37. La Société des Missions Étrangères de Paris. 350

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37. La Société des Missions Étrangères de Paris. 350
37. La Société des Missions Étrangères de Paris. 350 ans à la rencontre de l'Asie 1658-2008.
Colloque à l'Institut Catholique de Paris (4 et 5 avril 2008). Sous la direction de Catherine
MARIN. (Mémoire d'Églises). Paris, Karthala, 2011. 278 pp.
Come indica lo stesso titolo, il testo riporta le 14 relazioni del Colloquio tenuto a Parigi in
occasione dei 350 anni delle M.E.P. Si sa quanto questo genere di Atti sia eterogeneo nel contenuto
e nel valore delle relazioni, ma questo testo rappresenta una felice eccezione sia perché ha cercato
di dare una struttura logica alle relazioni raccogliendole attorno ai diversi aspetti dell’impegno delle
M.E.P. per l’Asia sia per la qualità delle relazioni, quasi sempre di ottimo livello.
Al di là dell’ovvio aspetto storico-celebrativo di alcune relazioni, il testo non nasconde – fin
dall’introduzione – i problemi che si pongono oggi alla missione rispetto al passato ma indica in un
rinnovato rapporto con le Chiese di quel continente ed in un impegno formativo dei loro sacerdoti e
dei loro futuri leaders, il recupero di un rinnovato ruolo delle M.E.P. Non a caso il titolo parla di
rencontre, di incontro con l’Asia più che di missione; non a caso le conclusioni sono dedicate ad
una rinnovata comprensione della vocazione missionaria ad extra.
Quanto alle relazioni, sono raccolte dal testo stesso in cinque parti svolte con un occhio alla
storia e, contemporaneamente, all’attualità. La prima parte (pp. 13-40) raccoglie due relazioni di
presentazione delle M.E.P. nelle quali si presentano le tappe principali del suo sviluppo e la
prospettiva missionaria che la guida. La seconda (pp. 41-77) ricerca le radici spirituali di questa
concezione ed, in altre due relazioni, le indica nella visione berulliana e nella spiritualità ignaziana:
ne viene una comprensione mistica ed apostolica della missione che caratterizza la formazione di
questi evangelizzatori. La terza parte (pp. 79-109) è costituita da altre due relazioni che sottolineano
due caratteristiche delle M.E.P.: il rifiuto di un patronato francese pur nell’accettazione di un
sostegno statale e la scelta decisa a favore della formazione del clero indigeno. Sono tre le relazioni
che costituiscono la quarta parte (pp. 111-169) dedicata al lavoro missionario concreto: sono pagine
che analizzano il lavoro missionario attraverso l’attività educativa e caritativa fino al momento in
cui, con il Vaticano II, si impone una ridefinizione del lavoro missionario che, con il trasferimento
dai vicari apostolici ai vescovi locali, segnerà il passaggio ad un contesto ecclesiale del quale i
missionari non hanno più la responsabilità ultima e suprema. In questo scenario di continuità e di
rottura, non privo di tensioni, viene analizzata la strategia missionaria che passa dal binomio chiesasalvezza, dalla superiorità della civiltà occidentale e dal conflitto tra le diverse congregazioni ad una
situazione diversa più attenta alle culture locali fino a raggiungere una relativa
internazionalizzazione. La quinta parte (pp. 171-253) consta di cinque relazioni che, alla luce dello
“spirito di famiglia” delle M.E.P., analizza l’attività nei territori buddisti ed in quelli islamici, in
Giappone e in quei paesi in cui sono presenti forti ideologie nazionaliste. Come ho già ricordato, la
conclusione (pp. 255-267) riassume questo materiale attorno alla legittimità ed al valore della
vocazione missionaria anche in una situazione così cambiata come quella odierna.
Ho già detto che il testo è veramente buono e merita la fatica della lettura, soprattutto di chi è
interessato a questi problemi e ne ha almeno una discreta conoscenza. Qui vorrei semplicemente
riassumerne i punti che ritengo decisivi; lo faccio a seguito della “prefazione” di C. Marin che
distingue tra il fondamento spirituale della esperienza M.E.P. della missione, la molteplicità delle
sue concrete espressioni e la ricomprensione della missione operatasi nel XX secolo e di seguito
alle appassionate “conclusioni” di G. Colomb che distingue invece tra il valore spirituale di una
vocazione, il suo concretizzarsi nelle differenti esperienze di una missione ad vitam e il significato
epocale che l’Asia, luogo per eccellenza dell’impegno M.E.P., è destinata a giocare nel futuro
dell’umanità e della Chiesa.
In effetti, molti aspetti legano le prime due parti che, nel loro insieme, rimandano a ciò che si
potrebbe definire come il “carisma missionario” delle M.E.P. In questo discorso un ruolo particolare
ha la relazione di Ph. Bordeyne che, al di là del titolo Théologie de la mission, tratta in realtà una
teologia del missionario. L’autore non offre un’inquadratura storica di questa nuova figura
ecclesiale tipica dell’epoca delle scoperte; non offre nemmeno un’inquadratura spirituale del
missionario M.E.P. che è evidenziata invece dalle altre tre relazioni di queste prime due parti che,
per altro, non sviluppano un confronto con le altre figure missionarie offerte dai Francescani, dai
Domenicani e, tutto sommato, nemmeno da quella dei Gesuiti. Il suo è un fine lavoro antropologico
che, nella prima parte, è ricco di spunti che descrivono la lenta articolazione del dinamismo
missionario di una persona e dall’altra si apre alle sfide di una nuova lingua e di una diversa pratica
di se stesso.
È possibile ritrovare un qualche nesso anche tra la terza e la quarta parte che sviluppano il
contesto socio-politico, l’orizzonte ecclesiale e la strategia apostolica delle M.E.P. L’ampiezza delle
tematiche non permette di indicare qualche tema come particolarmente incisivo; mi chiedo però se
la scelta della priorità del clero indigeno, che è giusta rivendicazione della storia delle M.E.P., non
dovrebbe venir messa meglio in rapporto con il contesto ecclesiologico della Riforma cattolica e
con le scelte di Propaganda Fide che pure su questo punto ha posizioni molto chiare. Bisogna dire
che la restrizione delle relazioni alla pure e semplice ottica delle M.E.P. è probabilmente il limite –
per altro intenzionalmente accettato – di questo lavoro. Lo stesso capitolo decimo, nel quale F.
Bousquet presenta e riassume il testo Monita ad missionarios frutto del Sinodo di Ayuthaya del
1665, ricorda che questo testo si ispira assurément alle Istruzioni di Propaganda (p. 173), ma
l’affermazione non trova poi sviluppo.
Questa relazione è già inserita nella quinta parte e fa da ponte tra quanto precede e le quattro
relazioni che mettono a fuoco la missione in ambito islamico e buddista, nel mondo giapponese e
nell’incontro con tutti quei paesi che, segnati da forme di nazionalismo, non accettano che
nemmeno la religione vi si sottragga. Questo mondo variegato è presentato sotto la categoria
unificante della “alterità”. Devo dire di aver letto con particolare curiosità la relazione di M. de
Gigord sui rapporti tra le M.E.P. e l’Islam in Asia rimanendo però confermato sulla minimalità di
questi rapporti.
La conclusione è che questo è un testo celebrativo nel senso più nobile del termine. Con una
riflessione critica e intelligentemente selettiva sulla storia delle M.E.P. riesce a far emergere sia le
costanti carismatiche di una esperienza plurisecolare sia il suo camminare di conserva con
l’evoluzione delle comunità cristiane asiatiche. Il limite sta, probabilmente, nell’aver
eccessivamente isolato l’azione delle M.E.P. dal contesto apostolico ed ecclesiologico in cui è
inserito. Anche con questo limite è un testo che si raccomanda da sé alla lettura di cultori e
specialisti della missione. - Gianni Colzani.