possono (e accade spesso) essere
divergenti rispetto ai desideri dei vertici aziendali. È in estrema sintesi ciò che è avvenuto con la
pressione industriale e politica che in Italia ha portato allo smantellamento de facto dei controlli
sull'export bellico previsti nella legge 185/90; è quanto sta avvenendo a livello continentale con le
pressioni per togliere l'embargo sul trasferimento di tecnologia militare alla Cina; è quanto avviene in
Italia con il moltiplicarsi, in seguito alla revisione della legge 185/90 di accordi bilaterali di
cooperazione nel settore della difesa con paesi quali Indonesia, Algeria, Israele, al punto da prefigurare
una trasformazione di questi accordi in strumenti di politica estera a tutti gli effetti. A tal riguardo giova
sottolineare che la legge 185/90 ed il relativo regolamento attuativo contengono un esplicito riferimento
alla diversificazione produttiva del settore degli armamenti ed alla creazione di un coordinamento per lo
studio dei programmi di riconversione.
La prosecuzione del cammino d’integrazione degli strumenti militari europei, annunciata con la
creazione dell'European Defense Agency (EDA) avrà senz'altro ripercussioni sul settore industriale ad
esso collegato, in particolare per alcuni rami produttivi, come la cantieristica navale (in Europa esistono
20 grandi cantieri, negli Usa, 5) o quello della produzione di sistemi d’arma terrestri (dai veicoli militari
ai carri armati) ancora estremamente frammentato. Quale che sia l'esito di questo processo, l'Italia, che
ha un posto di rilievo nel settore della difesa, continua a ragionare soprattutto in termini nazionali,
quando anche le sue imprese di punta sono ormai lanciate verso l'espansione continentale e verso la
partecipazione attiva nel processo di fusioni, acquisizioni e ristrutturazioni. Una nuova frontiera, poi, si
è aperta con l'ingresso nella UE dei paesi dell'Europa orientale, nei quali esiste una forte tradizione di
industria della difesa che alcuni gruppi europei pensano di aggiornare, tecnologicamente parlando, per
poter poi delocalizzare almeno in parte la produzione. È un processo che riguarda in particolare i settori
a maggiore intensità di lavoro. Da ciò ne consegue che il tema della riconversione dell'industria bellica
non può non essere affrontato anche a livello europeo. Il programma europeo Konver per il
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finanziamento di progetti di riconversione su base regionale e nazionale è stato chiuso nel 2001 ed
andrebbe riproposto in chiave innovativa, insieme alla creazione di un'agenzia europea per la
riconversione. Konver aveva portato negli anni '90 a buoni risultati in termini occupazionali e di
sostegno ad investimenti verso piccole imprese civili in quelle regioni ed aree territoriali che hanno
dovuto soffrire l'impatto del ridimensionamento dell'industria bellica. Queste iniziative servirebbero ad
aprire finalmente la discussione sul ruolo dell'Europa nel mondo e sulla congruenza dello strumento
militare in costruzione con le finalità dichiarate delle carte costituzionali dei singoli paesi oltre che con i
Trattati europei.
Al quadro industriale qui brevemente e sommariamente tracciato occorre aggiungere quello politicomilitare. La creazione di uno strumento militare europeo sta avvenendo con relativa rapidità: i governi e
l'EDA puntano alla piena interoperabilità entro il 2010, data che sembra ottimistica, ma che indica
senz'altro una strada dalla quale difficilmente si tornerà indietro. A fronte dell'integrazione dello
strumento, manca una seria, pubblica e democratica, riflessione su cosa fare con quello strumento. I due
piani, quello politico e quello industriale, sono strettamente connessi, anche se nella percezione
dominante sembrano lontani e in parte separati. In questi anni è stato sicuramente un successo delle
grandi aziende produttrici di sistemi d’arma ed operanti nel settore difesa quello di riuscire a sganciare
la politica industriale e quella commerciale dalle considerazioni politiche. Inoltre, le grandi aziende
usano l'argomento dei posti di lavoro come leva politica per ottenere dai governi nazionali, che ancora
hanno un potere di spesa e di orientamento della stessa, contratti che, secondo una logica strettamente
economica e/o strategico-militare, potrebbero non essere convenienti, né alle finanze pubbliche né alle
forze armate, destinatarie dei prodotti finiti o dei servizi.
In questo quadro, una legge sulla riconversione dell'industria bellica appare non solo urgente, ma
necessaria, tanto sul piano politico nazionale, quanto su quello europeo, quanto sul piano della tutela in prospettiva - dei posti di lavoro, in particolare nel Mezzogiorno.
In tale contesto, gli strumenti previsti dalla legge serviranno ad individuare percorsi di ri-organizzazione
aziendale e di rielaborazione delle politiche industriali che consentano una progressiva
demilitarizzazione dell'apparato produttivo orientandone la riorganizzazione verso quelle tecnologie che
possono trovare impiego in campo civile, salvaguardando sia i posti di lavoro che il know-how
accumulato. Obiettivo di fondo sarà quello di produrre le condizioni e offrire gli strumenti per replicare
le esperienze positive già acquisite nel campo della riconversione e diversificazione dell'industria
bellica.
Sul piano politico nazionale, la legge sulla riconversione servirà a rilanciare il dibattito pubblico sullo
strumento militare italiano e sulla sua funzione, in chiave soprattutto europea e internazionale, viste le
mutate condizioni storiche, geopolitiche e geoeconomiche in cui uno strumento militare pensato
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essenzialmente per difendere il territorio nazionale si trova ad essere sempre più usato come
"proiezione" di forza verso l'esterno o come parte di missioni internazionali, quando non di guerre non
dichiarate come quella in Iraq. La legge sulla riconversione dovrebbe pertanto rappresentare l'inizio di
un ripensamento dell'organizzazione militare italiana, che consenta di enfatizzare le idee e i metodi
della difesa popolare nonviolenta, dell'obiezione fiscale alle spese militari, dell'organizzazione di corpi
di pace al posto dei reparti armati che puntualmente rappresentano l'Italia negli scenari di crisi
internazionale.
L'articolo 1, prevede la costituzione di un’Agenzia Nazionale per la riconversione, incaricata di fornire i
servizi di assistenza e consulenza per una riformulazione delle politiche industriali al fine di condurre le
riconversioni produttive e di mercato, nonché di coordinarle in modo da offrire, nella migliore delle
ipotesi, la creazione di un intero settore ad alta specializzazione, possibilmente nel campo delle
tecnologie ecocompatibili (uso razionale dell’energia e fonti rinnovabili, mobilità sostenibile, sicurezza
ambientale e valorizzazione del territorio etc.).
L’articolo 2 fornisce in dettaglio i compiti dell’Agenzia nazionale per la riconversione.
All'articolo 3 sono ipotizzati tutti gli elementi determinanti l'atto programmatorio nonché i vincoli a cui
deve rapportarsi: primo fra tutti la sua immediata incidenza sul bilancio di previsione del Ministero
della difesa, nonché il suo progressivo aggiornamento a seconda delle modificazioni del mercato
produttivo delle aree interessate.
All'articolo 4 sono previsti gli strumenti di traduzione del programma generale nei vari piani di
attuazione affidati quindi a Agenzie regionali per lo studio e l'attuazione dei progetti di riconversione
dell'industria bellica e per la promozione dei progetti e dei processi di disarmo, realizzando in questo
modo una maggiore democraticità nella proposta di riconversione, una maggiore partecipazione degli
interessati e quindi anche una piú dettagliata conoscenza dei vari aspetti del problema.
Con l'articolo 7 si prevede inoltre che alle agevolazioni si possa accedere anche per la realizzazione di
un apposito centro di ricerca del settore.
L'articolo 8 prevede misure che possano rendere compatibili le esigenze occupazionali delle zone
interessate con l'esigenza della riconversione del settore bellico, proprio per non sottoporre, fermo
restando il vincolo della piena occupazione nelle previsioni dei piani di riconversione, i diritti e le
legittime aspettative dei lavoratori ai bisogni dei cicli produttivi.
L’articolo 9 impegna il Governo a sostenere iniziative per la riconversione dell’industria bellica a
livello di Unione Europea attraverso l’istituzione di un’Agenzia Europa per la Riconversione ed a
livello di Nazioni Unite, nell’ambito della Conferenza per il Disarmo.
Per quanto attiene alla copertura finanziaria, varrà il principio che tale riconversione debba essere
pagata in parte dagli stessi industriali del settore attraverso il versamento dell'1 per cento del fatturato,
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non fosse altro poiché la riconversione di un’unità produttiva oggettivamente avvantaggia le altre ed
inoltre la parte a carico della collettività viene recuperata in parte dal versamento volontario dei cittadini
attraverso la previsione della possibilità di destinare agli interventi di riconversione dell'industria bellica
l'8 per mille della propria dichiarazione dei redditi, e per la restante parte, infine, dal bilancio dello Stato
con la riduzione delle spese militari. Alternativamente i fondi possono essere reperiti nel bilancio del
Ministero delle Attività Produttive, sganciando anche simbolicamente, la competenza dal Ministero
della Difesa, o con una tassazione mirata, per esempio, alle transazioni finanziarie che coprono le
operazioni di esportazione di tecnologia militare o di armamenti.
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Proposta di legge per la regione Lazio
Per la Regione Lazio è stata fatta una proposta di legge per favorire i processi di disarmo e di
riconversione. La proposta presentata da Filiberto Zaratti e Giuseppe Mariani ed è composta di 4
articoli.
All’articolo 1 si prevedono le finalità della legge nelle due fattispecie: iniziative per la diffusione della
cultura della pace ed i progetti di disarmo, interventi per promuovere e favorire i processi di
riconversione industriale;
All’articolo 2 si individuano le tipologie di interventi finanziabili: progetti di ricerca e formazione sulle
politiche ed i progetti di pace e di disarmo rivolte agli operatori sociali e culturali, amministratori
pubblici, ricercatori, studenti ; istituzione di premi e borse di studio; realizzazione di programmi di
scambi internazionali tra studenti delle scuole medie e superiori del Lazio e dei paesi europei e del
bacino del mediterraneo; progetti di studio e di fattibilità nonché interventi per favorire la riconversione
industriale;
All’articolo 3 si individuano i beneficiari del finanziamento ovvero dei contributi regionali con la
specificazione del ruolo della Giunta regionale in merito alle modalità di concessione, erogazione ed
eventuale revoca dei contributi;
all’articolo 4 sono previste le norme finanziarie con l’istituzione di una specifica u.p.b.
Art.1
(Finalità)
1. La Regione Lazio nell’ambito delle proprie competenze e in coerenza con i principi di pace, di
coesistenza pacifica, di giustizia, di ripudio della guerra quale strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli e quale mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, sanciti dal proprio Statuto, dallo
Statuto delle Nazioni Unite e dalla Costituzione della Repubblica Italiana:
a) promuove la realizzazione di iniziative volte alla diffusione della cultura della pace, dei progetti di
disarmo, le attività ed iniziative che mirano alla convivenza pacifica tra i popoli;
b) favorisce i processi di riconversione delle imprese operanti nel settore della produzione di materiali
di armamento.
Art. 2
(Tipologia di interventi)
Per la realizzazione delle finalità di cui all’art.1, la Regione concede contributi al fine di:
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a) realizzare attività ed iniziative a carattere continuativo attuate da associazioni, fondazioni ed enti
pubblici, sui temi della pace, del disarmo, dei diritti fondamentali della persona e dei popoli, della non
violenza.
b) realizzare attività di ricerca sulle materie oggetto della presente legge ed in particolare sui seguenti
temi: pace, disarmo, nonviolenza, diritti fondamentali degli uomini e dei popoli, esperienze storiche e
prospettive della pratica della non violenza;
c) produrre programmi ed interventi didattici e pedagogici sulla pace e la non violenza.
d) realizzare corsi di informazione e formazione sulle politiche ed i progetti di pace e di disarmo rivolte,
in particolare, a operatori sociali e culturali, studenti, ricercatori, lavoratrici e lavoratori
e) istituire premi per tesi di laurea o di specializzazione presso le Università presenti sul territorio, sui
temi della pace, del disarmo, della non violenza e dei diritti umani.
f) realizzare corsi di formazione per coloro che intendono partecipare a missioni internazionali di pace
in quanto operatori del servizio civile.
g) realizzare programmi scolastici per scambi internazionali, sui temi della pace e del disarmo , per
soggiorni di singoli studenti o di classi di scuole medie e superiori con studenti e classi di scuole di altri
paesi in particolare di quelli aderenti all’Unione Europea o dell’area del Mediterraneo;
h) elaborare progetti di studio e di fattibilità volti a realizzare la conversione integrale o parziale delle
attività delle imprese operanti nella produzione di materiale bellico così come definito dall’art.2 della
legge 9 luglio 1990 n° 185, verso attività di produzione di beni e di prestazioni di servizi di uso civile e
socialmente utili;
Art. 3
(Attuazione degli interventi)
1. Per l’attuazione degli interventi di cui all’articolo 2, la Regione promuove il coordinamento delle
risorse finanziarie di provenienza regionale, nazionale e comunitaria.
3. La Regione concede contributi per l’elaborazione e la realizzazione dei progetti di intervento di cui
all’articolo 2, agli Enti locali, alle organizzazioni sindacali, alle università, alle scuole del territorio
regionale, ai centri di ricerca e alle associazioni impegnate nella diffusione della cultura della pace e di
promozione del disarmo.
2. Nel caso di particolari situazioni di crisi nelle aziende del settore produttivo a carattere militare,
dovute a condizioni di mercato o a ridimensionamento di produzioni militari, la Regione, si attiva per
individuare le norme regionali, nazionali e dell’Unione europea che possano favorire la riconversione
delle aziende interessate e la limitazione dell’impatto economico territoriale, nonché l’eventuale
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ricollocazione delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti. La Regione può intervenire con risorse
finanziarie aggiuntive.
4. La Regione può concedere contributi per l’elaborazione e realizzazione dei progetti di intervento di
cui all’articolo 2 fino al 100 per cento della spesa ritenuta ammissibile salvo quanto previsto
dall’ordinamento comunitario relativamente agli interventi in favore delle imprese (regime ‘de
minimis’).
5. La Giunta regionale, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, con successive
deliberazioni, determina le modalità di concessione, erogazione ed eventuale revoca dei contributi,
nonché i criteri per l’assegnazione dei contributi medesimi .
Art. 4
(Norma finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge si provvede per l’esercizio finanziario 2005 e
seguenti con le risorse stanziate sull’ UPB di nuova istituzione, recante “Interventi di promozione ed
attuazione dei progetti di riconversione dell’industria bellica e delle iniziative per favorire i processi di
disarmo e la cultura della pace”.
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LE PRATICHE DI RICONVERSIONE: INSEGNAMENTI PER IL LAZIO
L’esperienza inglese
L’esperimento di riconversione che risulta più organico e meglio studiato è quello dell’industria militare
inglese25, in particolare l’esperienza che ha visto protagonista la Lucas Aerospace, azienda del gruppo
multinazionale Joseph Lucas Industries in possesso di numerosi stabilimenti in Gran Bretagna
(Wolwerhampton, Birmingham, Hemel Hempstead, Burnley, Liverpool, Bradford). L’iniziativa prese le
mosse nel 1974 di fronte ad un’ulteriore richiesta di licenziamenti da parte dell’azienda. Si era nel pieno
di un periodo caratterizzato dai drastici tagli alla spesa pubblica (austerity) operati dal governo laburista
e dalla conseguente crisi del comparto militare britannico che aveva già ridotto, nei dieci anni
precedenti, il numero il numero degli occupati del settore da 18000 a 13000.
«L’idea di suggerire prodotti alternativi nacque da un incontro tra delegati sindacali e il ministro del
lavoro, nell’intento di fermare il processo di concentrazione del capitale e di impedire la dissoluzione
delle squadre di progettisti, vera risorsa della Lucas Aerospace, ma anche di lavorare a produzioni
socialmente utili e di “umanizzare la tecnologia”. Fallito il proposito di ottenere suggerimenti da esperti
e docenti universitari, il comitato di fabbrica si rivolse agli stesi lavoratori, invitati ad indicare in un
questionario prodotti legati ai bisogni quotidiani ed in cui il valore d’uso prevalesse su quello di
scambio. Da una lista di 150 prodotti alternativi, si giunse ad individuare sei principali aree produttive
(tra cui apparecchiature elettromedicali, produzione di energia alternativa, sistemi di trasporto, sistemi
per il controllo a distanza), e da qui si aprì un’intensa fase di progettazione e di ricerca di possibili
committenti, coinvolgendo università, politecnici, unità sanitarie, enti locali, camere di commercio ecc.
Tra i prototipi realizzati un veicolo ibrido per strada e rotaia, sperimentato con successo sulle strade
della East Kent e divenuto il simbolo viaggiante dei lavoratori della Lucas impegnati nella
riconversione; una pompa di calore a gas; un motore flessibile a compressione interna a batteria.
Arenatosi di fronte al rifiuto della direzione di accettare ogni ingerenza sugli indirizzi produttivi
aziendali, indebolito dai tagli occupazionali –che proseguirono, ma vennero subordinati dal ministero ad
alcune concessioni alle proposte dei lavoratori–, il “comitato per il piano alternativo” ebbe però il
merito di sollevare la questione della riconversione sul piano nazionale (altri comitati simili sorsero in
altre grandi aziende inglesi, tra cui Vickers, British Aerospace, Rolls Royce) e la capacità di collegarsi a
centri di ricerca che svilupparono in seguito i prototipi Lucas.
25
A tal proposito cfr. E. PAGANI, Dalla produzione di armi alla produzione civile: il caso inglese, Bergamo, Centro
Eirene-FIM-CISL, 1990.
66
L’esperienza della Lucas, così radicale e anti-mercato, ebbe ai tempi grande risonanza sui mezzi
d’informazione e un’influenza a lungo spettro sul movimento sindacale europeo e sui gruppi ecologisti,
pacifisti, religiosi che animarono il movimento per la pace negli anno ’80 nei paesi esportatori di
armamenti»26.
La riconversione, in Italia, nasce in Val Susa
La prima iniziativa di mobilitazione a favore della riconversione in Italia venne avviata a Condove, in
Val di Susa, nel 1970, in uno stabilimento di riparazione di carri ferroviari della Moncenisio per il quale
era stata programmata la riconversione a fabbrica d'armi. Un gruppo non violento della Valle (il
G.V.A.N.. Gruppo Valsusino di Azione NonViolenta) presente nella fabbrica, animato da Achille
Croce, si oppose e riuscì a scongiurare questa riconversione alla rovescia. Croce riuscì a convincere
operai, impiegati e dirigenti della fabbrica a votare la mozione antibellica in cui diffidavano l’azienda
dall’assumere commesse di lavoro di materiale bellico impegnando nel contempo le maestranze,
nell’ipotesi che ciò si verificasse, dall’astenersi dal prestare a qualunque livello, direttamente od
indirettamente, la propria mano d’opera.
L’avvenimento carpì l’attenzione del sindacato, che fino al quel punto era a digiuno sull’argomento.
Scrive Alberto Tridente: «Ero segretario della Fim-Cisl di Torino e la cosa mi colpì moltissimo. Nel
sindacato venne avviata una difficile discussione e, poco a poco, prese piede la consapevolezza che non
si poteva scommettere sulla guerra per avere maggiore occupazione»27.
Il dibattito e le iniziative del sindacato presero le mosse dal 1974, quando, a un anno dal golpe in Cile,
dalla OTO Melara venne inviato un carico di cannoni alla Giunta militare cilena. L’organizzazione più
attenta a questo argomento è stata sicuramente la FIM-CISL. Il problema per il sindacato, a questo
punto, non riguardava più solo la tutela dell’occupazione (il grande aumento nella produzione bellica
era, in quegli anni, garanzia di numerosi posti di lavoro) ma coinvolgeva il discorso sulla moralità della
produzione di armi. La produzione italiana di armi del tempo era cresciuto vertiginosamente sfruttando
i mercati emergenti dei Paesi in via di sviluppo spesso caratterizzati da regimi di natura antidemocratica
e dittatoriale, quali il Brasile, l’Argentina dei dittatori, il Cile di Pinochet o il Sudafrica dell’apartheid.
Su questa contraddizione, ben nota nel dibattito sindacale italiano, in una intervista del 1977 a “La
Stampa”, Alberto Tridente, componente della segreteria nazionale della Federazione Lavoratori
Metalmeccanici (FLM), dichiarava:“I lavoratori non sono più disposti né ad essere ricattati sul posto
di lavoro né a farsi complici di un commercio cinico e spietato. Essi non accettano di scendere in
26
27
S. FINARDI e C. TOMBOLA, Le strade delle armi, Milano, Jaca Book, 2002; cit pp. 77-78.
Dalla rivista mensile dei missionari saveriani, Missione Oggi, anno 8, n° 4 Brescia, 2006.
67
piazza il sabato contro i governi oppressori della libertà, e di andare in fabbrica il lunedì per fornire a
questi governi i mezzi per i massacri e le violenze”.
A livello nazionale, il sindacato chiese al governo nel 1989, subito dopo l’unificazione tedesca e il
dissolvimento del Patto di Varsavia, misure di riconversione produttiva e/o diversificazione produttiva
delle fabbriche d’armi italiane per contrastare le conseguenze negative sull’occupazione. Nelle
fabbriche a produzione militare, si scontrarono due correnti di pensiero all’interno del movimento
sindacale: la prima si poneva come obiettivo una soluzione alla crisi dell’industria bellica da un punto di
vista etico e quindi l’adesione alle proposte nazionali di riconversione e diversificazione; la seconda
rifiutava un approccio etico-politico al problema “produzione militare”, richiedendo un maggior
impegno per nuovi programmi di produzione militare con commesse interne e internazionali. Le due
correnti attraversarono orizzontalmente tutte le organizzazioni sindacali.
Il coordinamento nazionale dei delegati delle fabbriche a produzione bellica si confrontò per tutti gli
anni ’70 e ’80 su piattaforme orientate alla diversificazione. Nel 1988, l’Aermacchi di Varese, sotto la
spinta di una parte del sindacato, firmò un accordo sulla diversificazione della produzione di un aereo, il
Dornier 328, per utilizzo civile.
In questo ambito la crisi si abbatté sull’industria bellica italiana tra la fine anni ottanta e l’inizio degli
anni novanta. Le ripercussioni occupazionali della crisi si manifestarono in particolare nelle aree di
maggiore concentrazione dell’industria bellica lombarda e in special modo nelle province di Brescia e
Varese, dove, specialmente in quest’ultima, si concentrava, e si concentra tuttora, la produzione
aeronautica ed elicotteristica italiana.
Nel 1991, il “Comitato dei cassaintegrati Aermacchi per la pace e il diritto al lavoro” iniziò una serie di
iniziative pubbliche per attirare l’attenzione sulla questione “diritto alla pace e diritto al lavoro”. Tra le
iniziative va ricordata l’installazione di una roulotte in Piazza del Podestà a Varese il 16 gennaio 1991,
la notte in cui iniziò la prima guerra del Golfo. Quello fu il punto di riferimento dell’intero movimento
della città e della provincia contro la guerra.
Attorno ai 600 cassaintegrati Aermacchi, si creò una rete di solidarietà che portò numerosi consigli
comunali a chiedere interventi concreti per la riconversione del distretto industriale-militare varesino.
Del problema delle fabbriche d’armi fu investita anche la Commissione lavoro della Camera e il
sottosegretario al Lavoro che indicò come soluzione alla crisi dell’industria il prepensionamento dei
lavoratori in esubero.
Se per una parte del sindacato dell’industria a produzione militare la crisi era da risolversi con un
impegno pubblico di investimenti per nuovi equipaggiamenti delle Forze Armate, di contro vi era
68
un’altra area che attraversava il sindacato e le forze politiche e sociali che chiedeva un impegno
pubblico per l’uscita governata di queste fabbriche dalla produzione militare a quella civile28.
«Anche se i media non lo raccontano mai, la lotta per la pace ha una storia lunga, da queste parti. Ed è
fatta anche di vittorie, come quella sulla campagna contro la produzione di mine antiuomo che ha
portato alla riconversione della Valsella, mine. Certo, ci sono stati anche fallimenti, dovuti soprattutto
alla mancanza di coraggio che ha frenato spesso il movimento operaio bresciano».
Roberto Cucchini, ex lavoratore all'Archivio storico della Camera del lavoro di Brescia, licensiatosi
dopo l’adesione della C.G.I.L. alla guerra “umanitaria” del Kosovo, fa riferimento alla battaglia,
sostenuta dai sui lavoratori, per la riconversione della Valsella Meneccanotecnica di Chiari, provincia di
Brescia.
La Valsella
Il risultato raggiunto nei primi anni ’90 dalle operaie e dagli operai della Valsella rimane tuttora uno dei
momenti più significativi della lotta per riconversione civile della produzione bellica. Grazie
all’impegno della classe lavoratrice, supportata proficuamente dalle varie componenti sociali, la
Valsella Meccanotecnica, grande esportatrice di mine antiuomo, ha cessato nel 1994 di produrre
ordigni. Tra processi all’intera dirigenza della fabbrica (nel 1991 nove responsabili della Valsella
patteggiarono tra i 18 ed i 22 mesi per esportazione illegale di armi all’Iraq –reato derubricato dalla
Cassazione in infrazione valutaria—, l’impegno della società civile e le difficoltà legata alla mancanza
di stipendi, si è giunti, nel 1998, al definitivo abbandono della produzione militare. La riconversione
industriale, progettata e voluta dalle stesse maestranze con il sostegno sindacale e degli enti locali, ha
portato ad un’attività legata alla progettazione di veicoli ecologici.
Il percorso della Valsella29
Nata nel 1970 a Montichiari dall’iniziativa di un gruppo di imprenditori bresciani in stretto rapporto con
il Ministero della difesa, la Valsella si specializza in mine anti-carro, illuminanti e anti-uomo, che
confeziona in involucri di plastica e riempie con esplosivo fornito dalla S.E.I.30. La produzione di mine
anti-uomo è un vero "successo", l’azienda assume cinquanta dipendenti nei primi due anni, esporta
molto nel Terzo Mondo, cresce a tal punto che fonda nel ’71 la Valsella Sud, sede a Bari, poi ceduta ad
28
http://www.peacedividend.eu/agenzia.html
L’analisi che segue è tratta da http://www.disarmolombardia.org/documenti/Indbelbre.htm
30
Le mine prodotte dalla Valsella in quel periodo sono del tipo scatterable (disseminabili a lancio).
29
69
un ingegnere ex Valsella con nuova denominazione, Tecnovar. Un’altra uscita di dipendenti dello
stabilimento di Castenedolo darà origine nel 1977 alla Misar, sede a Ghedi (10 km da Castenedolo).
Questa piccola costellazione di aziende lavora su progetti simili, su materiali amagnetici (plastici), su
congegni semplici e intercambiabili: elementi che sono molto graditi alla clientela. Nel tempo si
affineranno alcune specializzazioni, ad esempio per la Misar quella delle mine anticarro e marine, per la
Valsella i disseminatori automatici e i congegni elettronici per l’innesco a distanza, ma nella prima fase
tutte si dedicarono principalmente alle mine anti-persona, che avevano una crescente richiesta
proveniente da aree di conflitto come il Golfo persico, il Sahara occupato dal Marocco, l’Argentina alla
vigilia delle Falkland, il Sudafrica sotto embargo internazionale, alla Somalia, e – attraverso l’Egitto di
Sadat – l’Afghanistan, il Rwanda, la Tanzania, l’Africa intera.
Nel 1980 Valsella e Meccanotecnica Mt (azienda che fabbrica componenti plastici) diedero vita alla
VALSELLA MECCANOTECNICA SPA, la cui compagine azionaria è di difficile ricostruzione, celata
tra Lussemburgo e Singapore. Nel 1983, con 150 dipendenti la Valsella Meccanotecnica raggiunse 106
miliardi di fatturato, accumulando in due esercizi 28 miliardi di utile: una tale redditività, dovuta in gran
parte alla fornitura di mine anti-uomo all’Irak in guerra con l’Iran, non sfuggì al grande capitale, tanto
che nell’84 Valsella e Misar vennero acquistate indirettamente dal gruppo Fiat, la prima attraverso la
Borletti, la seconda mediante la Gilardini.
Con la nuova proprietà i rapporti commerciali passarono in gestione a due società svizzere, ma gli affari
diminuirono, con un crollo dei fatturati dovuto al (tardivo) embargo del governo italiano nei confronti
dei belligeranti del Golfo, pur se insieme Valsella e Misar raggiunsero ancora nell’86 i 40 miliardi di
vendite.
Nel luglio nel 1987 un periodico francese denunciò che le mine anti-uomo della Valsella continuavano
ad essere impiegate nel Golfo, e che le prospettive di produzione della ditta bresciana erano anzi in
aumento, come confermavano le grosse partite di esplosivi ordinate dalla Valsella in Francia, Belgio,
Svezia (alla Bofors). Nel settembre dello stesso anno il conte Ferdinando Borletti, presidente della
Valsella, suo figlio e l’intera dirigenza dell’azienda vennero arrestati sotto l’accusa di traffico illecito di
armi. Il processo si farà nei primi mesi del 1991 ma i nove imputati (nel frattempo il conte Borletti è
deceduto) "patteggeranno" per vedersi condannati a pene tra un anno e sei mesi e un anno e dieci mesi;
poi la Cassazione penserà a derubricare il reato: non più esportazione illegale di armi, ma infrazioni
valutarie.
Il tribunale comunque accertò che tra 1982 e 1986 la Valsella vendette all’Irak nove milioni di mine
anti-uomo, per un valore di 250 milioni di dollari, servendosi di una "triangolazione" con una ditta di
Singapore e confezionando le mine nella sua filiale sempre di Singapore compiuta senza autorizzazioni
all’esportazione, nonché dell’appoggio della filiale di Singapore della Banca Nazionale del Lavoro.
70
La Misar venne solo sfiorata dall’inchiesta, e comunque la Fiat decise nell’89 di chiuderla e di trasferire
la produzione alla WHITEHEAD SPA di Livorno. Dopo innumerevoli trasformazioni societarie, la
Whitehead finisce in una nuova società, la WHITEHEAD ALENIA SISTEMI SUBACQUEI SPA di
Genova, a controllo misto Fiat-Finmeccanica, cedendo il ramo mine terrestri e marine alla S.E.I. di
Ghedi.
Nel ’91 si attuò una ristrutturazione azionaria in seguito alla quale la Valsella passò al 100% sotto il
controllo della famiglia Borletti, finché – dopo una lunga trattativa tra maestranze, enti locali, sindacato
– si giunse al definitivo abbandono della produzione militare nel febbraio 1998 e alla riconversione per
la produzione di prototipi di veicoli ecologici.
La riconversione della Valsella vista dall’interno. La testimonianza di un’operaia31.
Care amiche, Cari amici, sono Franca Faita.
Ho lavorato nella fabbrica di mine, la Valsella Meccanotecnica di Castenedolo, poco lontano da
Brescia, dal 1967. Fino al 1980, la Meccanotecnica (la fabbrica si chiamava così allora) produceva
televisori e mobili in plastica. A quell'epoca eravamo 200 dipendenti. Nel 1980, avviene la prima crisi
nel settore; l'azienda ci mette in CIG - Cassa Integrazione Guadagno - per 12 mesi. Nel 1983, l'azienda
ci comunica che il mercato dei prodotti civili non tira più e che gli operai erano troppi: 30 dipendenti
devono lasciare.
La ditta ci informa che saremmo diventati un'azienda militare, incorporando la ditta Valsella con 60
dipendenti. Siamo così diventati la famigerata “Valsella Meccanotecnica". Da allora, abbiamo iniziato a
produrre le mine antipersona e gli stipendi aumentavano senza bisogno di fare scioperi o proteste.
Siamo andati avanti per 10 anni con commesse grandiose. Quando le commesse finivano, nessun
problema per noi: ci mettevano in CIG e l'azienda continuava a pagare i salari.
Da parte sindacale, ad ogni incontro con la proprietà, chiedevamo: "Per chi sono tutte queste mine?". La
risposta era: "Segreto militare". Si calcola che la Valsella, nella sua breve storia, abbia fatto oltre 30
milioni di mine! Chiedevamo: "Ma perché servono migliaia e migliaia di mine?". Risposta: "Per
difendere il territorio dal nemico". I tecnici della Valsella si recavano spessissimo alla SEI, Società
Esplosivi Industriali di Ghedi (Brescia). Come mai? Studiavano e facevano esperimenti per
"migliorare" le mine. Ma anche quello era un "segreto militare". La SEI riempiva di esplosivo le mine
prodotte dalla Valsella; ma dove andavano a finire tante mine? Ancora, "segreto militare".
Ma era già stata messa in atto una moratoria. Se non si vendevano più le mine, non era certo per la
consapevolezza da parte dei dirigenti delle fabbriche dei danni che queste provocavano, ma solo perché
31
http://unimondo.oneworld.net/article/view/126553/1/2310
71
la legge non lo permetteva più.
Un grande giorno è stato quello in cui sono stata chiamata dal dottor Gino Strada. Mi presentò una
cassetta piena di mine dicendomi:
- "Le conosci?".
- “Sì, le conosco”, risposi.
- "Ma tu sai cosa fanno?".
- "Servono a difendere il territorio dal nemico", risposi.
- "Cara Franca, queste mine stanno provocando tantissime vittime civili, che con la guerra non
c'entrano, non c'entrano con la difesa del territorio. La famosa Valmara 69 è quella più bastarda: ce ne
sono a migliaia nel Golfo e in tutto il mondo...".
Tornando a casa, ho cominciato a pensare che dovevo fare qualcosa. II primo pensiero è stato quello di
licenziarmi. Ma se io andavo via, la Valsella avrebbe continuato a produrre le mine e la SEI avrebbero
continuato a riempirle. Da quel giorno, la mia vita è cambiata. Ho cominciato a parlarne con tutte le
maestranze, a spiegare cosa facevano quei pezzi di plastica che noi avevamo prodotto. La risposta di
tutti era: "Se non le facciamo noi, le fanno gli altri".
Ricordo quando padre Marcello (Storgato), un missionario saveriano di Brescia, mi ha portato a
Ginevra, dove ho incontrato Kher Man So, un bambino della Cambogia, con una gamba mozzata da una
mina, mentre andava a scuola in bicicletta. Ho negli occhi ancora l’immagine di quel bambino che mi
ha chiesto di “non costruire più mine”.
Perciò io, con altre poche operaie, abbiamo continuato a parlarne anche fuori dei cancelli della fabbrica
e in giro per l'Italia. Ricordo l'impegno con le scuole per sensibilizzare i bambini e i giovani; ricordo
l'impegno e il coraggio del sindaco di Castenedolo Luigi Frusca e della sua vice Santina Bianchini.
Al primo incontro internazionale contro le mine, tenutosi a Brescia nel 1994, abbiamo partecipato anche
5 operaie della Valsella: Chiara, Maria, Agnese, Ferdi ed io. Ci siamo presentate con uno striscione e la
domanda più lecita del mondo: "Perché per lavorare e vivere dobbiamo costruire mine che uccidono?".
Sempre più gente capiva e ci seguiva. E il coraggio di richiedere la riconversione della Valsella
aumentava sempre più. La vita in fabbrica era molto dura per noi, e soprattutto per me, perché ero
controllata a vista. Ho avuto da soffrire, da sopportare.
Dal 1994, la Valsella non ha più prodotto mine; non per volontà dell'azienda, ma per la forza nostra e di
chi ci ha aiutato; per la tenacia di chi ha lottato fino a far approvare la legge 374 del 1997. Così pure la
SEI ha smesso di riempire le mine di esplosivo, anche se continua a riempire di esplosivo vari tipi di
bombe, nella sua sede rinnovata e potenziata di Domusnovas, in Sardegna.
Io voglio dire a tutti voi, che le mine hanno già fatto troppi danni e troppi morti, e che purtroppo
continueranno a farne ancora, finché non saranno disinnescate e distrutte tutte le mine che sono state
72
disseminate e piazzate in tante parti del mondo. Io voglio dire a tutti voi, che anche le bombe della SEI
SpA e le armi di ogni altra fabbrica, hanno già fatto troppi danni e troppi morti. È molto meglio non
farne più.
Care amiche, Cari amici,
stiamo attenti perché le aziende, quando si tratta di produzione militare e bellica, ci raccontano tante
balle. Io l'ho provato di persona. La battaglia della Valsella ci è costata 18 mesi di CIG e senza
stipendio. Ma ne è valsa la pena. Nel 1998, la Valsella è stata messa in liquidazione ed è stata prelevata
da un'altra Società; è stato fatto un accordo sindacale per distruggere tutto quello che riguardava la
produzione delle mine antipersona e per produrre solo prodotti civili. A me è stato dato l’incarico di
tagliuzzare e distruggere tutta la documentazione aziendale che riguardava la sperimentazione, la
produzione e il commercio delle mine. Gli stampi sono stati danneggiati e venduti a “ferro vecchio”.
Noi siamo fieri di questo risultato. E ringrazio il nostro Presidente Carlo A. Ciampi per avermi voluto
onorare con il riconoscimento di “Cavaliere della Repubblica”.
Come donna e come madre e come sindacalista, sono fiera della battaglia che ho fatto; e la farei di
nuovo. E prego anche voi di provare a fare lo stesso. Vi abbraccio e vi prego, ancora una volta, di
credere nella via della riconversione. Fare prodotti che favoriscono lo sviluppo e il benessere di tutti i
popoli, anche di quelli più poveri nel mondo, questo è l’unico investimento che rende, perché genera
ricchezza, sicurezza e felicità condivisa. Mine, bombe e armi che producono distruzione, non sono un
investimento, ma una pazzia che non dobbiamo più permettere.
Franca Faita, Cavaliere della Repubblica, rappresentante Fiom-CGIL.
La chiusura della Valsella, in attesa della riconversione. Un reportage32
La Valsella. Sessanta operai, centottanta miliardi di fatturato annuo per la progettazione e la
fabbricazione di mine antiuomo. La voglio ricordare anche se, oramai, per fortuna non le produce più.
Difatti, dopo le estenuanti campagne nazionali e internazionali per la messa al bando di questi ignobili
ordigni, è stata finalmente chiusa. Ma, sino a ieri, è da qui che tonnellate di quei famigerati congegni si
incamminavano alla volta dell’Angola, Afganistan, Cambogia, Kurdistan, ex Iugoslavia. È proprio qui
che un modello di fabbrica, inteso come luogo del lavoro industriale estremo, si era irresponsabilmente
saldato con un progetto di pianificata devastazione in una parte del mondo in guerra.
Perciò, vediamola questa famosa Valsella. Lasciandoci alle spalle le colline bresciane, essa rimane a
sinistra sulla provinciale per Castenedolo, un piccolo centro a nove chilometri dalla città, irto di piccole
e medie aziende, di linde villette tutte provviste di giardino e cani giganti. Di là dal bordo della strada,
32
http://www.storie.it/contenuti/mine.htm
73
seminascosta da un intrico di betulle, la sua imbarazzante presenza si cela agli sguardi più distratti.
Bassa, quadrata, con gli uffici al piano rialzato della facciata biancoverde, in apparenza non è per nulla
differente dalle altre fabbrichette della zona. E sì, perché la cosa che la rende diversa da quelle, la nostra
ce l’ha tutta nei fianchi, e sono i poderosi cancelli. Tanti cancelli. Troppi. E poi, recinti di cavi metallici
protesi su tumuli di terra, smossa, corrotta da frattaglie ferrose. Chiusa da qualche mese, se ne attende la
riconversione.
“Forse ci produrranno motori speciali o pezzi per auto in plastica. Non si sa, si attendono decisioni.” ci
dice Roberto Cucchini, un tempo membro dell’Ufficio di presidenza della Consulta per la pace e la
solidarietà tra i popoli del Comune di Brescia. Non lo ammetterà mai, ma se oggi la Valsella ha chiuso i
battenti, è anche merito suo. Lui, lo trovi sempre nella Camera del Lavoro, giù all’Archivio Storico di
cui è l’autorevole e stimato curatore, proprio là in fondo, sotto la finestra con la grata di ferro, che, in un
silenzio quasi irreale, con agili dita sfinisce la tastiera del suo computer. Magro, stempiato, barba alla
Primo Levi, ma più folta, squadrata, grigioscura. Non è un tipo prodigo di cerimonie, però è molto
disponibile, gentile. Subito prende a raccontarci della lotta degli ultimi anni, della marcia dei
quindicimila del settembre 1994 da Brescia a Castenedolo, con le gambe allo stremo e, nella testa,
sempre lo stesso sogno ostinato: farla finita con la Valsella e i suoi reparti di morte. Non v’è traccia di
esaltazione nelle sue parole, il tono è pacato, naturale. Quando accenna al Trattato di Ottawa del ‘97 per
la messa al bando delle mine antipersona, qualcosa si smuove nella serietà del suo viso. Non è che
sorrida, ma per le labbra gli sale un palpito rappreso di gioia. Dura un istante, poi, nella voce, si fa
strada un grumo di amarezza.
“Dopo Ottawa” riprende “non è cambiato granché per le popolazioni colpite dalle mine. Quella povera
gente non può coltivare la terra, pescare, raccogliere cibo, camminare, giocare all’aria aperta. Se non si
risolve al più presto il problema dello sminamento, quella gente è condannata alla morte per fame. Basti
pensare che, in Angola e in Cambogia, il trentacinque per cento del territorio non è coltivabile a causa
delle mine”. Lo osservo mentre parla. Il suo sguardo è buono, diretto, leale. L’idea di pace e di
solidarietà che si porta dentro non è spennellata di generico umanitarismo, tutt’altro, essa è autentica,
profonda, viene da lontano. Viene dall’alta lezione morale di Lelio Basso, dalla Lega italiana per i diritti
e la liberazione dei popoli. Arriva dai movimenti di protesta dei primi anni settanta, quando nel mondo
imperversavano gli sfaceli del Vietnam e dell’America Latina. Si innesta a quel principio etico in base
al quale, contrastare la produzione e lo smercio delle armi al di là di tutte le frontiere e le ideologie, è un
atto dovuto all’intera umana specie. Le mine antiuomo sono armi a vocazione terroristica. La mina
antiuomo non conosce tregua alcuna, rimane attiva per cinquant’anni, in agguato, nascosta là dove è
stata collocata, finché il passo o la mano di un bambino, di una donna, di un uomo non incappa nei fili
del detonatore. Una vittima ogni venti minuti, duemila ogni mese, ventiseimila ogni anno. A coloro che
74
sopravvivono allo scoppio tocca un corpo scempiato, orrendamente offeso.
Una mina antiuomo io l’ho vista dal vero solo una volta, svuotata, innocua. Era lì per terra, nello spazio
riservato a “Medici senza frontiere”, durante un sit-in di gruppi pacifisti una domenica di primavera.
Sopra un mucchietto di paglia, rotonda, rivestita di plastica verdiccia, i fili scollegati, pareva un piccolo
vegetale dai filamenti mozzati. E benché non potesse nuocere a nessuno, nell’osservarla così da vicino,
ti metteva addosso un’inattesa, grigia inquietudine. Chissà, forse nello stesso giorno di quella
primavera, si è trovata a passare di là anche l’operaia della Valsella, la donna che, in seguito, avrebbe
contagiato i suoi compagni di lavoro con il germe del dubbio, ridestandone la coscienza assopita. Sì,
deve aver visto deposto sulla paglia quel cavolotto informe, deve averlo guardato proprio bene,
riconosciuto senza ombra di errore. Più avanti deve essersi fermata di fronte alla foto del bimbo
accovacciato sulla sua unica gamba; deve avere sgranato gli occhi dinanzi alla ragazza senza un braccio,
al petto dilaniato di un cadavere. È fuggita via da lì inorridita, nel salire sull’autobus le è caduto il
biglietto dalle mani, nello scendere ha sbagliato fermata. Più tardi, a casa, nel vedersi passare nello
specchio dell’ingresso, deve aver capito all’improvviso di quali atrocità le sue belle mani materne
farcivano i fagottini del suo reparto. Questa donna Roberto Cucchini se la ricorda bene. Ci conferma
che lei, insieme ad altri pochi operai, ha lottato tanto all’interno della fabbrica affinché venisse chiusa.
Dice che, ancora adesso, è impegnata sul fronte dello sminamento. “Bisogna stare attenti che non si
trasformi in un affare immane per gli stessi che, le mine, le hanno abbondantemente piazzate.
Ovunque”.
Allora. Tre quattro operai hanno scoperto il valore della responsabilità personale. Gli altri invece, che
quotidianamente imbottivano le mine dei micidiali frammenti di ferro, mi pare di capire, non erano al
corrente degli effetti devastanti della propria opera. E i tecnici? I dirigenti? “Gli operai forse no, non
tutti almeno, ma gli ingegneri e i tecnici sì, loro sapevano. Tanto che, durante le prove di collaudo delle
mine, ne sottolineavano l’efficacia, riferendosi nello specifico al loro potenziale distruttivo”. È
perplesso Roberto Cucchini, riflette sul fatto che ad Auschwitz c’erano ingegneri addetti alla
progettazione dei forni crematori, mentre squadre di chimici sperimentavano di continuo nuovi gas
letali. A conti fatti, aggiunge, la società industriale ha reso possibile l’esito tecnologico dell’Olocausto.
Dunque. Il piano di soppressione degli ebrei era considerato un progetto di ingegneria sociale. Gli
uomini dell’equipaggio dell’Enola Gay, che sganciarono la bomba di Hiroshima, a quanto se ne sa, non
hanno mai provato sensi di colpa per il loro atto. I tecnici della Valsella, per loro stessa ammissione,
non desiderano produrre altro che mine antipersona. Mi domando come sia possibile tutto questo. Che
senso ha?
Citando il filosofo tedesco Günther Anders, Cucchini risponde che, nel nostro tempo, milioni di uomini
al mondo ricevono ogni giorno l’assicurazione che gli effetti delle loro azioni non li riguardano, che il
75
loro non è un “agire”, ma un “lavoro”. Inoltre, poiché oggi il lavoro è diviso per funzioni, compiti e
gerarchie, l’attenzione alla propria funzione crea una distanza sia pratica che mentale tra l’atto che si
compie e l’esito finale. “Una volta isolata dalle sue conseguenze, l’azione diventa moralmente neutra”.
Il suo linguaggio è pulito, preciso; la grammatica in ordine come i libri sugli scaffali qui intorno. Segno
inequivoco di onestà e di rispetto per la verità. Al momento di salutarlo, anche se lui non lo dice,
capisco che devo riportare la mia sedia là dove l’ho presa, sotto il tavolo quadrato alla mia destra. Così
tutto torna a posto, e lui è contento.
Il caso di La Spezia 33
La Spezia è un caso emblematico, per il grado di dipendenza che storicamente il suo
territorio e la sua economia hanno avuto dal militare. Nel 1991 il rapporto tra l'occupazione
nell'industria legata alla Difesa (compreso l’Arsenale della Marina Militare) e la
popolazione attiva raggiungeva il 9,6%, quasi un lavoratore occupato su 10. Nessuna
provincia in Italia era dipendente dal settore della Difesa come La Spezia. Nel caso
dell’industria manifatturiera il peso degli occupati dipendenti dal militare superava
addirittura il 40% in rapporto al totale degli occupati (2 lavoratori su 5).
La crisi generale che ha interessato il settore della Difesa all’inizio degli anni ’90 con la
messa in liquidazione dell'EFIM, ha determinato a livello locale una regressione del livello
di importanza relativa del comparto militare rispetto al sistema economico spezzino. infatti,
nella prima metà degli anni '90 il territorio spezzino subì profondi contraccolpi sul piano
socio-economico e occupazionale (e persino una crisi d'identità34).
Viceversa dal 1995 in poi nell'area di La Spezia - per un effetto combinato di interventi
strutturali per favorire la reindustrializzazione e la diversificazione delle attività economiche
(Konver + FSE "Obiettivo 2") e di dinamiche di mercato - sono nate 141 nuove iniziative
33
a cura di Gianni Alioti
Non erano pochi in quegli anni coloro che, in ambito politico-istituzionale, sindacale e imprenditoriale si ostinavano a
rivendicare ancora per La Spezia un ruolo di Polo nazionale della Difesa; contribuendo in questo modo a ritardare la
percezione della crisi ed i tempi di risposta.
34
76
industriali manifatturiere. L'andamento favorevole ha riguardato in particolare il comparto
meccanico e quello cantieristico navale, che hanno registrato nel 2002 sul 2001 un
incremento del 6,8% del numero di imprese e un aumento di 879 occupati tra diretti e
indiretti. La nautica da diporto dal 1998 al 2003 ha più che raddoppiato il valore della
produzione. Notevole è stata poi la crescita nei servizi, che dal 1995 al 2003 hanno visto
crescere il numero degli occupati del 13,8%, soprattutto nei settori della informatica,
ricerca, turismo.
Nel 2002 l'occupazione in provincia è cresciuta del 3,3% con il 27% delle nuove assunzioni
nell'industria manifatturiera, mentre nello stesso arco di tempo il tasso di occupazione è
aumentato di 4 punti percentuali. Infine, il tasso di disoccupazione a La Spezia dal 1995 al
2004 è sceso dal 13,1% al 5,1%, un valore inferiore a quello medio in Liguria (5,8%) e in
Italia (8,0%).
Il cambiamento nel mix di attività economiche verificatosi in questi anni è riscontrabile dal
diverso peso che il settore militare ha oggi sul totale dell’occupazione, diminuito dal 9,6%
del 1991 al 2,8% del 2004. E nonostante il grado di dipendenza dell’occupazione
nell’industria manifatturiera dal settore militare sia ancora rilevante, la riduzione da oltre il
40% al 19% è indicativa del processo di conversione e diversificazione nel civile avvenuto
nel profilo industriale del territorio spezzino.
Gli ostacoli incontrati dalla riconversione in Italia: il caso Alenia35
Le prime proposte di riconversione civile cominciarono ad essere avanzate nel 1986, con modalità e
tempi diversi, in seguito alla legge n. 808 del 24 dicembre 1985 finalizzata al sostegno all’industria
aeronautica. Antesignana è l’esperienza piemontese dell’Alenia, la cui storia può essere presa ad
esempio degli ostacoli che la riconversione incontra nel tentativo di affermarsi.
L’Alenia, allora Aeritalia, aveva un accordo con la Divisione di Radioterapia dell’Università di Torino
operante presso l’Ospedale delle Molinette del capoluogo piemontese. Grazie ad una collaborazione che
andava avanti dal 1983 l’Alenia ha realizzato un’attrezzatura computerizzata, il Sapic SV03, composta
da sistemi refrigeratori multifrequenze collegato a numerosi applicatori, da un dispositivo a fibre ottiche
per il controllo della temperatura e da un impianto di raffreddamento. Il tutto funzionale alla cura dei
35
Si ringrazia, per il materiale fornito, Gianni Alasia ed il gruppo di Rifondazione Comunista di Torino.
77
tumori attraverso l’ipertermia, una modalità che consente di raggiunge il tumore in profondità. Grazie a
microonde e radiofrequenze, ottiene lo scopo senza causare danni in superficie alla rete capillare,
tendini ed articolazioni. L’analisi scientifica, a più riprese svolta analizzando i risultati statistici delle
cure e degli interventi somministrati ai pazienti, ha evidenziato buoni risultati ed indicato come via da
percorrere l’intensificazione di questo tipo di cura. Ad esempio, i risultati presentati dall’Istituto di
Radiologia, Divisione Radioterapia dell’Università di Torino, sul trattamento mediante ipertermia di 43
pazienti dal settembre 1983 ad agosto 1985, mostrano nei pazienti un numero di risposte, fra complete e
parziali (che abbiano cioè portato ad una regressione, anche parziale, della massa tumorale affrontata)
pari all’80,5%, con risultati statisticamente migliori rispetto a quelli ottenuti da altre metodologie di
cura dei tumori36.
Nel Centro Ipertermia di Torino, fra il 1983 ed il 1996, sono stati curati 1009 casi di tumore. Con lo
stesso metodo ne sono stati affrontati 3000 in Italia e 40000 nel mondo. Nel 1995, dopo numerosi
incontri con il Centro Ipertermia, il Gruppo Consiliare di Rifondazione Comunista del Piemonte,
notando la richiesta in Italia e nel resto del mondo di macchinari per l’Ipertermia propose ad Alenia, con
l’intermediazione e l’impegno formale dell’allora Ministero dell’Industria, di fare da capocentro tecnico
per un settore medicale specifico (come sostenuto e consigliato da autorevoli ricerche europee) che
avrebbe aperto la strada ad un settore biomedicale generico in grado di distribuire macchinari nel
mondo.
Nonostante le ottime prospettive dell’operazione l’Alenia ha rifiutato. Immediatamente dopo, di fronte
alla crisi economica che l’attanagliava, l’industria ha chiuso del tutto il settore biomedico impedendo
l’adeguamento dei macchinari e lo sviluppo della ricerca (tanto che il Centro Ipertermia, anni dopo, è
stato costretto alla chiusura).
La soluzione adottata dai vertici dell’Alenia è stata quella del taglio dell’organico e a pagarne il prezzo
sono stati i settori a più basso valore aggiunto, ritenuti oltretutto non strategici (nonostante il grande
sviluppo che questa produzione ha avuto poi nel mondo, soprattutto in U.S.A., Giappone, Svezia e
Germania).
La classe politica ed i sindacati che proposero l’iniziativa non sostennero mai che lo sviluppo del settore
biomedico avrebbe rappresentato la soluzione ai problemi occupazionali dell’Alenia. Scrive Gianni
Alasia: «Non c’è una soluzione unica. Era uno spezzone, uno spezzone importante di un più complesso
mosaico da costruire»37. Ma di certo, nella decisione di chiudere il reparto biomedico deve aver pesato il
ruolo dei vertici militari legati a doppio filo a quelli aziendali «probabilmente non interessati a
36
A tal proposito si leggano le relazioni scientifiche (tra cui quelle trasmesse alla camera dei Deputati e al Ministro
dell’Industria) all’interno di: G. ALASIA, F. BONAVITA, R. PAPANDREA, Alle Molinette: chiuso il Centro Ipetermia.
Cura del tumore col calore. Le uniche produzioni civili dell'Alenia: tutto il resto è materiale bellico, Novara, Magia Studio
Redazionale, 1999.
37
G. ALASIA, Produzione bellica-riconversione civile. Il caso Alenia. In: Notizie internazionali, bollettino bimestrale della
Fiom-Cgil, marzo 2005, Roma, 2005; cit p. 17.
78
dimostrare che è possibile una riconversione da produzioni militari –inutili e distruttive– a produzioni
civili che hanno invece un’utilità pubblica e sociale. Questi vertici si saranno sicuramente battuti perché
arrivassero commesse di natura militare senza cercare di spingere la loro produzione nel campo
biomedico. Un atteggiamento silenzioso e quindi responsabile è stato mantenuto dal Governo e dalle
amministrazioni pubbliche che non hanno cercato di intervenire affinché si tenesse in vita questo
settore. Se esistesse davvero un problema di mancanza di fondi e quindi di economicità delle produzioni
perché si continuano a finanziare questi terribili armamenti insieme alla partecipazione ad avventure o
guerre (…) ?»38.
L’Alenia continua a rimanere fedele alla sua scelta persistendo nella produzione bellica.
All’amministrazione dell’industria, nel 2005 sono state formulate, da ingegneri, scienziati e politici,
nuove proposte di riconversione. Nello specifico, l’ingegner Dalmastro del Politecnico di Torino (ed ex
direttore di Officina Alenia) ha avanzato proposte, dettagliate e praticabili, di differenziazione
produttiva. All’Alenia è stato proposto di fornire la tecnologia per la sicurezza ferroviaria, per i decoder
digitali, per la produzione eolica di energia, per l’elaborazione di leghe leggere, per l’elicotteristica
civile39. La risposta, anche in questo caso, è stata negativa. Evidentemente si preferiscono far soldi
costruendo il Tornado o il Typhoon…
38
R. PAPANDREA in: G. ALASIA, F. BONAVITA, R. PAPANDREA, op.cit.
Si confrontino la tipologia di proposte avanzate all’Alenia con quelle presentate alla Lucas Aerospace e descritte nel
paragrafo: L’esperienza inglese.
39
79
PERCHÉ RICONVERTIRE
È importante, nel dare inizio all’analisi dei processi di riconversione, sottolineare immediatamente la
naturalezza che accompagna la riconversione in campo industriale. La componente emblematica e
distintiva di tale processo, il cambiamento produttivo, è una pratica da sempre presente ed osservabile
ad ogni livello dell'economia. Allo stesso tempo, la trasformazione dei cicli produttivi e l’adattamento
di impianti ed attrezzature svolgono da sempre un ruolo propulsivo nello sviluppo industriale ed
economico. Spesso è stata proprio l’abilità dei responsabili produttivi dell’industria nel modificare la
produzione e nell’intuire ed anticipare i mutamenti qualitativi del mercato, in un sistema competitivo
come quello capitalistico, a garantire diffusione e longevità alle imprese. Non sorprende, quindi, che la
riconversione sia stata praticata, e con successo, anche nel settore della produzione bellica.
Ad esempio paradigmatico venga preso l’orientamento produttivo della BPD di Colleferro alla fine del
secondo conflitto mondiale. La fabbrica, spostata dalla Liguria al sud di Roma nel 1912 per motivi
strategici, ha prodotto per i primi trent’anni della propria vita -e due guerre- esplosivi per l’esercito
italiano. Il 1945 ha visto concretarsi una serie di congiunture nefaste per lo stabilimento: la fine della
guerra (per sostenere i ritmi della quale la BPD aveva di molto intensificato la produzione) con il
successivo divieto all’Italia di produrre munizioni, la distruzione dello stabilimento depredato dei suoi
macchinari più significativi, la morte del Senatore Leopoldo Parodi Delfino, fondatore della fabbrica e,
di conseguenza, di tutta Colleferro. La città è infatti nata e cresciuta attorno alla fabbrica, come una
sorta di kombinat nel pieno dell’Europa occidentale. Nei pressi della BPD sono stati attirati, dagli anni
’20, operai e, successivamente, altri stabilimenti produttivi.
In un momento così difficile il destino della fabbrica si incrocia con quello del Duca Francesco Serra di
Cassano, nobile napoletano e genero del vecchio proprietario. Serra di Cassano rileva la fabbrica e dà
inizio ad una gigantesca opera di riconversione e di diversificazione, utilizzando le capacità di
progettazione e realizzazione, in ambito chimico e meccanico, di cui il personale della BPD era
largamente dotato. Da allora la fabbrica ha prodotto di tutto. Si è inizialmente garantita la
sopravvivenza realizzando sedie in legno, lucchetti e macchine operatrici. Poi, con l’aiuto e la creatività
del Centro Studi, nel quale la BPD aveva raccolto i migliori ricercatori e progettisti del periodo, la
fabbrica è riuscita nuovamente a ritagliarsi un ruolo da protagonista. Iniziò così la produzione del Ddt
(largamente utilizzato per la bonifica delle zone palustri e per debellare la malaria) e di insetticidi
specifici per i vari tipi d’ insetti. Vennero realizzate bombolette spray con una tecnica originale ricavata
da quella dei bossoli dell’artiglieria; il successo delle bombolette fu tale che l’industria di Colleferro, in
80
giro per il mondo, realizzò numerosi stabilimenti su licenza. La BPD, successivamente, introdusse in
Italia la produzione dei saponi in polvere (Lauril), si dedicò alla produzione di filati di lana e sintetici
(Delfin), realizzò carrozze ferroviarie quando l’Italia dovette riammodernare la propria rete di trasporti,
contribuì al rilancio della produzione di cementi.
Anche se la BPD non ha rinnegato del tutto la propria vocazione militare riprendendo, col tempo, a
produrre munizioni e componenti militari, la strada intrapresa dalla fabbrica laziale nel secondo
dopoguerra resta un’esperienza significativa che indica al settore dell’industria militare una strada
percorribile anche oggi. I risultati straordinari che la BPD ha raggiunto negli anni post-bellici rivelano
come un’accurata programmazione e un’adeguata ricerca possano portare ad alti livelli produttivi;
evidenziano, soprattutto, la redditività di un distacco totale dalla produzione militare (come avvenne
negli anni del rilancio della BPD) e da un mercato ricco di incertezze come quello bellico.
Nonostante i risultati raggiunti in esperienze come questa, la riconversione va considerata, per la
complessità che la caratterizza e per i rischi a cui vengono esposti gli stabilimenti che la attuano,
un’operazione decisamente delicata da programmare e realizzare. È un processo che non si improvvisa,
che non contempla passaggi repentini da un processo produttivo ad un altro. La riconversione necessita
di gradualità e compromesso, con dei passi, magari anche piccoli, che comincino ad invertire la logica
imperante. Un intervento difficile, ma che appare assolutamente necessario nelle attuali temperie.
L’osservazione dell’industria militare del Lazio svolta negli ultimi decenni, così come l’analisi
dell’intera industria bellica nazionale, ha messo in evidenza un settore industriale stagnante, con una
minore competitività internazionale rispetto agli altri settori dell’industria italiana. Ormai da tempo la
tecnologia dell’industria militare non ha più ricadute positive nell’industria civile. Se negli anni del
dopoguerra il trasferimento in campi civili delle innovazioni realizzate nelle produzioni militari della
seconda guerra mondiale era stato un fenomeno importante, a partire dagli anni ’80 l’accelerazione del
ritmo e del cambiamento tecnologico in campo civile, come nell’elettronica, ha costretto i produttori
militari di affidarsi in misura crescente alle forniture di componenti sviluppate fuori dall’industria
bellica. E non inganni l’aumento dei fatturati della produzione militare. Un esempio può venire
dall’osservazione dei dati aggregati sull’industria aerospaziale e della Difesa europea desumibili nel
rapporto annuale dell'Asd (AeroSpace and Defence Industries Association of Europe) del 2004. Mentre
il fatturato, a valori costanti, negli ultimi 25 anni è raddoppiato, dal 1981 al 2004 l'industria aerospaziale
è passata da 579 mila a 445 mila occupati. Se analizziamo la parte militare del settore (35,6% del
fatturato), il risultato è sorprendente: i lavoratori sono passati da 382 mila a 158 mila (il 60% in meno),
mentre l'occupazione in campo civile è cresciuta da 197 mila a 287 mila (+ 45%). Anche nel settore
81
spazio, dai quasi 35 mila occupati del 2001, si è scesi ai circa 31 mila del 2004. Infine, mentre in questo
stesso anno il fatturato nel comparto dei sistemi di difesa navali e terrestri, legato interamente alle
commesse militari, è cresciuto in Europa del 3%, nello stesso periodo l'occupazione è scesa del 5,6%,
passando da 165 mila a poco più di 155 mila persone.
Tutto ciò dimostra chiaramente un fatto: nonostante si stia verificando una crescita imponente delle
spese militari nel mondo, l'occupazione nel settore della "Difesa" non è destinata ad aumentare, anzi
subisce una progressiva contrazione.
Tesi confermata, in un articolo per META, da Damiano Galletti della FIOM di Brescia. Il sindacalista
spiega che la produzione armiera non determina aumento occupazionale e numerosi studi dimostrano
che un’industria di prodotti socialmente utili comporterebbe un aumento dell’occupazione. Nonostante
l’aumento delle spese militari, l’emorragia dei posti di lavoro prosegue. Uno studio statunitense
dimostra che un miliardo di dollari spesi per il settore militare causano una perdita netta di 9.000 posti
di lavoro rispetto all’impiego della stessa cifra nel settore pubblico. 10 posti di lavoro nel settore della
Difesa corrispondono a 13 nella Sanità e a 15 negli enti pubblici.
Non a caso il giorno dopo l’acquisto da parte del presidente Bush dell’elicottero AgustaWestland per le
forze armate statunitensi, l’azienda ha licenziato oltre 600 operai del suo stabilimento inglese.
All’assioma che nell’industria militare vede legati a doppio filo l’aumento dei fatturati ed il calo
dell’occupazione, può aggiungersi il basso impatto occupazionale generato, nel complesso, delle basi
militari presenti sul territorio italiano. I posti di lavoro creati da una base militare come quella di
Vicenza, di cui tanto si discute in questi giorni 40, sono giusto qualche centinaia. Questo nonostante se ne
dilati in modo strumentale il peso. Un numero non trascurabile, sia chiaro. Andrea Licata, però, ci fa
notare come: «Numerose esperienze in tutto il mondo dimostrano come alla chiusura dei siti militari
possano seguire processi di conversione dal militare al civile con benefici anche occupazionali»41. In
altre nazioni l’opera di conversione dal militare al civile ha coinvolto attivamente e proficuamente
decine di migliaia di lavoratori42. Nel mondo vi sono ex basi che sono ora diventate centri di energia
rinnovabili, distretti commerciali e aeroporti civili. In Germania si prenda come esempio la base di
Werle o quella di Achim, nei dintorni di Berna, che ora ospita una grande area verde e una grande area
40
Proprio mentre si sta realizzando la stesura di questo rapporto, il Governo Prodi ha dichiarato che non si opporrà
all’ampliamento della Base nato di Vicenza. La base, che sorge sull’ex aeroporto “Dal Molin”, verrà raddoppiata,
mantenendo così invariati gli accordi presi tra gli Usa ed il precedente Governo Berlusconi.
41
A. LICATA, Proposte operative per alternative civili a una base di guerra. Per la versione web vedi:
http://www.altravicenza.it/dossier/dalmolin/doc/20070107licata01.pdf
42
Si vedano le numerose pubblicazioni scientifiche, rintracciabili anche in internet, offerte dal B.I.C.C. (Bonn International
Center for Conversion).
82
residenziale. «Penso inoltre agli ex dipendenti della base militare di Brugen-Bracht che hanno fatto
corsi di riqualificazione, di giardinaggio, di architettura edilizia disegno e tante altre attività costituendo
una cooperativa. Insomma, decine di progetti alternativi che hanno creato circuiti virtuosi»43.
Invece di dedicarsi alla creazione di questi circoli viziosi ci si accanisce per la conservazione dei posti
di lavoro offerti dalla base USA di Vicenza; lavori, questi, spesso precari, poco qualificati, sottoposti a
condizionamenti e privi di condizioni democratiche. Non si dimentichi, a tal proposito, che all’interno
delle strutture militari USA non sono ammessi né la CGIL, né i sindacati di base. Ricorda Andrea
Licata che: «per meglio comprendere le strumentalizzazioni politiche della questione del lavoro nelle
basi USA bisogna tener presente che i civili italiani nelle basi USA sono dipendenti del Governo USA o
di strutture statunitensi ad esso collegate, quindi poco neutrali e facilmente condizionabili dalle
politiche del Governo USA»44.
Non si dimentichi, inoltre, che lo Stato italiano paga buona parte dei costi delle basi e delle truppe USA
presenti in Italia. Il giornalista Marco Mostallino, in un articolo pubblicato sul Giornale di Sardegna del
10 ottobre 2005, indica questa percentuale nel 37%, citando i documenti ufficiali di bilancio delle forze
armate Usa, del Dipartimento della difesa e del Congresso –cioè il Parlamento- degli Stati Uniti. Il
tributo versato da Roma a Washington nel 1999 ha raggiunto 530 milioni di dollari (circa 480 milioni di
euro); nel 2002 i contribuenti italiani hanno finanziato le spese militari americane per un ammontare di
326 milioni di dollari. Mostallino spiega le forme in cui vengo erogati i pagamenti agli Stati Uniti: «Tre
milioni sono stati dati in denaro liquido, il resto sotto forma di sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite
che riguardano trasporti, tariffe e servizi ai soldati e alle famiglie. La maggior parte dei pagamenti, si
legge nelle carte ufficiali del Governo di Washington, nascono da “accordi bilaterali” (bilateral
agreements nei testi originali) tra Italia e Stati Uniti, il resto viene dalla divisione delle spese in ambito
Nato.
Il metodo di prelievo si chiama burden-sharing (“condivisione del peso”) ed è illustrato nel Nato
Burdensharing After Enlargment pubblicato nell'agosto 2001 dal Congressional Budget Office (Ufficio
per il bilancio) del Congresso. Vi si legge (capitolo III, pagina 27) che i comandi militari Usa stimano
che grazie a questi accordi soltanto per le opere e i servizi nella base di Aviano “i contribuenti taxpayers - americani hanno risparmiato circa 190 milioni di dollari”.
Quanto all'impegno complessivo del nostro fisco verso gli Usa, il documento chiave è il Report on
Allied Contributions to the Common Defense (rapporto sui contributi degli alleati alla difesa comune),
consegnato nel marzo 2001 dal Segretario alla difesa (il ministro) al Congresso degli Stati Uniti. Alla
43
44
A.LICATA, in un’intervista rilasciata a: www.contropiano.org
A. LICATA, Proposte operative per alternative civili a una base di guerra. Versione web.
83
pagina 6 della sezione I si legge quanto segue: “Italia e Germania pagano, rispettivamente, il 37 (l'Italia)
e il 27 per cento dei costi di stazionamento di queste forze (le forze armate Usa, ndr)»45.
L’industria militare, nel suo complesso, svolge un ruolo parassitario46 e tre sono le cause di questo
paradosso47: la prima, che accomuna tutti i settori dell’industria manifatturiera, è dovuta alla crescita
continua del fatturato per addetto (competitiveness). Questo, per esempio, nell'industria aeronautica è
cresciuto mediamente, tra il 1980 e il 2003, del 4% all'anno.
La seconda è un fattore specifico riguardante l'industria militare. Esso rimanda sia all'innovazione
tecnologica incorporata nei nuovi sistemi d'arma (dai nuovi materiali alla microelettronica) e nei
processi di produzione (automazione integrata e flessibile), che al consistente aumento dei costi di
ricerca, sviluppo e fabbricazione. Ne deriva un aumento dei costi unitari per sistema d'arma, che
significa una diminuzione, a parità di spesa, della quantità d'armi che può essere acquistata dalle Forze
armate.
La terza ragione, anche questa comune al resto dell'industria, è la riduzione del numero di occupati per
effetto dei processi di fusione, ristrutturazione ed innovazione tecnologica su scala europea e mondiale,
spinti dai processi di integrazione regionale e dalla globalizzazione. Come ulteriore ripercussione
l’industria bellica mostra frammentazione produttiva, basso livello tecnologico, acquisto all’estero dei
maggiori componenti e sottosistemi ed una partecipazione ai programmi europei elevata dal punto di
vista economico ma scarsa dal punto di vista della ricerca e dello sviluppo.
Tutti questi aspetti, cui vanno aggiunte il protezionismo dei principali mercati internazionali, la cronica
dipendenza dell’industria militare italiana e laziale dalle commesse del Ministero della Difesa (anche se,
nella Finanziaria 2007, assistiamo ad un aumento della spesa militare) e l’incertezza, per un settore
carente nello sviluppo tecnologico, degli ordinativi da parte dei Paesi in via di Sviluppo, lo sviluppo
sopranazionale di programmi integrati europei per la produzione d’armamenti, espongono in maniera
decisa e netta le imprese legate al settore industriale militare al rischio di crisi, sollecitandole
all’individuazione di programmi alternativi.
45
M. MOSTALLINO, Le basi Usa a nostro carico, così l'Italia paga i marines. Dal Giornale di Sardegna del 10-10-2005.
La definizione è di Seymour Melman, ingegnere, pacifista militante, professore emerito alla Columbia University e
maggior esperto di economia militare e riconversione industriale a produzioni civili. Per la definizione cfr. SEYMOUR
MELMAN, GUERRA S.P.A. L’economia militare e il declino degli Stati Uniti, Enna, Città Aperta, 2006, pagg 22-23.
«Nonostante questi avvertimenti gli economisti e la maggior parte degli americani si sono ingannati rifiutando di
distinguere lo sviluppo produttivo da una crescita parassitaria». «Benché l’industria militare sia economicamente
parassitaria, il valore della sua produzione è comunque incluso nel calcolo del Prodotto interno lordo». Il libro, pubblicato
successivamente alla morte dell’autore, avvenuta a dicembre 2004, è la sintesi di mezzo secolo di lavoro di Melman
sull’intreccio tra politica, economia e sistema militare.
47
L’analisi che segue prende spunto dalla riflessione di Gianni Alioti in: Armi ed industrie: la possibile riconversione.
46
84
Come riconvertire e quali componenti coinvolgere
Indipendentemente dagli scenari strategici internazionali, dall’espansione delle spese militare e dalla
proliferazione dei conflitti, nei prossimi anni non vi saranno condizioni di mercato tali da poter
soddisfare tutti gli attuali produttori bellici. In Europa, per le imprese leader di Francia, Germania, Gran
Bretagna, Italia e Spagna, è prevedibile un'accelerazione dei processi di concentrazione su scala europea
e interatlantica. «In questa prospettiva, solo le imprese che guideranno tali processi (e in questo ambito
quelle italiane avranno un ruolo comprimario, soprattutto quelle di piccole dimensioni), o le aziende e/o
i distretti industriali che hanno accresciuto o accresceranno la loro diversificazione nei mercati civili,
riducendo la loro dipendenza complessiva dal settore militare, saranno meno vulnerabili sul lato
occupazionale»48 e produttivo. Più in generale come ricorda ancora Damiano Galletti della FIOM di
Brescia: «La possibilità di bonificare la produzione bellica è legata alle scelte economiche generali e
alle condizioni d politica internazionale, al problema del profitto, non meno a quello della pace e della
guerra»49. Ha ricordato anche Alessandra Mecozzi (della segreteria nazionale della FIOM) che bisogna
«rileggere ciò che sta succedendo nel nostro paese e nel mondo, nei posti di lavoro, nelle fabbriche, nei
territori, come nella “geopolitica”… Legami sempre più potenti ed evidenti uniscono militarismo e
degrado della politica, armi ed impoverimento, spese militari e precarizzazioni delle vite; la guerra,
eufemisticamente “la difesa”, sta entrando nelle nostre vite, la politica se ne sta andando. Per costruire
un altro mondo possibile, per immaginare realisticamente diritti globali di donne e uomini, c’è un
lavoro da fare che è proprio dei movimenti, su cui da qualche anno si stanno misurando: la costruzione
di alternative, andando alla radice di ciò che accade, serve un confronto radicale sul senso delle
“resistenze” e quello del diritto internazionale, su conflitto sociale e silenzio della politica, su stili di
vita e modo di produzione».50
Quanto detto rappresenta, per l’industria bellica nazionale e regionale, uno stimolo a praticare la
riconversione e rinverdirne i fasti degli anni ‘80; affinché il processo si possa realizzare con profitto è
però necessario esso coinvolga soggetti diversi, protagonisti a vario titolo degli aspetti economici,
tecnici, politici e sociali di un processo di riconversione.
Le imprese militari
48
Gianni Alioti, Armi ed industrie: la possibile riconversione.
Damiano Galletti, “Fabbricare la pace”, Meta Fiom-Cgil.
50
Alessandra Mecozzi, “Armi, l’Italia incassa nuovi partner industrial-militari”, Liberazione 9 dicembre 2004.
49
85
La direzione delle imprese è un soggetto centrale, detentore del potere di prendere decisioni sulle
produzioni delle aziende. L’approvazione, da parte dei dirigenti, delle ragioni della riconversione
agevola la trasformazione delle produzioni aziendali, soprattutto ci si può avvalere anche della
collaborazione di tecnici e lavoratori all’interno dell’impresa, di forze sociali e dell’intervento pubblico
all’esterno.
Sui temi della riconversione, tuttavia, la direzione aziendale è sempre parte del problema, anziché la
soluzione. Pur riconoscendo a volte i rischi di una forte dipendenza da attività militari, i vertici delle
imprese sono i responsabili più diretti delle scelte aziendali che hanno condotto allo sviluppo delle
produzioni militari. Si tratta in genere di manager che hanno costruito le proprie carriere in questo
settore ed hanno una maggiore familiarità con l’intreccio di interessi politici e militari che porta alla
fornitura di commesse di armamenti, più che con le regole della competizione di mercato nelle
produzioni civili.51 Per i vertici delle imprese militari, quindi, il ricorso alla riconversione appare come
un elemento di rottura rispetto alle strategie d’impresa solitamente adottate, moltiplicando le insidie
(anche solo quelle percepite) dell’inserimento e del collocamento in un nuovo settore produttivo.
L’adesione delle imprese militari alla riconversione arriva, di solito, solo in casi di interesse diretto o di
necessità, magari dovuti al calo o alla mancanza di commesse militari. In questo caso il ricorso alla
riconversione ha una finalità puramente opportunistica. L’intento, per le imprese a produzione bellica, è
rendere la riconversione accessoria ai propri bisogni momentanei, trasformando temporaneamente e
parzialmente la produzione da militare a civile, giusto il tempo di fronteggiare e superare la crisi. È
importante che un’apposita legge nazionale di incentivo alla riconversione impedisca simili transizioni,
garantendo che i passaggi al civile vengano attuati senza ripensamenti.
I lavoratori ed il sindacato
Il secondo soggetto chiave di una strategia di riconversione sono i lavoratori delle imprese militari e le
loro organizzazioni sindacali. Di fronte al rischio occupazionale legato alla produzione militare, i
lavoratori sono la componente maggiormente interessata all’individuazione di alternative produttive per
le loro imprese, in modo da difendere l’occupazione, i livelli professionali, le capacità tecnologiche e
produttive esistenti.
Il sindacato rappresenta un nodo cruciale per l’affermazione o meno dei programmi della riconversione.
Esso rappresenta una criticità, duramente esposto alle contraddizioni e alle difficoltà date dalla sua
51
M. PIANTA, A. CASTAGNOLA, La riconversione dell'industria militare: le strategie per disarmare l'economia, Firenze,
Cultura della Pace, 1990.
86
posizione “intermedia”. (Quella che il sindacalista FIM Gianni Alioti definisce la “schizofrenia del
sindacato”). Ermes Riva (della FIOM Lombardia) ricorda che il tema è quello del «L’esigenza di far
crescere la consapevolezza, attraverso la discussione, del rapporto tra battaglia per la pace e il disarmo e
la produzione dell’industria bellica, sfuggendo alla banalizzazione strumentale (…) senza una iniziativa
che parta dalla discussione e dal confronto tra tutti i soggetti in campo, sono sempre possibili
strumentalizzazioni e divisioni».52
Mario Pianta ed Alberto Castagnola, a tal proposito, scrivono: «Le condizioni di lavoro particolari delle
imprese militari, con salari più alti e posti di lavoro relativamente protetti (nonostante il calo
occupazionale) hanno spesso favorito, tra i lavoratori e tecnici, una certa diffidenza di fronte ai rischi
del passaggio a produzioni civili. Queste resistenze sono state rafforzate da una strategia sindacale che,
nonostante le posizioni di principio a favore della pace e del disarmo, ha tradizionalmente trascurato le
questioni del “contenuto” delle produzioni aziendali e della qualità del lavoro. In genere la politica
sindacale ha mostrato scarso interesse ad esplorare le prospettive di riconversione, tranne nei casi di
imprese in crisi particolarmente grave, difficili da mantenere in vita»53.
In Italia l’attenzione di gruppi di lavoratori e di strutture sindacali ai temi della riconversione ha avuto
la massima intensità tra gli anni ’70 ed i primi anni ’90. In quel periodo è stato profuso il massimo
dell’impegno, con numerosi tentativi compiuti e documenti prodotti. Tuttavia i risultati concreti sono
stati assai ridotti ed insoddisfacenti, sia a livello locale e nazionale, che a livello d’impresa. Scarsa è
stata la capacità di proporre produzioni alternative e di influenzare le scelte d’impresa (numerose furono
invece, nello stesso periodo, le proposte formulate dal sindacato di Gran Bretagna e Germania).
Con l’arrivo dei primi anni ’90, l’impegno sulla riconversione è andato via via scemando, nonostante
alcuni successi ed il documento unitario in materia di riconversione presentato dai tre sindacati dei
metalmeccanici, Fim, Fiom e Uilm nel maggio del 1989.
La sensazione, allora come oggi, era che favorendo la riconversione si ledesse l’elemento più fragile del
sistema, la forza lavoro, andando ad intaccare uno dei settori considerati in crescita, quello
dell’industria militare. Nulla di più sbagliato, come dimostrato dal progressivo e costante caso
occupazionale che ha interessato il settore da allora fino ad oggi. E così, per anni, si è sostenuto «che
l’aumento delle spese militari, tutto sommato, andava alimentato perché era un modo per garantire
l’occupazione nell’unico settore che andava bene»54, dando così un vantaggio a tutti i conservatori, i
52
E. RIVA, “Iniziativa popolare sulla riconversione”, Meta, Fiom –Cgil.
M. PIANTA, A. CASTAGNOLA, Op.Cit.
53
54
Da un documento di Gianni Alioti.
87
filo-militaristi e i detrattori della riconversione. Ma nonostante i fatturati e la redditività delle imprese a
produzione militare, dalla Beretta alla Finmeccanica, siano floridi, l’occupazione, come già visto,
scende di continuo o, in presenza di aumenti di fatturato, si limita a restare stabile.
Il discorso sul mancato aumento di occupazione legato all’aumento dei fatturati dell’industria militare
può essere esteso anche alla presenza
Ora si torna a parlare di riconversione; non aver dato un seguito al periodo a cavallo tra la fine degli
anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, il momento d’oro della diversificazione nel civile, viene interpretato
come un’occasione non sfruttata. Così risponde Alberto Tridente, storico sindacalista Fim che negli
anni ha lavorato al programma di riconversione dell’industria bellica italiana ed europea per la
Federazione Europea dei Metalmeccanici (FEM) di cui è divenuto membro del Comitato Esecutivo,
interrogato su perché il tema della riconversione non sia stato mai messo seriamente all'ordine del
giorno del movimento sindacale: «Ho lasciato il sindacato nell'82. Del dopo mi è difficile parlarne
perché comporta giudicare il lavoro di amici e colleghi che lo continuarono. Azzardo una sola
considerazione, che è di ordine generazionale: al gruppo dirigente successivo è forse mancato il
coraggio di rischiare di più, di giocarsi tutti gli anni della vita sindacale su questa partita. È comunque
difficile rispondere, perché si mescolano elementi soggettivi e oggettivi, e la difficoltà di passare dal no
e proposte concrete, articolate e praticabili, è piuttosto complicata»55.
Scienziati, tecnici ed esperti
Le iniziative per la riconversione richiedono un contributo essenziale da parte di una serie di esperti,
scienziati e tecnici che devono affrontare i non facili problemi concreti della definizione di nuovi
prodotti e della riorganizzazione produttiva delle imprese militari. Il coinvolgimento di questi soggetti
permette di utilizzare importanti risorse umane presenti nelle imprese militari e di collegare gli sforzi
per la riconversione con il patrimonio di conoscenze accumulato da centri di ricerca ed università. Già
da anni a questa parte molte delle esperienze straniere hanno evidenziato come, per tecnici e scienziati,
l’impegno nel campo della riconversione può rappresentare una riconquista di una certa autonomia di
ricerca fuori dai limiti imposti dalle industrie o dagli istituti di ricerca. La progettazione di prodotti
alternativi per la riconversione delle imprese militari richiede infatti criteri diversi da quelli prevalenti
nelle attività tradizionali; chi riconverte pone al primo posto la qualità, la funzione e l’utilità sociale del
prodotto e del suo processo di produzione.56
55
56
Dalla rivista mensile dei missionari saveriani, Missione Oggi, anno 8, n° 4 Brescia, 2006.
M. PIANTA, A. CASTAGNOLA, Op. Cit.
88
I movimenti per la pace ed il disarmo e la società civile
Con lo sviluppo del movimento per la pace negli anni ’80 la questione della riconversione ha
cominciato ad essere posta in termini nuovi, divenendo elemento determinante di una politica mirante al
disarmo ed alla demilitarizzazione dell’economia e della società. L’evidenza del legame fra l’ambito
politico, militare ed economico nella corsa al riarmo del periodo post bellico, l’ineluttabilità di un
intervento pacifista, ha portato il movimento per la pace a fare proprie numerose richieste di
riconversione. In questo modo il movimento ha cominciato ad intraprendere i
rapporti con la
componente sindacale, evento risultato poi determinante sotto due aspetti: da un lato il movimento
pacifista ha potuto fare i conti con gli effetti economici e sociali delle richieste di disarmo, dall’altra si è
aperta la strada all’allargamento della collaborazione fra le componenti sociali e politiche, elemento
irrinunciabile per la buona riuscita dei progetti di riconversione.
Tra gli anni ’80 e ‘90, in Italia, l’impegno pacifista a favore della riconversione è stato particolarmente
elevato, con numerose iniziative locali e studi sull’industria militare che hanno regalato diversi
esperimenti ed un invidiabile numero di testi e ricerche. L’impegno e l’iniziativa politica hanno
raggiunto la massima intensità in quegli anni dopo i quali ha avuto inizio una parabola discendente di
cui si sta invertendo il corso solo ora. Dopo un periodo di quiescenza a fine anni’90, negli ultimi tempi
è tornato alto l’interesse per la riconversione. In Lombardia una proposta di legge firmata da oltre
15.000 persone chiede la riorganizzazione e la riattivazione dell'Agenzia regionale per la riconversione
che non si riunisce dal 1997 (vedi apposito paragrafo). In molte regioni cresce l’impegno del
movimento e, in alcuni casi, degli enti locali contro la presenza delle basi U.S.A. o N.A.T.O. (Friuli,
Veneto, Toscana, Lazio, Puglia, Sicilia e Sardegna). Molteplici sono le campagne per il disarmo e la
diminuzione delle spese militari che pongono la riconversione come elemento cardine. Sempre
maggiore rilievo hanno le proposte per dotarsi di apposite leggi nazionali e regionali (Lazio e Piemonte)
che agevolino il passaggio dalla produzione bellica a quella civile (vedi apposito paragrafo). È forte la
consapevolezza, a livello locale quanto nazionale, dell’importanza di coinvolgere nel processo quante
più componenti sociali e politiche.
Gli enti locali
Di fondamentale importanza per la realizzazione dei progetti di riconversione è il ruolo degli enti locali,
sempre più sensibili ai problemi derivanti dall’elevato numero di industrie e siti bellici presenti nei loro
89
territori. Molte regioni, sin dalla fine degli anni ’80, hanno preso in considerazione possibilità di
riconversione. La Lombardia si è dotata, addirittura, di una Legge Regionale (L.R. 11 marzo ’94, n°6)
che istituiva un’apposita Agenzia Regionale per promuovere la riconversione industriale bellica. Emilia
Romagna, Toscana e Veneto hanno collaborato all’istituzione ed al lavoro di osservatori regionali
sull’industria militare. La Liguria ha commissionato nel 1989 uno studio sull’industria militare e sui
problemi di riconversione; questo ha fatto da preludio al progetto di reindustrializzazione e
diversificazione delle attività economiche e delle dinamiche di mercato in Liguria. Il piano, legato
prima al progetto europeo Konver, poi al Fondo Sociale Europeo Obiettivo 2, ha portato alla nascita, dal
’95, di oltre 140 nuove industrie manifatturiere ed al rifiorire dell’economia di La Spezia fortemente
colpita dal calo di occupazione successivo alla messa in liquidazione dell’EFIM all’inizio degli anni
’90.
La regione che più di ogni altra, oggi, sta ottenendo i frutti di una mobilitazione congiunta fra la gente e
le istituzioni è la Sardegna. Questa regione, nettamente prima in Italia per aree militari, gravata da
36000 ettari di territorio sotto vincolo di servitù militare e da un'estensione delle “zone di sgombero a
mare” che supera la superficie dell’intera isola, ha visto i frutti di anni di battaglie (il comitato Gettiamo
le Basi è attivo dal 1996) ottenendo il trasferimento dei sommergibili e della base statunitense de La
Maddalena. I tempi esatti dell’abbandono dell’isola sono stati fissati al 28 febbraio 2008; nel frattempo
gli americani hanno fermato i loro cantieri. Non saranno solo gli americani a lasciare Santo Stefano: lo
stesso farà la Marina Militare Italiana. Anche l’ex arsenale dell’isola, considerato una risorsa economica
per la regione, sarà restituito all’amministrazione della regione Sardegna presieduta da Renato Soru.
La riconversione dei distretti industriali
La strategia ancor più specifica riguardante i “distretti industriali militari” sottolinea la produttività di
progetti di riconversione sviluppati in ambito locale. La conoscenza delle specificità locali, delle
peculiari condizioni economiche e del tessuto sociale consente di proporre interventi più efficaci,
praticabili ed incisivi. Nei distretti industriali militari, oltre all’urgenza di interventi per la riconversione
che preservino da problemi di occupazione presenti e futuri, possono sussistere condizioni sociali e
produttive tali da favorire l’attecchimento di progetti di riconversione.57 Qui è meno diretto sia il peso
della politica nazionale, sia il potere della direzione aziendale all’interno delle imprese, che sono in
genere di ridotte dimensioni. Si ritrova spesso una distribuzione più equilibrata delle forze, tra enti
locali, imprese ed organizzazioni produttive, sindacato, forze politiche e movimenti sociali, in comunità
57
Ibidem
90
locali spesso relativamente integrate, dove il problema della produzione militare può essere affrontato in
termini nuovi e più complessivi.
Questo maggior spazio politico e sociale per una strategia di riconversione coincide con un maggior
margine di manovra produttivo e tecnologico nella ricerca di produzioni alternative. La riconversione di
un “distretto industriale militare” non significa cercare di far uscire dalla linea di montaggio un
prodotto finito diverso (come un trattore invece di un carro armato) mantenendo tutte le rigidità
tecnologiche e gestionali del modello di grande impresa tayloristica. Significa invece considerare
l’intero ciclo produttivo distribuito nel sistema di imprese del distretto e ad ogni fase individuare le
alternative produttive, in aziende che nella gran parte dei casi mantengono significative produzioni
civili.
Praticare la riconversione di un distretto porta ad individuare, sì, un prodotto finale diverso, ma anche
un sistema diverso per produrlo. La grande flessibilità di questa alternativa offre un più ampio arco di
scelte produttive e maggiori garanzie di successo economico della riconversione, risultando
particolarmente adeguato alla trasformazione dei “distretti industriali militari” più caratterizzati e delle
città che ospitano grandi basi ed importanti impianti produttivi (come è stato per la già citata esperienza
riconvertiva di La Spezia). Un’iniziativa posta in questo modo potrebbe meglio coinvolgere gli enti
locali, le organizzazioni di piccole imprese, artigiani, cooperative, banche locali e tutte le forze che
costituiscono l’ossatura che ha reso leader in Italia il modello del distretto industriale manifatturiero,
garantendo la difesa dell’occupazione.
Riconversione oggi: un’analisi economica
Le condizioni per la conversione e diversificazione nel civile dell’industria militare a livello macro
economico58.
Storicamente la riconversione ha avuto successo nella società solo quando alle politiche di disarmo si è
accompagnata una forte espansione dell’economia come avvenuto durante il secondo dopoguerra, con il
boom degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 (quando, ad esempio, grandi gruppi come Ansaldo, San
Giorgio e Pignone si sono totalmente riconvertiti nel civile).
Anche negli anni ‘90 con la fine della contrapposizione Est/Ovest si erano create giuste aspettative di
trasferimento di risorse dal settore militare ad attività civili (privilegiando le spese sociali e ambientali)
che avrebbero dovuto costituire un volano per nuova occupazione (il cosiddetto “dividendo della
58
A cura di Gianni Alioti
91
pace”). Invece il processo di disarmo, pur liberando risorse che non sono andate perse, è avvenuto in un
contesto economico a crescita contenuta, per effetto di politiche monetarie e fiscali restrittive (in
Europa), o di aperta recessione (Russia e Asia) in conseguenza delle crisi finanziarie esplose nel ‘97 e
‘98.
Per il successo della conversione/diversificazione nel civile a livello macro economico sono necessarie,
pertanto, condizioni economiche espansive e politiche keynesiane.
Le condizioni per la conversione e diversificazione nel civile dell’industria militare a livello micro
economico59.
A livello micro-economico, bisogna invece fare i conti con le difficoltà delle diverse industrie e aree
territoriali ad operare una conversione nel civile.
Le industrie a produzione militare sono cresciute, per molto tempo, operando al massimo dei costi e dei
sussidi, in un mercato sostanzialmente protetto. Elevato costo del lavoro, manodopera altamente
professionale per la particolare attenzione alla qualità del prodotto e alle specifiche militari, tempi di
produzione più lunghi, tecnologie “dedicate”, sono tutti elementi peculiari che rendono queste industrie
particolarmente specializzate, ma scarsamente flessibili. Inoltre, la struttura organizzativa, la stessa
cultura manageriale orientata al prodotto, ma non al mercato, è disabituata ad operare in condizioni di
forte competitività.
Come aveva affermato l’ingegnere americano Seymour Melman molte di queste industrie (in particolare
quelle dipendenti solo dal militare) “sviluppano un’addestrata incapacità al lavoro nel civile in un
mercato aperto alla concorrenza”.
Partendo da questa verità ed osservando empiricamente i comportamenti delle singole imprese, va detto
però che il grado di complessità nell’adozione di specifiche strategie di diversificazione e conversione
nel civile dipende dal peso specifico che il fatturato militare ricopre in ciascuna azienda, dalla tipologia
di prodotto, dalla tecnologia impiegata e dal processo produttivo.
Per semplificare la comprensione di questo problema, si possono suddividere le industrie a produzione
militare in 5 categorie.
59
A cura di Gianni Alioti.
92
1. La prima comprende quelle aziende i cui prodotti hanno caratteristiche del tutto simili (tranne che
nel prezzo e nel “colore”) a quelli venduti nel mercato civile. In genere appartengono a vari
settori: alimentare, chimico, costruzioni, elettro-meccanico, informatico, legno, tessileabbigliamento ecc. Queste aziende forniscono prodotti e/o servizi alle Forze Armate e sono
teoricamente le meno in difficoltà, in quanto non si scontrano con nessun vincolo organizzativo e
tecnologico né di processo e/o di prodotto se non quello di sostituire la committenza militare,
attraverso un’azione commerciale e di marketing più incisiva.
2. La seconda categoria in ordine di difficoltà comprende quelle piccole e medie aziende che
svolgono lavori specializzati come, per esempio, la produzione di componenti e apparati
(elettronici, elettromeccanici, meccanici) e che vendono in tutto o in parte i loro prodotti o servizi
alle Forze Armate. Per le caratteristiche della loro produzione e della versatilità delle tecnologie
impiegate (dual-use) queste imprese operano sia nel mercato militare, che in quello civile. Per
queste aziende il diverso peso della committenza militare rappresenta il maggior vincolo alla
conversione nel civile, non solo per ragioni di mercato come le precedenti, ma anche per il modo
differente di gestire le funzioni in azienda (dalla progettazione al commerciale) e di organizzare la
produzione. Devono, infatti, fornire prodotti, componenti e servizi che, sebbene simili a quelli
civili, devono rispondere a degli standard militari d'affidabilità, precisione e resistenza. Le
metodologie seguite, in questi casi, sia nell’ideazione e progettazione del prodotto che nella
lavorazione, dovendo puntare ad una elevata qualità finiscono col trascurare il contenimento dei
costi, determinando in quelle imprese che dipendono al 100% dalla committenza militare un
modello organizzativo, che costituisce esso stesso un limite (non tecnologico, ma culturale) verso
processi di conversione/diversificazione nel civile.
In questo ambito si riscontrano alcuni esempi di diversificazione/conversione riuscita, come nel
caso della Les Elettronica di La Spezia, che si è svincolata da una committenza esclusivamente
militare diversificandosi nel settore spaziale e nel settore ferroviario.
Analoghe strategie di diversificazione dei mercati di sbocco dei propri prodotti e tecnologie sono
state implementate (per rimanere sempre alla realtà ligure oggetto di uno studio specifico da me
coordinato nell’ambito del programma Konver) dall'Elsel (ferroviario, aeroportuale e sorveglianza
ambientale), dalla Igm (trasporti e ambiente), dalla Insis (automazione industriale), dalla Sitep
Italia (trasporti navali, ferroviari e aerei) e dalla Telesub (ricerca petrolifera marina).
93
Tuttavia,
la
diversificazione/conversione
richiede
mutamenti
operativi
e
processi
di
ristrutturazione aziendale che, in diversi casi, hanno reso necessari tagli occupazionali. Al venir
meno della committenza militare è facile, inoltre, che coloro che non riescono a trasformarsi
finiscano in una grave crisi finanziaria e produttiva, come è successo ai Cantieri Barberis (sonar
per siluri, lanciatori ed ogive per missili) quando la Oto Melara ha ridimensionato in maniera
notevole i propri ordinativi.
Una delle vittime illustri a La Spezia di questi “riaggiustamenti strutturali” è stata l'Usea, operante
in campo subacqueo (sonar), che ha cessato completamente l' attività.
Tra questo gruppo di imprese classificate nella categoria 2 e quello precedente (categoria 1)
possiamo collocare, in posizione intermedia, le aziende del settore navalmeccanico. Questo
segmento di attività è quello che, ad esempio nell’area spezzina, ha manifestato la maggiore
dinamicità e i maggiori tassi di crescita, specialmente i cantieri minori operanti nella
navalmeccanica e nella nautica da diporto. É tra questo gruppo di aziende che s'incontrano gli
esempi più significativi di riconversione nel civile, come il caso del Cnf - Cantiere Navale Ferrari,
uno dei più moderni in Europa che, di fronte alla riduzione di costruzioni speciali per la Marina
Militare
(bettoline,
rimorchiatori
e
bacini
galleggianti
di
carenaggio),
ha
ampliato
progressivamente le attività nelle costruzioni navali mercantili (supply vessel e rimorchiatori,
ferry-boats e yacht, navi appoggio per la ricerca petrolifera e trasformazioni navali, navi cisterna e
gasiere).
É anche il caso sia dei cantieri Inma (acquistati dagli industriali Calderan di Venezia) che dal
1987 hanno sviluppato, in alternativa alle riparazioni navali e meccaniche in campo militare,
l'attività di trasformazione e costruzione di navi mercantili; sia dell'Intermarine (acquisita dal
Gruppo Rodriguez di Messina) che ha diversificato la propria attività, dalla costruzione esclusiva
di caccia mine in vetroresina alla costruzione di unità per il pattugliamento e di grandi yacht.
3. In un terzo e più problematico gruppo possiamo collocare le grandi aziende dei settori aeronautico
(Alenia Aeronautica, AgustaWestland, Aermacchi, Avio, Piaggio ecc.), elettronico-informaticotelecomunicazioni (Selex Communications, Selex Sistemi Integrati, Ote, Galileo Avionica,
Datamat, Vitrociset ecc.) navalmeccanico (Fincantieri, Intermarine ecc.) che operano sia nel ramo
militare, sia in quello civile. Nonostante si possa pensare che in queste aziende sia facile una
transizione al civile con trasferimenti interni di personale, in realtà il passaggio da attività
relativamente sicure, programmabili e con elevati margini di profitto come quelle militari, ad
94
attività incerte (a volte aleatorie) a minore redditività, comporta un riorientamento organizzativo
(spesso societario) ed una maggiore attenzione al rapporto costi-efficienza.
Se la conversione nel civile di queste aziende è favorita dalla versatilità delle tecnologie utilizzate
(dual use) e da processi lavorativi, che consentono un range molto ampio di applicazioni e
prodotti, i vincoli sono spesso rappresentati dal mercato. Quindi le divisioni militari di queste
società devono affrontare sfide simili a quelle del quarto gruppo rappresentato da fornitori
esclusivi delle Forze Armate.
4. Le aziende del quarto gruppo, com'è il caso ad esempio di Oto Melara, Mbda, Simmel Difesa ecc.
dipendono unicamente dal mercato militare. Per diversificarsi nel civile dovrebbero, quindi,
sviluppare nuovi prodotti, riprogettare le strutture produttive, avviare dei programmi intensivi di
riqualificazione professionale, e soprattutto, sviluppare un sistema di gestione che le renda capaci
di progettare e produrre a prezzi competitivi, recuperando quella flessibilità ed efficacia che
l’ambiente commerciale civile richiede. Più facile a dirsi che a farsi.
5. La quinta ed ultima categoria, che risulta ancora più problematica delle precedenti, comprende
l’area industriale del Ministero della Difesa (come gli arsenali navali) e le basi militari. In questi
casi la conversione significa inevitabilmente dismissioni, smantellamenti e riutilizzo alternativo
delle aree e delle installazioni, rottamazione del surplus d'armamenti, supporto alla smobilitazione
e al reinserimento lavorativo del personale civile e militare impiegato. Nell’area industriale della
Difesa in Italia si è passati dal 1990 ad oggi da 19 a 9 mila addetti. All'Arsenale della Marina
Militare di La Spezia oggi lavorano 1.435 dipendenti civili, meno della metà degli occupati alla
fine degli anni'80.
E’ evidente, da questa diversa classificazione, che il superamento delle barriere tra militare e civile
attraverso la diversificazione e tecnologie “dual use”, rendono più facile l’adattamento della singola
azienda al mercato e alle variabili che in questo caso sono determinate da scelte essenzialmente
politico-istituzionali; come sono sia le politiche di bilancio per la Difesa e di controllo delle
esportazioni, sia quelle di sostegno a programmi di riconversione e riaggiustamento strutturale.
Va però aggiunto che l’analisi dei diversi gradi di difficoltà che s’incontrano nelle singole industrie
dimostra, altresì, che la scelta della conversione come uscita dal militare non sempre è praticabile. In
questi casi l’approccio alla diversificazione e conversione economica verso attività civili deve preferire
la dimensione territoriale, come le esperienze positive del programma europeo Konver confermano.
95
Riconversione oggi: un’analisi socio-politica
In una strategia di riconversione sono molti gli elementi in grado di interagire in modo dinamico e
costruttivo. A lato dei sopradescritti intrecci fra ampi e generali processi di microeconomia e locali
questioni di microeconomia, osserviamo muoversi le diverse componenti sociali interessate dal
processo di riconversione. In primis, la società civile con le sue mobilitazioni (per il disarmo, per la
smilitarizzazione, per la riconversione di industrie e siti militari) integrate nel tessuto socio-economico
da cui prendono le mosse. Il movimento denuncia il ruolo dell’industria militare nella corsa al riarmo,
obietta, sul piano etico, la produzione di strumenti di morte, sottolinea il danno ed il rischio ambientale
legato alla presenza di industrie e siti militari, ricorda la mancanza di benefici sociali, le cosiddette
“esternalità positive”, che derivino dall’industria bellica .
È importante valorizzare le competenze scientifiche e tecniche di scienziati ed esperti, anche esterni
all’industria, e stimolare il protagonismo dei lavoratori nella proposta ed attivazione dei progetti di
diversificazione produttiva. L’intento è di coinvolgere nel processo anche i vertici delle industrie a
produzione militare, solitamente restii al cambiamento, ma in grado di fornire un contributo
determinante. Alla fine degli anni ’80 in Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti è stato sperimentato il
“Comitato per le produzioni alternativa”, strumento per l’individuazione concertata di attività civili
realizzabili, che coinvolgeva lavoratori, tecnici (anche esterni) e dirigenti.
Fondamentale è il ruolo del sindacato che, da sempre stretto nell’ingrato ruolo di mediatore tra le
istanze della riconversione e la necessità di tutelare l’occupazione. Ultimamente si assiste ad un
riavvicinamento del sindacato alle prospettive della riconversione, spinto dall’evidente calo di
occupazione che colpisce il settore militare anche in presenza di fatturati in crescita.
Questo è un aspetto, a cui si aggiungono le difficoltà di collocazione sul mercato internazionale a cui
vanno incontro molte industrie belliche italiane, che rende la diversificazione nel civile, per il sindacato,
una scelta, oltre che di natura etica, di politica industriale e del lavoro, in grado di tutelare l’occupazione
delle persone coinvolte e di rispondere alle loro attese professionali.
Dichiara Gianni Alioti: «Ma cosa significa questo concretamente? Per prima cosa bisognerebbe sapere e
capire cos’altro potrebbero fare le persone direttamente coinvolte nelle industrie a produzione militare e
contestualmente quali nuovi mercati, in pratica quali nuove domande di beni e servizi potrebbero essere
sollecitate.
È quello che siamo riusciti a fare tra la fine degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90 in diverse
aziende e territori. Dove c’è stato un processo di riconversione (Elsag, Cnf, Inma, Les Elettronica) o di
diversificazione, dal militare al civile, l’occupazione è stata meglio tutelata (Aermacchi, Agusta, Fiat
96
Avio, Galileo, Marconi, Piaggio, Intermarine), così come anche negli stabilimenti militari Fincantieri di
Muggiano e Riva Trigoso, tenuti aperti grazie alla costruzione dei traghetti veloci, oggi prodotti a
Castellamare di Stabia cantiere navale altrimenti destinato ad essere chiuso.
Negli altri casi, dove si è rimasti legati solo al militare, abbiamo assistito a forti riduzioni d’organico
(Oto Melara, Breda Meccaniche Bresciane, Elettronica ecc.) o a chiusure di unità produttive (Oerlikon
Contraves) e di aziende (Selin, Usea, Cosmos ecc.) perdendo in Italia negli anni '90 circa 27 mila
addetti, corrispondenti al 47 per cento del personale direttamente impegnato in attività a scopo militare.
Per amore di verità va detto che in quegli anni l’industria a produzione militare, oltre a vivere una
profonda fase di ristrutturazione, era in crisi per la contrazione dei bilanci della difesa, dovuti alla fine
della “guerra fredda”»60.
È bene sottolineare che le componenti sociali continueranno ad avere pochi margini di affermazione se
dovessero continuare a scontrarsi con politiche di governo e con istituzioni tradizionalmente poco
inclini ad aprire alla riconversione ed alle sue istanze. In tal senso, solo un’adeguata strategia di governo
può valorizzare i punti di forza di una prospettiva di riconversione in Italia. Essa potrebbe compiersi
attraverso una diversa politica di spesa che rovesci la corsa all’acquisto di armamenti, un nuovo testo di
legge che torni a favorire la riconversione (dopo che il Governo Berlusconi, nel 2003, ha stravolto la
Legge 185/90)61, una politica industriale che riduca le attività militari favorendo quelle civili. «Senza
una politica di riconversione che unisca questi tre elementi di fondo, il futuro dell’impresa militare
italiana rischia di essere il mantenimento assistito di inutili capacità produttive, oppure una
ristrutturazione con forti perdite di occupazione e attività industriali»62.
60
Dall’intervento di Gianni Alioti al seminario: Le armi, le industrie e le banche. La possibile conversione, organizzato
dall’Associazione Teresio Olivelli e Controllarmi a Ciampino (Rm) il 9 gennaio 2006.
61
Si veda, nel Capitolo 3, il paragrafo dedicato alla Legge 185/90.
62
M. PIANTA, A. CASTAGNOLA, Op. Cit.
97
Gli elementi di una strategia di riconversione
1. IDENTIFICAZIONE
DEL SISTEMA DI
INDUSTRIE MILITARI DA
RICONVERTIRE
PROCESSI GENERALI
CHE
INFLUISCONO
SULLA
STRATEGIA
DI RICONVERSIONE
2. ANALISI DELLE
TENDENZE
PRODUTTIVE DELLE
POSSIBILITÀ DI
TRASFORMAZIONE E
DEGLI INTRECCI CON
PRODUZIONI CIVILI
SPESA PUBBLICA,
INNOVAZIONE
TECNOLOGICA,
RISTRUTTURAZIONE
INDUSTRIE
“MATURE”,
IMPRENDITORIALITÀ
DIFFUSA,
QUALITA’ DELLO
SVILUPPO,
PARTECIPAZIONE DEI
LAVORATORI
4. SOLUZIONI ALL’INTERNO
DELL’AZIENDA: DIVERSIFICAZIONE
PRODUTTIVA CON STRUTTURE
AZIENDALI E RAPPPORTI SOCIALI
IMMUTATI
IL PROBLEMA È CONSOLIDARE LE
SCELTE PRODUTTIVE E TECNOLOGICHE
DELL’AZIENDA IN CAMPO CIVILE,
EVITARE UNA RICONVERSIONE ALLA
ROVESCIA
RICONVERSIONE AZIENDALE
3. ANALISI E PROPOSTE
DI ALTERNATIVE
PRODUTTIVE:
A) COMMESSE
ALTERNATIVE
B) ALTERNATIVE
TECNOLOGICHE
C) RISTRUTTURAZIONE
DELL’IMPRESA E DEL
CICLO PRODUTTIVO
D) ALTERNATIVE
ORGANIZZATIVE,
RUOLO DEI
LAVORATORI,
CONTROLLO QUALITA’
PRODUTTIVA
5. SOLUZIONI ALL’ESTERNO
DELL’AZIENDA: CREAZIONE DI
UN ENTE DI SVILUPPO
LOCALE DI NUOVE IMPRESE E
DI COOPERATIVE. RUOLO DI
SOGGETTI ECONOMICI
ESTERNI, MUTAMENTO DEI
RAPPORTI SOCIALI
LA QUESTIONE
DELLA
RICONVERSIONE
POSTA
DALL’ESTERNO DEL
MOVIMENTO PER LA
PACE DA FORZE
POLITICHE E SOCIALI
NECESSITÀ DI UN
SOGGETTO
PROMOTORE DELLA
RICONVERSIONE
ALL’INTERNO DELLE
IMPRESE MILITARI
GOVERNO, ENTI LOCALI
TECNICI
DIRIGENTI (E ALTRE
IMPRESE)
LAVORATORI
SOCIETÀ CIVILE,
FORZE
ECONOMICHE
LOCALI
PROBLEMA È CONSOLIDARE
UNA STRUTTURA
PRODUTTIVA ALTERNATIVA,
INIZIALMENTE FRAGILE
RICONVERSIONE DEL
SISTEMA INDUSTRIALE
98
Conclusioni
Dopo un periodo di riduzione delle spese militari a seguito della caduta del muro di Berlino, la
produzione di armamenti ha ripreso a crescere. Le spese belliche sono il motore dell'industria degli
armamenti. Senza ingenti finanziamenti da parte degli Stati, i giganti militari non esisterebbero o
produrrebbero aerei, navi, motori, radar, per uso civile. Il mondo sarebbe un posto più sicuro. Ma
governi e ministri della Difesa ripetono il contrario: si ammodernano gli eserciti per essere più sicuri. In
realtà più spesso si comprano armi per mantenere in vita l'industria nazionale, per avere buoni rapporti
con i paesi produttori, con gli alleati e, nei paesi dai regimi corrotti, per intascare tangenti da chi le armi
le vende.
Dell'idea che la sicurezza si produca con le armi gli Stati uniti sono i massimi promotori, ma il resto del
mondo e in particolare l'Europa, fa fatica a scegliere una strada diversa. Ad esempio, nel documento
dell'Unione in materia di sicurezza Un'Europa sicura in un mondo migliore, approvato dal Consiglio
europeo alla fine del 2003, fa proprie alcune riflessioni elaborate dai pacifisti e dalle organizzazioni non
governative, riconosce i legami fra ingiustizie e insicurezza, la predominanza delle minacce non militari
per il futuro del pianeta e si schiera per il multilateralismo nei processi decisionali e nelle relazioni
internazionali. Tuttavia, in contraddizione con molte delle argomentazioni esposte, non si cambia strada
e si insiste a considerare centrale l'elemento militare, nonostante l'evidenza che le strategie di sicurezza
prevalentemente militari sono controproducenti e destinate a produrre insicurezza .
L'Italia è l'unico dei grandi paesi europei che non ha visto una riduzione delle spese militari, che si sono
sempre mantenute attorno al 2% del Pil. Le industrie di tutti i paesi tuttavia sono identiche nella ricerca
di sbocchi sui mercati. E le armi, una volta in circolazione finiscono dove è più probabile che sparino.
Non
ci
sono
grandi
differenza
a
questo
punto
tra
Inghilterra,
Francia
o
Germania.
Tanto meno con l'Italia che ha una responsabilità grande nella produzione di armi essendo stato nel
2005 il sesto esportatore. Un ruolo di primo piano è quello di Finmeccanica, terza impresa europea del
settore e che continua a crescere all'interno del meccanismo di concentrazione del mercato delle armi
che ha portato le prime dieci industrie a controllare dal 42 al 61% del mercato in meno di 10 anni
(Sipri). Ma una storia tutta italiana è quella delle armi leggere di cui siamo il secondo produttore
mondiale (Misna.org). Non essendo considerate armi da guerra non sono sottoposte a nessun tipo di
vincolo, possono essere quindi vendute a paesi in cui sono frequenti gli episodi di violazione dei diritti
99
umani e in cui truppe armate, gruppi paramilitari e terroristici minacciano la stabilità regionale,
coinvolgendo civili e facendone spesso il bersaglio della violenza.
Allo stesso tempo si è visto come il settore della produzione armiera sia affetto da calo dell’occupazione
anche in fasi di crescita del fatturato.
La conversione dell’industria e delle attività militari diventa la maniera per garantire occupazione e
sviluppo economico nel nostro territorio, sganciandosi dalla logica di produzione di violenza e
insicurezza che comporta la produzione di armamenti. Come emerge dalla presente ricerca, esistono le
potenzialità economiche, legislative e politiche per dar vita ad un percorso di “riqualificazione” del
territorio laziale attraverso azioni di conversione capaci di tenere insieme le esigenze di tutti gli attori,
dalle imprese ai lavoratori, dagli enti locali alle università, dalla Difesa alla società civile.
100
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APPENDICE
Leggi di definizione e regolamentazione delle servitù militari
Appendice A. Nuova regolamentazione delle servitù militari
Appendice B. Legislazione concernente l’istituzione di servitù militari
Appendice C. Modifiche ed integrazioni alla legge 24 dicembre 1976, n. 898,
concernente nuova regolamentazione delle servitù militari
Appendice D. Legge regionale Regione Lombardia
Appendice E. Proposte di legge 1986 e 2005
Appendice F. Proposta di legge di iniziativa popolare per la Regione Lombardia
118
Appendice A
Nuova regolamentazione delle servitù militari
Legge 24 Dicembre 1976, n. 898
Pubblicata nella Gazz.etta Ufficiale 11 Gennaio 1977, n. 8
1. In vicinanza delle opere ed installazioni permanenti e semipermanenti di difesa, di segnalazione e
riconoscimento costiero, delle basi navali, degli aeroporti, degli impianti ed installazioni radar e radio, degli
stabilimenti nei quali sono fabbricati, manipolati o depositati materiali bellici o sostanze pericolose, dei campi di
esperienze e dei poligoni di tiro il diritto di proprietà può essere soggetto a limitazioni secondo le norme della
presente legge.
Tali limitazioni sono stabilite nella durata massima di cinque anni, salvo quanto previsto dal successivo articolo
10, e debbono essere imposte nella misura direttamente e strettamente necessaria per il tipo di opere o di
installazioni di difesa.
2. Le limitazioni possono consistere:
a) nel divieto di:
fare elevazioni di terra o di altro materiale;
costruire condotte o canali sopraelevati;
impiantare condotte o depositi di gas o liquidi infiammabili;
scavare fossi o canali di profondità superiore a 50 cm.;
aprire o esercitare cave di qualunque specie;
installare macchinari o apparati elettrici e centri trasmittenti;
fare le piantagioni e le operazioni campestri che saranno determinate con regolamento;
b) nel divieto di:
aprire strade;
fabbricare muri o edifici;
sopraelevare muri o edifici esistenti;
adoperare nelle costruzioni alcuni materiali.
119
3. In ciascuna regione è costituito un comitato misto paritetico di reciproca consultazione per l'esame, anche con
proposte alternative della regione e dell'autorità militare, dei problemi connessi all'armonizzazione tra i piani di
assetto territoriale e di sviluppo economico e sociale della regione e delle aree subregionali ed i programmi delle
installazioni militari e delle conseguenti limitazioni.
Nel Trentino-Alto Adige il comitato regionale è sostituito da due comitati provinciali, rispettivamente per la
provincia di Trento e per quella di Bolzano. Conseguentemente l'indicazione della regione, del consiglio
regionale e del presidente della giunta regionale si intende, per il Trentino-Alto Adige, riferita alla provincia, al
consiglio provinciale e al presidente della giunta provinciale.
Qualora esigenze di segreto militare non consentano un approfondito esame, il presidente della giunta regionale
può chiedere all'autorità competente di autorizzare la comunicazione delle notizie necessarie.
Il comitato è altresí consultato semestralmente su tutti i programmi delle esercitazioni a fuoco di reparto o di
unità, per la definizione delle località, degli spazi aerei e marittimi regionali, del tempo e delle modalità di
svolgimento, nonché sull'impiego dei poligoni della regione. Qualora la maggioranza dei membri designati dalla
regione si esprima in senso contrario, sui programmi di attività addestrative decide in via definitiva il Ministro
della difesa.
Ciascun comitato, sentiti gli enti locali e gli altri organismi interessati, definisce le zone idonee alla
concentrazione delle esercitazioni di tiro a fuoco nella regione per la costituzione di poligoni, utilizzando
prioritariamente, ove possibile, aree demaniali.
Una volta costituite tali aree militari, le esercitazioni di tiro a fuoco dovranno di massima svolgersi entro le aree
stesse. Per le aree addestrative, terrestri, marittime ed aeree, sia provvisorie che permanenti, si stipulano
disciplinari d'uso fra l'autorità militare e la regione interessata. In caso di mancato accordo il progetto di
disciplinare è rimesso al Ministro della difesa che decide sentiti il presidente della giunta regionale e il presidente
del comitato misto paritetico competenti.
Il comitato è formato da cinque rappresentanti del Ministero della difesa, da un rappresentante del Ministero del
tesoro, da un rappresentante del Ministero delle finanze, designati dai rispettivi Ministri e da sette rappresentanti
della regione nominati dal presidente della giunta regionale, su designazione, con voto limitato, del consiglio
regionale.
Per ogni membro è nominato un supplente.
Il comitato si riunisce a richiesta del comandante militare territoriale di regione o del comandante in capo di
dipartimento militare marittimo o del comandante di regione aerea o del presidente della regione; presiede
l'ufficiale generale o ammiraglio più elevato in grado o più anziano; funge da segretario l'ufficiale meno elevato
in grado o meno anziano.
Delle riunioni del comitato è redatto verbale che conterrà le eventuali proposte di membri discordanti sull'insieme
della questione trattata o su singoli punti di essa.
Le definitive decisioni sui programmi di installazioni militari e relative limitazioni di cui al primo comma sono
riservate al Ministro per la difesa. La regione interessata può richiedere al Presidente del Consiglio dei Ministri,
120
entro quindici giorni dalla pubblicazione o comunicazione della decisione ministeriale, che la questione sia
sottoposta a riesame da parte del Consiglio dei Ministri.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri può, in casi particolari, disporre che i provvedimenti di limitazione della
proprietà siano sospesi sino alla decisione del Consiglio dei Ministri. Il Consiglio dei Ministri si pronuncia sulle
richieste di riesame entro novanta giorni.
Alla riunione del Consiglio dei Ministri è invitato il presidente della giunta regionale interessata.
4. Il comandante militare territoriale di regione o il comandante in capo di dipartimento militare marittimo o il
comandante di regione aerea, a seconda che l'opera sia, rispettivamente, dell'Esercito o interforze, della Marina o
dell'Aeronautica, predispone il progetto di imposizione delle limitazioni, in attuazione e nell'ambito dei
programmi di cui al precedente articolo 3, corredandolo di un preventivo di spesa relativo agli indennizzi.
Nelle norme che seguono, l'espressione “il comandante territoriale” si intende riferita al comandante militare
territoriale di regione, al comandante in capo di dipartimento militare marittimo o al comandante di regione
aerea, a seconda che l'opera sia, rispettivamente, dell'Esercito o interforze, della Marina o dell'Aeronautica.
Il progetto, con l'allegato preventivo di spesa, è trasmesso alla ragioneria centrale del Ministero della difesa, ai
sensi e per gli effetti dell'articolo 50, quarto comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, recante nuove
disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato.
Ad avvenuta prenotazione dell'impegno provvisorio, il provvedimento impositivo è adottato dal comandante
territoriale con decreto nel quale devono essere indicati gli estremi di registrazione dell'impegno provvisorio di
spesa.
Le zone soggette a limitazioni e le limitazioni stesse sono indicate su mappe catastali da allegare al decreto
impositivo, nelle quali devono risultare individuate le singole proprietà assoggettate.
5. Il decreto, corredato di mappe, è pubblicato mediante deposito, per sessanta giorni consecutivi, nell'ufficio di
ciascun comune, nel quale sono situati i fondi assoggettati alle limitazioni.
Dell'avvenuto deposito è data notizia, entro i primi quindici giorni, mediante avviso inserito nel Foglio annunzi
legali della provincia e mediante manifesti del comando militare territoriale affissi, in numero congruo, a cura del
sindaco, nel territorio del predetto comune. Di tale deposito è effettuata contestuale notifica, tramite i comuni
interessati, ai proprietari degli immobili assoggettati alle limitazioni.
Successivamente il decreto, corredato di un certificato del segretario comunale attestante l'avvenuto deposito per
sessanta giorni consecutivi e l'avvenuta affissione dei manifesti nonché di un esemplare del Foglio annunzi legali
della provincia contenente il predetto avviso, è custodito nell'archivio dello stesso comune.
Chiunque può prendere visione del decreto e dei suoi allegati durante il deposito e successivamente, fino a che
l'imposizione ha effetto.
Il decreto diviene esecutivo decorso il novantesimo giorno dalla data di deposito nell'ufficio comunale.
Chiunque vi abbia interesse può proporre ricorso gerarchico al Ministro per la difesa avverso il decreto del
comandante territoriale, entro i termini e secondo le modalità previsti dall'articolo 2 del decreto del Presidente
della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199.
121
Di tale diritto e del termine entro il quale può esercitarsi deve essere fatta menzione negli avvisi e nei manifesti di
cui al secondo comma del presente articolo.
D'ufficio o su domanda del ricorrente, proposta nello stesso ricorso o in successiva istanza da presentarsi nei
modi previsti dall'articolo 2, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n.
1199, il Ministro per la difesa può sospendere l'esecuzione dell'atto impugnato.
In attesa che le limitazioni diventino esecutive, il comandante territoriale può ordinare la sospensione di lavori o
di piantagioni che siano in contrasto con le limitazioni risultanti dal decreto impositivo.
6. L'amministrazione militare, all'atto della imposizione delle limitazioni, ha facoltà di modificare, nelle proprietà
assoggettate, lo stato delle cose che contrasti con le esigenze militari.
Tali modificazioni danno diritto ad indennizzo che è determinato a norma della legge 25 giugno 1865, n. 2359, e
successive modificazioni, quando trattasi di fabbricati, e a norma degli articoli 16 e 17 della legge 22 ottobre
1971, n. 865, quando trattasi di terreni.
7. Ai proprietari degli immobili assoggettati alle limitazioni spetta un indennizzo annuo rapportato al doppio del
reddito dominicale ed agrario dei terreni e del reddito dei fabbricati, quali valutati ai fini dell'imposizione sul
reddito.
Tale indennizzo è stabilito in una metà dei predetti redditi per le limitazioni di cui a ciascuna delle lettere a) e b)
del precedente articolo 2 e nell'intero reddito in caso di concorso di limitazioni di entrambe le lettere.
Ove il fondo sia stato concesso prima dell'imposizione delle limitazioni in conduzione a terzi, il proprietario deve
corrispondere ad essi parte dell'indennizzo di cui al comma precedente, in rapporto al danno subito. La relativa
misura, qualora manchi l'accordo fra le parti, è determinata dagli arbitri, nominati uno dal proprietario, l'altro dal
conduttore ed il terzo dagli arbitri scelti dalle parti e, in caso di mancato accordo, dal presidente del tribunale del
circondario. Lo stesso presidente procederà alla nomina dell'arbitro non designato dalla parte.
La decisione del collegio arbitrale, ove non sia diversamente stabilito dalle parti, sarà suscettibile dei gravami
previsti dalla legge.
I suddetti indennizzi sono corrisposti ai proprietari degli immobili su domanda degli stessi o degli interessati di
cui al terzo comma, diretta al sindaco del comune ove esistono i beni soggetti a vincolo.
La sottoscrizione della domanda deve essere autenticata dal funzionario competente a ricevere la domanda, o da
un notaio, cancelliere, segretario comunale o altro funzionario incaricato dal sindaco. La domanda ha efficacia
per tutto il periodo di validità del decreto di imposizione della servitú. L'autorità militare determina le eventuali
variazioni degli indennizzi conseguenti a modifiche delle condizioni di asservimento che possono sopravvenire
nel quinquennio di validità del decreto.
Per il pagamento degli indennizzi il cui importo annuale non superi la somma di L. 500.000 non è richiesta altra
documentazione.
Il decreto di imposizione delle limitazioni deve specificare che gli indennizzi saranno corrisposti a domanda degli
aventi diritto.
Le disposizioni di cui ai commi precedenti sono rese note con le forme di pubblicità di cui all'articolo 5.
122
A richiesta dell'amministrazione militare, le conservatorie dei registri immobiliari, gli uffici tavolari e gli uffici
tecnici erariali comunicheranno i dati necessari per la determinazione della misura degli indennizzi.
La determinazione dell'indennizzo effettuata all'atto della imposizione vale per l'intero quinquennio, salvo le
variazioni derivanti dai coefficienti di aggiornamento dei redditi catastali nonché quanto previsto dal sesto
comma del presente articolo.
L'indennizzo è corrisposto annualmente per la durata delle limitazioni.
È fatto obbligo al proprietario di comunicare all'amministrazione militare l'eventuale cessione del bene.
Per il pagamento degli indennizzi previsti dal presente articolo si provvede mediante aperture di credito disposte
a favore dei sindaci dei comuni nel cui territorio insistono le aree ammesse all'indennizzo, secondo le norme sulla
contabilità generale dello Stato.
8. Il comandante territoriale può, su richiesta degli interessati, autorizzare che sui fondi siano eseguite opere in
deroga alle limitazioni imposte. L'atto non è soggetto a particolari formalità.
Ove l'autorizzazione sia subordinata a speciali condizioni o importi una riduzione dell'indennizzo, l'atto deve
essere sottoscritto per accettazione da parte dell'interessato.
La deroga comporterà il mantenimento dell'indennizzo, se resteranno in vigore anche solo alcuni divieti previsti
dalla lettera a) o dalla lettera b) dell'articolo 2 e se resterà invariata la ipotesi di cumulo di cui al secondo comma
dell'articolo 7, o la riduzione conseguente al venir meno della ipotesi di cumulo.
La deroga di tutti i divieti darà luogo a cessazione dell'indennizzo.
Il comandante territoriale ne darà notizia alla ragioneria centrale del Ministero della difesa per le conseguenti
variazioni degli impegni di spesa provvisori o definitivi già registrati.
9. A decorrere dal 1
" gennaio 1977, ai comuni il cui territorio è assoggettato alle
limitazioni previste dal precedente articolo 2 è dovuto un contributo annuo pari al 50 per cento dell'ammontare
complessivo degli indennizzi spettanti ai proprietari degli immobili siti nei comuni stessi.
Il contributo ai comuni viene annualmente erogato, indipendentemente dalla presentazione delle domande di
indennizzo.
123
Il contributo viene erogato in base alle limitazioni risultanti gravanti sul territorio comunale al 1
" gennaio di ogni anno.
In attesa che venga compiuta la prima revisione generale di cui all'articolo 13, i contributi sono erogati sulla base
delle limitazioni di fatto gravanti sul territorio comunale, con riferimento alla data del 1
" gennaio di ogni anno, a partire dal 1
" gennaio 1977.
10. Ogni cinque anni dall'imposizione delle limitazioni si procede a revisione generale per accertare se le
limitazioni stesse siano ancora necessarie per le esigenze della difesa nazionale.
Per le limitazioni ancora necessarie il comandante territoriale emana decreto di proroga per altri cinque anni,
sentito il comitato misto paritetico.
Le limitazioni possono essere ridotte o revocate, con decreto del comandante territoriale, anche prima dello
scadere del quinquennio.
124
Il decreto di revoca prima della scadenza del quinquennio, di riduzione o di conferma è pubblicato con le
modalità indicate nell'articolo 5.
Se non interviene decreto di conferma alla prevista scadenza, le limitazioni restano estinte ad ogni effetto.
11. In caso di conferma, ove per effetto delle limitazioni di cui all'articolo 2 l'esercizio del diritto di proprietà sul
bene o su parte di esso sia reso impossibile o eccessivamente difficile, il proprietario può chiedere la
espropriazione totale o parziale del bene stesso.
L'indennizzo è determinato a norma della legge 25 giugno 1865, n. 2359 e successive modificazioni, quando
trattasi di fabbricati, e a norma degli articoli 16 e 17 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, quando trattasi di terreni.
12. Per la durata di tre anni, decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente legge, il comandante
territoriale può affidare, mediante contratto, prendendo a base le tariffe professionali per i compensi da
corrispondere a geometri o periti edili o periti agrari liberi professionisti, ridotte del 20 per cento, la rilevazione
dei dati catastali ed i conteggi occorrenti per la liquidazione degli indennizzi spettanti ai proprietari degli
immobili gravati da limitazioni ai sensi del precedente articolo 2, ed ogni altra operazione.
Le spese per i compensi ai professionisti graveranno sui fondi stanziati per gli indennizzi.
13. Nella prima applicazione della presente legge l'amministrazione militare procede alla revisione generale delle
limitazioni esistenti. Per quelle ancora necessarie per le esigenze della difesa nazionale, se imposte in via
definitiva, il comandante territoriale, sentito il comitato misto paritetico, emette decreto confermativo che viene
pubblicato con le modalità indicate nell'articolo 5.
Per le limitazioni ancora necessarie, non imposte ritualmente in via definitiva, il comandante territoriale provvede
a renderle tali con le modalità stabilite negli articoli 4 e 5.
Tutte le limitazioni che nel termine di tre anni non siano state confermate ai sensi dei commi precedenti sono da
considerarsi estinte ad ogni effetto e, se vi è stata trascrizione, è rilasciata dichiarazione attestante l'avvenuta
cessazione che costituisce titolo per le conseguenti cancellazioni sui registri immobiliari.
Dalla scadenza del predetto termine decorrono cinque anni per la revisione periodica prevista dall'articolo 10,
relativamente alle limitazioni confermate ai sensi dei commi precedenti.
14. Ai proprietari dei beni assoggettati alle servitù militari, previste dalla legge 20 dicembre 1932, n. 1949, e
successive modificazioni, costituite anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge, spetta, per il
periodo in cui hanno operato, anche di fatto, e comunque da data non anteriore al 6 aprile 1968, un indennizzo.
Tale indennizzo è determinato a norma della legge 8 marzo 1968, n. 180, fino all'entrata in vigore della presente
legge ed a norma dell'articolo 7 per il periodo successivo.
L'indennizzo è corrisposto a domanda degli aventi diritto. Si applicano le disposizioni dei commi quinto, sesto e
settimo dell'articolo 7.
125
15. Per il tempo strettamente necessario allo svolgimento di esercitazioni, il comandante territoriale può disporre,
per motivi di pubblica incolumità, lo sgombero e l'occupazione di immobili ed il divieto di accedervi, lo
sgombero di specchi d'acqua e imporre limitazioni alla circolazione stradale.
I relativi provvedimenti debbono essere comunicati almeno 30 giorni prima al prefetto della provincia, al sindaco
dei comuni interessati e al comitato misto paritetico. Nel caso che le esercitazioni interessino aree ricadenti in
foreste demaniali, la comunicazione va fatta anche agli uffici ai quali compete l'amministrazione delle medesime.
Nei casi di urgente necessità, gli sgomberi, le occupazioni e le limitazioni di cui al primo comma del presente
articolo possono essere disposte, con effetto immediato, dal comandante di corpo, che dovrà sollecitamente
provvedere alle comunicazioni di cui al precedente comma.
Detti provvedimenti devono essere resi pubblici mediante affissione all'albo pretorio comunale e mediante
affissione di manifesti murali in luoghi pubblici di normale frequenza.
Al pagamento degli indennizzi per gli sgomberi e le occupazioni di immobili nonché per eventuali danni si
provvede con le modalità previste dall'ultimo comma dell'articolo 7.
La misura dell'indennizzo per i lavoratori dipendenti è pari al salario corrente; per i lavoratori autonomi è
rapportata alla retribuzione spettante ai lavoratori dipendenti con qualifica o specializzazione corrispondente o
affine.
16. Nel territorio dei comuni militarmente importanti indicati nell'annessa tabella A), la costruzione di strade di
sviluppo superiore ai 500 metri, le edificazioni, l'uso di grotte e cavità sotterranee e i rilevamenti per qualsiasi
scopo effettuati, ad eccezione di quelli catastali, non possono avere luogo senza autorizzazione del comandante
territoriale.
Nel territorio dei comuni costieri militarmente importanti indicati nell'annessa tabella B) le edificazioni ed i
lavori afferenti ai porti e ai porti turistici e alle opere marittime in genere non possono aver luogo senza la
preventiva autorizzazione del comandante territoriale.
Nelle zone costiere e nelle isole indicate nella annessa tabella C) l'uso delle grotte, gallerie e altre cavità
sotterranee, entro il limite di cento metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare, non può
aver luogo senza autorizzazione del comandante territoriale.
Per le strade, salvo quanto disposto dal comma successivo, per le edificazioni e per i lavori afferenti ai porti e ai
porti turistici, l'autorizzazione di cui al primo e secondo comma del presente articolo non è richiesta se sono
previsti dai piani urbanistici approvati nel loro complesso su conforme parere del comandante territoriale e se
sono eseguiti in conformità dei piani stessi.
Per i progetti delle opere stradali intercomunali deve essere sentita la predetta autorità militare, che dovrà
esprimere il proprio parere nel termine di 90 giorni; decorso tale termine la mancata pronuncia equivale alla
espressione del parere favorevole.
Qualora le esigenze della difesa lo consentano, il Ministro della difesa dichiara, con proprio decreto, non soggette
in tutto o in parte al regime previsto dal presente articolo nell'ambito dei territori e delle zone costiere, indicati
nelle annesse tabelle A), B) e C), le aree che non siano direttamente o indirettamente interessate ad opere o
installazioni di difesa.
126
17. Deve essere richiesto il parere del comandante territoriale per tutte le nuove realizzazioni o varianti strutturali
significative interessanti grandi comunicazioni stradali (strade statali e autostrade) e ferrovie nonché per tutti i
lavori interessanti dighe di ritenuta, impianti minerari marittimi, idroelettrici, grandi stabilimenti industriali,
centri termonucleari, impianti elettrici ad altissimo potenziale, grandi depositi di olii minerali, oleodotti,
metanodotti, in qualsiasi parte del territorio nazionale le opere vengano compiute.
Il parere deve essere espresso nel termine di novanta giorni. Qualora il comandante territoriale non si pronunci
entro il predetto termine, la mancata pronuncia equivale all'espressione del parere favorevole.
18. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 della legge 3 giugno 1935, n. 1095, modificata dalla legge 22
dicembre 1939, n. 2207, si applicano anche nelle zone del territorio nazionale dichiarate di importanza militare
con decreto del Ministro della difesa, emanato di concerto con il Ministro dell'interno, da pubblicarsi nella
Gazzetta Ufficiale.
L'autorizzazione del prefetto e il parere dell'autorità militare previsti per gli atti di alienazione totale o parziale di
immobili dalla legge 3 giugno 1935, n. 1095, come modificata dalla legge 22 dicembre 1939, n. 2207, non sono
richiesti per gli atti di alienazione totale o parziale ai cittadini dell'Unione europea o alle amministrazioni dello
Stato, ivi comprese le aziende autonome, ai comuni, alle province e agli altri enti locali, alle regioni, agli enti
pubblici economici, nonché a ogni altra persona giuridica pubblica o privata, avente la sede principale delle
proprie attività nel territorio dell'Unione europea.
Ove non ricorrano le condizioni di cui al secondo comma, il decreto di autorizzazione prefettizia deve essere
emanato entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda. In tale termine è computato anche quello di
quarantacinque giorni concesso all'autorità militare competente per esprimere il proprio parere in ordine alle
istanze di autorizzazione. Trascorso il predetto termine di quarantacinque giorni, qualora l'autorità militare non
abbia fatto pervenire al prefetto il richiesto parere, lo stesso si intende favorevolmente dato.
L'autorizzazione del prefetto, da allegare in originale all'atto di alienazione, perde efficacia qualora non si
proceda alla stipulazione dell'atto entro sei mesi dal giorno in cui è stata concessa.
Il diniego di autorizzazione deve essere motivato. Gli atti di alienazione di immobili e le relative trascrizioni
presso le conservatorie immobiliari eseguiti tra il 12 gennaio 1977 ed il 31 dicembre 1984 sono riconosciuti
giuridicamente validi a tutti gli effetti.
Gli atti compiuti per interposta persona, in violazione delle leggi 3 giugno 1935, n. 1095, e 22 dicembre 1939, n.
2207, quali modificate dai commi precedenti, sono nulli.
Il responsabile è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 80.000 a lire 400.000.
19. Le violazioni della presente legge, sempre che il fatto non costituisca reato, sono soggette alla sanzione
amministrativa del pagamento di una somma di danaro non inferiore a lire 100.000 e non superiore a lire
1.000.000.
La sanzione amministrativa di cui al precedente comma è inflitta previa contestazione della violazione e sempre
che il trasgressore non abbia ottemperato alla diffida di far cessare la violazione.
127
Competente a provvedere alla diffida, a determinare la misura e ingiungere il pagamento della sanzione
amministrativa è il comandante territoriale. La procedura e le eventuali opposizioni sono regolate dalla legge 24
dicembre 1975, n. 706, in quanto applicabile.
L'autorità militare predetta può ordinare altresì che il trasgressore compia a proprie spese il ripristino. Se il
trasgressore non ottempera all'ordine di ripristino nel termine assegnatogli o in caso di assoluta urgenza, l'autorità
militare provvede d'ufficio addebitando le relative spese al trasgressore.
20. Tutti gli atti necessari per l'esecuzione della presente legge, compiuti nell'interesse dello Stato, comprese le
cancellazioni ipotecarie, sono esenti dalle imposte di bollo, di registro, ipotecarie e catastali, nonché dagli
emolumenti riscossi dai conservatori dei registri immobiliari, dai diritti di scritturato e dai tributi speciali di cui al
decreto-legge 31 luglio 1954, n. 533, convertito nella legge 26 settembre 1954, n. 869, e successive
modificazioni.
21. Il regolamento di esecuzione della presente legge sarà approvato entro sei mesi dalla sua entrata in vigore.
In attesa dell'emanazione del regolamento di esecuzione della presente legge, continuano ad applicarsi le norme
del regolamento approvato con regio decreto 4 maggio 1936, n. 1388, compatibili con la presente legge; la
commissione tecnica consultiva generale, per i compiti di cui all'articolo 7, primo comma, lettera a) del citato
regolamento, è sostituita da un comitato presieduto dal direttore generale dei lavori, del demanio e dei materiali
del genio del Ministero della difesa, o da un suo delegato e composta da un ufficiale per ciascuno degli stati
maggiori di forza armata e da un rappresentante del Ministero dell'interno.
Entro trenta giorni dall'entrata in vigore della presente legge è costituito il comitato misto paritetico di cui al
precedente articolo 3.
22. È abrogata la legge 20 dicembre 1932, n. 1849, e successive modificazioni.
La legge 1
" giugno 1931, n. 886, e successive modificazioni è abrogata, salvo che agli
effetti dell'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, e fatta eccezione delle
norme aggiunte con le leggi 3 giugno 1935, n. 1095, e 22 dicembre 1939, n. 2207, come modificate dall'articolo
18 della presente legge.
Nulla è innovato per i comuni della provincia di Bolzano elencati dal citato articolo 22 del decreto del Presidente
della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, per i quali si provvederà con la procedura prevista dall'articolo 107 del
decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670.
128
23. All'onere di lire 1.800 milioni derivante dalla presente legge nell'esercizio finanziario 1976 si farà fronte
quanto a lire 1.200 milioni mediante corrispondente riduzione del fondo speciale iscritto al capitolo 6856 dello
stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro per detto esercizio e quanto a lire 600 milioni a carico del
fondo speciale iscritto al capitolo 6856 dello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro per l'esercizio
finanziario 1975.
All'onere di lire 1.500 milioni derivante dalla presente legge nell'esercizio finanziario 1977 si farà fronte
mediante corrispondente riduzione del fondo speciale iscritto al capitolo 6856 dello stato di previsione della
spesa del Ministero del tesoro per detto anno.
Il Ministro per il tesoro è autorizzato a provvedere, con propri decreti, alle occorrenti variazioni di bilancio.
24. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana.
Tabella A
1. - Provincia di Udine:
Paluzza - Pontebba - Malborghetto Valbruna - Tarvisio - Dogna - Chiusaforte -Resia - Lusevera - Taipana - Nimis - Attimis - Faedis - Pulfero - Torreano - Savogna - San Pietro
al Natisone - Drenchia - Grimacco - San Leonardo - Stregna
- Prepotto.
2. - Provincia di Gorizia:
Dolegna del Collio - Monfalcone.
3. - Provincia di Trieste:
Trieste.
------------------------
Tabella B
Provincia di Venezia: Venezia.
Provincia di Ancona:
Ancona.
Provincia di La Spezia: La Spezia - Porto Venere - Lerici Ameglia.
129
Provincia di Livorno: Portoferraio.
Provincia di Latina:
Gaeta.
Provincia di Napoli:
Napoli - Pozzuoli.
Provincia di Taranto: Taranto.
Provincia di Brindisi: Brindisi.
Provincia di Foggia: Isole Tremiti e Pianosa.
Provincia di Agrigento: Isole Lampedusa e Linosa.
Provincia di Messina: Messina.
Provincia di Siracusa: Augusta - Melilli.
Provincia di Trapani: Trapani - Isole Egadi - Pantelleria.
Provincia di Cagliari: Cagliari.
Provincia di Sassari: La Maddalena - Olbia (solo isola
Tavolara).
-----------------------Tabella C
1) Da San Remo ad Alassio.
2) Da Punta Mesco alla foce del Magra.
3) Da Sperlonga a Gaeta.
4) Da Capo Miseno a Punta Campanella.
5) Da Punta Rondinella a Capo S. Vito.
6) Da Capo S. Maria di Leuca a Capo d'Otranto.
7) Da Punta Penne a Punta della Contessa.
8) Da Numana a Falconara.
9) Da Capo S. Croce a Capo Murro di Porco.
10) Da Punta Pizzolungo a Punta Nubia.
11) Da Capo Ferro a Capo Testa.
12) Da Capo Spartivento Sardo a Capo Carbonara.
13) Isole Palmaria e Tino.
14) Arcipelago Toscano.
15) Isole Tremiti e Pianosa (Adriatico).
16) Isole Eolie, Egadi, Pantelleria, Lampedusa e Linosa.
17) Isole Tavolara e Asinara.
18) Arcipelago di La Maddalena.
130
Appendice B
Legislazione concernente l’istituzione di servitu’ militari
Approvazione del regolamento per l'esecuzione della L. 24 dicembre 1976, n. 898,
concernente la nuova regolamentazione delle servitù militari
Decreto del Presidente della Repubblica 17 Dicembre 1979, n. 780
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 26 Febbraio 1980, n. 55
È approvato l'unito regolamento per l'esecuzione della legge 24 dicembre 1976, n. 898, concernente la nuova
regolamentazione delle servitù militari.
Regolamento per l'esecuzione della legge 24 dicembre 1976, n. 898,
sulla nuova regolamentazione delle servitù militari
Articolo 1
Nel presente regolamento, con il termine “legge” si intende la legge 24 dicembre 1976, n. 898, sulla nuova
regolamentazione delle servitù militari.
Nelle norme che seguono l'espressione “il comitato” si intende riferita al comitato misto paritetico, previsto
dall'art. 3 della legge, della regione o provincia il cui territorio è interessato alle opere e attività militari,
l'espressione “il comandante territoriale” al comandante militare territoriale di regione, al comandante in capo di
dipartimento militare marittimo o al comandante di regione aerea, territorialmente competenti, a secondo che si
tratti di questione interessante rispettivamente l'Esercito o di carattere interforze, la Marina o l'Aeronautica, le
espressioni “la regione”, il “consiglio regionale”, “il presidente della giunta regionale” si intendono, per il
Trentino-Alto Adige, riferite alla provincia, al consiglio provinciale ed al presidente della giunta provinciale.
Articolo 2
131
Al fine di realizzare l'armonizzazione prevista dall'art. 3, comma primo, della legge, sono sottoposti all'esame del
comitato i piani di assetto territoriale della regione e i programmi delle installazioni militari e delle conseguenti
limitazioni.
I programmi di opere militari che comportano limitazioni interessanti il demanio marittimo, il mare territoriale e
il demanio idrico, prima di essere sottoposti all'esame del comitato, sono comunicati per eventuali osservazioni
alle competenti autorità territoriali.
La richiesta di riunione del comitato, contenente l'indicazione sommaria degli argomenti oggetto delle
consultazioni nonché la data e la sede della riunione stessa, è comunicata con almeno quindici giorni di anticipo
dal comandante territoriale al presidente della giunta regionale o da questi al comandante territoriale. Le
comunicazioni del presidente della giunta regionale relative al comitato sono inviate al comandante territoriale
competente a norma dell'art. 1 del presente regolamento indicato dal Ministero della difesa.
Il comandante territoriale dà avviso della riunione ai rappresentanti militari ed a quello del Ministero del tesoro in
seno al comitato ed il presidente della giunta regionale ai rappresentanti della regione.
L'autorità che indice la riunione informa il commissario del Governo per la regione.
Articolo 3
Per la validità delle riunioni del comitato è necessaria la presenza di almeno sette dei suoi componenti, salvo
quanto previsto dai successivi commi.
Se nel giorno stabilito per la riunione la consultazione non può avere luogo per mancanza del numero di membri
richiesto, il presidente del comitato, constatata l'invalidità della seduta, fissa la data di una seconda riunione da
tenere dopo non meno di quindici giorni e non più di venti giorni dalla data della prima, dandone notizia al
comandante territoriale ed al presidente della giunta regionale i quali provvedono alle comunicazioni di cui al
penultimo comma del precedente art. 2.
Qualora nella seconda riunione non sia presente il numero di membri richiesto, il presidente del comitato fissa la
data di una terza riunione con le modalità di cui al comma precedente. La terza riunione è valida con la presenza
della metà dei membri del comitato.
Se nell'ambito di una sola seduta non vengono esauriti gli argomenti posti all'ordine del giorno la prosecuzione
della seduta è valida anche con la presenza della metà dei componenti.
Il verbale delle riunioni, sottoscritto dal presidente e dal segretario del comitato, è trasmesso a cura del presidente
medesimo al comandante territoriale che ne curerà la raccolta cronologica, rubricazione e la conservazione.
Copia del verbale, autenticata dal presidente del comitato, è trasmessa al presidente della giunta regionale, al
commissario del Governo, ai prefetti delle province interessate nonché all'autorità marittima competente per le
parti di suo interesse.
132
Articolo 4
Copia del verbale della riunione del comitato è trasmessa dal comandante territoriale al Ministero della difesa Direzione generale dei lavori, del demanio e dei materiali del genio.
Ove dal verbale risulti che in seno al comitato non sia stata raggiunta l'unanimità e siano state formulate proposte
alternative circa i programmi delle installazioni militari e delle conseguenti limitazioni oggetto delle
consultazioni, i programmi stessi o le parti di essi oggetto delle proposte alternative sono sottoposti al Ministro
della difesa per le definitive decisioni, unitamente al verbale della riunione del comitato e ad una relazione del
direttore generale dei lavori, del demanio e dei materiali del genio.
Le definitive decisioni adottate dal Ministro della difesa sono comunicate al presidente della giunta regionale, al
commissario del Governo, ai prefetti delle province interessate nonché all'autorità marittima competente nei casi
di suo interesse.
Il termine di quindici giorni di cui al terzultimo comma dell'art. 3 della legge decorre dal giorno successivo a
quello della pubblicazione o della comunicazione della decisione ministeriale.
Articolo 5
Le limitazioni relative alle piantagioni e alle operazioni campestri di cui all'art. 2, lettera a), della legge
consistono nel divieto di piantare alberi, fare coltivazioni erbacee o arbustive, effettuare connesse operazioni
campestri.
Le limitazioni da imporre per il tipo di opere ed installazioni di difesa, di cui agli articoli 1 e 2 della legge ed al
precedente comma, sono definite dalle norme tecniche di carattere riservato, approvate con decreto del Ministro
della difesa di concerto con il Ministro dell'interno.
Le norme tecniche stabiliscono le limitazioni al diritto di proprietà da imporre nella misura direttamente e
strettamente necessaria in relazione al tipo di opera o di installazione di difesa.
Articolo 6
Il decreto impositivo del comandante territoriale, oltre a quanto previsto dagli articoli 4, 5 e 7 della legge, deve
dare atto dell'avvenuta consultazione del comitato nonché delle decisioni del Ministro della difesa o della
deliberazione del Consiglio dei Ministri nei casi di cui al terzultimo e penultimo comma dell'art. 3 della legge.
Con il decreto di imposizione delle limitazioni il comandante territoriale dispone, ai sensi dell'art. 6 della legge,
le eventuali modificazioni allo stato delle cose che contrasti con le esigenze militari.
Articolo 7
133
Il comandante territoriale trasmette ai comuni interessati due copie autentiche del decreto e relativi allegati,
unitamente ad un congruo numero di copie dei manifesti da affiggere, per l'espletamento da parte dei comuni
delle formalità previste dall'art. 5 della legge.
Una copia del decreto con la dichiarazione di avvenuto deposito, dell'avvenuta affissione di manifesti nonché di
un esemplare del Foglio annunzi legali della provincia riguardante l'avviso di avvenuto deposito è trasmesso a
cura del segretario comunale al comando territoriale. L'altro esemplare del decreto, completato come Il
precedente, è custodito nell'archivio del comune.
Articolo 8
I ricorsi al Ministro della difesa avverso i decreti impositivi sono proposti entro i termini e secondo le modalità
previste dall'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199.
I ricorsi presentati ai comandanti territoriali sono da questi trasmessi entro quindici giorni alla Direzione generale
del demanio, dei lavori e dei materiali del genio del Ministero della difesa, accompagnati da una breve relazione
e da una copia del decreto impositivo con la relata dell'avvenuta pubblicazione.
Articolo 9
Gli uffici tecnici militari, decorso il novantesimo giorno dalla data di deposito nell'ufficio comunale del decreto
impositivo, provvedono, nel più breve tempo possibile, al collocamento sul terreno di segnali eventualmente
indicati dalla mappa allegata al decreto.
I segnali sono costituiti da pali di ferro o di altro idoneo materiale di altezza adeguata e muniti in sommità di
targa di analogo materiale recante ben visibile la dicitura “Comune di __________ Zona soggetta a vincolo
militare”. In luogo dei pali-segnali potranno all'occorrenza collocarsi termini lapidei, recanti la stessa dicitura in
modo abbreviato.
Spetta agli uffici tecnici militari curare la manutenzione dei pali-segnali e dei termini lapidei.
Articolo 10
I lavori per le modificazioni di cui all'art. 6 della legge vengono eseguiti o direttamente dal proprietario
interessato nel termine assegnatogli dall'ufficio tecnico militare o dagli uffici tecnici militari i quali provvedono
nelle forme previste per i lavori ad economia.
Il comandante territoriale, su istanza dell'interessato, ha facoltà di accordare una proroga ai termini stabiliti per
l'effettuazione dei lavori di modificazione.
134
Articolo 11
La domanda di indennizzo di cui all'art. 7 della legge è presentata al comandante territoriale ed è redatta secondo
apposito modello predisposto dal Ministero della difesa.
Al pagamento degli indennizzi di importo annuo superiore alle 500.000 lire si provvede previo accertamento
della proprietà dell'immobile. Il richiedente l'indennizzo deve, a tal fine, esibire idonea documentazione.
Articolo 12
La domanda di autorizzazione ad eseguire opere in deroga alle limitazioni imposte ai sensi dell'art. 8 della legge
deve essere presentata al comandante territoriale ed essere eventualmente completata secondo le indicazioni che,
caso per caso, dà lo stesso comandante contemperando le esigenze istruttorie con il minor possibile aggravio del
richiedente.
Qualora l'autorizzazione sia subordinata a speciali condizioni o importi una riduzione dell'indennizzo è redatto
apposito atto conforme al modello che sarà predisposto dal Ministero della difesa. Le condizioni debbono mirare
unicamente e direttamente a tutelare il rispetto delle esigenze militari con il minor possibile aggravio della
proprietà privata e ad evitare oneri dello Stato.
Tutte le autorizzazioni sono registrate dall'ufficio tecnico militare su apposite rubriche.
Articolo 13
Gli uffici tecnici militari, con sufficiente anticipo rispetto alla scadenza quinquennale delle limitazioni, inoltrano
al comandante territoriale motivata proposta di conferma per le limitazioni ancora necessarie, sentiti gli organi
operativi interessati.
I predetti uffici allegano alla proposta di conferma un preventivo di spesa relativo alla determinazione
dell'indennizzo valevole per l'ulteriore quinquennio salve le variazioni derivanti dai coefficienti di aggiornamento
dei redditi catastali.
Il comandante territoriale trasmette lo schema di decreto di conferma alla ragioneria centrale del Ministero della
difesa ai sensi e per gli effetti dell'art. 50, quinto comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440,
unitamente al preventivo di spesa e alla copia del precedente decreto impositivo con relativi allegati.
Ad avvenuta prenotazione dell'impegno provvisorio il comandante territoriale emana decreto di proroga, sentito il
comitato.
Il decreto di proroga è adottato e pubblicato nella forma e con le modalità previste per il decreto impositivo
originario.
135
Le forme e modalità suddette si osservano anche per la revisione generale delle limitazioni esistenti prevista
dall'art. 13 della legge.
Articolo 14
Il decreto di revoca o di riduzione delle limitazioni prima dello scadere del quinquennio, di cui all'art. 10, terzo
comma, della legge, è trasmesso alla ragioneria centrale per le conseguenti variazioni dell'impegno di spesa.
Articolo 15
Ai fini di quanto previsto dal quanto comma dell'art. 3 della legge, il comandante territoriale sottopone alla
consultazione del comitato i programmi delle esercitazioni annualmente pianificate a livello di stato maggiore
che si prevede debbano interessare aree delle quali la Difesa non abbia la disponibilità.
Nei programmi sono indicati:
il calendario di massima delle esercitazioni;
le località, l'estensione delle aree interessate e le modalità di svolgimento;
l'uso che delle aree si farà;
le aree che per motivi di pubblica incolumità occorrerà sgomberare;
l'eventuale incidenza sul regolare svolgimento del traffico stradale;
le misure di sicurezza che saranno predisposte per prevenire o ridurre pregiudizi a persone, animali o cose.
I programmi delle esercitazioni di cui al presente articolo sono comunicati dal comandante territoriale alla
competente prefettura.
Articolo 16
I provvedimenti di cui al primo comma dell'art. 15 della legge, necessari per la tutela della pubblica incolumità
nel corso delle esercitazioni militari e dei corpi civili dello Stato militarmente addestrati, sono adottati dal
comandante territoriale con propria ordinanza.
Detta ordinanza è comunicata alle autorità indicate dall'art. 15 della legge ed ai membri del comitato entro i
termini previsti nel medesimo articolo.
Nei casi in cui lo richiedano necessità urgenti di tutela della pubblica incolumità, i provvedimenti adottati al
riguardo dai comandanti di Corpo, ai sensi del citato art. 15 della legge, sono immediatamente comunicati anche
al comandante territoriale.
Le ordinanze rese pubbliche nei modi previsti dalla legge riportano:
136
l'esatta indicazione delle località da sgomberare o nelle quali è vietato l'accesso, le strade interrotte e relative
deviazioni, il tipo dei segnali che delimitano le zone interdette, nonché la precisazione che le carte topografiche
indicanti la zona sono esposte all'albo comunale e visibili a tutti;
la data di inizio dell'esercitazione;
la durata prevedibile della stessa;
il richiamo delle disposizioni legislative vigenti circa il divieto di raccogliere rimuovere proiettili inesplosi od
ordigni esplosivi di qualsiasi genere, con la precisa indicazione dell'autorità cui dovranno segnalarsi gli eventuali
rinvenimenti;
le modalità e i termini per la richiesta degli indennizzi per gli sgomberi e le occupazioni di immobili e degli
eventuali risarcimenti di danni;
altre eventuali indicazioni di volta in volta ritenute necessarie.
L'ordinanza affissa all'albo comunale è corredata di carta in scala non inferiore a 1: 50.000 su cui sono riportati i
limiti dell'area interessata all'esercitazione.
L'affissione all'albo si protrae per la durata dell'esercitazione.
I manifesti riproducenti l'ordinanza sono approntati dal comando militare ed affissi a cura dell'apposito servizio
comunale.
Il segretario comunale dà assicurazione scritta all'autorità militare dell'eseguita pubblicazione.
Qualora le esercitazioni si debbano svolgere in aree soggette a pericolo di incendio, il comandante territoriale
deve assicurare, anche in conformità alla legislazione statale e regionale vigente in materia, la predisposizione di
idonee misure di prevenzione e di pronto intervento nei confronti degli incendi innescabili dal tiro delle armi e
dalla presenza dei reparti militari.
Gli sgomberi e le occupazioni degli immobili disposti per le esercitazioni non possono essere revocati se sull'area
interessata o su parte di essa rimangono non rinvenuti proiettili inesplosi.
In tal caso, il comandante territoriale ne informa immediatamente il sindaco. Il pericolo deve essere segnalato con
idonei cartelli e la zona pericolosa è vigilata a cura dei reparti militari.
Per tutto il tempo necessario alle relative operazioni di bonifica competono ai proprietari della zona pericolosa gli
indennizzi e gli eventuali risarcimenti di danni previsti dal quinto comma dell'art. 15 della legge.
Articolo 17
Prima dell'inizio delle esercitazioni e al termine delle stesse a cura dell'amministrazione militare, in
contraddittorio del proprietario, dell'affittuario e dei loro rappresentanti ed in mancanza di questi, possibilmente,
alla presenza di due testimoni, è redatto verbale constatante lo stato di consistenza dei luoghi e delle cose
interessate alle esercitazioni.
Gli indennizzi per danni patrimoniali o pregiudizi economici dipendenti dalle esercitazioni sono richiesti dagli
aventi diritto con istanza diretta al comandante militare, conforme ad apposito modello predisposto dal Ministero
della difesa.
137
Tali istanze sono presentate ai comuni nel cui territorio sono situati i beni danneggiati o i fondi sgomberati,
possibilmente entro il quindicesimo giorno dal termine delle esercitazioni. Le domande possono contenere riserva
di presentare perizia di parte.
I moduli per inoltrare la richiesta degli indennizzi o dei risarcimenti di danni sono reperibili presso gli uffici
comunali e le locali stazioni dei carabinieri.
Entro il trentesimo giorno dalla data di presentazione delle domande, il comune provvede al loro inoltro
all'ufficio tecnico militare competente.
I danni denunciati che non risultassero accertati o che fossero dichiarati di entità diversa sono immediatamente
controllati sul posto e per essi viene redatto verbale in contraddittorio con gli interessati. È verbalizzato con
l'intervento di testimoni l'eventuale rifiuto all'accertamento opposto dagli interessati.
Articolo 18
L'autorizzazione del comandante territoriale per l'uso di grotte, gallerie e cavità sotterranee, prevista dal primo e
terzo comma dell'art. 16 della legge, è richiesta allorché le grotte, gallerie e cavità sotterranee siano ubicate in
aree soggette a limitazioni militari o abbiano uno sviluppo o tracciato che interferisce con immobili militari.
L'autorizzazione stessa è, inoltre, richiesta quando l'uso delle grotte, gallerie e cavità sotterranee comporta
modifiche allo stato dei luoghi.
L'autorizzazione del comandante territoriale per i lavori afferenti ai porti e ai porti turistici e alle opere marittime
in genere, prevista dal secondo comma dell'art. 16 della legge, è richiesta allorché trattasi di lavori eccedenti la
semplice manutenzione o riparazione.
Il parere del comandante territoriale reso in relazione alla previsione di cui al penultimo comma dell'art. 16 della
legge è espresso nel termine di centoventi giorni dalla comunicazione dei piani urbanistici; decorso tale termine,
la mancata pronuncia equivale alla espressione del parere favorevole.
Qualora le esigenze della Difesa lo consentano, il comandante territoriale, entro un anno dall'entrata in vigore del
presente regolamento, indica ai competenti organi comunali quali aree, di quelle comprese nei comuni elencati
nella tabella A) annessa alla legge, possono essere dichiarate non di effettiva importanza militare e quindi non
soggette al regime di cui al primo comma dell'art. 16 della legge.
Eventuali varianti alle predette aree sono indicate dal comandante territoriale ogni tre anni.
Articolo 19
Ai fini del parere previsto dall'art. 17 della legge, si considera variante strutturale significativa di strade statali,
autostrade e ferrovie ogni variante di sviluppo superiore a cinque chilometri. Ai fini del parere medesimo si
considerano: impianti minerari marittimi, quelli fissi per la produzione degli idrocarburi localizzati in mare o
ubicati a terra entro il limite di cento metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare; grandi
138
stabilimenti industriali, quelli che impiegano oltre 1000 persone ovvero occupano un'area coperta uguale o
superiore a 100.000 mq; impianti elettrici ad altissimo potenziale, quelli di produzione, trasporto e distribuzione
oltre i 150.000 volts; grandi depositi di olii minerali, i depositi con serbatoi fuori terra (o interrati) aventi capacità
totale superiore a 3.500 mc (benzina) e i depositi con serbatoi fuori terra (o interrati) o magazzini di merce
imballata aventi capacità totale superiore a 1.000 mc (olii combustibili); oleodotti, quelli con diametro uguale o
superiore a 26 pollici ed una portata superiore a 2.500 tonnellate/ora; metanodotti, quelli con diametro uguale o
superiore a 30 pollici e con massima pressione di esercizio di 24 kg/cm².
Non è richiesto il parere del comandante territoriale per i lavori di semplice manutenzione o riparazione
interessanti le opere indicate nell'art. 17 della legge.
Articolo 20
Nei comuni indicati nella tabella A) annessa alla legge le istanze per ottenere l'autorizzazione di cui all'art. 16
della legge medesima sono rivolte al comandante militare territoriale di regione. Nei comuni e nelle zone costiere
indicati nelle tabelle B) e C) le istanze stesse sono rivolte al comandante in capo di dipartimento militare
marittimo.
Il parere dell'autorità militare, previsto dall'art. 17 della legge, è richiesto al competente comandante militare
territoriale di regione.
Le istanze di cui ai precedenti commi, redatti in carta libera, sono corredate da un progetto di massima idoneo a
fornire una adeguata nozione dell'opera o attività progettate.
L'inizio delle opere o attività è subordinato al rilascio del parere del comandante territoriale competente ai sensi
dell'art. 17 della legge.
Ai fini della redazione della carta nazionale dei siti suscettibili di insediamento di centrali e di impianti nucleari
di cui all'art. 23 della legge 2 agosto 1975, n. 393, e dell'insediamento di grandi impianti del ciclo del
combustibile nucleare, nonché in ogni caso in cui le opere o le attività siano deliberate da parte di autorità
ministeriali, il parere va richiesto al Ministero della difesa, il quale è tenuto ad esprimere il proprio avviso nei
termini di cui al secondo comma dell'art. 17 della legge.
Articolo 21
Le autorizzazioni sono concesse dai competenti comandanti territoriali sul modello conforme a quello annesso
alle presenti norme.
Esse devono contenere la citazione della domanda a cui si riferiscono.
Le autorizzazioni concesse dopo accordi con altre autorità contengono l'indicazione dell'adesione delle autorità
cointeressate.
139
Articolo 22
Ai fini dell'autorizzazione richiesta dalla legge 3 giugno 1935, n. 1095, quale modificata dalla legge 22 dicembre
1939, n. 2207, e dall'art. 18 della legge, per gli atti di alienazione totale o parziale di immobili a soggetti che non
siano cittadini italiani ai sensi della legge 13 giugno 1912, n. 555, e successive modificazioni, le parti contraenti
presentano domanda in carta libera al prefetto della provincia ove si trova l'immobile. Se l'immobile è situato nel
territorio di più province, la domanda è presentata al prefetto della provincia in cui si trova la maggiore
estensione di esso.
Articolo 23
Il personale dell'amministrazione militare che giunga a conoscenza di presunte violazioni alla legge o ai singoli
decreti di imposizione ha l'obbligo di informare il comando militare locale per la successiva segnalazione al
comandante territoriale.
L'accertamento delle violazioni spetta agli ufficiali e ai funzionari tecnici dell'amministrazione militare i quali,
quando sia possibile, devono contestare immediatamente la violazione.
Il comandante territoriale, riconosciuto trattarsi realmente di violazione, diffida il trasgressore a far cessare la
violazione stessa in tempo determinato con la comminatoria della sanzione ammistrativa in caso di mancato
adempimento.
Articolo 24
Il comandante territoriale può dare al trasgressore l'ordine di ripristino fissando il termine di adempimento. Detto
termine non può essere inferiore a sessanta giorni, salva la possibilità dell'autorità militare di assegnare un
termine più breve in relazione a particolari circostanze.
Trascorsi inutilmente i predetti termini, o in caso di assoluta urgenza, il comandante territoriale incarica l'ufficio
tecnico militare competente di procedere d'ufficio.
Gli uffici tecnici militari provvedono con la procedura fissata per i lavori ad economia.
L'inizio dei lavori è fatto constatare con verbale da un ufficiale o da un funzionario di cui al secondo comma
dell'articolo precedente.
Gli uffici tecnici militari provvedono ai lavori imputando le relative spese sui capitoli ordinari di bilancio. Copia
del conto delle spese, corredata dalla copia dei titoli giustificativi, è trasmessa alla competente intendenza di
finanza per l'esame e la dichiarazione di esecutorietà, indicando il capitolo del bilancio d'entrata di cui all'ultimo
comma del presente articolo.
140
L'intendenza suddetta comunica all'ufficio del registro competente, con apposito elenco di carico, le generalità
del trasgressore, con gli atti relativi alla partita da riscuotere, affinché l'ufficio medesimo, dopo averne preso nota
al campione di IV categoria, provveda alla riscossione delle somme dovute all'erario.
Le somme riscosse sono dall'intendenza di finanza versate in tesoreria a favore dei capitoli del bilancio d'entrata
che consentono il reintegro ai bilanci militari. La quietanza di versamento è trasmessa all'ufficio tecnico militare
il quale a sua volta trasmette all'ufficio tecnico militare il quale a sua volta trasmette l'originale alla ragioneria del
Ministero competente ed una copia all'ufficio ministeriale che amministra il capitolo su cui gravano le spese di
ripristino.
141
Appendice C
Legge 2 Maggio 1990, n. 104
Modifiche ed integrazioni alla legge 24 dicembre 1976, n. 898,
concernente nuova regolamentazione delle servitù militari
Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 8 maggio 1990, n. 105.
1. 1. All'articolo 3 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, sono apportate le modifiche di cui ai commi
seguenti.
2.
3.
4.
5.
6.
7. Qualora il comitato misto paritetico non provveda entro un anno dalla data di entrata in vigore della
presente legge alla definizione delle aree da destinare alla realizzazione di poligoni, ai sensi del quinto
comma dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, come sostituito dal comma 4 del presente
articolo, il Ministro della difesa predispone all'uopo appositi piani sulla base dei prioritari criteri di
scelta delle aree di cui al predetto quinto comma dell'articolo 3 della legge n. 898 del 1976, che sono
presentati al presidente della giunta regionale. Decorsi novanta giorni dalla presentazione, il Ministro
della difesa, tenuto conto delle osservazioni e delle eventuali proposte alternative della regione, dispone
la progettazione esecutiva e l'attuazione dei piani.
2. 1.
3. 1. All'articolo 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, sono apportate le modifiche di cui ai seguenti
commi.
2.
3.
4.
5.
142
6.
4. 1. Fermo quanto previsto dall'articolo 9 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, ai comuni nel cui
territorio sono presenti aree appartenenti allo Stato, in uso all'amministrazione militare e destinate a
poligoni addestrativi di tiro, è corrisposto un contributo annuo rapportato al reddito dominicale ed
agrario medio delle aree confinanti con quelle su cui insistono i poligoni di tiro, rivalutato secondo i
coefficienti stabiliti ai fini dell'imposizione sul reddito.
2. Alle regioni maggiormente oberate dai vincoli e dalle attività militari, comprese la dimostrazione e la
sperimentazione di sistemi d'arma, individuate ogni quinquennio con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro della difesa, lo Stato corrisponde un contributo annuo da
destinarsi alla realizzazione di opere pubbliche e servizi sociali nei comuni nei quali le esigenze militari
compresi particolari tipi di insediamenti, incidono maggiormente sull'uso del territorio e sui programmi
di sviluppo economico e sociale.
3. Il contributo è corrisposto alle singole regioni sulla base della incidenza dei vincoli e delle attività di
cui al comma 2, determinata secondo parametri da stabilirsi con decreto del Ministro della difesa di
concerto con il Ministro del tesoro, sentite le regioni interessate.
4. Ai comuni con popolazione fino a 100 mila abitanti, in cui esistano insediamenti militari (caserme,
depositi, o altre infrastrutture militari), verranno corrisposte entrate ordinarie da parte dello Stato
facendo riferimento, oltre che al numero degli abitanti, anche a quello del personale militare presente,
che verrà quindi considerato, a tal fine, come popolazione residente. Uguale trattamento verrà riservato
ai comuni che ospitano basi della NATO o di Paesi alleati.
5. 1. Il Ministero della difesa è tenuto a riservare una quota delle forniture e delle lavorazioni richieste
dalle esigenze dei reparti insediati nel territorio delle regioni che sono individuate ai sensi del comma 2
dell'articolo 4, alle imprese commerciali, industriali ed artigiane ivi ubicate, compresi eventuali loro
consorzi provvisori.
2. Per il raggiungimento della anzidetta quota di riserva, nella misura prevista dal primo comma
dell'articolo 113 del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218, maggiorata del 30 per cento, si seguono le procedure
previste dal secondo e terzo comma dello stesso articolo.
3. Il Ministro della difesa emana, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le
conseguenti disposizioni attuative ed esercita il controllo necessario per assicurare il rispetto degli
obblighi di cui al presente articolo.
143
4. I singoli reparti, con la procedura del cottimo fiduciario, prevista dall'articolo 5 del regolamento per i
lavori, le provviste ed i servizi da eseguirsi in economia da parte degli organi centrali e periferici del
Ministero della difesa, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 dicembre 1983, n. 939,
sono autorizzati ad impegnare, con le forme procedurali ad economia, le quote di miglioramento vitto
nonché i controvalori ottenuti dai riporti in economia dei generi di spettanza, ferma restando l'attuale
consistenza dei riporti medesimi.
6. 1. Il Ministero della difesa predispone un programma pluriennale per la costruzione di poligoni di tiro
di tipo chiuso per le esercitazioni a fuoco con anni leggere.
7. 1. Per la durata di cinque anni, decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente legge, il
comandante territoriale può affidare, mediante contratto, prendendo a base le tariffe professionali per i
compensi da corrispondere a geometri o periti edili o periti agrari liberi professionisti, ridotte del 20 per
cento, la rilevazione dei dati catastali ed i conteggi occorrenti per la liquidazione degli indennizzi
spettanti ai proprietari degli immobili gravati da limitazioni, ai sensi dell'articolo 2 della legge 24
dicembre 1976, n. 898, ed ogni altra operazione necessaria per l'attuazione della predetta legge n.
898/1976 e della presente legge. I geometri, periti edili e periti agrari liberi professionisti sono scelti tra
quelli iscritti negli elenchi dei periti di tribunale.
2. Le spese per i compensi ai professionisti gravano sui fondi stanziati per gli indennizzi.
8. 1.
9. 1.
10. 1. La spesa complessiva, a regime, derivante rispettivamente dall'articolo 3, comma 2, dall'articolo
4, comma 1, e dall'articolo 4, comma 2, è determinata, rispettivamente, in lire 12.000 milioni, in lire
10.000 milioni e in lire 18.000 milioni. All'onere di cui alla presente legge per il triennio 1990-1992,
pari a lire 20.000 milioni per il 1990 ed a lire 40.000 milioni per ciascuno degli anni 1991 e 1992, si
provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale
1990-1992, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1990, all'uopo
utilizzando l'apposito accantonamento.
2. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di
bilancio.
144
Appendice D
IL testo della legge regionale LOMBARDIA
145
146
147
Appendice E
La proposta del 1986
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è istituita la Commissione per la conversione
industriale, con lo scopo di realizzare un osservatorio permanente sulla struttura produttiva militare
nazionale e di predisporre piani per la conversione industriale a fini civili di aziende che producono beni
e servizi per usi militari.
2. La Commissione è composta da un rappresentante ciascuno per i Ministeri della difesa, dell'industria,
del commercio e dell'artigianato, del lavoro e della previdenza sociale, per il coordinamento delle
iniziative per la ricerca scientifica e tecnologica, del tesoro, delle partecipazioni statali, da tre
rappresentanti delle organizzazioni sindacali, da tre rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali,
da tre esperti nominati dalla Presidenza del Consiglio e da tre esperti designati d'intesa tra il Presidente
del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati.
3. La commissione elegge nel proprio seno il presidente.
4. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto nomina il segretario della Commissione e
stabilisce l'organizzazione e la retribuzione del personale, comunque in numero non inferiore a sette
unità, e l'assunzione anche temporanea di consulenti, in numero non superiore a sette unità; nonché le
indennità da corrispondere ai componenti la Commissione.
Art. 2.
1. La Commissione per la conversione industriale predispone il programma degli orientamenti per la
conversione industriale.
2. Il programma è redatto entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della presente legge ed è aggiornato
annualmente.
3. Il programma è basato su un'analisi macroeconomica della realtà produttiva e del mercato nazionale
ed internazionale. Esso illustra le linee guida delle metodologie pratiche per la conversione industriale
dal settore militare a quello civile, con particolare riferimento al riaddestramento e alla riorganizzazione
del personale manageriale, tecnico, amministrativo e di produzione, alla trasformazione degli impianti,
148
alle questioni normative e contrattuali, alle implicazioni verso altri settori produttivi collegati nonché
verso le comunità e le aree interessate.
4. Al programma è allegato, aggiornato annualmente, un censimento analitico delle aziende che
producono beni e servizi destinati ad uso militare, con l'indicazione del controllo proprietario, del
fatturato e dei principali indicatori economici, del numero dei dipendenti e della loro qualificazione
professionale, dei materiali in linea di produzione, di quelli prodotti in passato nonché delle attività di
ricerca e sviluppo attualmente in corso.
5. Il programma è trasmesso ai Comitati locali per gli impieghi alternativi di cui all'articolo 4, nonché
alle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Art. 3.
1. La Commissione per la conversione industriale elabora programmi per la conversione produttiva dal
settore militare a quello civile, con un particolare indirizzo per le tecnologie mature nel campo
elettronico, informatico, spaziale, aeronautico, energetico, agricolo, delle comunicazioni, delle
costruzioni, della sanità, dei trasporti, della prevenzione e protezione civile, della tutela dell'ambiente e
con un particolare riferimento alle esigenze e agli obiettivi della lotta alla fame e alla malnutrizione e
della cooperazione con i paesi in via di sviluppo.
2. La Commissione collabora con i Comitati locali per gli impieghi alternativi di cui all'articolo 4 al fine
di elaborare concrete soluzioni sul piano produttivo ed occupazionale per la conversione parziale o
totale di aziende e settori produttivi impegnati a fini militari.
3. La Commissione studia ed elabora progetti di reimpiego per il personale civile e militare nel quadro
di programmi ed ipotesi di ristrutturazione dell'amministrazione della difesa.
Art. 4.
1. I Comitati per gli impieghi alternativi sono costituiti su base provinciale, nelle province in cui sono
presenti aziende produttrici di beni e servizi per fini militari le quali impieghino complessivamente
almeno cento persone.
2. Sulla base di analisi aggiornate della situazione produttiva, economica ed occupazionale, i Comitati
elaborano i piani per la conversione parziale o totale delle imprese operanti nella provincia di
competenza ai fini civili, secondo gli indirizzi identificati nell'articolo 3.
3. I piani devono contenere progetti dettagliati circa l'uso alternativo e la ristrutturazione degli impianti
e delle tecnologie esistenti nonché il riorientamento e la formazione del personale in funzione dei
149
reimpieghi proposti.
4. I Comitati sono costituiti da sette membri nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri di cui tre esperti designati dai presidenti dei consigli provinciali d'intesa con i sindaci dei
comuni sui cui territori insistono le imprese, due rappresentanti sindacali e due rappresentanti delle
imprese designati dalle competenti organizzazioni territoriali.
5. I Comitati provvedono ad un aggiornamento semestrale delle analisi della struttura produttiva locale,
con particolare riferimento al controllo proprietario, al fatturato, al personale con la relativa specifica
professionale, ai materiali in linea di produzione, alle attività di ricerca e sviluppo.
6. Tale analitica documentazione è trasmessa alla Commissione per la conversione industriale presso la
Presidenza del Consiglio dei ministri.
7. I Comitati possono avvalersi di consulenti in numero non superiore alle tre unità e dispongono di
personale in numero non superiore alle tre unità, ai sensi del quattordicesimo e quindicesimo comma
dell'articolo 3-bis della legge 1^ giugno 1977, n. 285, e successive modificazioni ed integrazioni.
Art. 5.
1. E' istituito presso il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato il Fondo di solidarietà in
favore dei dipendenti di imprese operanti nel settore militare interessate da un processo di conversione
industriale. Il Fondo ha amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio ai sensi dell'articolo 9 della
legge 25 novembre 1971, n. 1041, ed è organizzato con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, d'intesa con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato e del lavoro e della
previdenza sociale.
2. Alle prestazioni erogate dal Fondo sono ammessi gli operai, gli impiegati, i tecnici, dipendenti
imprese operanti nel settore militare ivi impiegati almeno sei mesi prima dell'entrata in vigore della
presente legge i quali, per imprescindibili motivi di coscienza, dichiarino presso il competente ufficio
provinciale del lavoro e della massima occupazione di non voler proseguire nella loro collaborazione
con le attività di dette imprese.
3. I soggetti di cui al comma 2 hanno diritto alla corresponsione del trattamento di integrazione salariale
di cui alla legge 12 agosto 1977, n. 675, per un periodo di non oltre diciotto mesi.
4. La corresponsione dell'indennità cessa all'atto dell'instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro.
5. Durante il periodo di godimento del trattamento di integrazione salariale, i lavoratori di cui al
presente articolo sono ammessi, con priorità su qualunque altro lavoratore, ai corsi di formazione e di
riqualificazione professionale organizzati ai sensi della legge 21 dicembre 1978, n. 845. In caso di
ingiustificato rifiuto del lavoratore è sospesa l'erogazione del trattamento di integrazione salariale.
150
6. Durante il medesimo periodo, sono ammesse ai benefici di cui al titolo II della legge 27 febbraio
1985, n. 49, cooperative di produzione e di lavoro, costituite esclusivamente da lavoratori di cui al
presente articolo.
7. Sempre durante il suddetto periodo, ai lavoratori di cui al presente articolo che intendano svolgere
attività di lavoro autonomo possono essere concessi, con decreto del Ministro dell'industria, del
commercio e dell'artigianato, previo parere del Fondo di cui al comma 1, mutui agevolati e contributi
sugli interessi per finanziamenti deliberati dagli Istituti di credito a medio termine.
8. All'atto dell'erogazione dei benefici di cui ai commi 6 e 7, cessa l'erogazione del trattamento di
integrazione salariale.
9. Trascorso il periodo di cui al comma 3, i lavoratori che risultassero ancora privi di occupazione
hanno diritto alla corresponsione della metà del trattamento di cui al suddetto comma per un periodo
non superiore a dodici mesi, e sono iscritti nelle liste ordinarie di collocamento con priorità su tutti gli
altri lavoratori in cerca di occupazione. I soggetti assunti dalle imprese operanti nel settore militare i
quali rifiutino l'assunzione per imprescindibili motivi di coscienza ottengono automaticamente il
ripristino della posizione precedentemente occupata nelle graduatorie.
Art. 6.
1. E' istituito presso il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato il Fondo per il riassetto
economico, con il fine di incentivare la conversione produttiva di imprese operanti nel settore militare.
2. Il Fondo è organizzato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con i Ministri
dell'industria, del commercio e dell'artigianato, della difesa e per il coordinamento delle iniziative per la
ricerca scientifica e tecnologica. Con le disponibilità del Fondo, nel quadro degli indirizzi di cui
all'articolo 3, la Commissione per la conversione industriale, d'intesa con i Comitati per gli impieghi
alternativi, può disporre mutui agevolati, contributi sugli interessi per finanziamenti deliberati dagli
istituti di credito a medio termine, contributi diretti alle imprese che abbiano predisposto un Piano per la
conversione parziale o totale delle proprie attività ai fini civili.
3. L'ammontare dell'erogazione è graduato in funzione del mantenimento dei livelli occupazionali
previsti dal piano, L'effettiva erogazione è rapportata alla progressiva attuazione del piano medesimo.
Art. 7.
1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato per ciascuno degli anni 1986, 1987 e
1988 in lire 800 miliardi, si provvede:
151
a) tramite l'aumento del 100 per cento e del 200 per cento delle tasse sulle concessioni governative di
cui rispettivamente ai numeri 25, numero 1), 26, 31 e 34 e ai numeri 30, lettere a) e b), 32, 33 e 35 della
tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, e successive
integrazioni e modificazioni;
b) tramite il versamento all'erario, da parte delle aziende produttrici di materiale bellico, dell'1 per cento
del proprio fatturato annuo.
2. Il versamento di cui alla lettera b) del comma 1 è regolato con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri da emanarsi non oltre trenta giorni dopo l'entrata in vigore della presente legge.
3. Le somme di cui alle lettere a) e b) del comma 1 sono così ripartite:
a) per il 10 per cento alla Commissione per la conversione industriale presso la Presidenza del
Consiglio;
b) per il 20 per cento ai Comitati per gli impieghi alternativi, attraverso una suddivisione proporzionale
stabilita dalla Commissione per la conversione industriale;
c) per il 35 per cento al Fondo di solidarietà di cui all'articolo 5;
d) per il rimanente 35 per cento al Fondo per il riassetto economico di cui all'articolo 6.
152
Proposta del 2005
DISEGNO DI LEGGE PER LA RICONVERSIONE DELL’INDUSTRIA BELLICA E PER LA
PROMOZIONE DEI PROGETTI E DEI PROCESSI DI DISARMO
Art. 1.
1. In coerenza con i principi di pace e ripudio della guerra quale strumento di offesa alla libertà degli altri popoli
e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, di coesistenza pacifica e di giustizia sanciti dallo
statuto delle Nazioni Unite e dalla Costituzione della Repubblica Italiana, la Repubblica Italiana promuove e
favorisce i processi di riconversione delle imprese operanti nel settore della produzione di materiali di armamento
verso attività di beni e servizi di uso civile e socialmente utili, assumendo come obiettivo prioritario il
mantenimento e lo sviluppo delle risorse umane e tecnologiche presenti nel settore. A tal fine, presso la
Presidenza del Consiglio dei ministri é istituita, per la durata di un triennio, rinnovabile, l’Agenzia per la
riconversione industriale, con lo scopo di realizzare un osservatorio permanente sulla struttura produttiva militare
nazionale e di predisporre analisi piani per la riconversione industriale a fini civili di aziende che producono beni
e servizi per usi militari.
2. La Commissione é composta da un rappresentante ciascuno per i Ministeri della difesa, delle attività
produttive, del welfare. dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica e dell’economia e dell’Istituto del
Commercio con l’Estero (ICE); da tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali; da tre rappresentanti delle
organizzazioni imprenditoriali; da tre esperti nominati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e da tre esperti
designati di intesa tra il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati.
3. L’Agenzia elegge nel proprio seno il presidente.
4. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto, stabilisce l'organizzazione e la retribuzione del
personale; l'assunzione anche temporanea di consulenti, (anche provenienti da organizzazioni e/o istituti
nongovernativi di ricerca) in numero non superiore a sette unità; nonché le indennità da corrispondere ai
componenti l’Agenzia.
5. Il Presidente del Consiglio dei Ministri invia annualmente al Parlamento una relazione dettagliata sulle attività
dell’Agenzia nazionale e di quelle regionali, di cui agli articoli 2,3 e 4.
6. Il Governo italiano s’impegna a promuovere attivamente la creazione di un’agenzia europea per la
riconversione nonchè a sostenere a livello ONU la nomina di un relatore speciale per la riconversione
dell’industria bellica, e la costituzione, nell’ambito della Conferenza per il Disarmo, di un gruppo di lavoro
153
internazionale sulla riconversione dell’industria bellica, con la collaborazione, tra le altre agenzie specializzate
ONU, dell’UNIDO, dell’OCSE, e di agenzie non-governative specializzate e delle organizzazioni sindacali
internazionali.
Art. 2.
1. Compiti dell’Agenzia sono:
a) predisporre entro ogni anno il programma degli orientamenti per la riconversione industriale;
b) soprintendere all'attuazione del programma, su base regionale, da parte Agenzie regionali di cui all'articolo 4;
c) elaborare progetti di studio e di fattibilità volti a realizzare la conversione integrale o parziale delle attività
delle imprese operanti nella produzione di materiale bellico verso attività di produzione di beni e di prestazioni di
servizi di uso civile e socialmente utili;
d) realizzare attività di formazione, riqualificazione e
aggiornamento finalizzate a promuovere tra lavoratrici e lavoratori operanti nelle industrie belliche la cultura
della riconversione in attività produttive alternative;
e) realizzare progetti di ricerca e sviluppo volti a trasferire le
conoscenze e le competenze acquisite nella produzione di materiale di armamento verso applicazioni civili;
f) realizzare di attività di informazione e formazione sulle
politiche e i progetti di pace e di disarmo rivolte, in particolare, a operatori sociali e culturali, amministratori
pubblici, studenti, ricercatori, lavoratrici e lavoratori.
g) produrre analisi di mercato e studi di fattibilità per la
promozione commerciale di beni prodotti in seguito ai processi di riconversione;
h) collaborare con le agenzie regionali di cui all'articolo 4 al
fine di elaborare concrete soluzioni sul piano produttivo ed occupazionale per la conversione parziale o totale di
aziende e settori produttivi impegnati a fini militari;
Art. 3.
1. Il programma deve essere basato su un'analisi macroeconomica della realtà produttiva e del mercato nazionale
ed internazionale, e sulle politiche industriali del settore e su ipotesi di riformulazione delle stesse. Esso deve
contenere le linee guida delle metodologie pratiche per la riconversione industriale dal settore militare a quello
civile, con particolare riferimento al riaddestramento e alla riorganizzazione del personale manageriale, tecnico,
amministrativo e di produzione, alla trasformazione degli impianti, alle questioni normative e contrattuali, alle
implicazioni verso gli altri settori produttivi collegati, nonchè verso le comunità e le aeree interessate.
2. Al programma deve essere allegato un censimento analitico delle aziende che producono beni e servizi
destinati ad uso militare, con l'indicazione del controllo proprietario, del fatturato e dei principali indicatori
economici, del numero dei dipendenti e della loro qualificazione personale, dei materiali in linea di produzione,
154
di quelli prodotti in passato nonché delle attività di ricerca e di sviluppo attualmente in corso. Detto censimento
deve essere aggiornato annualmente.
3. Nel programma deve essere espressamente prevista anche la corrispettiva riduzione della previsione di spese
militari da parte del Ministero della difesa, che é tenuto ad inserirla nel proprio bilancio annuale, onde evitare che
una riconversione dell'industria bellica nazionale produca un aumento delle commesse all'estero per armamenti
da parte dello Stato.
4. Il programma deve essere trasmesso alle Agenzie Regionali di cui all'articolo 4, nonché alle competenti
Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Art. 4.
Le Agenzie Regionali per lo studio e l'attuazione dei progetti di riconversione dell'industria bellica e per la
promozione dei progetti e dei processi di disarmo, sono istituite nelle regioni in cui sono presenti aziende
produttrici di beni e servizi per fini militari.
Le competenze dell’Agenzia sono le seguenti:
a) istituire e mantenere costantemente aggiornato il registro delle
imprese a produzione militare con sedi o impianti operanti nella regione, nel quale sono riportate le informazioni
riguardanti la ricerca, la produzione, l’occupazione e gli investimenti sia militari che civili, la situazione
finanziaria e la titolarità delle proprietà, gli sbocchi di mercato militari e civili, nonché la localizzazione
produttiva;
b) elaborare studi e documentazioni sulla situazione e le
prospettive di riconversione del settore, con particolare riferimento alle prospettive occupazionali, alla
valorizzazione in ambito civile delle risorse e delle competenze tecnologiche acquisite;
c) proporre indirizzi per la diffusione e il trasferimento dei
principi tecnologici e dei processi produttivi di carattere militare verso applicazioni di uso civile socialmente
utili;
d) promuovere la formazione di competenze in merito a progetti e
politiche di pace e di disarmo;
e) formulare al Parlamento e al Governo nazionale proposte ed
interventi volti ad agevolare la riconversione dell’industria bellica verso produzioni di uso civile;
f) stabilire e mantenere proficui contatti con istituzioni
regionali, anche non italiane, impegnate in iniziative per la promozione della riconversione e con i centri di
ricerca, anche a livello internazionale, che si occupano di riconversione e di disarmo;
155
g) produrre analisi di mercato e studi di fattibilità per la promozione commerciale di beni prodotti in seguito ai
processi di riconversione;
Art. 5.
1. Nel quadro di quanto previsto nel programma di cui all'articolo 3, gli interventi dello Stato hanno per oggetto
progetti di riconversione totale o parziale delle produzioni di materiale bellico in attività di produzione
manifatturiera o di servizi per uso civile da parte di imprese localizzate sul territorio nazionale.
2. I progetti di cui al presente articolo devono prevedere comunque il reimpiego del personale eccedente a causa
della soppressione o riduzione delle produzioni belliche.
3. I progetti di riconversione possono riguardare anche attività di ricerca e sviluppo, progettazione e promozione
commerciale.
4. Le procedure di erogazione dei finanziamenti dei progetti di cui al presente articolo sono disciplinate con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con i Ministri delle attività produttive, della difesa e
dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica.
Art. 6.
Con le modalità determinate dal programma e dai piani d'attuazione, possono essere altresí finanziate la
costruzione e l'attività di un centro di ricerche.
Art. 7
Fermo restando l'obbligo della previsione nei piani di cui all'articolo 3 e
4 del pieno reimpiego del personale utilizzato, il ministero delle Aattivita' produttive effettua interventi in favore
dei dipendenti di imprese operanti nel settore militare, interessate da un processo di riconversione.
Le procedure di erogazione dei finanziamenti degli interventi sono
disciplinati con decreto del presidente del consiglio dei ministri, d'intesa con i Ministri delle attivita' produttive e
del welfare Nel caso di particolari situazioni di crisi nelle aziende del settore dovute a condizioni di mercato o a
decisioni di ridimensionamento di produzioni militari, il Governo si attiva per individuare le norme nazionali e
dell'Unione europea che possono favorire la riconversione delle aziende interessate e la limitazione dell'impatto
economico territoriale, nonché l'eventuale ricollocazione dei lavoratori coinvolti. L'Agenzia regionale
competente può intervenire con risorse finanziarie aggiuntive.
156
Appendice F
Proposta di legge di iniziativa popolare per la Regione Lombardia:
Istituzione dell’Agenzia regionale per lo studio e l’attuazione dei progetti di riconversione
dell’industria bellica e per la promozione dei progetti e dei processi di disarmo
Art.1
(Finalità)
1. Nell’ambito delle proprie competenze e in coerenza con i principi di pace e ripudio della guerra quale
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, di
coesistenza pacifica e di giustizia sanciti dallo Statuto delle Nazioni Unite e dalla Costituzione della Repubblica
Italiana, la Regione Lombardia, anche attraverso lo studio e la diffusione della conoscenza, promuove e favorisce
i processi di riconversione delle imprese operanti nel settore della produzione di materiali di armamento verso
attività di beni e servizi di uso civile e socialmente utili, assumendo come obiettivo prioritario il mantenimento e
lo sviluppo delle risorse umane e tecnologiche, presenti nel settore.
2 – La Regione promuove e favorisce la diffusione delle conoscenze e la formazione di competenze relative alla
realtà della produzione e del commercio di armamenti, nonché dei progetti di disarmo.
Art.2
(Agenzia regionale per lo studio e l’attuazione dei progetti di riconversione dell’industria bellica e per la
promozione dei progetti e dei processi di disarmo)
1. Per concorrere all’attuazione delle finalità di cui alla presente legge è istituita l’Agenzia regionale per lo studio
e l’attuazione dei progetti di riconversione dell’industria bellica e per la promozione dei progetti e dei processi di
disarmo, di seguito denominata Agenzia.
Art.3
(Composizione e funzionamento dell’Agenzia)
1. L’agenzia è presieduta dal Presidente della Giunta regionale o da un assessore delegato ed è composta da:
a)
due rappresentanti del consiglio regionale, di cui uno di maggioranza e uno di opposizione;
b)
tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali regionali;
c)
due rappresentanti delle associazioni degli imprenditori operanti nel settore;
d)
tre rappresentanti delle associazioni impegnate nelle attività pacifiste e di promozione del disarmo;
157
e)
due rappresentanti di centri di ricerca o università maggiormente impegnati nelle attività di ricerca e
sviluppo nel settore della riconversione e dei progetti di pace e disarmo.
2. I componenti della agenzia sono nominati dal Presidente della Giunta regionale sulla base delle designazioni
degli enti di cui al comma 1 e della proposta formulata dalla competente commissione consigliare.
3. L’Agenzia ha la propria sede operativa presso la Giunta regionale. Le attività di segreteria e di supporto
tecnico della agenzia sono svolte da un apposito ufficio della Direzione Generale competente coadiuvato dalle
strutture regionali competenti in materia di servizi industriali e osservazione territoriale del mercato del lavoro e
dell’occupazione, pace e cooperazione internazionale.
L’Agenzia può richiedere consulenze specifiche ad organismi specializzati per questioni particolarmente
complesse. L’Agenzia si dota di un proprio regolamento interno.
4. Il Presidente convoca l’Agenzia in seduta ordinaria almeno ogni 60 giorni. La convocazione straordinaria è
obbligatoria qualora lo richiedano almeno un terzo dei componenti.
5- L’Agenzia può deliberare con la presenza di almeno la metà dei componenti e le deliberazioni sono adottate
con il voto favorevole della maggioranza dei presenti, salvo i casi diversamente disciplinati dal regolamento
interno.
Art. 4
(Competenze dell’Agenzia)
1. L’Agenzia provvede a:
a)
istituire e mantenere costantemente aggiornato il registro delle imprese a produzione militare con sedi
o impianti operanti in Lombardia, nel quale sono riportate le informazioni riguardanti la ricerca, la
produzione, l’occupazione e gli investimenti sia militari che civili, la situazione finanziaria e la titolarità
delle proprietà, gli sbocchi di mercato militari e civili, nonché la localizzazione produttiva;
b)
elaborare studi e documentazioni sulla situazione e le prospettive di riconversione del settore, con
particolare riferimento alle prospettive occupazionali, alla valorizzazione in ambito civile delle risorse e
delle competenze tecnologiche acquisite;
c)
proporre indirizzi per la diffusione e il trasferimento dei principi tecnologici e dei processi produttivi
di carattere militare verso applicazioni di uso civile socialmente utili;
d)
individuare e promuovere, col concorso dei soggetti pubblici e privati interessati, progetti di intervento
di cui all’articolo 5;
158
e)
raccogliere ed elaborare dati relativi alla produzione e al commercio di armi, sia in relazione alle
informazioni di cui al comma 1, lettera a), sia in termini più generali con riferimento alla situazione
nazionale e internazionale e alle norme nazionali e internazionali che interessano il settore;
f)
promuovere la formazione di competenze in merito a progetti e politiche di pace e di disarmo;
g)
formulare al Parlamento e al Governo nazionale proposte ed interventi volti ad agevolare la
riconversione dell’industria bellica verso produzioni di uso civile;
h)
stabilire e mantenere proficui contatti con istituzioni regionali, anche non italiane, impegnate in
iniziative per la promozione della riconversione e con i centri di ricerca, anche a livello internazionale,
che si occupano di riconversione e di disarmo;
i)
diffondere gli studi, i documenti e le informazioni attinenti alle attività previste dal presente articolo e
ai progetti di intervento di cui all’articolo 5, con i mezzi più idonei, anche mediante pagine web dedicate
nel sito della Regione Lombardia.
Art. 5
(Progetti di intervento)
1. Per la realizzazione delle finalità di cui all’art.1, la Regione promuove e sostiene, con la collaborazione
dell’Agenzia, i progetti di intervento relativi alla:
a)
elaborazione di progetti di studio e di fattibilità volti a realizzare la conversione integrale o
parziale delle attività delle imprese operanti nella produzione di materiale bellico verso attività di
produzione di beni e di prestazioni di servizi di uso civile e socialmente utili;
b)
realizzazione di attività di formazione, riqualificazione e aggiornamento finalizzate a
promuovere tra lavoratrici e lavoratori operanti nelle industrie belliche la cultura della
riconversione in attività produttive alternative;
c)
realizzazione di progetti di ricerca e sviluppo volti a trasferire le conoscenze e le competenze
acquisite nella produzione di materiale di armamento verso applicazioni civili;
d)
realizzazione di attività di informazione e formazione sulle politiche e i progetti di pace e di
disarmo rivolte, in particolare, a operatori sociali e culturali, amministratori pubblici, studenti,
ricercatori, lavoratrici e lavoratori.
2. La Regione concede contributi per la realizzazione dei progetti di intervento di cui al comma 1, alle aziende a
produzione militare, alle organizzazioni sindacali, alle università, ai centri di ricerca e alle associazioni
impegnate nella diffusione della cultura della pace e di promozione del disarmo
159
3. La Regione può concedere contributi per l’elaborazione dei progetti di intervento di cui al comma 1, ai soggetti
di cui al comma 2, fino al 100 per cento della spesa ritenuta ammissibile.
4. La Giunta regionale determina le modalità di concessione ed erogazione dei contributi, nonché i criteri per
l’assegnazioni dei contributi medesimi. I soggetti beneficiari dei contributi di cui alla presente legge sono tenuti a
realizzare l’intervento per il quale hanno richiesto il contributo. I contributi alle aziende interessate sono concessi
previa valutazione di fattibilità e di collocazione sul mercato del prodotto riconvertito e sono comunque vincolati
all’effettiva trasformazione della produzione dell’azienda medesima. Nel caso non venga realizzato l’intervento
previsto la Giunta regionale provvede alla revoca del contributo e attiva le procedure per il recupero delle
somme erogate.
Art. 6
(Attuazione degli interventi)
1. Per l’attuazione degli interventi di cui all’articolo 5, la Regione promuove il coordinamento delle risorse
finanziarie di provenienza regionale, nazionale e comunitaria.
2. Nel caso di particolari situazioni di crisi nelle aziende del settore, dovute a condizioni di mercato o a decisioni
di ridimensionamento di produzioni militari, la Regione, anche attraverso l’Agenzia di cui all’articolo 2, si attiva
per individuare le norme regionali, nazionali e dell’Unione europea che possono favorire la riconversione delle
aziende interessate e la limitazione dell’impatto economico territoriale, nonché l’eventuale ricollocazione delle
lavoratrici e dei lavoratori coinvolti. La Regione può intervenire con risorse finanziarie aggiuntive.
Art. 7
(Materiale di armamento)
1. Per la definizione di materiale di armamento si rinvia all’art.2 della legge 9 luglio 1990, n. 185 (Nuove norme
sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali d’armamento).
Art. 8
(Relazione annuale)
1. Il Presidente della Giunta regionale presenta annualmente al Consiglio regionale, in occasione della
presentazione di bilancio di previsione, una relazione sull’attività dell’Agenzia.
Art. 9
(Norma finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge si provvede per l’esercizio finanziario 2005 e seguenti
con le risorse stanziate sul UPB per quanto di competenza.
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Art. 10
(Abrogazione)
1. E’ abrogata la legge regionale 11 marzo 1994, n.6 (Istituzione dell’organismo “Agenzia regionale per la
riconversione dell’industria bellica”).
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